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Redemptoris Mater
"Quest'opera si propone come espressione di quella teologia a due polmoni dalla quale può attingere nuova vitalità la Chiesa del terzo millennio"
(Giovanni Paolo II nell'omelia di dedicazione della Cappella Redemptoris Mater il 14 novembre 1999)


La genesi dell'opera

Nel 1996, in occasione del 50° anniversario della ordinazione sacerdotale di Giovanni Paolo II il collegio cardinalizio offriva a Sua Santità una somma da destinare a qualche opera a Sua scelta. E il Santo Padre, a conclusione delle celebrazioni giubilari affermava di volerla destinare a un'opera da conservare in Vaticano, e precisava: "Penserei per questo ai lavori di ristrutturazione e decorazione della Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico".

Questa cappella è, insieme alla Sistina e alla Paolina, una delle tre cappelle pontificie del Palazzo apostolico. Situata nella parte settentrionale del palazzo stesso, costruita sotto il pontificato di Gregorio XIII, venne prima chiamata Cappella Matilde per ricevere in seguito il nome "Redemptoris Mater" proprio da questo pontefice, in occasione dell'anno mariano 1987-88.

In questa Cappella nel 1994 padre T. Spidlik s.j. ha predicato al Santo Padre e alla Sua Curia gli esercizi spirituali di quaresima, con meditazioni che sottolineavano particolarmente e in modo forse abbastanza inconsueto, l'apporto della tradizione orientale della Chiesa e il fascino di imparare a respirare a due polmoni. Questo è stato in qualche modo un filo rosso nel pontificato di Giovanni Paolo II e nel suo Magistero.

I gesuiti hanno avuto un ruolo di primo piano nel restauro. Il Santo Padre ha infatti affidato l'opera di restauro globale della Cappella all'Atelier d'arte del Centro Aletti. Il Centro Aletti è un centro di studi e ricerche della Compagnia di Gesù che affianca il Pontificio Istituto Orientale ma in una attività di studio e ricerca tesa piuttosto a venire incontro ai problemi d'oggi, tenendo conto della tradizione dell'Oriente e dell'Occidente, per promuovere una riflessione teologica spirituale nella tradizione della Chiesa indivisa.

Questo è il contesto nel quale l'Atelier del Centro Aletti è stato invitato a svolgere quest'opera nel Palazzo Apostolico, ma è un contesto che ancora non spiega a nessuno dei responsabili del progetto - p. Rupnik e p. Spidlik - e a nessuno dell'équipe degli assistenti che vi ha lavorato - Barbara Ravnikar, slovena, Amirani Bakuradze, georgiano, Manuela Viezzoli, italiana, Valerija Stojakovik, serba e Joze Zajec sloveno - il profondo mistero di vivere un vero e proprio momento di grazia, così vera e profonda che non si poteva far altro che ringraziare Dio per l'immenso dono ricevuto ed essere consapevoli che non lo si sarebbe mai ringraziato abbastanza e probabilmente non si sarebbe neppure compresa fino in fondo la portata di quello che eravamo chiamati a fare.

Bene ha sottolineato il critico Mariano Apa come "padre Marko Ivan Rupnik e il Centro Aletti abbiano lavorato in ambito denominato "Atelier": un incrocio tra la bottega e il laboratorio del monastero medievale. (...) Lo studio e la pratica musiva sono al Centro Aletti caratterizzati da una continua verifica del patrimonio romano paleocristiano e medievale nella volontà di confronto e di studio con il mondo greco e russo. Numerosi sono gli artisti che dal vicino est e dall'Europa orientale vengono a studiare e a convivere in lunghi stage nella comunità dell'Aletti, autentico luogo di incontro ecumenico, nella preghiera e nel rigore del fare teologia".


La parete frontale

La parete frontale è stata realizzata da Alexander Kornoukhov un artista russo chiamato a collaborare con l'Atelier del Centro Aletti. La parete rappresenta la Gerusalemme celeste, una visione contemplativa di santi d'Oriente e d'Occidente seduti a mensa insieme. Nella parte superiore la Trinità - che simula la Trinità di Rubliov - e al centro la Redemptoris Mater, comunicazione dell'amore di Dio, della vita di Dio e della sua salvezza agli uomini grazie all'incarnazione del Verbo.
I santi sono a gruppi di tre a indicare la partecipazione degli uomini all'amore interpersonale trinitario. Proprio perché l'uomo partecipa alla vita di Dio ha la possibilità di diventare simile a Lui: lo si è quando si è capaci di comunione.

La parete di sinistra: l'incarnazione o kenosi di Dio

Nell'asse centrale dall'alto (sulla volta) la Natività del Signore: Maria partorisce e depone il figlio nel sarcofago perché è nato per morire e con la morte distruggere la morte. Nel Battesimo, Cristo, ad occhi chiusi, è come morto, e il Giordano è come la sua tomba. Ma questo è preludio di un'ulteriore discesa, quando muore davvero, nella discesa agli inferi dove con forza tira Adamo ed Eva fuori dalle tombe. Tutti i particolari delle due scene, la grande umiltà del Battista tutto curvo su Cristo, la mano sulla quale si apre il cielo e scende l'oro, la santità, la voce del Padre, l'angelo alla destra con un volto di stupore che rende testimonianza alla presenza di Dio, la somiglianza dei volti del vecchio e nuovo Adamo, le lunghe braccia di Eva che afferrano ora le mani del Salvatore come una volta hanno afferrato il frutto proibito, si inseriscono in una composizione di un fiore sbocciato, aperto che praticamente abbraccia e invade tutta la parete. Intorno quattro eventi che ancora ci dicono la kenosi ("annullamento", n.d.r.) di Dio nel Figlio: la presentazione al tempio, ovvero la sottomissione alla legge, alla storia; l'incontro con la cananea, cioè l'apertura all'universale, ai non ebrei; Cristo commensale dei peccatori e, all'altro lato della medesima mensa, Cristo che lava i piedi a Pietro.

La parete nel suo significato teologico si apre a destra con l'Annunciazione - Gabriele srotola il rotolo del Verbo e la sua mano destra è esattamente all'altezza dell'orecchio, annuncia la Parola a Maria. Lei depone le mani in grembo tessendo il filo rosso: Maria è colei che ha tessuto la carne al Verbo e così l'ha sempre rappresentata l'antica tradizione - e si chiude e sinistra con la Crocifissione: la Madre di Dio abbraccia da dietro Cristo e raccoglie nella sua mano la salvezza, il sangue e l'acqua. Guarda il centurione di cui non si vede il volto perché è di spalle. Solamente chi ama così, come Maria ha amato, riesce a vedere i volti di coloro che sono senza volto, gli stranieri, i non credenti.

Lei vede il volto di colui che per primo infatti ha confessato la fede in Cristo: il lontano è invece il più vicino.


La parete di destra: l'ascensione e la pentecoste

È la parete dell'ascesa, del ritorno dell'uomo al Padre, la parete della divinizzazione dell'uomo.

Come asse centrale sulla volta vediamo la Dormizione (assunzione) cioè l'ultima meta sull'orizzonte dell'antropologia, essere fra le braccia di Cristo che ti presenta al Padre. Cristo deve salire al Padre perché lo Spirito scenda. La mano del Padre rimane sempre un mistero. Noi conosciamo Dio tramite la sua mano, la sua opera nella creazione e nella redenzione. Il Figlio già tocca il Paradiso, l'abitazione del Padre, con le ferite ben evidenziate, perché porta con sé il suo essere umano: la realtà più umana sul corpo di Cristo sono proprio le ferite. Sotto, con il mantello di Cristo che sfiora ancora la terra, c'è la Madre Vergine donna in cui il mistero si è comunicato e rivelato. Cristo sale al Padre e lascia sulla terra il Paradiso. Lo Spirito Santo scende come un fuoco e crea la comunità ed è il grande miracolo della storia umana.

Questa comunità ha nel suo cuore Cristo che torna al Padre. Gli apostoli raccolti intorno alla Madre, hanno ognuno il vestito di un colore che non si ripete mai e un mantello che è simile al mantello di Cristo e che tutti gli apostoli portano: ognuno di noi è figlio dello Spirito che ci rende figli dal di dentro in modo del tutto personale, ma siamo figli nel Figlio, come insisteva Atanasio. Lo Spirito Santo garantisce la pluralità della figliolanza e il Figlio, Cristo, è garante dell'unità della figliolanza. C'è tutto un gioco di sguardi che rimanda al discorso pneumatologico.

Tutta la parete è pensata intorno al versetto dove Isaia dice che la pioggia scende e torna al cielo quando feconda la terra e la fa fruttificare. C'è un movimento di discesa e ascesa, di venuta e di ritorno in una pioggia di rosso, di fuoco che in questa salita e discesa feconda la terra e donando all'uomo quell'amore che è dono dello Spirito Santo, lo restituisce al Padre come figlio sempre più simile al Figlio. Le quattro scene che completano il significato teologico della parete indicano proprio quattro vie, diverse per la vocazione ma uguali nel fine, di questa "risalita: Gioacchino ed Anna simbolo dell'amore coniugale; il buon samaritano dell'amore caritatevole; il martirio di S. Paolo; il monachesimo con Edith Stein, che accarezza la fiamma del roveto ardente avvolto ormai nel filo spinato di Auschwitz dove ha conosciuto in pienezza l'amore di Dio, vedendo il bene nel male.

Il lago di Tiberiade e la tomba vuota fanno da cornice a questa parete.




La parete di fondo: la parusia

La parete di fondo è la parusia, ossia la seconda venuta di Cristo. Sulla volta, troviamo la Trasfigurazione sul Tabor come immagine del compimento di tutto in Cristo nel mistero pasquale dell'agape del Padre. Ogni profetismo e ogni legge si misurano sulla persona di Cristo nel mistero della Pasqua. La legge di Mosè dice la tradizione e la memoria, e il profeta Elia il futuro e il compimento.

Cristo erchomenos ("che viene", n.d.r.) appare in un vortice della divinità di per sé inaccessibile, dalla profondità imperscrutabile che però adesso si rende eccezionalmente vicina. Cristo scende vestito da sacerdote, mostrando le ferite, prezzo dell'amore per gli uomini. L'altare tutto in splendore, pronto per la celebrazione celeste. Davanti all'altare i vecchi Adamo ed Eva, vestiti di rosso, venerano il vero albero della vita che è la croce (nella forma della croce di Cirillo e Metodio) in un Eden che non svanisce più.

I primi che si accostano all'altare come concelebranti sono due apostoli, Filippo con il calice e Marco con il Vangelo. Filippo perché durante l'ultima cena chiedeva al Signore di mostrare il Padre, e Marco come primo evangelista che testimonia il passaggio tra Cristo e la storia. Agli angoli quattro grandi figure che ricordano Cristo, quattro prefigurazioni di Cristo pasquale: alla destra in alto Mosè che blocca il Mar Rosso nel passaggio pasquale; sull'altro lato Noè con la barca, simbolo di Cristo che con la croce salva il mondo o di Cristo e la Chiesa; sotto Noè troviamo Giona con la balena e dall'altro lato Giuseppe d'Egitto con i covoni e i sacchi di grano.

La terra e il mare alla fine del mondo ridaranno i morti a Cristo. E vediamo sparse sulla terra e sul mare accanto a Giona le persone che sorgono dalla morte vestite in bianco nella veste del loro battesimo, segnate per la salvezza con le stigmate con la lettera Tau, come dice Ezechiele. Le diverse vocazioni umane sono via che porta alla resurrezione delle persone e del mondo attraverso ciò con cui hanno vissuto e amato: l'artista con l'arte, uno scienziato o un impiegato con il computer, il sapiente con i libri, il bambino con il gioco, i coniugi con il loro amore, i costruttori, ingegneri, architetti con loro fatica e creatività, e i sacerdoti, qui nella persona di Giovanni Paolo II, con la Chiesa.

L'arcangelo Michele mette la sua mano sulla bilancia del giudizio e rovescia il diavolo dalla bilancia attraverso il mare nell'inferno. Secondo i teologi bizantini l'inferno deve esserci altrimenti Dio non sarebbe Padre e amore ma un dittatore. Però se qualcuno si trova all'inferno è un mistero di Dio, imperscrutabile. Per questo l'inferno viene celato da un velo rosso.

Dietro alla Deisis ("Madonna orante", n.d.r.) e Giovanni Battista due processioni di martiri del ventesimo secolo, inaugurate a sinistra da S. Stefano e a destra da Santa Prassede. Dopo s. Stefano troviamo Maria Shveda, greco-cattolica ucraina uccisa dai sovietici, gli stessi carnefici di Pavel Florenskij, ortodosso russo. Dall'altro lato troviamo p. Christian M. de Chergé trappista ucciso in Algeri dagli estremisti musulmani ed Elisabeth Von Thadden, luterana tedesca uccisa dai nazisti. Da ogni lato l'ultimo apre il braccio indicando una grande processione che segue. I loro nomi sono scritti nelle lingue originali in quanto si vuole indicare, secondo il pensiero sviluppato da alcuni teologi ortodossi, una via verso la resurrezione delle culture e delle lingue, delle persone che sono entrate pienamente in Cristo, dandogli suprema testimonianza.

Sulla volta - eseguita dal maestro Rino Pastorutti di Spilimbergo su disegni di p. Rupnik - domina una croce bianca con il Cristo Pantocrator ("Onnipotente", n.d.r.) al centro.


Testo di M. Viezzoli
Foto di A. Amendola
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