Ernesto Guevara

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                                                                         L'internazionalismo rivoluzionario.
                                                                         La morte del che.
Nel 1960 - a iniziare dalla riforma agraria - giungono le prime nazionalizzazioni decise da L'Avana, a cui Washington reagisce con ritorsioni economiche e rescindendo i contratti di fornitura del petrolio. In rapida successione vengono nazionalizzate le raffinerie americane Texaco e Esso, la britannica Shell. Poi, le grandi piantagioni di zucchero. Nel settembre dello stesso anno Castro stila la Dichiarazione dell'Avana nella quale si fissa il ruolo di Cuba in America Latina: l'isola si schiera a fianco degli oppressi e degli sfruttati dal capitalismo e dall'imperialismo. Nel 1961 si avvia la "campagna di alfabetizzazione" che rafforza il consenso popolare nei confronti della rivoluzione: migliaia di studenti si dirigono in ogni angolo dell'isola per sconfiggere la piaga dell'analfabetismo. Il 3 gennaio si interrompono le relazioni tra Stati Uniti e Cuba. La rivoluzione corre verso la sua scelta socialista. Washington inizia a pensare che la rivoluzione cubana vada isolata economicamente e politicamente. Il totale embargo economico viene messo in opera unilateralmente dal governo americano nel 1962. Il primo episodio di "internazionalismo" che investe Cuba si verifica il 17 gennaio 1961. Viene assassinato in carcere Patrice Lubumba, primo ministro del Congo, reo di aver chiesto aiuti militari all'Unione Sovietica per bloccare la secessione del Katanga. E' deposto dal capo militare Joseph Mobutu. A L'Avana, quando giunge la notizia della morte di Lubumba, si decide di proclamare tre giorni di lutto nazionale. L'isola è tradizionalmente sensibile a quanto accade nel continente nero: i cubani si sentono afro-latinoamericani per le contaminazioni che la loro cultura ha subito nel corso dei secoli, dopo l'arrivo degli schiavi provenienti dall'Africa che servivano alla coltivazione dello zucchero. Intanto gruppi guerriglieri che inneggiano a Cuba si organizzano in Guatemala, Venezuela e Perù, mentre gli echi della rivoluzione algerina (Algeri diventa indipendente dalla Francia nel 1962) si diffondono in altri paesi africani. Il 17 febbraio 1961 gli Stati Uniti danno l'ok al tentativo (che fallisce ben presto) di invasione di Playa Girón che ha per protagonisti molti cubani trasferitisi in Florida. Il via libera viene dal presidente John Fitzgerald Kennedy, eletto alla Casa Bianca poche settimane prima. Il 16 aprile, alla vigilia della tentata invasione e per la prima volta, mentre si svolgono i funerali dei cittadini dell'Avana uccisi nel corso di un raid aereo statunitense sulla capitale Castro parla della natura socialista della rivoluzione cubana. "Non accettano che abbiamo fatto una rivoluzione socialista sotto il loro naso", dice di fronte a una folla assiepata davanti al cimitero Colón della capitale. La tentata invasione viene sventata: il comando delle operazioni a Playa Girón è assunto direttamente da Castro, mentre Guevara va ad assumere la direzione dell'esercito nella zona di Pinar del Rio. I prigionieri catturati dai cubani verranno restituiti agli americani in cambio di un ingente quantitativo di medicinali. La rivoluzione ci tiene alle sue simbologie: Davide irride al gigante Golia. La rapida sequenza di avvenimenti serve per riassumere il contesto in cui a L'Avana cresce l'interesse per la politica estera. Il 9 aprile Guevara pubblica il primo testo in cui abbozza le sue idee internazionaliste, "Cuba, eccezione storica o avanguardia nella lotta anticolonialista?". Il ministro dell'industria sostiene in quello scritto che l'isola dei "barbudos" non è affatto un'eccezione, ma semplicemente il primo paese latinoamericano a mettere in discussione la dipendenza economica dagli Stati Uniti. Il "Che" suggerisce il metodo della "lotta armata contro l'imperialismo". Ma diventa molto prudente, quando ad agosto interviene a Punta del Este, in Uruguay, al vertice economico dei paesi dell'Organizzazione degli Stati americani: "Non possiamo fare a meno di esportare un esempio, perché l'esempio è qualcosa di spirituale che travalica le frontiere. Diamo invece la garanzia che non esporteremo la rivoluzione. Diamo la garanzia che da Cuba non si muoverà un fucile per andare a combattere in qualche altro paese d'America". Guevara, nello stesso vertice di Punta del Este, ha un incontro a quattr'occhi con Richard Goodwin, portavoce personale del presidente Kennedy. Nel corso del colloquio - che è stato rivelato solo moltissimi anni dopo nella biografia scritta da Jon Lee Anderson e avvalorato da fonti ufficiali cubane - il ministro dell'industria, su mandato di Castro, cerca di convincere l'esponente americano a una sorta di mediazione: Cuba non vuole rinunciare alle caratteristiche della sua rivoluzione, ma non ha intenzione di entrare in rotta di collisione con gli Stati Uniti e di esportare fuori dai suoi confini il proprio esperimento politico. La proposta è tutto sommato un buon vicinato in cui rispettare le reciproche convinzioni politiche. Goodwin, il 22 agosto, redige un rapporto indirizzato al presidente Kennedy: Guevara, a suo dire, avrebbe ringraziato gli americani per la tentata invasione di Playa Girón, perché aveva permesso il consolidamento della rivoluzione cubana oltre ogni aspettativa; e avrebbe anche rivelato, in un colloquio tutto sommato distensivo, le preoccupazioni della leadership cubana per le difficoltà economiche che si vivevano all'interno dell'isola. Il diplomatico suggerisce al suo presidente una linea opposta a quella auspicata dal "Che" e da Castro: è il momento buono per stringere Cuba nel cerchio dell'embargo economico e dell'isolamento politico. Quell'episodio dimostra qual è in quel momento la linea di condotta del governo dell'Avana. Forse Castro e il gruppo dirigente cubano scelgono solo progressivamente l'alleanza con Mosca per intelligenza tattica e perché non ci sono alternative per consolidare e istituzionalizzare la rivoluzione, eppure non c'è dubbio sul fatto che l'intransigenza di Washington finisce per rompere tutti i ponti del dialogo. Guevara, dall'Uruguay, volerà nei giorni successivi in Brasile e Argentina per incontri riservati con gli esponenti dei due governi. In entrambi i casi la sua sola presenza in quei due paesi provoca la reazione dei militari che spodestano coloro che hanno deciso di ricevere il ministro dell'industria di Cuba (Janio Quadros, presidente del Brasile; Arturo Frondizi, presidente dell'Argentina). La "crisi dei missili" dell'ottobre 1962 imprime un'ulteriore svolta alla politica cubana. Il 14 ottobre un aereo spia americano fotografa una serie di basi missilistiche costruite sull'isola dai sovietici per installarvi ordigni nucleari. La richiesta è stata avanzata da Castro che teme nuovi tentativi di aggressione da parte degli Stati Uniti e accettata da Nikita Krusciov (a Mosca, a firmare il trattato militare, viene inviato Raul Castro). Kennedy, annunciando una manovra navale intorno all'isola, dà l'ultimatum ai sovietici: quelle operazioni vanno sospese, pena un conflitto armato. Mosca si piega senza neppure consultare Castro sulla decisione finale. Momenti di tensione si vivono in tutto il mondo. Si teme un conflitto dagli esiti imprevedibili tra Usa e Urss. A iniziare dal 1962, prima dell'esito della "crisi dei missili", Guevara forma un gruppo che lavora a sostenere i movimenti rivoluzionari dell'America Latina. A coordinarlo è Manuel Piñeiro Losada, chiamato da tutti "Barba Roja". Quando Krusciov è costretto dalle minacce militari americane a bloccare l'installazione dei missili con testata nucleare a Cuba, quel gruppo intravede la possibilità di mettere in pratica una strategia autonoma dall'Unione Sovietica. "Io non posso ammettere - dice Fidel in un discorso a L'Avana, dopo la conclusione della crisi - che Krusciov abbia accettato di ritirare i missili senza il minimo accenno a un minimo accordo con il governo cubano. Noi non siamo un satellite. Krusciov vuole la pace e anche noi la vogliamo. Ma nessuno ha il diritto di calpestare la nostra sovranità". Per le strade di Cuba si ascolta uno slogan irriverente per i sovietici che risveglia l'orgoglio nazionale: "Nikita, mariquita, lo que se da non se quita!" (Nikita, pederastra, quel che si è dato non si porta via!). Guevara critica la scelta sovietica, mentre Cuba chiede che gli Stati Uniti - come condizione del ritiro dei missili sovietici - revochino il blocco economico verso l'isola. La fase più acuta dei contrasti tra Cuba e Urss viene in parte ricomposta nel novembre del 1962, quando sull'isola giunge Anastas Mikoyan. La visita ufficiale dura ben ventiquattro giorni e sarà seguita l'anno successivo da un viaggio di Fidel a Mosca. Ma quelle tensioni forse hanno un'influenza sulle decisioni successive di Guevara che può aver trovato il consenso di Castro. Il contrasto con i sovietici è in quella fase strategico, non solo riferito alla "crisi dei missili". Fin dalla vittoria della loro rivoluzione i cubani polemizzano con i partiti comunisti dell'America Latina: a loro dire, proprio quanto è accaduto a L'Avana con il Movimento 26 luglio dimostra che il continente può essere percorso da altre rivoluzioni a condizione che i partiti comunisti appoggino i movimenti di guerriglia e quanti agiscono fuori (e spesso in contrasto) dalle forze tradizionali della sinistra. Sotto accusa - seppure in modo un po' celato - è la strategia del dialogo tra i partiti comunisti che si riconoscono nella politica di Mosca e le borghesie nazionali dei diversi paesi. Più in generale, è nel mirino la politica di "coesistenza" pacifica tra Usa e Urss che - senza alternative in Europa - si dimostra deleteria per i movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Guevara si trova tra il 1962 e il 1965 in una bizzarra situazione. E' stato lui che ha influenzato molte delle scelte filosovietiche di Cuba e che ha portato a L'Avana i primi consiglieri economici dell'Est, eppure le sue teorie sullo sviluppo economico e la pianificazione dell'economia iniziano a essere messe in minoranza mentre svolge l'incarico di ministro dell'industria. E' lui il primo che scorge i pericoli di burocratismo insiti nel modello sovietico importato a Cuba e che tenta di prenderne le distanze. La "crisi di ottobre" può avergli insinuato il dubbio che anche la politica estera dei sovietici si rivela una gabbia per l'esperienza rivoluzionaria cubana. Di qui la scelta di un'altra strategia da sperimentare in altri paesi dell'America Latina e del Terzo Mondo. Molto probabilmente in quella fase Guevara intuisce che una chance per Cuba sta nella capacità di estendere la rivoluzione in America Latina, per evitare che L'Avana passi dalla dipendenza dagli Stati Uniti a quella dall'Unione Sovietica (sta qui l'accordo con Castro?). Si spiega così la sua frenetica attività tra il 1962 e il 1965 per coordinare l'attività dei movimenti guerriglieri nel resto del continente (punta innanzitutto a preparare un gruppo che possa far scoccare la scintilla in Argentina e fa capire che potrebbe unirsi ben presto a quei combattenti sul terreno di battaglia). Ecco perché può aver trovato l'assenso di Castro quando, nel 1965, gli comunica la decisione di voler lasciare l'isola per altre cause rivoluzionarie. Del resto, come vedremo, i contrasti tra L'Avana e Mosca proseguono con alti e bassi fino a poco dopo la morte di Guevara. Del ristretto gruppo dei collaboratori del "Che" fa parte anche Tamara Bunke, conosciuta da Guevara a Berlino nel 1960 nel corso del suo viaggio nei paesi comunisti: gli faceva da interprete nel corso degli incontri con le autorità della Repubblica democratica tedesca (Rdt). La donna è figlia di ebrei comunisti che erano sfuggiti al nazismo trovando rifugio in Argentina. Aveva fatto ritorno in patria quando era stata fondata la Rdt. Sei mesi dopo quell'incontro a Berlino, la Bunke va a vivere a Cuba e lavora nel gruppo di collaboratori del "Che" (è molto probabile che fosse anche una informatrice della Stasi, i servizi segreti della Repubblica democratica tedesca). E' lei che viaggiando in alcuni paesi latinoamericani informa Guevara sulle possibilità di organizzazione di movimenti rivoluzionari. Il ministro dell'industria deve però stemperare i suoi entusiasmi quando si reca per la seconda volta a Mosca nel novembre 1964. Vede confermate le divergenze strategiche con i sovietici: dai colloqui riceve l'impressione che i dirigenti di quel partito comunista non aiuteranno la strategia rivoluzionaria per l'America Latina che si sta mettendo a punto a L'Avana. Anzi, a Mosca si sospetta che il "Che" abbia simpatie per le posizioni dei comunisti cinesi, che polemizzano con l'Urss proprio sulla strategia della "coesistenza pacifica" con gli Stati Uniti (in quel momento la frattura tra Mosca e Pechino è verticale e si riflette sul movimento comunista internazionale che si divide tra le due opzioni). Mao Tse Tung, nel pieno della rivoluzione culturale cinese, insiste nel dire che la guerra con l'imperialismo è la tendenza naturale della storia. A L'Avana, di rimbalzo, chi non è d'accordo con Guevara lo accusa di essere "trotzkista" e "maoista". Alle spalle, intanto, ci sono le sconfitte dei gruppi rivoluzionari in Argentina e Perù: vengono uccisi molti amici del "Che" e scompare in Argentina senza lasciare tracce di sé Jorge Ricardo Masetti (si suicida?), un argentino che aveva contribuito a organizzare a L'Avana l'agenzia di stampa "Prensa latina" e che stava preparando il terreno nel paese natale con altri guerriglieri per un possibile arrivo del ministro dell'industria di Cuba. L'11 dicembre 1964 Guevara si reca a New York per rappresentare Cuba all'Assemblea generale delle nazioni unite. Nel suo discorso condanna duramente la politica imperialista degli Stati Uniti e inneggia alle lotte di liberazione in America Latina, Asia (da alcuni mesi gli americani sono intervenuti direttamente in Vietnam contro i comunisti di Ho Chi Minh) e Africa. Nelle sue parole un posto di rilievo lo occupa la vicenda del Congo, dove le forze progressiste cercano di resistere al colpo di Stato di Mobutu. In quelle giornate passate a New York Guevara incontra il leader dei neri americani Malcolm X di ritorno dall'Africa e dal Medio Oriente. I due discutono proprio della situazione del Congo.
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