LA POETICA

Le concezioni estetiche di Leopardi strettamente legate alle riflessioni filosofiche sono esposte nel "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", nel quale il poeta si dichiara antiromantico .
La polemica antiromantica si fonda sul ruolo da attribuire alla poesia: la quale deve celebrare i valori, estraniare dalla realtà e procurare piacere.

La poesia d’immaginazione, propria dei classici, ricrea la condizione di Natura che fu degli antichi, alla quale si contrappone la poesia filosofica-sentimentale dei moderni, ormai lontani da quella condizione di felicità a causa del prevalere della ragione durante il processo storico.

I poeti moderni devono cercare di valorizzare le esperienze e la visione della realtà più incline alle illusioni e all’immaginazione, avvicinandosi all’infanzia col ricorso alla dimensione della memoria.
Ai moderni non è consentita una poesia d’immaginazione, perché non possono più riprodurre lo stato di Natura, ma solo una poesia filosofica-sentimentale, fondata sulla caduta delle illusioni.
A questo si collega la poetica dell’indefinito e del vago, secondo cui la poesia deve cercare mediante il linguaggio la sensazione di infinito. Adatte ad esprimere questa sensazione sono i termini "disusati e peregrini", e quelle situazioni poetiche in grado di suscitare sensazioni vaghe.

Il criterio dell’indefinito si applica alla ricerca di situazioni, sentimenti, immagini: compila elenchi di sensazioni sonore e visive che attivano l’immaginazione o che danno piacere per la loro vastità.

Leopardi si considera straniero nel suo tempo, rifiuta il progresso che stava a cuore ai liberali e critica l’orientamento spiritualistico prevalente nelle ideologie contemporanee a cui contrappone una filosofia "dolorosa, ma vera".
Questa filosofia consiste nel riconoscimento della materialità dell’uomo, della sua infelicità, del suo essere nell’universo una presenza casuale e marginale.
La sua riflessione si concentra sul problema della felicità e, constatando l’ineluttabilità del dolore, elabora la "teoria del piacere".

Infatti, secondo Leopardi, la felicità (o piacere) è una tra le fondamentali illusioni dell’uomo: egli, inoltre, si avvicina molto al sensismo dell’Abate Condillac secondo cui il piacere non è solo una condizione psicologica, ma anche fisica.

Nella teoria del piacere egli fa capire che agli uomini è concesso solo un barlume di felicità, procurato, essenzialmente, da due ordini di sensazioni: l’aspettativa di un piacere e la cessazione di un dolore (Miti del Borgo).

Leggendo i classici Leopardi inizia a mettere in dubbio il pessimismo storico e quindi la concezione dello Stato di Natura teorizzata da Rousseau. Ora scopre la razionalità autonoma e impersonale della Natura, che non ha più per fine la felicità umana ma, indifferente alle pene degli uomini, è volta unicamente a perseguire un proprio ordine attraverso un perpetuo ciclo di distruzione e di riproduzione: per questo gli uomini sono sempre stati infelici in tutti i tempi e in tutte le latitudini, e l’infelicità è assoluta, non legata al processo storico, ma connaturata al fatto stesso di esistere.

In questa visione, il rapporto Natura-ragione si ribalta: la Natura è ormai matrigna e la ragione diventa l’unico strumento che permette all’uomo di capire la sua triste condizione, accettandola con coraggio. Le illusioni, viste prima su base sensistica come necessari stimoli al piacere, ossia alla felicità, sono considerate ora come una forma di alienazione dello spirito, viltà indegna di animi nobili. A questo punto viene definita la noia, come stato d’animo percepibile solo dagli "uomini forti", che subentra alla caduta delle illusioni e che accompagna la vita umana fino alla morte non più temuta, ma attesa con imperturbabile felicità.
La ragione, ormai rivalutata, permette a Leopardi di uscire dalla sua condizione di isolato, con la consapevolezza che la solidarietà umana è l’unico strumento con cui combattere una dura e attiva lotta contro la comune nemica: la Natura.
La poesia assume un nuovo valore: diventa lo strumento utilizzato dal poeta per incitare gli uomini a compiere, eroicamente, una battaglia persa in partenza.
 

 

"…Il poeta deve illudere, e illudendo imitar la natura, e imitando la natura dilettare…"

"…le ricordanze della prima età…che noi siamo…tratti ad amare…sono appunto quelle che ci ridesta l’imitazione della natura…e secondo noi ci deve ridestare il poeta…"

da: Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica 

"…La quale se non è utile ad altro, procura agli uomini forti la fiera compiacenza di vedere strappato ogni manto alla coperta e misteriosa crudeltà del destino umano…"

"…il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita e accettare le conclusioni di una filosofia dolorosa, ma vera…"

da: Dialogo di Tristano e di un Amico 

"…Piacer figlio d’affanno;
gioia vana, ch’è frutto
del passato timore…
O natura cortese
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
che per mostro e miracolo talvolta
nasce d’affanno, è gran guadagno…"

da: La quiete dopo la tempesta

"…Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di una vita.
Godi, fanciullo mio: stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave."

da: Il sabato del villaggio 


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