RADIOHEAD
Intervista agli alfieri del pop futurista
Una breve introduzione alla musica dei
Radiohead e un'intervista integrale, tratta dalla sezione “question &
answers” di www.spinwithagrin.co.uk
, il sito ufficiale “parallelo” del gruppo britannico
a
cura di Claudio
Fabretti
All’inizio,
la loro storia sembrava quella della classica one-hit-band. Era il 1993, e i
Radiohead da Oxford, Inghilterra, spopolavano con il singolo “Creep”, una
sorta di inno per una generazione di perdenti ed emarginati. La canzone era
inclusa in un album tutto sommato mediocre come "Pablo Honey" e
nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto a Thom Yorke e
compagni. Passano due anni e arriva "The Bends" (1995), e
subito i Radiohead vengono etichettati come i “nuovi U2”.
Il disco è più maturo, ma sembra ancora incerto tra hard rock e un pop
introverso stile Smiths.
La
svolta è del 1997: esce "Ok computer", destinato ad essere
annoverato tra i capolavori degli anni Novanta. E' un album rock visionario e
psichedelico, dedicato alla fantascienza. Un lavoro in cui svettano brani
melodici di grande impatto emotivo, come “Karma police”, "Exit
music" e “Lucky”, ma anche un singolo dichiaratamente anti-commerciale
come “Paranoid android”: una suite di 7 minuti, con un videoclip alienato e
completamente sganciato dalla musica. Il successo mondiale di "Ok
Computer", opera a metà strada tra la sperimentazione di Pink
Floyd e Genesis da una
parte e il pop melodico di Bowie
e Smiths dall'altra, lancia i
Radiohead nell'empireo del rock. Solo pochi detrattori continueranno a criticare
la natura prettamente artificiale e formale della loro musica.
Il successivo "Kid A" è uscito a tre anni di distanza dal
predecessore, dopo una lavorazione infinita e un’attesa spasmodica,
manifestatasi soprattutto via Internet, e con una serie di scelte
antipromozionali che hanno confermato i Radiohead come una felice eccezione nel
panorama delle rockstar. E' un disco fatto di tracce musicali, più che di
canzoni, di sonorità fratturate e scomposte. Un disco difficile, che attinge
dal pop degli anni '80, ma soprattutto dal rock elettronico di gruppi come Kraftwerk
e Tangerine Dream. Molti
lo ritengono il miglior lavoro dei Radiohead, altri semplicemente il più
pretenzioso. In ogni caso la logica anti-commerciale sembra essere ormai la
filosofia della band di Oxford, come conferma anche l'ultimo lavoro, "Amnesiac",
che si può considerare la logica prosecuzione di "Kid A". A
differenza del suo predecessore, però, "Amnesiac" appare nel
complesso più accessibile e segna un ritorno delle chitarre, quasi assenti nel
recente passato. In ogni caso Thom Yorke e soci proseguono nel loro lavoro di
destrutturazione della forma-canzone pop, facendo largo uso di elettronica, di
effettistica e di brani strumentali con la voce filtrata, riprendendo alcune
intuizioni dei fondamentali Autechre.
Canzoni come "Packt like sardines in a crushed tin box" (un brano
elettronico con ritornello accattivante) e "Morning bell" (nuova
versione del brano già presente su "Kid A", con un arrangiamento di
chitarre ed effetti spaziali), oltre agli intermezzi di "Pulk pull
revolving doors" (basato solo su percussioni elettroniche e voce filtrata)
e di "Like spinning plates" (base elettronica, suoni in reverse, ritmo
irregolare e voce filtrata), testimoniano la continuità con il lavoro
precedente. Ma brani come la splendida "Pyramid song" e la ballata
finale per piano e fiati jazz "Life in a glass house" rievocano i
suoni di "Ok computer" e lasciano il dubbio che, forse, i migliori
Radiohead siano proprio quelli in formato-ballata.
A
dispetto della fama, Yorke e compagni non amano dare interviste e cercano di
parlare il meno possibile. Ma nella sezione “question & answers” di www.spinwithagrin.co.uk
, il sito ufficiale “parallelo” del gruppo, i Radiohead hanno risposto alle
domande di fan e giornalisti. Già, perché con l'uscita del nuovo disco
“Amnesiac”, sembrano destinati a consacrare il loro successo e Internet
continua a essere il luogo ideale attraverso il quale riescono a esprimersi.
Ecco il testo integrale dell'intervista.
I
vostri suoni, da "Kid A" in poi, sono diventati molto differenti da
quelli di "Ok Computer". C’è stato un evento specifico che vi ha
fatto andare in una direzione diversa?
“Ok Computer” è stato registrato per lo più dal vivo, dopo diverse prove e
tour. “Kid A” è stato il nostro primo tentativo di lavorare sui suoni delle
canzoni in studio. Volevamo capire maggiormente alcuni dei mezzi moderni per
creare musica, come ad esempio i moduli di suono e i sampler, frammenti di
musica estratti da canzoni preesistenti per comporre canzoni ex-novo. Eravamo
anche interessati a ricreare suoni “freschi” usando vecchi sintetizzatori
analogici e batterie elettroniche. Alla fine suonare dal vivo ci piace ancora
molto.
Molti musicisti sono invidiosi della
vostra fama. Una volta un amico mi ha detto: “Thom Yorke potrebbe realizzare a
suon di rutti l'inno americano che la Capitol la pubblicherebbe subito come
singolo”. Pensate di aver raggiunto una certa libertà che altri artisti non
hanno?
Ogni libertà che possiamo permetterci adesso è stata raggiunta con fatica,
proprio come nel caso di ogni altra band che ha fatto tour in America ed è
stata in radio da quando, nel 1993, siamo stati negli USA per la prima volta…
Hai sentito "Gastroenteritis/peristalsis" su Hot Air Records? E’ un
disco davvero meschino che il New York Observer ha valutato come uno tra le
migliori scelte dell’anno. Thom non può bere acqua gasata sul palco nel caso
dovesse poi ruttare nel microfono, lo sai, no?
Le interviste via e-mail danno
l’opportunità di conservare l’appetito e allo stesso tempo di “parlare”
con giornalisti e fan. Pensi che Internet dia solo una falsa impressione di
“comunità” o credi invece sia un modo veloce per avvicinarsi a quelle
persone che amano la musica?
Penso che il Web sia la riflessione dei propri utenti; può essere un buon modo
per far conoscere persone interessanti tra di loro che magari abitano in posti
lontani. Ci piacciono le interviste faccia a faccia con i giornalisti perché so
che qualcuno di loro scaverà dentro di noi per capirci. Non è già questa
un’illusione di comunità sufficiente per farti sentire a casa? Passiamo tutto
il nostro tempo in studio, così fare dei Web broadcast con persone che se ne
stanno sole magari dall’altra parte del mondo con i loro computer non
significa già che abbiamo qualcosa in comune? Penso sia bello avere certi
contatti, ma solo ogni tanto.
Da “Kid A” non sono stati estratti
singoli, da “Amnesiac” soltanto "Pyramid Song", qual’è la
vostra generale attitudine nei confronti di questa strategia promozionale?
Ci siamo sentiti un po’ tristi che non ci fosse nessun nostro singolo in
radio; significa che il giudizio nei confronti della nostra musica è fatto più
di opinioni critiche che di altro. La ragione per cui non abbiamo scelto nessun
singolo dal disco non riguarda la credibilità artistica. E’ solo che abbiamo
pensato che scegliere un brano da un album come “Kid A” potesse essere poco
rappresentativo dell’atmosfera totale del disco. Con il prossimo lavoro siamo
fermamente decisi ad estrarre dei singoli da lanciare in classifica, fare video,
servizi fotografici, partecipazioni a trasmissioni televisive per bambini e
tutto ciò che è routine, soprattutto molte interviste che riguarderanno la
nostra travagliata esistenza. Certo, sono d’accordo sul fatto che un buon
singolo con video possa essere ben rappresentativo, sempre però sia davvero
buono. Veramente abbiamo girato diversi mini film della durata di trenta minuti
ciascuno, non tutti infatti erano di trenta secondi come i blimp. Insieme a
Shynola, Chris Bran e Stanley la cosa è stata molto soddisfacente e ne siamo
molto orgogliosi. In assoluto quelli sono stati i migliori stralci di video che
abbiamo mai girato. Tuttavia ci hanno detto che il formato non era adatto per la
promozione, anche se per quanto ci riguarda queste sono tutte stronzate. Mi
rattrista sapere che la gente non potrà mai vedere per intero i film più belli
che abbiamo mai girato per la nostra musica.
Che cosa ne pensate del fatto che siete
osannati dalla critica anche quando pubblicate album controversi? Pensate che la
risposta sia nel fatto che ormai siete considerati una band di culto e che
nessuno osa contraddirvi?
Appena concludi un album non sai più che cosa ne pensi. Non è più tua
proprietà. Tutto ciò che puoi fare è difendere il lavoro fino alla fine
rendendogli giustizia perché ti ci è voluto molto impegno e stress, prendendo
tutto ciò che avevi dentro di te. Quando abbiamo finito “Kid A” ci siamo
sentiti come se avessimo compiuto un miracolo minore. E’ tutto ciò che mi
ricordo. Non c’entra nulla la competizione, quella è solo merda che ti rende
malato e danneggia la tua musica.
Molte riviste di stampo musicale hanno
definito “Kid A” come uno tra i dieci migliori album dell’anno. Che cosa
significano per voi? Siete rimasti sorpresi di come l’album è stato accolto
da pubblico e critica? Infine, quali sono alcuni dei vostri album preferiti di
quest’anno?
Certamente i complimenti ti portano un po’ ovunque…Sono molto felice che
alcune persone abbiano trovato l’album bello. Buoni
album? “Bow down to the exit sign” di David Holmes e “Felt mountain” di Goldfrapp.
La vostra identità sembra
alquanto politicizzata. Essendo una band molto seguita da pubblico e media,
avete l’opportunità di dire la vostra. Ci sono particolari canzoni del vostro
repertorio che hanno messaggi politici?
Trovo difficile non essere influenzato dai media più potenti. La politica non
è qualcosa che succede laggiù mentre tu invece guardi da un’altra posizione.
Chi, per esempio, si aspetta realisticamente che i politici se ne escano con
soluzioni globali quando ciò che fanno è solo guardare ai propri interessi?
Non credo che noi siamo politicizzati, in questo senso. Mi preoccupo del nostro
futuro. Ma è politica, questa? La politica significa essere popolari, cioè
vicino al popolo. Io chiedo di avere diritto di parola, credo di avere il
diritto di dire ciò che voglio nelle mie canzoni, qualsiasi cosa.
Come vi preparate per un concerto? Avete
qualche rito particolare che usate prima e dopo ogni show? Siete superstiziosi?
Personalmente mi sdraio sul pavimento per circa mezz’ora e aspetto che lo
sporco e la polvere si accumuli su di me. Cerco di svuotare il più possibile la
mia mente dai pensieri… Non abbiamo nessun particolare rituale prima di
suonare: di solito siamo molto spaventati. Nell’ultimo tour il mio unico
rituale era quello di prendere degli antidolorifici e miele con limone e fare
qualche gargarismo e sgranchirmi la schiena visto che sono stato ammalato per la
maggior parte del tour. Interessante.
(Tratto da www.ondarock.it)