Tesori d'arte moderna in S.Maria del
Suffragio
ALDO CARPI
La Via Crucis
Questa pagina è dedicata al ciclo dipinto nel
1932-33 dal maestro che con grande immediatezza ed
essenzialità(*1*) esprime con queste piccole tavole dei
grandi contenuti sia artistici che teologali.
Con l'augurio che potendole gustare sul monitor cresca il
desiderio di andarle ad ammirare da vicino(*2*),
trascriviamo queste note del nostro Parrocchiano e, soprattutto,
direttore del Museo Diocesano dottor Biscottini.
Brevi note (*3*)
sulla Via Crucis di Aldo Carpi dettate da una lunga consuetudine
con le quattordici stazioni della Chiesa di Santa Maria del
Suffragio.
Sin da bambino, ignaro di storia dell'arte e di molte altre cose,
quel contrasto bruciante fra il chiarore della veste del Cristo e
poi del Suo corpo medesimo e il blu del cielo o del manto di
Maria mi incantava e affascinava, trascinandomi nella fiaba. In
quell'uso tanto ardito del colore sentivo l'evento straordinario,
e lo stupore cui l'arte non voleva sfuggire, avvertendo in esso
uno dei suoi fini precipui.
Carpi si cimentava con il tema sacro cercando di esprimere il
sublime che in esso era celato, considerando che in ciò
consistesse non solo una proprietà del racconto, ma anche
la possibilità per l'uomo di accedere a valori
profondamente spirituali. Valori che peraltro avvertiva nella
realtà, dalla quale non voleva allontanarsi, ma anzi
calarsi per svelarne le ragioni intrinseche.
E' possibile accostarsi alla sua Via Crucis affidandoci alle sue
stesse parole: "Se è reale Cristo, come è, è
reale tutto ciò che lo riguarda". Diventa, questa, la
chiave interpretativa di un racconto sommesso, intriso al
medesimo tempo di quotidianità e
straordinarietà.
Rossa la veste di Cristo condannato, colonna che si erge al
martirio, solenne in un mondo che pare lontano e farsi piccino.
Così sarà anche alla decima stazione, quando il
Cristo denudato sarà ancora colonna in una realtà
che diventa minuta.
Alla seconda stazione compare la croce ed è subito spazio,
lo spazio dell'uomo e del Cristo: divide il mondo di qua e di
là. La veste candida avvolge di luce l'Uomo fra gli
uomini.
Poi la caduta, la violenza e la miseria, mentre splendente
diviene quel volto. Il dramma è racconto. Ogni stazione
basta a se stessa e appare conclusa fra un prima e un poi che si
condensano nel linguaggio dei simboli e nei contrasti di luce e
colore.
Un "racconto scarno, eppure così profondamente lirico" da
non avere possibili confronti, se non, forse, con tutto
l'ambiente milanese, che ancora all'inizio degli anni trenta
intesse un impossibile quanto affascinante dialogo fra accademia
e avanguardia, risolvendolo nella questione dello stile e della
stilizzazione, che più di ogni altra pare interessare
Carpi. Al centro una ricerca purista che sceglie liberamente di
non accedere all'avanguardia, che pure ammira, ma di svolgere un
lento e coraggioso percorso di distacco liberatorio dal fraseggio
ottocentesco e ottocentista, per una narrazione scarna, appunto,
ma densa di significati allusivi e riposti in una
spazialità scenica capace di adombrare messaggi remoti,
spirituali.
Così Carpi raggiunge vertici poetici tanto profondamente
umani da dischiudersi al messaggio cristiano.
In questo senso il dramma di Maria alla quarta stazione è
rappresentato con una vivacità e una forza narrativa tali
da apparire emblematicamente nella duplice valenza di una
maternità umana e sovraumana a un tempo.
Carpi non forza il racconto, né lacerandolo in senso
espressionista, né compattandolo all'interno di una
rigidità novecentista. La stessa visionarietà a cui
talora cede è comunque molto trattenuta da una ricerca
linguistica che fonda le sue istanze sulle tendenze
secessionistiche degli anni venti e su una progettualità
estetica che andava prendendo le distanze tanto dalla
sensualità decadente, quanto dai retaggi dell'ultimo
realismo o dal fascino del risorto spirito classico. Una
progettualità che si ricollega alle esperienze del
simbolismo sintetico mescolate a quelle di un naturalismo
decorativo, che proprio a Milano trova terreno fertile in una
pittura fluida e animata, certamente sensibile ad analoghe
esperienze d'Oltralpe, percepibili anche nella coeva opera di
Anselmo Bucci, con il quale Carpi intesse rapporti d'amicizia,
fino a realizzare un'esposizione comune nel 1929.
A differenza di Bucci, Carpi si manterrà sempre fedele a
una pittura improntata a scelte di tipo lirico, che in questa Via
Crucis trovano toni molto alti nell'episodio della Crocifissione,
dove la croce si impone su un mondo apocalittico, o in quello
dell'Agonia, dove l'intimità spirituale è
rappresentata dolorosamente nel colloquio degli sguardi.
La Pietà e il Sepolcro chiudono in una luce crepuscolare
la via della Croce, richiamandola a una sua umana dimensione e
sofferenza, dove l'essenza di Cristo indica a tutti la via "verso
sublimi cose sia nella vita che nell'arte". (P B.)
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