Rolling Stones

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ROLLING STONES

 

Il rock che non muore

Per molti sono il gruppo più importante della storia del rock. Di certo, dopo di loro niente è stato più come prima. Storia della band che recuperò il rhythm and blues dei neri per rifondare il rock dei bianchi. Nel segno della trasgressione e della rivolta

 

di Claudio Fabretti

 

Ribattezzati "World's greatest rock’n’roll band" da gran parte della stampa specializzata, i Rolling Stones sono davvero una delle formazioni più importanti (e longeve) dell’intera storia della musica. Partendo dalle radici afro-americane del rock - i ritmi tribali, il blues, il jazz - hanno forgiato uno sound unico, che ha segnato un’epoca e influenzato una miriade di band. Una rivoluzione musicale, quella di Mick Jagger e soci, che - come scrive lo storico del rock Piero Scaruffi - ha toccato ognuno degli strumenti tipici del rock: “La batteria assimilò il tamtam lascivo del folk tribale, il tamburo marziale delle bande militari e lo swing sofisticato del jazz, la chitarra esasperò lo stile crudo e squillante di Chuck Berry, il basso inventò un suono ruvido e sguaiato, il canto trasformò il crooning sensuale dei cantanti soul in un verso bestiale, e gli arrangiamenti di tastiere, flauti e strumenti esotici travisarono completamente gli intenti delle culture da cui venivano presi in prestito”.

Il primo nucleo della band nasce a Londra agli inizi degli anni '60, quando il cantante Michael Phillip "Mick" Jagger (1943, Dartford, Gran Bretagna) e il chitarrista Keith Richards (1943, Dartford, Gran Bretagna), compagni di scuola fin dalle elementari, formano con Dick Taylor, Bob Beckwith e Allen Etherington i Little Boy Blue And The Blue Boys, uno dei tanti gruppi ispirati al blues di Chicago. All’organico si aggiunge subito il polistrumentista Brian Jones (Lewis Brian Hopkins-Jones, 1942, Cheltenham, Gran Bretagna). Jagger e Richards sostituiscono gli altri tre con il chitarrista Geoff Bradford, il pianista Ian Stewart e i batteristi Tony Chapman e Mick Avory (quest'ultimo poi confluito nei Kinks).

Nella prima fase della storia degli Stones, l'anima del gruppo è Brian Jones. Dotato di un prodigioso talento per la musica (fin da ragazzino sapeva già suonare di tutto, dall'organo al sassofono) e di un altrettanto spiccata capacità autodistruttiva, Jones vantava anche il curioso primato di aver concepito ben sei figli da altrettante ragazze nell'arco di un decennio (il primo a quindici anni). Inguaribile provocatore e anticonformista, incarnava in tutto e per tutto la figura del rocker dannato, cresciuto suonando gli angoli delle strade e fumando marijuana. Negli anni in cui i Beatles venivano definiti “capelloni” solo perché portavano i capelli a caschetto, Jones e Jagger costituivano, in realtà, la vera alternativa europea al mito maudit di Jim Morrison.

Il debutto della band avviene il 12 luglio 1962 in uno dei templi del rock: il Marquee di Londra. Nel frattempo, si uniscono al nucleo originario Bill Wyman (William Perks, 1936, Londra), ex-bassista dei Cliftons, e Charlie Watts (1941, Islington, Gran Bretagna), batterista della Blues Incorporated di Alexis Korner. Ribattezzatisi The Rolling Stones, da una celebre canzone di Muddy Waters, vengono notati dal manager Andrew Loog Oldham, che procura loro un contratto con la Decca e estromette dalla formazione Stewart (che diventerà road manager del gruppo e membro aggiunto). Nelle mani di Oldham (autore del celebre slogan "Lascereste che vostra figlia uscisse con uno degli Stones?"), Jagger e compagni si impongono come alternativa “sporca” e trasgressiva ai Beatles. Nasce così il più celebre dualismo tra band dell’intera storia del rock.

La musica degli Stones è impudente e selvaggia come la loro immagine. E attinge dalle sorgenti blues del rock’n’roll. Il primo singolo, “Come On” (1973), è la cover di un brano di Chuck Berry, il secondo 45 giri è addirittura scritto dai "rivali" Lennon e McCartney (“I Wanna Be Your Man”), ma è “Not Fade Away” (di Buddy Holly) che, nel giugno 1964, ottiene i primi positivi riscontri di vendita. I cinque successivi singoli (tra cui “Little Red Rooster”, “The Last Time” e “Get Off My Cloud”) contendono la vetta delle classifiche agli hit dei Beatles.

Nella luccicante “Swinging London” degli anni ’60, i Rolling Stones rappresentano l’anima nera e sotterranea della città. Quella che si nutre di baccanali assordanti nei club underground. Quella che vibra della rabbia dei bassifondi, dei sobborghi più violenti e degradati. La loro musica, tuttavia, riesce a far breccia su un pubblico molto più ampio, grazie alla straordinaria abilità tecnica di un ensemble che non si regge solo sul genio di Jones. “Richard in particolare – scrive Scaruffi - il cui stile era la prima imitazione cosciente di Chuck Berry, si impose subito come il più grande chitarrista del beat. I suoi fuzz avevano la funzione di compensare la mancanza di una sezione di fiati. Watts e Wyman formavano la sezione ritmica funky più essenziale della storia del rock. Jagger era l'attrazione principale: modellava il suo vocalismo sul canto agonizzante di Otis Redding e di Solomon Burke e si agitava molto sul palco, al punto da essere paragonato ai performer neri più scatenati di dieci anni prima”.

Il graffiante album d’esordio, Rolling Stones (Decca, 1964), è la rielaborazione di classici del rhythm and blues, tra cui “I'm A King Bee” (Slim Harpo), “Carol” (Berry), “Route 66”, “I Just Want To Make Love To You” (Dixon), ma presenta anche il primo brano firmato Jagger & Richard: “Tell Me”. In questa fase, tuttavia, la band si esprime soprattutto su 45 giri. Come con “It's All Over Now”, versione di un brano di Bobby Womack incisa a Chicago, ma soprattutto con due cover di Dixon, “Time Is On My Side” e “Little Red Rooster”, e due interessanti composizioni originali: “Heart Of Stone” e “Good Times Bad Times”. Questi ed altri brani vengono raccolti in Rolling Stones n. 2 (che negli Usa si chiamerà Now).

E’ il 1965, però, a segnare l’inizio del mito degli Stones, grazie a un trittico di singoli folgoranti: “The Last Time” (febbraio), “(I Can't Get No) Satisfaction” (maggio) e “Get Off Of My Cloud” (settembre), tutti nel segno di un blues contagioso, propulso dai riff distorti di Richards e dal canto sguaiato di Jagger.

E’ soprattutto “(I Can't Get No) Satisfaction”, inno sensuale dai trascinanti accordi di chitarra, a impazzare su entrambe le sponde dell’Atlantico, rimanendo per quattro settimane in testa alla classifica di "Billboard". Ma i Rolling Stones non mettono a soqquadro solo il mondo della musica. A scandalizzare i benpensanti sono anche i loro concerti incendiari (memorabile quello finito in rissa a Berlino nel 1966 dopo un passo dell’oca nazista messo in scena da Jagger), i continui atteggiamenti provocatori, lo stile di vita depravato, all’insegna di sesso, violenza e droga, i flirt scandalosi (celebre quello di Mick Jagger con Marianne Faithful).

Le loro canzoni sono affollate di personaggi turpi e dissoluti: squilibrati, tossicomani psicopatici, prostitute, delinquenti. Ma il mito dei Rolling Stones non è solo violenza selvaggia. Jagger e compagni, infatti, sanno anche commuovere con un paio di ballate struggenti come “Play With Fire” e “As Tears Go By” e progredire verso un suono più maturo. Ne è un saggio Aftermath (1966), il primo album interamente composto da Jagger e Richard. E’ una successione di capolavori, dalla ballata acustica e ambigua di “Lady Jane” (dedicata a una donna o alla marijuana?) all’incalzante “Under My Thumb”, dal ritmo ossessivo di “Out Of Time” al magico sitar di “Paint it black”, inno mistico e inquietante al “lato oscuro” dell’animo umano. Anche gli arrangiamenti si fanno più ricchi. Alla sezione chitarra-basso-batteria si aggiungono strumenti come il dulcimer, le marimbas, il sitar, il flauto e ogni tipo di tastiere.

La teoria di singoli di successo prosegue con la blasfema, elettrizzante “Mother's Little Helper” e con la sensuale “Let's Spend The Night Together” (la cui censura operata dai media porta al successo il lato B, “Ruby Tuesday”), mentre le sceneggiate di Jagger sul palco (il primo album dal vivo, Got Live If You Want It!, viene pubblicato solo sul mercato discografico statunitense) e i clamorosi arresti per droga di Jagger, Richards e Jones (agli inizi del 1967) riempiono le cronache.

Prolifici ormai non solo di singoli, ma anche di album, gli Stones escono nel 1967 con l’accoppiata Between The Buttons e Their Satanic Majesties Request, due lavori sull’onda della febbre psichedelica che contagia la Gran Bretagna a partire da “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” dei Beatles. Anche Jagger si dichiara seguace del Maharishi Mahesh Yogi, ma Their Satanic Majesties Request, l'album che più risente di queste influenze, è un mezzo passo falso, parzialmente riscattato da brani suggestivi come “Dandelion” e “She's A Rainbow”.

Il ritorno in grande stile avviene nel 1968 con due bellicosi 45 giri, “Jumpin' Jack Flash” e “Street Fighting Man”, ispirati dai disordini studenteschi che infiammano il mondo, e con l’album Beggar's Banquet, che vira verso sonorità più asciutte, in linea con il blues-rock depravato degli esordi. Emblema di questo “ritorno al Male” è l’inno satanico “Sympathy For The Devil” (con un fraseggio pianistico di Hopkins). Nel frattempo, gli Stones scaricano Oldham e si affidano a Allen Klein, registrando un tv-show (con Who, John Lennon & Yoko Ono, Jethro Tull) che resta inedito fino al 1996 (The Rolling Stones Rock & Roll Circus).

Ma la storia della band più oltraggiosa d’Inghilterra volge presto in tragedia. Nel 1969 Brian Jones, ormai abbandonato al suo destino di autodistruzione e sostituito con Mick Taylor, viene trovato morto nella sua piscina. L’autopsia parlerà di overdose di alcol e droghe. Ma non mancheranno, negli anni, i sospetti su un suicidio o addirittura un omicidio. Da questo momento in poi, un’aura di morte circonderà gli Stones, quasi che la loro leggenda dovesse continuamente nutrirsi di sacrifici umani.

Nel dicembre dello stesso anno, durante l'esecuzione di “Sympathy For The Devil” al Festival di Altamont (cui partecipano anche Grateful Dead, Santana e Crosby, Stills, Nash & Young), il violento servizio d'ordine degli Hell's Angels, voluto dagli Stones, provoca disordini, che culminano con l'uccisione di uno spettatore. Infine, Jagger lascia la Faithful, devastata dalla droga e più volte sull’orlo del suicidio, e sposa Bianca Peres Morena de Macias, una giovane aristocratica nicaraguense.

Ma gli ex loschi figuri della suburbia londinese sanno ancora graffiare. Ne sono la riprova “Honky Tonk Women” e la suite “You Can't Always Get What You Want” (con coro a cappella, organo di chiesa e percussioni latine), che fanno da preludio all’album Let It Bleed, trascinato dal ritmo di “Gimme Shelter” (ripresa persino in chiave dark, dai Sisters of Mercy).

Rinnova il miracolo l’album Sticky Fingers (1971), con la stupenda ballata “Wild Horses”, infuocati rock blues e una manciata di brani con espliciti riferimenti alle droghe (“Brown Sugar” e “Sister Morphine”). Celebre anche la copertina ideata dal maestro della pop art Andy Warhol, con un’autentica cerniera lampo. L'album schizza al primo posto delle classifiche e inaugura la nuova etichetta del gruppo (Rolling Stones Records) per la quale esce anche “Brian Jones Presents The Pipers Of Pan At Joujouka” (1971), un album di musica etnica registrato dall'ex-compagno poco prima della scomparsa, durante un viaggio in Marocco.

Il suono del gruppo perde ogni accento esotico e si inasprisce sempre più. Nel 1972 esce Exile On Main Street, un ambizioso album doppio dal quale scaturiscono due singoli (“Tumbling Dice” e “Happy”). I due dischi successivi, Goat's Head Up (1973) e It's Only Rock And Roll (1974), presentano un sound più levigato e di maniera (come ammettono, “è solo rock’n’roll, ma ci piace”), capace però di sussulti degni dei loro anni d’oro, tra cui la dolente cavalcata elettrica di “Time Waits For No One” e la tenera “Angie”, che diventerà il loro “lento” per antonomasia.

Nel dicembre 1974, Mick Taylor abbandona il gruppo e nell'American Tour del 1975 viene rimpiazzato dal chitarrista Ron Wood (1947, Hillingdon, Gran Bretagna), già al fianco di Rod Stewart nel Jeff Beck Group e nei Faces. Il nuovo album Black And Blue (1976) scala le chart grazie al delicato singolo “Fool To Cry”, ma non aggiunge molto al loro repertorio. In questo periodo la dipendenza dalle droghe di Keith Richards (arrestato in Canada per possesso di eroina) ostacola l'attività della band. Nonostante ciò, Some Girls (1978) mostra un gruppo in buona salute e incassa un discreto successo commerciale, con un pugno di canzoni blueseggianti (“Just My Imagination”, “Beast Of Burden”, “Some Girls”) e un singolo d'effetto come “Miss You”.

Il nuovo momento di grazia commerciale è ribadito da Emotional Rescue (1980), criticato per alcune aperture verso sonorità dance. Il falsetto della title track porta l'album in vetta alle classifiche. Il successo prosegue con Tattoo You (1981), che vede ospiti Sonny Rollins e Pete Townshend (The Who). La provocante “Start Me Up” è il nuovo inno di Jagger e soci, “Waiting On A Friend” la spensierata ballata. Segue un tour mondiale che si protrae fino al 1982 e dal quale vengono tratti un album dal vivo (Still Life, giugno 1982) e un film-concerto ("Let's Spend The Night Together", diretto da Hal Ashby).

Jagger, di nuovo al centro delle cronache rosa per il matrimonio con la modella Jerry Hall, perpetua il ruolo dell'animale da palcoscenico con i suoi atteggiamenti plateali ma sempre più caricaturali. Undercover (1983) è il segno più evidente del declino della band, ormai a corto di idee e pronta ad adeguarsi alle nuove mode musicali (come con l’opaco funk di “Undercover Of The Night”). 

La crisi fa trasparire anche i primi dissidi tra Richards e Jagger. Quest’ultimo debutta come solista con “She's The Boss” (1985), prodotto da Bill Laswell e Nile Rodgers, virando verso un pop-rock decisamente commerciale, come dimostrano anche i duetti con David Bowie (“Dancing In The Street”) e Tina Turner per la kermesse di "Live Aid" (luglio 1985). Significativo che nello stesso concerto Wood e Richards scelgano di accompagnare, con le chitarre acustiche, Bob Dylan

Incuranti della crisi e uniti da un destino che li vuole immortali, i Rolling Stones vanno avanti con Dirty Work (1986), prodotto da Steve Lillywhite e dedicato all'amico Ian Stewart, da poco scomparso. Un album trascurabile, se si eccettua la conturbante “Harlem Shuffle”. Nei tre anni successivi si accentua il solco tra i quattro membri della band: Watts suona jazz con la Charlie Watts Orchestra, Wood accompagna in tour Bo Diddley, Richards collabora con Aretha Franklin ("Jumpin' Jack Flash") e all'allestimento di un film-concerto in onore di Chuck Berry ("Hail! Hail! Rock'n'Roll", 1987). Quando Jagger pubblica il suo secondo, deludente album "Primitive Cool" (1987), anche Keith Richards, nel frattempo disintossicato e rinsavito, incide il suo primo album da solista: “Talk Is Cheap” (1988).

Ma la longevità degli Stones è a prova di bomba. Esce così Steel Wheels (1989), con il singolo “Rock And A Hard Place” e poco altro. Segue un tour e l'album dal vivo Flashpoint (1991) con un paio d'inediti in studio: “Highwire” e “Sex Drive”. Subito dopo il tour, Bill Wyman lascia la band, mentre Richards pubblica “Main Offender” (1992) e Jagger “Wandering Spirit” (1993). 

Voodoo Lounge (1994) vede il bassista Daryl Jones (già con Miles Davis e Sting) al posto di Wyman. Un anno dopo esce Stripped, un album registrato in parte dal vivo e in parte durante le pause dell’ultimo tour. Un disco ancora una volta mediocre, salvo la riuscita cover della dylaniana “Like A Rolling Stone”, che in questa versione assume un nuovo, ironico significato. Neanche Bridges to Babylon (1997) invertirà il declino della rock band più duratura di sempre.

Se la longevità forzata degli ultimi vent’anni ne ha fatto delle stagionate caricature di rockstar, la selvaggia creatività dei loro anni d’oro ha rappresentato una svolta decisiva nella storia del rock. Come scrive Scaruffi, infatti, “i Rolling Stones inventarono l'asse fondamentale del rock’n’roll: il cantante sexy, oggetto sessuale e sciamano, e il chitarrista con il carisma”. E il loro sound è rimasto un modello universale, al punto che “dai Led Zeppelin ai Nirvana sono tutti, direttamente o indirettamente, figli loro”. Non resta dunque che concludere, con Scaruffi, che dopo gli Stones “non solo la musica rock ma la civiltà occidentale stessa non sarebbe mai più stata la stessa”.

 

 

(Tratto da www.ondarock.it)