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SANTI

CANONICI REGOLARI

 

Beato ALANO DI SOLMINIHAC (vescovo)

3 GENNAIO

 

La chiamata

Alano trasse la sua origine da una nobile famiglia rurale della Francia meridionale. Il 25 novembre 1593 con la sua nascita rese felici i genitori Giovanni e Margherita, che abitavano nel castello di Belet, nel circondario di Périgueux. Presso quel focolare di profonda vita cattolica trascorse la sua giovinezza. Desiderò in un primo momento di unire la consacrazione a Dio con alti sentimenti cavallereschi, e meditò di aggregarsi ai Cavalieri di Malta; ma non era questa la sua via.

Un suo zio, Arnaldo di Solminihac, era abate del monastero di Chancelade dei Canonici Regolari di Sant'Agostino. Era stato fondato come casa autonoma nel 1128, ed aveva conosciuto un periodo di notevole fioritura. Più tardi decadde, e durante una delle guerre di religione, nel 1575, chiesa e monastero furono distrutti dagli Ugonotti. I pochi religiosi rimasti si ritirarono quasi tutti nelle parrocchie incorporate all'abbazia.

Ufficio e dignità abbaziali in quell'epoca erano considerati beneficio ecclesiastico in virtù di un privilegio che ora ci lascia per lo meno perplessi. L'anziano zio Arnaldo si diede da fare perché il governo dell'abbazia di Chancelade fosse rimesso al nipote Alano che aveva appena vent'anni. Ludovico Chastenet, canonico regolare, cui dobbiamo la prima biografia di Alano, scrive: "Egli accettò il documento regio (riguardante la concessione dell'abbazia) con umiltà, non come cosa proveniente da un uomo ma come proveniente da Dio. Egli si sentiva spinto interiormente ad accettare l'ufficio abbaziale, e ben presto decise di effettuare la riforma dell'abbazia e ristabilire la disciplina religiosa.

Il nostro giovane, magro, alto dallo sguardo acuto, pieno di fuoco e di energia, non si contentava di mezze misure. Fece il suo ingresso nella decadente abbazia che ospitava appena tre canonici regolari. Il canto dell'Ufficio era cessato da tempo e la vita comune disciolta.

Dopo un anno di noviziato emise la professione religiosa: era il 28 luglio dell'anno 1616. Trasformatosi in un autentico canonico regolare, portava a questa sua istituzione un grande amore. Pieno di entusiasmo per l'ideale canonicale, era solito dire più tardi ai suoi figli spirituali: "Nulla è difficile per colui che ama la sua vocazione".

Alano si dedicò allo studio della filosofia e della teologia specialmente a Parigi, dove ebbe occasione di fare conoscenza e stringere amicizia con S. Vincenzo de Paul, Giovanni Giacomo Olier, Carlo Faure fondatore della Congregazione canonicale di Francia.

Determinanti per la sua vita futura furono i colloqui con S. Francesco di Sales; da essi derivò una nuova chiamata: la vocazione alla santità. Da allora egli vi cominciò a tendere con energia e fedeltà a tutta prova.

 

L'Abate

Alano fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1618. Dopo quattro anni di operoso soggiorno a Parigi, nel settembre 1622 ricevette la benedizione abbaziale. Possedeva ormai i requisiti necessari per affrontare la grande impresa di una vita nell'ambito dell'Ordine dei Canonici Regolari.

Con la tenacia che gli era propria si dedicò alla ricostruzione della chiesa e del monastero di Chancelade. La sua prima comunità risultò formata da tre novizi ed un sacerdote religioso. Cominciò subito a rivivere la vita comune; nella chiesa abbaziale ripresero i canti dell'Ufficio corale; prese nuovo sviluppo anche la cura d'anime, caratteristica dei Canonici Regolari.

Nel 1623 Alano pubblicò le Costituzioni, che prescrivevano un salutare ritorno alla vita regolare austera: a mezzanotte mattutino (l'attuale ufficio delle letture), un'ora di meditazione, giuramento di non cercare né accettare benefici ecclesiastici allo scopo di rispettare la povertà.

L'abate rivolse particolare attenzione alla formazione dei giovani religiosi. Egli stesso fungeva da maestro dei novizi. Le sue conferenze - ne teneva due alla settimana - sono giunte fino a noi, e testimoniano l'intensa vita spirituale da cui era animato.

Nel giro di cinque anni a Chancelade si era ripreso a vivere la vita religiosa con tale autenticità, che molte vocazioni vi accorrevano, e S. Vincenzo de Paul non esitava ad elogiare la riforma che vi era stata attuata. Non sembra strano perciò se proprio di qui partì la spinta verso altre case dell'Ordine e per nuove fondazioni. Alano fu nominato Visitatore di monasteri appartenenti all'Ordine Canonicale e ad altri Istituti religiosi. Il fuoco da lui acceso a Chancelade si allargava ormai a tanti altri luoghi nei quali erano venuti meno lo spirito religioso e la disciplina claustrale. La sua abbazia divenne così il centro di una Congregazione nell'ambito dell'Ordine dei Canonici Regolari. E Chancelade conservò in piena vitalità l'eredità spirituale del grande abate anche dopo la sua morte. Solo più tardi, la rivoluzione francese distrusse fatalmente tutto.

Alano ebbe molto a soffrire per la sua Congregazione in fiorente sviluppo. Carlo Faure, quel suo confratello che a Parigi lo aveva iniziato alla vita canonicale, ricevette l'incarico dal cardinale Francesco de la Rochefoucauld di unire nella cosiddetta Congregazione di Francia dalle osservanze più miti tutte le case dei Canonici Regolari esistenti nel regno. L'abate di Chancelade si oppose a tale progetto che avrebbe messo in serio pericolo la sua stessa opera. Sorsero così dei penosi contrasti. Un'ordinanza regia del 1636 impose la fusione delle due Congregazioni.

Alano non si piegò: intentò processo presso il Consiglio della Corona e presso la Santa Sede: quest'ultima gli diede ragione, almeno in parte.

Simile incresciosa situazione - Carlo Faure era uomo insigne, ma la pensava diversamente! - mise in risalto la fermezza e soprattutto la consumata prudenza dell'abate di Chancelade. Con coraggio virile percorse la "via regale della santa Croce", e continuò a percorrerla anche come vescovo di Cahors.

 

Il vescovo

Ormai Alano non era più uno sconosciuto: la sua attività e la sua fama erano giunte anche alla corte di Parigi.

Più volte gli fu offerto il governo di una diocesi, ma egli declinò l'invito, ritenendosi chiamato a completare la riforma della sua Congregazione ed a collaborare per il rinnovamento dell'intero Ordine Canonicale, fin dove gli fosse stato possibile. Nel 1636 fu nominato vescovo di Cahors, diocesi situata tra Périgueux e Tolosa. Questa volta non poté sottrarsi all'impegno e dovette accettare.

Il cardinale Richelieu prese Chancelade sotto la sua personale protezione e garantì la stabilità della riforma: del resto, Alano poteva continuare a svolgere le funzioni di abate fino a quando l'avesse ritenuto necessario.

Il neoeletto dedicò un tempo piuttosto lungo alla preparazione per svolgere debitamente l'alto ministero. Volle anzitutto rimanere religioso anche nella forma esterna di vita: continuò a portare l'abito bianco dei Canonici Regolari, mentre irrigidì il metodo di vita austera e mortificata.

Studiò con particolare diligenza i decreti del Concilio di Trento concernenti i compiti ed i doveri dei vescovi, e si immerse nello spirito di S. Carlo Borromeo, deciso a seguirne fino in fondo il metodo pastorale. Egli aveva deciso di governare la sua diocesi da santo: per questo motivo compose per sé un regolamento di vita molto dettagliato.

Sull'esempio di S. Agostino, volle anch'egli "avere con sé, nell'episcopio, un monastero di chierici": richiese perciò da Chancelade otto Canonici Regolari che riunì in "comunità", cui diede un ordinamento claustrale: la campana dava il segnale della levata alle quattro del mattino; in seguito dava il segnale per la preghiera in comune e per le refezioni, durante le quali era prescritta la lettura di qualche libro.

Ogni venerdì era tenuta una conferenza spirituale. Alano scelse come suo patrono S. Carlo Borromeo: come lui divenne vescovo riformatore. La diocesi di Cahors, allora più estesa che attualmente, si trovava in uno stato miserevole; le lunghe guerre di religione avevano contribuito a rendere più grave la decadenza della vita spirituale e morale. Molti sacerdoti si erano allontanati dal loro ideale; le eresie pullulavano. Alano delineò un programma completo di riforma, in tutto corrispondente allo spirito del Concilio di Trento: organizzò i sinodi diocesani e vigilò accuratamente sulla osservanza degli statuti emanati, con i quali tendeva a migliorare il metodo di vita del clero e ad estirpare abusi e consuetudini superstiziose. Insisteva inoltre sulla necessità di provvedere all'assistenza dei poveri e dei malati.

Egli si mostrò instancabile nelle visite pastorali: nonostante malattie, difficoltà di comunicazioni e tumulti politici, visitò nove volte l'intera sua diocesi che comprendeva circa 800 parrocchie. Divise la sua circoscrizione ecclesiastica in "congregazioni foranee", i cui preposti dovevano eseguire e far eseguire le decisioni sinodali, visitare una volta l'anno le parrocchie e riferire al vescovo.

Grande importanza rivestì la fondazione del seminario diocesano, alla direzione del quale egli chiamò i Preti della Missione.

Organizzò spesso missioni per il popolo, ricorrendo per aiuto all'opera dei Canonici Regolari e di altri religiosi.

Nell'assegnare benefici si lasciò guidare unicamente dalle qualità spirituali e di ministero dei candidati. Esercitò una vigilanza solerte sulle case religiose della sua diocesi: e questa risultò rigenerata. L'impegno pastorale di Alano però andava oltre i ristretti limiti della sua diocesi: egli guardava con occhio inquieto alle necessità spirituali della Chiesa nell'intero territorio della Francia; per questo si adoperò perché al governo delle singole diocesi fossero preposti vescovi buoni e zelanti.

Dimostrò sempre fedeltà a tutta prova e profonda venerazione verso la Santa Sede; vigilò attentamente sulla purezza della dottrina cattolica, e diede generosamente il suo personale contributo per la condanna del Giansenismo e del Lassismo. La sua carità non conobbe limiti né barriere; si dedicò, nell'anno 1652, agli appestati ed agli altri ammalati in genere, ed agli orfani: per loro fece erigere ospedali ed asili adeguati.

Vescovi e sacerdoti contemplarono riflessa in lui la luminosa immagine del buon pastore.

Nel suo zelo per l'attuazione dei decreti del Concilio di Trento non si lasciò intimorire da ostacoli di sorta, seguendo particolarmente in questo il suo grande modello. S. Carlo Borromeo. Il periodo di tempo che trascorse come abate di Chancelade ed i 23 anni di episcopato svolti tra fatiche e penitenze continue lo debilitarono grandemente; nel 1659 si trovò costretto ad interrompere una visita pastorale: le sue forze fisiche non reggevano più il cumulo di impegni che si era prefisso. Rese la sua bella anima a Dio il 31 dicembre di quello stesso anno. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa del priorato dei Canonici Regolari di Cahors, della Congregazione di Chancelade. In seguito fu trasportato nella cattedrale di Cahors.

 

SAN LORENZO GIUSTINIANI (vescovo)

8 GENNAIO

 

Lorenzo Giustiniani, di nobilissima famiglia, nacque a Venezia il 1 luglio 1381. La sua educazione culturale-letteraria, per tradizione di famiglia, fu ben curata anche se lo stile di Lorenzo non fu mai quello del fratello Leonardo, grande umanista.

A 19 anni fu introdotto dallo zio materno Marino Querini a S. Giorgio in Alga dove alla fine del Trecento era sorto un convento di canonici regolari il cui priore era dal 1397 Ludovico Barbo. Questi accolse nel convento rimasto vuoto un gruppo di giovani ecclesiastici e la sua fondazione fu riconosciuta nel 1404 da Bonifacio IX come Congregazione dei Canonici Secolari. Proprio in quell'epoca Lorenzo, già diacono, vi chiese l'ammissione. Capo del gruppo era Gabriele Condulmer (il futuro papa Eugenio IV) che però venne richiamato due anni dopo a Roma. Lo sostituì lo stesso Ludovico Barbo, ma anche questi dovette partire nel 1406 perché fu eletto abate di S. Giustina di Padova. Si impose così la figura di Lorenzo, sacerdote nel 1405. Nel 1407 fu superiore a Vicenza; nel 1409, 1413 e 1418 fu a s. Giorgio in Alga. Nel 1424 venne riconosciuto alle diverse case unite il titolo di Congregazione e Lorenzo fu per ben tre volte il superiore generale (1424-1429-1431). Nel 1419, raggiunta la pienezza della maturità, cominciò la sua opera di scrittore, recensendo ben nove scritti finché Eugenio IV lo nominò vescovo di Castello l'11 maggio 1433.

Dalla vita contemplativa a quella attiva, Lorenzo fu un perfetto uomo di governo, sensibile a tutti i bisogni del suo tempo, disponibile con tutti e per tutti. Instaurò una più perfetta vita canonicale nel suo capitolo; aprì un seminario per chierici poveri. Aveva un'attenzione tutta particolare per i poveri, fino a contrarre per essi dei debiti senza avere altra garanzia per pagarli che la sua fede nel Signore.

Tanta era la sua fama tra il popolo e tra i prelati della Chiesa che il papa Eugenio IV quando lo incontrò a Bologna nel 1434 lo salutò: "Salve decus et gloria praesulum". Il successore di Eugenio IV, Nicolò V, soppresse la sede vescovile di Castello e la patriarcale di Grado e trasferì tale sede a Venezia: Lorenzo vi fu eletto primo patriarca. L'8 gennaio 1456 Lorenzo Giustiniani moriva, dopo aver visto per due giorni l'intera città dinanzi al suo letto di moribondo. Per sessantasette giorni il suo corpo rimase esposto alla venerazione dei veneziani Il 16 ottobre 1690 Alessandro VIII lo beatificò, mentre la canonizzazione avvenne nel 1727. Di lui ci restano una quarantina di sermoni e quindici opere scritte tra il 1419 ed il 1455.

 

Beata ALESSIA LE CLERC (vergine)

9 GENNAIO

 

In religione Teresa di Gesù, confondatrice con S. Pietro Fourier delle Canonichesse Regolari dell'Ordine di S. Agostino della Congregazione di Nostra Signora, nata a Remiremont (Vosgi, Francia) il 2.2.1576, morta a Nancy (Lorena, Francia) il 9.1.1622. Il processo diocesano per la sua beatificazione fu aperto il 3.12.1885 a Saint-Dié (Vosgi) e proseguito a Nancy. Introduzione della causa: 21.2.1899; beatificazione: 4.5.1947. Il corpo è conservato nella cappella del monastero di Nancy. Le tradizioni locali, le ricerche fatte per ritrovare i resti mortali spariti al momento della rivoluzione francese, l'interesse suscitato dalla scoperta fortuita del suo corpo nel 1950 e, nel 1960, la traslazione solenne delle reliquie alla cappella del monastero a Nancy dopo il riconoscimento della loro autenticità da parte della S. Clerc dei Riti, stanno a testimoniare che questo culto si è mantenuto in Lorena nella pietà popolare. Subito dopo la morte della Beata, un ritratto fu fatto, su richiesta del duca di Lorena, da un pittore della corte. Ne restano due copie. L'originale è sparito. Tra i numerosi ritratti fatti più tardi, si possono menzionare tre stampe di Weyen Van Lochom (1639) e Nicole (1750), e delle medaglie di cui una di Anversa, firmata C. Galle (fine del sec. XVII). La festa liturgica cade il 22 ottobre.

Figlia di un agiato borghese di Remiremont, condusse una vita onesta, ma mondana. Alessia 19 anni cominciò ad avere, come dice lei stessa, "l'anima molto triste tra le vanità". La sua famiglia si trasferì in quel tempo a Hymont. Due anni dopo ella vi incontrò Pietro Fourier, parroco di Mattaincourt, che sarà la sua guida. Si sentì spinta a cambiare vita ed emise il voto di castità.

Ispirata a fondare un nuovo Ordine religioso si consacrò a Dio con altre 4 compagne nella notte di Natale 1597, con l'intenzione di fare "tutto il bene possibile". Questo "bene" indicato alla congregazione nascente si chiarirà presto: sarà l'educazione delle ragazze che fino allora erano abbandonate alla ignoranza per la miseria dei tempi. Nel giugno 1596 fu aperta a Poussai (Lorena) la prima scuola; un po' più tardi ne fu aperta una seconda a Mattaincourt. I membri della congregazione aumentarono e con essi la fondazione di scuole, dapprima in Lorena (Saint-Mihiel, Nancy, ecc.), poi anche fuori della Lorena: Verdun, Chálons, ecc.

Nel 1615 la S. Sede accordò, non senza difficoltà per l'arditezza del progetto, la bolla di erezione, e la casa di Nancy fu eretta in monastero. La prima professione ebbe luogo il 2.12.1618. La Le Clerc fu eletta superiora della casa di Nancy e ivi morì, dopo aver rinunciato alla sua carica di superiora per morire come semplice religiosa.

 

San MARTINO di Leòn (sacerdote)

12 GENNAIO

 

Una biografia scritta da un contemporaneo, iscrizioni epigrafiche documenti dell'epoca e i mss. delle sue opere letterarie sono le principali fonti sulla vita di Martino della Santa Croce. Nacque prima del 1130 nella città spagnola di León. Era ancora bambino quando gli mori la mamma, Eugenia; suo padre, di nome Giovanni, entrò allora nel monastero leonense di S. Marcello, conducendolo con sé.

Morto anche il padre, Martino, già suddiacono, intraprese per parecchi anni lunghi pellegrinaggi, attraverso tutta la cristianità; è documentato il suo soggiorno di due anni nell'ospedale di Gerusalemme e a Parigi dove tutto fa pensare frequentasse lo Studio generale. Ritornato a León fu ordinato presbitero nel monastero di S. Marcello, e dopo la secolarizzazione di questo cenobio, si ritirò in quello di S. Isidoro, nella stessa città, anch'esso appartenente ai Canonici Regolari, ove morì il 12 gennaio 1203.

Nel 1185 cominciò a scrivere le sue opere letterarie, i cui mss. originali, che occupano due grossi volumi in pergamena, si conservano ancora nella collegiata di S. Isidoro di León. Intitolò la sua opera Concordia Veteris et Novi Testamenti e la suddivise in cinquantaquattro sermoni o ampi trattati a carattere apologetico-ascetico. Scrisse anche dei commentari ai seguenti libri del Nuovo Testamento: Iac., I Pt., I Io., Apoc. ed uno dei suoi scopi fu convincere i giudei, molto numerosi allora a León, dell'adempimento in Cristo delle profezie messianiche. Il pensiero di s. Isidoro di Siviglia e Pietro Lombardo (le cui opere vennero da lui introdotte per la prima volta in Spagna), influì molto sui suoi scritti: è il primo autore spagnolo che abbia usato la parola transustanziazione per spiegare il mistero eucaristico.

Le più importanti caratteristiche della sua spiritualità sono un grande rigore ascetico, la carità i fratelli e una speciale devozione all'Eucaristia e alla Santa Croce. Il biografo contémporaneo ci parla di fatti straordinari da lui compiuti, ad esempio la guarigione di malati, alcuni dei quali ancora vivevano all'epoca della stesura della biografia. Le spoglie riposano oggi in una cappella a lui dedicata nel 1513, nella collegiata di León. Nello stesso anno fu trovata incorrotta la sua mano destra che, fin da allora, venne esposta in un artistico reliquiario d'argento.

Il culto è documentato dal giorno stesso della sua morte, nei codd. della collegiata, dove si conservano dei Breviari antichissimi con l'Ufficio liturgico del santo e la sua biografia distribuita in nove lezioni storiche, per la recita del Mattutino.

Non si sa niente sul processo di canonizzazione, ma nel sec. XVI tutta la diocesi leonense ne celebrava ormai la festa liturgica. Negli ultimi tempi il suo culto era pressoché scomparso, ma nel 1959, con decreto della S. Congregazione dei Riti, fu ripreso nella collegiata, con rito doppio di seconda classe ed esteso a tutta la diocesi di León, nel 1964, con rito di terza classe.

 

San GILBERTO di Sempringham (sacerdote)

4 FEBBRAIO

 

Figlio di Jocelino, facoltoso cavaliere di origine normnanna stabilitosi in Inghilterra al seguito di Guglielmo il Conquistatore, e di una inglese di modeste condizioni, Gilberto nacque a Sempringham nel Lincolnshire intorno al 1083. Avviato giovanissimo alla carriera ecclesiastica, andò a completare i suoi studi in Francia, dove si fermò poi anche per qualche tempo ad insegnare. Tornato in patria, aprì una scuola per la gioventù, ottenendo al tempo stesso in beneficio dal padre le due chiese di Sempringham e di Terrington, le cui ricche rendite, tuttavia, soleva distribuire regolarmente ai poveri, essendo andato a vivere nel palazzo episcopale di Lincoln, al servizio del vescovo Roberto Bloet (m. 1123), il quale lo ebbe in grande stima per la sua profonda pietà e da cui ricevette la tonsura e gli ordini minori. Seguitò a dimorare in quell'episcopio anche con il nuovo vescovo, Alessandro, che, dopo avergli conferito la sacra Ordinazione, lo nominò penitenziere della diocesi, circondandolo sempre della sua incondizionata fiducia.

Gilberto rimase ancora sette anni a Lincoln, poiché solo nel 1130 ritornò a Sempringham, dove fondò dapprima un monastero di religiose, votate alla vita contemplativa nella più stretta clausura sotto la regola benedettina, e quindi anche una comunità maschile a cui diede la regola dei Canonici Regolari di s. Agostino, dopo che i Cistercensi ebbero rifiutato di assumerne la direzione spirituale; ebbe così vita l'Ordine dei Gilbertini, l'unico Ordine religioso sorto in Inghilterra, i cui statuti particolari furono approvati da Eugenio III nel 1148 e confermati poi da Adriano IV (1154-59) e da Alessandro 111 (1159-81).

Recatosi in Francia nel 1147, Gilberto ebbe occasione d'incontrarsi, al capitolo generale di Citeaux, con il papa Eugenio III e s. Bernardo al quale rimase poi sempre legato di stretta amicizia. Sostenne s. Tommaso Becket nella controversia contro Enrico 11, per cui ebbe a subire persecuzioni, riuscendo tuttavia a scamparne finalmente per la grande stima che godeva presso il re. In seguito, dovette soffrire anche le calunnie di alcuni suoi monaci laici, sobillati dai due conversi Oggero e Gerardo, che mal sopportavano i rigori della disciplina imposta dalle costituzioni da lui dettate, ma in sua difesa interposero la loro voce unanime presso il papa Alessandro III tutti i vescovi inglesi.

Affranto dagli anni e dalla cecità, che lo aveva colpito nell'ultimo periodo della sua lunga esistenza, interamente votata al servizio di Dio e della Chiesa, Gilberto morì ultra centenario il 4 febbraio 1189 in mezzo ai suoi canonici di Sempringham, tra i quali alla fine era voluto entrare anch'egli giurando obbedienza al suo antico discepolo Ruggero, divenuto primo superiore generale dell'Ordine. L'Ordine stesso alla morte del suo fondatore contava ben tredici monasteri, di cui nove doppi e quattro esclusivamente maschili. Fiorenti nei loro ventiquattro conventi sino al sec. XVI, i Gilbertini furono soppressi da Enrico VIII nel 1538-39 (cf. D. Knowles - R.N. Hadcock, Medieval religious houses: England and Wales, Londra 1953, pp. 171-75).

Gilberto è autore dei seguenti scritti: De constructione (o De fundatione) monasteriorum (oggi perduto); Statuti dell'Ordine (pubblicati da W. Dugdale, in Monasticon Anglicanum, Londra 1817-30, VI, 2, pp. XXIX-XCVII, pp. 947-48) ed una Lettera al suo Ordine. Canonizzato da Innocenzo III l'11 gennaio 1202, s. Gilberto viene commemorato nel giorno anniversario della sua morte.

 

San GUARINO (vescovo)

7 FEBBRAIO

 

GUARINO (s.), FOSCARI o FUSCARI, Cardinale. Guarino della nobile famiglia bolognese Guarini, e della Foscari o Fuscari per parte materna, fu canonico regolare della Congregazione di s. Maria del Reno come vuole il p. Trombelli, o come vogliono il Ciacconio e l'Oldoino di quella di s. Frediano di Lucca, ovvero al dire del Sigonio, del Suarez e di altri, canonico regolare nel monastero di S. Croce di Mortara presso Pavia, o finalmente canonico della cattedrale di Bologna come dimostra il Lambertini nel tom. X delle sue opere p. 58 re seg., il quale si protesta di non voler prendere parte nella risoluzione della questione.

Ricusato con pari umiltà e costanza il vescovato di Pavia, si sottrasse da quel formidabile peso con fuggirsene in luogo occulto, donde non sortì finché non fu eletto e consacrato il nuovo vescovo. Non poté però egualmente disimpegnarsi dall'accettare il cardinalato, ed il vescovato di Palestrina, che gli conferì il suo parente e concittadino Lucio Il, nelle tempora dell'avvento dell'anno 1144, che l'obbligò, benché in età pressoché decrepita ad accettare con espresso comando le due dignità. Inoltre il Pontefice gli fece molti doni, e fra gli altri di alcuni bellissimi cavalli, i quali il cardinale fece tosto vendere, con gli altri donativi, e ne distribuì il prezzo ricavato ai miserabili, in sollievo de' quali fondò nella sua patria un ospedale sotto l'invocazione di s. Giobbe, e lo dotò di rendite sufficienti, non lasciando in eguale tempo di predicare al popolo alla sua cura affidato con assidua frequenza l'evangelica verità. Dubitando però il cardinale di non adempiere pienamente ai suoi doveri, due volte tentò di lasciar il vescovato con la fuga: la prima volta si ricoverò nel sacro speco di Subiaco, donde fu richiamato da Eugenio III; la seconda volta in Ostia, donde per non cadere nelle mani de' saraceni che nell'anno 1152 o 1154 infestavano quelle spiagge, fu costretto a trasferirsi in Roma, e quella probabilmente fu l'occasione in cui sottoscrisse una bolla di Anastasio IV. Ben presto però se ne tornò in Palestrina, ove riassunto con più fervore il sacro ministero, sentendosi mancare le forze, un giorno chiamò, a sé i canonici, e protestando loro di non aver di proprio che le misure che indossava, predisse ai medesimi la vicina sua morte.

Alla fine dopo essersi trovato presente alle elezioni di Eugenio III, Anastasio IV, e Adriano IV, essendo vissuto quindici anni nella dignità cardinalizia, chiaro per meriti e virtù si riposò nel Signore a' 6 febbraio 1159, in età di settantacinque anni come scrivono i Bollandisti, l'Ughelli il Ghirardacci, ed il Cecconi nella Storia di Palestrina, i quali riprovano le opinioni del Ciacconio, del Ghini, del Suarez, del Masini e del Piazza, i quali pretendono che morisse di centodieci anni. Sembra però che tutti abbiano equivocato, mentre il Petrini nella Storia di Palestrina, avendo con critica e diligenza esaminata la morte del cardinale, la stabilì in anni centotré epoca, memorabile per gli strepitosi prodigi coi quali Iddio volle autenticare la santità del suo servo. Ebbe onorevole sepoltura nella sua chiesa di Palestrina, ed il di lui nome si legge nel martirologio romano al 6 febbraio, siccome canonizzato da Alessandro III. Nel martirologio si dice, che il di lui corpo riposa in Bologna, onde si potrebbe forse ritenere, che sepolto in Palestrina, fosse poi stato trasportato nella sua patria. Certo è che, il corpo fu, dai sacerdoti prenestini riposto in uma di marmo, che collocarono nel sotterraneo della loro cattedrale, dove il cardinal Gíovanni Vítelleschi di Cometo, trovò quelle sacre ossa e le fece trasportare a Cometo. Il p. abbate Trombelli nelle Memorie storiche di s. Maria del Reno, alla p. 190 e seg. è di parere che nel martirologio si asserisca essere il corpo di s. Guarino in Bologna, perché bolognese ed ascritto al clero della città. Il Lambertini o sia Benedetto XIV, nel suo trattato dei santi bolognesi, parla a lungo di questo punto. Oltre la vita di s. Guarino riportata dall'Ughelli, se ne trova un'antichissima in fine di un libro contenente le opere minori di sant'Agostino, stampato nel 1491, ed esistente in Roma nella biblioteca Corsini, essendo raro.

(Il testo è preso da un volume antico)

Nacque a Bologna da distinta famiglia alla fine del sec. XI; ordinato sacerdote, divenne canonico della cattedrale, ma ben presto (forse nel 1104), sentendo il desiderio di maggior perfezione, entrò fra i Canonici Regolari Lateranensi di S. Croce di Mortara (Pavia). Prima di partire donò i propri averi per la costituzione di un ospedale in Bologna, che fu detto di S. Lorenzo e poi di S. Giobbe. A Mortara condusse una vita così esemplare e suscitò tanta ammirazione per la sua virtù e la profonda scienza che il popolo pavese tentò di eleggerlo vescovo della città. Il santo rifiutò tenacemente; analogo rifiuto però non poté opporre a papa Lucio Il quando nel 1144 lo chiamò a Roma per nominarlo cardinale e vescovo di Palestrina.

Anche in questo nuovo ufficio non cessò la sua vita penitente ed austera e dimostrò molto amore ai poveri ai quali distribuì i doni che aveva ricevuto dal papa. Mori il 6 febbraio 1159 e fu sepolto nella cattedrale di S. Agapito di Palestrina. In occasione del saccheggio della città del 1437 tutte le sue reliquie furono trasferite in altre località, di cui si è perduta memoria. Il culto sarebbe stato approvato da Alessandro III, ma mancano le prove (cf. Benedetto XIV, De canonizatione sanctorum, IV, 9, 3).

Non sono molti, né molto conosciuti, i Santi con il nome solo in apparenza guerresco di Guerrino. Un nome di origine germanica, che suonava un tempo Warino o Warinus di carattere tipicamente medievale. E tipicamente medievale è il più celebre personaggio di questo nome Guerrino detto il Meschino, cavaliere errante tribolato e appassionato, protagonista di un'intera serie di poemi e di romanzi. Un po' errabondo, ma non certo per spirito d'avventura, fu anche il Guerrino santo, vissuto anch'egli nell'epoca cavalleresca dei Crociati, all'inizio del XII secolo. Lo potremmo dire Guerrino da Bologna, dalla città dove nacque; oppure da Pavia, dalla città dove fu monaco; o finalmente Guerrino da Preneste - l'attuale Palestrina - dalla città che lo vide Vescovo esemplare e dove san Guerrino morì, nel 1159.

 

San TEOTONIO (sacerdote)

18 FEBBRAIO

 

Nato verso il 1080 a Tuy, nella Galizia (Spagna), da Oveco ed Eugenia, venne da questi religiosamente educato ed affidato più tardi alle cure dello zio Cresconio, vescovo di Coimbra (1088-1098), in seguito imparò l'arte della lettura e del canto secondo l'uso dei tempi sotto la guida dell'arcidiacono Tello. Morto lo zio, fu accolto nella diocesi di Viseo, suffraganea di Coimbra, e in essa ricevette gli ordini sacri; nell'esercizio del suo sacerdozio eccelse per zelo pastorale e la pratica della virtù, per cui dopo pochi anni venne eletto priore (forse decano) della cattedrale. Presto però rinunciò a questo incarico per andare in pellegrinaggio a Gerusalemme.

Al suo ritorno non volle assolutamente riprendere il priorato e neppure volle accettare l'episcopato, che gli venne insistentemente offerto dal conte Enrico e dalla regina Teresa col consenso del clero e di tutto il popolo. Svolse quindi una intensa attività pastorale di predicazione e confessioni, con grande frutto spirituale; il suo biografo esalta la carità, la castità e la libertà evangelica di Teotonio, che gli meritarono la benedizione da parte di tutte le classi sociali.

Dopo qualche tempo intraprese un nuovo pellegrinaggio a Gerusalemme; visitò i luoghi santi della Palestina, e dai canonici regolari del Santo Sepolcro venne invitato a rimanervi entrando a far parte della loro comunità; non accolse però questo invito, che si riservò di accettare in occasione di un suo terzo viaggio in Terra Santa. Ritornato in Portogallo, accarezzava il progetto di un terzo viaggio in Palestina, forse per restarvi, ma venne da ciò dissuaso dal suo vecchio maestro Tello, che insieme ad altri dieci sacerdoti, aveva intrapreso la costruzione del monastero di S. Croce, nei sobborghi di Coimbra; Teotonio aderì con entusiasmo a questa iniziativa, formando con loro la prima comunità di questo monastero, sotto la regola dei canonici regolari di s. Agostino, di cui fu eletto priore. A capo del nuovo monastero, diede prova delle sue qualità di uomo di governo; le sue virtù e la fama di santità e di miracoli contribuirono al rapido sviluppo della fondazione Dopo ventun anni rinunciò al priorato, e passò gli ultimi dieci anni della sua vita nella più stretta osservanza della regola, esercitandosi nella preghiera e nella penitenza. Morì il 18 febbraio 1166 quasi nonagenario, e fu sepolto nel capitolo del monastero di S. Croce; nel 1630 se ne fece la traslazione nella chiesa e venne sistemato sopra l'altare maggiore; un braccio fu donato al monastero di s. Vincenzo di Lisbona e l'altro alla cattedrale di Viseo. Fin dal Cinquecento viene commemorato nei martirologi alla data del 18 febbraio; se ne celebra la festa con Ufficio proprio nelle cattedrali di Braga, Evora, Coimbra, Leiria e Viseo, e in quest'ultima è venerato come patrono.

 

Sant'OLLEGARIO (vescovo)

6 MARZO

 

Arcivescovo di TARRAGONA santo. Nacque a Barcellona da Ollegario, segretario del conte Raimondo Bereguer I, e da Giulia, tra il 1059 e il 1061, e fu educato fin da bambino nella canonica della cattedrale della sua città, di cui divenne praepositus nel 1094, dopo essere stato ordinato sacerdote. Passò quindi al monastero agostiniano di S. Adrian de Besos, e verso il 1110 entrò in quello di S. Ruffo in Provenza, di cui divenne abate.

Eletto vescovo di Barcellona, si rifiutò di accettare finché nel mese di magg. del 1116 gli fu imposto da papa Pasquale II; ricevette la consacrazione nella cattedrale di Magalone. Mentre si trovava a Gaeta insieme al papa Gelasio Il, il 21 marzo 1118, venne trasferito, su proposta del conte Raimondo Berenguer III di Barcellona all'arcidiocesi di Tarragona, riconquistata poco prima ai musulmani.

Prese parte al concilio di Tolosa, presieduto da Callisto Il (giugno 1119), e poi a quelli di Reims (ott. 1119), Lateranense 1 (marzo 1123), e di Clennont (113 0), presieduto da Innocenzo II Nel 1123 fu nominato da Callisto Il legato a latere per la Spagna. Assistette il conte di Barcellona, Raimondo Berenguer III, nella morte, avvenuta nel 1131. Eccelse nell'attività pastorale per la restaurazione della provincia ecclesiastica di Tarragona e della disciplina canonica. Morì il 6 marzo 113 7; le spoglie, incorrotte, sono venerate in un altare della cattedrale di Barcellona. Il culto ab immemorabili fu approvato a Roma il 18 magg. 1675, e quindi se ne introdusse la memoria nel Martirologio Romano.

 

Beato GUGLIELMO TEMPIER (vescovo)

29 MARZO

 

Vescovo di POITIERS, beato. Canonico regolare a S. Ilario di Poitiers, divenne vescovo della città nel 1184; un documento di quell'anno lo menziona come Pictaviensis sedis electus. t ricordato per il coraggio con cui difese i diritti e le proprietà della sua Chiesa: un documento del 1185 lo indica come "pro jure ejusdem. ecclesiae persecutionem viriliter patientem"; e nel 1191 viene chiamato Guillelmus fortis. Si sa anche che nel 1191 costrinse uno dei suoi vassalli a prestargli l'omaggio dovuto. Tutto ciò è conforme ai costumi generali dell'epoca.

Morì il 29 marzo 1197 e fu sepolto nella chiesa di S. Cipriano. Tempier che in vita era stato oggetto di forti opposizioni in morte fu onorato come un santo: il popolo si recava alla sua tomba per essere guarito dalle emorragie. La sua festa è segnata al 29 marzo.

 

Santa CATERINA THOMAS (vergine)

5 APRILE (28 LUGLIO)

 

Questa vergine è una gloria delle Canonichesse Regolari dell'Ordine di S. Agostino. Nacque il 1-5-1531 a Valldemuza, nell'isola di Maíorca (Baleari), penultima dei sette figli di Giacomo, modesto contadino. A tre anni Caterina aveva già imparato a recitare il rosario in qualche angolo remoto della casa. In mancanza della corona, contava le Ave Maria strappando ad una ad una le foglie da un ramoscello di ulivo. A quattro anni conosceva già tutto il catechismo, e si mostrava tanto assennata da meritare dai suoi compaesani l'epiteto di "vecchina".

Fin dall'infanzia Caterina sentì una grande attrattiva per la penitenza. Per amore di Gesù portava un cilicio di crine, si flagellava sovente e, a piedi nudi, si aggirava tra le spine e i cardi dei campi. Iddio la ricompensò con frequenti visioni di Paradiso.

A sette anni Caterina rimase orfana di entrambi i genitori. Alcuni suoi zii ne ebbero compassione e l'accolsero per undici anni nella loro tenuta di "Son Gallard" affinché conducesse al pascolo il loro bestiame. Poiché la chiesa era distante dalla casa in cui si trovava, la santa dovette accontentarsi di frequentarla le feste. In compenso, nella solitudine dei campi trovava il modo di dare libero sfogo alla sua pietà trascorrendo lunghe ore in preghiera dinanzi ai rozzi altarini che costruiva ai piedi degli ulivi. In quel periodo della vita non le mancarono prove e tentazioni. Benché rifuggisse dai balli e dalle vanità femminili, ci fu chi di lei s'invaghì e tentò di trascinarla ad azioni disoneste. Resa ardita dalla volontà di conservare illibato il candore della veste battesimale, rispose un giorno ad uno di quegli sciagurati con un accento misto a sdegno e a pietà: "Sappi che io sono disposta a vedere il mio corpo fatto a pezzi piuttosto di cedere alle tue proposte".

Per la santa fu provvidenziale l'incontro con il P. Antonio Castañeda (1583), che si era stabilito nel vicino collegio di Miramar, dopo quarantadue anni di penitenza nel romitorio della SS. Trinità di Maiorca. Egli di quando in quando andava a mendicare il suo pane anche a "Son Gallard", e nei colloqui che ebbe con la devota pastorella capì che ella non era fatta per restare a lungo nel mondo. 1 familiari, quando Caterina manifestò loro il desiderio di entrare in un monastero, le si opposero sia perché era analfabeta, e sia perché non era in grado di costituirsi una dote. Cercarono perciò di darle marito, ma ella rispose loro: "Appartengo a Dio al quale nulla è impossibile. A costo della vita manterrò la parola data".

Il P. Castañeda s'incaricò di appianarle tutte le difficoltà. La collocò anzitutto a Palma di Maiorca, come domestica, presso la nobile famiglia di Matteo Zaforteza nella quale apprese a leggere, a scrivere e a ricamare. Continui furono i progressi di lei nella virtù e nella penitenza. Con le veglie, con l'uso della pelle di un porcospino come cilicio, e una intera quaresima trascorsa a pane e acqua, giunse a deteriorarsi gravemente la salute. Quando guarì il suo direttore spirituale le ottenne di entrare come corista (1533), benché priva di dote, nel monastero di Santa Maria Maddalena, eretto a Palma sotto la regola di S. Agostino al posto dell'ospizio costruito subito dopo la sottrazione di Maiorca al dominio dei mori (1229) da parte di Giacomo I d'Aragona.

Non conosciamo il motivo per cui Caterina fu trattenuta in noviziato due anni e sette mesi. Non è improbabile che le monache diffidassero dei fenomeni straordinari che si verificavano in lei, ovvero che fossero preoccupate dei frequenti digiuni a pane e acqua, dell'uso dei cilici e delle discipline per cui aveva assunto un aspetto cadaverico. t vero che ogni tanto, per dare un po' di colorito al suo volto, masticava lentamente alcuni grani molto piccanti di pepe, ma dovette imporsi alla loro considerazione con la sua straordinaria ubbidienza. La maestra delle novizie, nel vederla continuamente concentrata in se stessa, la mandava ora alla ruota, ora alla cucina, ora all'infermeria per distrarla. Caterina le ubbidì sempre prontamente perché nella voce della superiora e nelle regole vedeva riflessa la volontà di Dio.

Suor Caterina professò i tre voti religiosi il 24-8-1555. Poté quindi esclamare con la sposa del Cantico dei Cantici: "Ho trovato l'amore dell'anima mia; l'ho abbracciato e non lo lascerò". (III, 4). Da quel giorno crebbe in lei la sollecitudine per la propria santificazione. Scelse per sé la celletta più miserabile di tutte e le vesti già dimesse dalle consorelle. Da nessuno accettò regali perché, come S. Teresa d'Avila, era convinta che "a chi possiede Dio, non manca nulla". Non si esentò dagli atti di comunità, anche se per recarsi al coro o al refettorio dove la campana la chiamava, doveva sovente appoggiarsi per le infermità a un bastone o alla parete dei corridoi. La sua ubbidienza era pronta anche quando si trovava rapita in estasi. Il vescovo di Maiorca, Mons. Giovanbattista Campegio, correva a chiederle consiglio quando la sapeva in quello stato. Talora le ordinò di scendere con lui al parlatorio pur restando in estasi, ed ella sempre gli ubbidì.

Alla considerazione della Passione del Signore, dovuta alle iniquità degli uomini, Suor Caterina non sapeva trattenere il pianto. Un giorno le apparve Gesù crocifisso grondante sangue e le disse: "Guarda, figlia mia, quanto mi costi. Questo l'ho fatto per amore tuo". D'allora in poi la santa versò lacrime in tanta quantità in cella, in coro, in refettorio che le consorelle temettero che diventasse cieca. Grande devozione ella nutrì pure per Gesù Sacramento. Lo andava a trovare di frequente e tanto a lungo quanto glielo permetteva l'osservanza scrupolosa delle regole. Quando faceva la comunione andava per tutto il giorno in estasi e pregava per tutte le necessità degli uomini, per il trionfo della Chiesa sui Turchi e sugli errori dei protestanti, ma specialmente per il suffragio delle anime del purgato rio. Iddio permise che tante anime le apparissero per sollecitare orazioni o celebrazioni di Messe da parte dei loro parenti.

La notizia delle estasi di Suor Caterina non restò per molto tempo chiusa tra le mura del monastero. Molti vi accorsero perciò per vederla, per raccomandarsi alle sue preghiere e per chiederle consiglio. La santa se ne allarmò, e per scongiurare il pericolo che minacciava la sua umiltà, risolse di mostrarsi a tutti un po' scimunita. Alle rimostranze delle consorelle, ella diceva:" Faccio così perché tutti mi tengano per quello che sono; una sciocca, una pazza". Non soffriva neppure di ricevere segni di distinzione da loro. Ogni tanto sospirava: "Oh, se poteste comprendere quanto spregevole, quanto stupida, quanto rozza è questa vile creatura che volete onorare tanto! ". Credeva infatti di avere tutti i difetti, e li metteva in risalto nel tentativo di far credere che le sue estasi erano immaginarie.

In premio di tanta virtù Dio le concesse il dono della profezia e dei miracoli. Due volte fu trovata da chi l'assisteva con vesti grondanti acqua. Interrogata del motivo, disse che una volta era accorsa a salvare il chierichetto del monastero che stava per affogare nel mare, e un'altra volta a salvare dal naufragio dei marinai che l'avevano invocata. A diverse persone restituì la salute corporale improvvisamente.

Morì il 5-4-1574 dopo aver raccomandato alle consorelle la vicendevole carità. A quarant'anni dalla morte il suo corpo fu trovato incorrotto. Pio VI la beatificò il 3-8-1792 e Pio XI la canonizzò il 22-6 -1930. I suoi resti sono venerati nel monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino a Palma di Maiorca (Baleari).

 

San GUGLIELMO (abate)

6 APRILE

 

La sua Vita è stata scritta da un autore che si dice suo discepolo, ma sembra molto posteriore e di valore storico piuttosto dubbio.

Nato verso il 1125 a Parigi o a St-Germain presso Crépyen-Valois, Guglielmo fu educato da un suo zio monaco di S. Amolfo, poi abate di Saint-Germain-des-Prés.

A sedici anni era canonico secolare di S. Genoveffa, dove fu vittima della gelosia dei suoi colleghi, che tentarono di sfruttare il suo amore per la solitudine e per la perfezione, spogliandolo dei suoi benefici. Egli sventò i loro intrighi fu ordinato diacono dal vescovo di Senlis, poi seguì la riforma che, nel 1148, pose dei Canonici Regolari al posto dei canonici secolari di S. Genoveffa. Preoccupato della gloria del suo Ordine, vegliò sulla regolarità dell'osservanza e combatté ogni abuso. Nel 1161 scrisse la relazione dell'inchiesta fatta dai vescovi della provincia di Parigi sulla custodia del corpo di s. Genoveffa da parte dei Canonici.

Il fondatore di Copenhagen, Assalonne, vescovo di Roschild in Danimarca, richiese dei Canonici Regolari per introdurre la riforma nel monastero dell'isola di Eskill o Aebelhoit (Elshihoè). Guglielmo fu inviato con tre altri compagni, dapprima essi furono mal ricevuti ma poi G. trionfò sugli ostacoli posti dai canonici ostili alla riforma che venne attuata. Nel 1175, il monastero, eretto in abbazia, fu trasferito nell'isola di Seeland e Guglielmo ne divenne l'abate facendone ben presto un centro di irradiazione spirituale. Il nuovo monastero si dibatté nelle difficoltà materiali, aggravate dagli incendi, ma Assalonne, divenuto arcivescovo di Lund nel 1170, sostenne il suo amico Guglielmo e il monastero ritrovò la sua prosperità. Guglielmo divenne un grande personaggio della Chiesa di Danimarca e controllò praticamente tutti i monasteri del paese, anche quelli di altri Ordini, ciò che non accadde senza resistenze o insuccessi.

Francese, divenuto danese, Guglielmo prese attivamente parte ai negoziati relativi al matrimonio del re di Francia, di Filippo Augusto, con Ingelburga, sorella del re Canuto di Danimarca, che fu celebrato ad Amiens il 14 agosto 1193. Si sa che l'indomani del matrimonio il re di Francia rifiutò di considerare Ingelburga come regina e voleva ripudiarla. Avendo i vescovi di Francia annullata l'unione sotto il pretesto della parentela, Guglielmo partì per Roma nel 1194 per affidare la causa al papa e per dimostrare l'inesistenza del vincolo di sangue; nello stesso tempo sostenne la posizione della regina.

Al suo ritorno da Roma fu inseguito dalla polizia del re di Francia e trattenuto a Digione dal duca di Borgogna. Ci volle l'intervento degli abati di Citeaux e di Clairvaux perché egli potesse proseguire il suo cammino verso la Danimarca passando per Parigi.

Morì nella notte di Pasqua, il 6 apr. 1203, senza aver visto la riconciliazione fra il re e la regina che ebbe luogo dieci anni più tardi.

Poco dopo, l'arcivescovo di Lund e i vescovi di Oslo e di Skara, chiesero al papa Onorio 111 di procedere alla canonizzazione di Guglielmo Il 12 magg. 1218 il papa concesse l'autorizzazione per le ricerche canoniche, raccomandando cautela, ma nonostante i molti miracoli il processo durò a lungo e solo il 31 gennaio 1224 fu emanata la Bolla con la quale Guglielmo era proclamato santo, mentre nel 1228 si ebbe la traslazione delle reliquie nella chiesa del monastero di Aebelholt, che era stata terminata sette anni dopo la morte del santo.

La commemorazione fu stabilita per il 16 giugno, dato che la festa di Pasqua, giorno in cui era morto, era continuamente mobile.

Guglielmo è stato per tutto il Medioevo uno dei più venerati santi della Danimarca, specialmente del Själland e, quando venne la Riforma, non fu facile sradicarne il ricordo nel popolo. Nel Martirologio Romano Guglielmo è ricordato il 6 aprile. Di lui si conservano più di un centinaio di lettere, pubblicate in Scripta Rerum Danicorum, preziose per le notizie che recano non solo sull'autore, ma anche sulla Chiesa di Danimarca nel sec. XII.

 

San GAUCHERIO (sacerdote)

9 APRILE

 

GAUCHERIO nacque a Juziers un borgo di Meulan-sur-Seine in Normandia nel 1060. Dopo gli studi umanistici e desideroso di una vita spirituale austera, decise per questo a diciotto anni con un suo amico, Germond, di stabilirsi nel bosco di Chavagnac vicino Limoges, alla ricerca della solitudine e della vita eremitica. I due eremiti vi rimasero tre anni, poi si spostarono in un piccolo bosco della grande foresta di Aureil chiamato "i Selvaggi". La foresta apparteneva al capitolo dei canonici della cattedrale di Limoges che imposero a Gaucherio e a Gennond di abbandonare la vita eremitica se volevano dimorare in quel luogo. Per questo, con l'appoggio sia di maestro Humbert che aveva fondato un convento canonicale nel nord della diocesi di Bénévent e sia di quello dei vescovi successivi Gui de Laron (1073-1086) e Humbaud di Sainte-Sévère fu avviata la fondazione di un nuovo convento (con annessa una chiesa) di Canonici Regolari, sotto la regola di S. Agostino, il cui primo priore fu lo stesso Gaucherio.

Il 28 agosto 1093 fli consacrata la chiesa di S. Giovanni evangelista. Nello stesso anno Gaucherio fece un corso di preparazione e di aggiornamento a s. Rufo di Avignone per il priorato e per la sua attività di predicatore. Proprio per questo suo carisma sviluppato in lui in modo speciale, Gaucherio portò molti ad arricchire della loro presenza la sua piccola congregazione e per questo dovette costruire altri conventi tanto nel territorio di Limoges, quanto nel sud del Berry e nella sua Normandia. Alla sua attività di evangelizzatore risposero non solo gli uomini ma anche molte donne e Gaucherio fondò il convento femminile di S. Maria di Bostlas-Mongeas vicino Aureil. Gli ultimi anni della sua vita li passò con i suoi compagni dando loro l'esempio delle sue virtù. Non preparò la sua successione, né impose ai suoi confratelli l'astinenza assoluta che gli era cara e che lui aveva sempre esercitato. Il 7 aprile 1140 Gaucherio, orinai ottantenne, cadde dal suo cavallo e due giorni dopo mori. Il 18 settembre 1194 venne canonizzato.

Nato a Meulan-sur-Seine nella seconda metà del sec. XI, Gaucherio fu dapprima istruito nelle arti liberali da un certo Reynier e poi si pose sotto la guida di Umberto, canonico di Limoges, che seguì nel Limousin. Qui, all'età di diciotto anni, insieme a Germondo, suo amico d'infanzia che l'aveva accompagnato, si diede a condurre vita eremitica nella foresta di Chavagnac. La solitudine dei due fu presto violata da discepoli che, in numero sempre più grande, accorrevano per porsi sotto la loro guida. Pertanto, Gaucherio chiese e ottenne dai canonici di Limoges il permesso di costruire un monastero in un bosco di loro proprietà. Sorse così il monastero di Aureil.

Successivamente, Gaucherio costruì anche un monastero femminile e pose le due fondazioni sotto la regola dei Canonici di s. Agostino. Tra i numerosi discepoli del santo, particolarmente famoso fu s. Stefano Muret, il fondatore di Grandinont.

All'età di ottant'anni, il 9 apr. 1139 o 1140, Gaucherio morì per una caduta da cavallo. Il suo corpo sepolto ad Aureil, fu levato da terra dal vescovo Sebrando nel 1194, a seguito di un decreto di canonizzazione emesso da papa Celestino 111. La sua festa si celebra il 9 apr. nel Limousin, a Versailles e a Rouen; il 31 magg. viene esposto il suo corpo nella chiesa di Aureil.

 

Beato EMERICO (vescovo)

26 APRILE

 

Fu vescovo di Aosta dal 1302 al 1313; nacque nel castello di Quart verso la metà del XIII secolo. Figlio del nobile Giacomo Il, ebbe diversi fratelli, tra cui due ecclesiastici, dignitari del Capitolo della cattedrale di Aosta. Lo storico aostano Jean-Claude Mochet (XVII sec.), autore di una breve "vita" del beato, nella sua opera Porfil historial d'Aouste (ms. del 1643 ca., edito per la prima volta nel 1968, ed. Musumeci, Aosta), tesse le lodi di Emerico esaltandone lo spirito forte e brillante, il carattere docile, trattabile ma inflessibile al male; l'indole nobile, ospitale e seria i modi così garbati e amabili che incantavano tutti; la grande gioia che egli provava nel servire devotamente Dio, nel far contenti gli altri e nell'arricchirsi di scienza e di virtù. Secondo la tradizione, il giovane Emerico desideroso di studiare teologia, fu inviato all'università dove conseguì il grado di dottore. Finiti gli studi, tornò al suo maniero di Quart. Non potendo adattarsi alle vanità di questo mondo si diede alla vita solitaria, appartandosi in un luogo oggi chiamato Valsainte, a un'ora dal castello, per dedicarsi tranquillamente alla contemplazione e alla preghiera. In quel luogo un oratorio ricorda le penitenze di Emerico ed è meta di pellegrini.

Alcuni storici affermano che, dopo la vita eremitica, egli abbracciò la vita monastica tra i canonici regolari della canonica di S. Orso in Aosta. Lo studioso Amato Pietro Frutaz non è di questo parere (cf Le Fonti per la Valle d'Aosta, Roma 1966, p. 303). Il nome di Emerico infatti non compare nell'elenco dei canonici presenti alla stesura dell'atto di unione dell'ospedale di S. Orso all'omonimo monastero di Aosta, effettuato l'8 nov. 1298 dal vescovo Nicola I Bersatori. Essendo quest'atto importantissimo, l'assenza del suo nome è molto significativa. Emerico non è citato tra i membri della comunità dei canonici di S. Orso neppure dal Necrologium della Collegiata. Mons. Frutaz è dunque incline a identificare il nostro beato con un Emerico di Quart, suddiacono, che aveva una prebenda in cattedrale nel 1288 e nel 1300, come risulta dal Liber Reddituum della cattedrale. Indipendentemente dalla sua appartenenza a questo o a quel Capitolo della città, Emerico si dedicò totalmente alla salvezza delle anime e suscitò una tale ammirazione generale che alla morte del vescovo Nicola 1 Bersatori (1301), i due Capitoli scelsero lui come successore. La prima carta in cui appare nella qualità di vescovo è dell' 8 febbraio 1302. Fu consacrato vescovo a Biella da Aimone di Challant, vescovo di Vercelli, presso il quale si era recato. L'episcopato di Emerico fu molto attivo. La virtù, lo zelo, la fermezza, la vigilanza del pastore si rivelarono in tutte le sue azioni, appena eletto vescovo.

Conservò scrupolosamente la legge della residenza; provvide a nominare buoni maestri di scuola; ammise agli ordini sacri soltanto soggetti provati e degni; concesse i benefici esclusivamente in base alle norme ecclesiastiche; lui stesso non si servì degli introiti della mensa se non per il suo indispensabile sostentamento, il resto era dato in elemosina ai poveri o in dotazione alle chiese. Se Emerico mostrò una saggia fermezza per la difesa dei diritti temporali del suo vescovado, ancor più si occupò degli interessi spirituali dei suoi fedeli, visitando la diocesi, tenendo regolarmente il sinodo diocesano, prendendo i provvedimenti più adatti per far fiorire la religione. Le costituzioni sinodali del 1307 sono tra le più antiche ordinanze riguardanti la vita ecclesiastica della diocesi. Tra le iniziative più notevoli del suo pontificato, oltre alla costruzione di numerose chiese, si deve segnalare l'istituzione del "festum conceptionis Virginis Mariae" con atto del 13 marzo 131 l; la redazione del prezioso Liber censuum (1305), un quadro sorprendente dei costumi feudali in Valle d'Aosta, una vera e propria miniera ricchissima di elementi per gli storici del Medioevo. Ad Emerico fu pure attribuita la redazione del famoso Pontificale (13 10) conservato nella biblioteca del Capitolo della cattedrale di Aosta, ma ultimamente gli studi del prof. Robert Amiet (cf R. Amiet, Repertorium liturgicum augustanum, t. 1, Aosta 1974, pp. 206-207) dimostrano che questa attribuzione è erronea. Il prezioso pontificale fu copiato per l'uso personale di Rodolfo di Chátelard, arcivescovo di Tarantasia (XIII sec.) e divenne proprietà di Emerico una quarantina d'anni dopo la morte del possessore. In fondo al volume sono trascritti gli Statuta Synodalia dei vescovi Simone di Duin e Niccolò 1 Bersatori (1296), nonché la Constitutio facta ab episcopo Aug. anno Domini 1307 super testis quae observantur in dyoc. Aug. tra cui figurano quelle di s. Grato, s. Giocondo, s. Orso, s. Bernardo, e il catalogo delle sessantadue parrocchie valdostane allora esistenti.

Emerico morì il l' sett. 1313 e fu sepolto dietro il coro della cattedrale. Non si tardò a invocarlo come beato e dei miracoli confermarono la devozione dei fedeli. Un quadro del 1498, conservato nella cattedrale di Aosta, attesta la guarigione miracolosa di un frate domenicano affetto da dolori allo stomaco e tormentato dalla gotta. Nel 1551 il canonico Luigi Vaudan, essendo stato guarito per intercessione del beato Emerico, fece riesumare il suo corpo e le reliquie furono rinchiuse in un reliquiario e deposte in seguito nella cripta della cattedrale. Nel 1817 furono rimesse in un altro nuovo reliquiario e collocate in una nicchia del deambulatorio della stessa chiesa. Nel corso dei secoli i vescovi di Aosta approvarono il culto del beato Emerico, ma soltanto nel 1881 fu ufficialmente riconosciuto da Leone XIII dopo un regolare processo canonico.

Anticamente infatti il culto al beato era presente non solo nella diocesi di Aosta, ma anche nelle altre diocesi limitrofe del Piemonte. Da tempo immemorabile, come riferisce la tradizione, i fedeli avevano l'abitudine di rivolgere preghiere al beato Emerico. Spessissime volte, ancora nel secolo scorso, si poteva veder condurre i fanciulli alla sua tomba per riceverne la benedizione e molti di loro, affetti da malattie, erano guariti. La devozione popolare ricorse all'intercessione di Emerico soprattutto nei parti difficili e ancora recentemente donne incinte si recavano presso le sue reliquie per mettersi sotto la sua protezione. La devozione al beato è particolarmente viva nella sua parrocchia di origine, in quel di Quart, nella ricorrenza della sua festa liturgica, fissata il l' settembre.

 

Beato BONIFACIO (vescovo)

26 APRILE

 

Bonifacio, rampollo dell'antica famiglia dei conti di Valperga, nacque a Torino nella seconda metà del sec. XII da Matteo, sesto conte del Canavese, e da Anna Levi di Villars. Ricevuta la sua prima educazione in famiglia, fu inviato quindi presso lo zio paterno Arduino, vescovo di Torino, che provvide alla sua istruzione letteraria, alimentando nello stesso tempo in lui la fiamma delle virtù cristiane. Spinto dalla sua innata pietà, Bonifacio volle abbracciare la vita religiosa, e vestì l'abito monastico nell'abbazia benedettina di S. Benigno di Fruttuaria, dove s'impose subito per la pratica della virtù. Passato in seguito nel convento agostiniano di S. Orso in Aosta, si affermò anche qui per dottrina e santità di vita, venendo ben presto nominato priore (circa 1210): come tale, riuscì a imprimere una vigorosa direzione agli affari spirituali e temporali della comunità e seppe attirare su di sé l'ammirazione e la stima del popolo, per cui ricevette dai fedeli frequenti e cospicue donazioni in favore del convento.

Diffusasi sempre più la fama delle sue virtù per tutta la regione, Bonifacio venne eletto vescovo di Aosta il 17 luglio 1219, allorché il vescovo Giacomo fu trasferito alla sede di Asti. Il buon uso che egli fece sempre delle rendite della diocesi e la fiducia che seppe ispirare nei suoi sudditi, sono attestati dal gran numero di donazioni in favore della mensa vescovile. Umile, amante dei poveri, scrupoloso nell'adempimento dei suoi doveri pastorali, premuroso della salute delle anime affidate alle sue cure, per ventiquattro anni Bonifacio governò la diocesi aostana, per la quale spese tutte le sue energie sino al giorno della morte, avvenuta il 25 apr. 1243. Sepolto dapprima nella chiesa di S. Orso, il suo corpo venne traslato quindi, nella chiesa cattedrale di Aosta, nella cappella di S. Antonio.

Venerato subito come beato, Bonifacio ricevette poi sempre culto pubblico, di cui restano varie testimonianze: dalla fondazione di una prebenda e di un altare in suo onore, effettuata il 1° apr. 1291 dal vescovo Nicola Bersatori. alla statua marmorea erettagli intorno al 1302, e infine alla triplice ricognizione dei suoi resti mortali: nel 1551, nel 1783 e nel 1817.

Nel 1885 il tribunale ecclesiastico, appositamente istituito in Aosta, decretò la perpetuità del culto attribuito ab immemorabili al beato Bonifacio, e la sentenza fu confermata dalla S. Congregazione dei Riti con un proprio atto, ratificato il 28 apr. 1890 da Leone XIII. La festa di B. si celebra il 26 aprile.

Iconografia. Il culto di Bonifacio inizia subito dopo la sua morte. Sepolto dapprima in S. Orso, secondo la pia consuetudine dei vescovi aostani, intorno al 1302 fu trasportato nella Cattedrale della città dove gli fu anche dedicato un altare con lampade votive sempre accese. Al periodo della traslazione risale, probabilmente, l'icona lapidea, opera di un mediocre artista locale del XIV sec., che lo rappresenta in paludamenti episcopali; al di sopra dell'icona si trova un tettuccio formato da una lastra di pietra sostenuta da due mensolette decorate, . dove il beato appare barbato.

Il culto di Bonifacio rimase costante attraverso i secoli, pur non ispirando particolari opere iconografiche. Nel 1468, nella chiesa di S. Vincenzo gli fu consacrato un altare e, nel 1783, le sue reliquie furono raccolte e poste in un'urna.

Nel 1817, infine, il vicario della diocesi d'Aosta fece deporre in una nicchia praticata nel muro l'urna delle reliquie, tuttora esposte alla pubblica venerazione.

 

Beato ACCARDO (vescovo)

27 APRILE

 

Abate di S Vittore, poi vescovo d'Avranches. Discendente da nobile famiglia normanna stabilitasi in Inghilterra al seguito di Guglielmo il Conquistatore nella spedizione del 1066, n nella prima metà del sec. XII, secondo alcuni nell'isola inglese, secondo altri in Normandia presso Domfront (Orne). M. il 29 marzo 1171.

Ricevuta la prima educazione tra i canonici regolari di Bridlington (diocesi di York) passò, per perfezionarsi negli studi, a Parigi. Quivi abbracciò la vita religiosa nella novelh abbazia di S. Vittore, dove l'esempio del celebre Ugo gli fu di sprone nello studio e nella virtù. Morto l'abate Gilduino (1155), gli successe quale secondo abate di S. Vittore. Nel 1157 ft eletto vescovo di Séez, ma Enrico Il d'Inghilterra si oppose alla sua consacrazione perché, z quanto riferisce s. Tommaso di Canterbury, il papa Adriano IV ne aveva favorito la scelta. Ne 1161, fu nominato vescovo di Avranches. Pio e benefico, per la sua amicizia col monarca inglese ottenne molti favori per la sua diocesi e per l'intera regione di Normandia. Fu sepolto nella chiesa dell'abbazia premostratense di La Lucerne, di cui era stato il principale benefattore e di cui aveva benedetto (1164) la prima pietra.

Nelle fonti ha il titolo di maestro (magister Achardus) e il suo epitaffio lo dice famosus doctor Achardus (PL 196, 1779). Ma i suoi scritti, non ancora del tutto individuati, sono rimasti inediti. L'abbazia di Maredsous si è assunta l'impresa dell'editio princeps, e fin dal 1899 ha raccolto i materiali necessari. In base a questi il Morin rileva il "suo genio sottile e insieme lucido, la sua ardita analisi dei misteri dell'essere umano, unita al misticismo vittorino, in un stile vivace, talora eloquente, molto più efficace dello stile scolastico dell'età posteriore", egli riconosce la paternità del trattato De discretione animae, spiritus et mentis, già falsamente attribuito ad Adamo di S. Vittore. Nel 193 5 lo ha pubblicato, secondo il cod Paris. Mazar, 100: (942), del sec. XIII, proveniente da S. Vittore. Importante è il suo trattato o sermone De abnegatione sui ipsius, detto anche, meno esattamente, De tentatione Domini in deserto, perché ha per assunto Matt. 4, 1. Fine dell'autore è di condurre l'anima alla perfezione attraverso i sette gradi dell'abnegazione evangelica, che la fanno entrare come in sette deserti. Spogliandosi così di se stessa e di tutte le cose, l'anima si unisce intimamente a Dio. L'opuscolo si dirige atutti, ma specialmente ai religiosi.

Nel Migne si hanno di Accardo solo due brevi Epistolae (PL 196, 13 81-82). Alcune sue opere sono perdute, come il De Trinitate, di cui qualche tratto è riportato nell'Eulogium a Alexandrum III di Giovanni di Cornovaglia (PL 199, 1054 sg.), e le Quaestiones de peccato citate nelle Allegoriae in Novum Testamentum attribuite ad Ugo di S. Vittore (ma posteriori).

Profondo teologo, campione della dottrina tradizionale, propugna il realismo dell'unione delle due nature in Cristo contro i nominalisti di tutte le tinte.

Erroneamente dal Vossio gli è stata attribuita la Vita B Gezzelini o Schetzelonis edita (Douai 1626) dal Raisse (cf. Acta SS. Augusti, 1, Venezia 1741, pp 172-73, 175-80) probabilmente è opera del suo omonimo e contemporaneo Accardo di Clairvaux.

 

Sant'ALDOBRANDO (vescovo)

30 APRILE

 

Aldobrando nacque presso Cesena verso il 1119. Compì i suoi studi nella collegiata di S. Maria in Porto a Ravenna e lì abbracciò la vita canonicale diventando sacerdote e anni dopo prevosto di Rimini. Franco e sincero, fu un prete senza peli sulla lingua e la freschezza della sua predicazione e la sua chiarezza nel denunciare i molti difetti della società del tempo, clero e religiosi compresi, gli valsero l'allontanamento dalla città. Aldobrando non si scompose né si crucciò. Uomo di vita austera e virtuosa, sollecito del bene del prossimo e della Chiesa, al punto di apparire di poco tatto, si ritirò nell'ombra dell'obbedienza e nella solitudine della preghiera.

Verso il 1169 venne eletto vescovo di Fossombrone dove, per quel che se ne sa, nessuno trovò nulla da ridirgli sulle sue parole, diventato oramai un saggio maestro di dottrina e uno zelante custode dell'integrità della fede. Morì quasi centenario, nel 1219.

 

Beato STANISLAO CASIMIRITANO (sacerdote)

5 MAGGIO

 

STANISLAO, detto Casimiritano dal Luogo di nascita (Casimiria, ora quartiere di Cracovia), nacque nel 1433 da Soltys Mattia e Edvige, ferventi cattolici, dai quali ricevette un'intensa educazione cristiana.

Frequentò dapprima la scuola parrocchiale del "Corpus Christi" in Casimiria, quindi conseguì la laurea in teologia all'università Jaghiellonica di Cracovia.

Nel 1456 entrò nella Prepositura dei Canonici Regolari Lateranensi del "Corpus Christi", dove pronunciò i voti religiosi. Ordinato sacerdote, fu nominato predicatore della medesima chiesa, lettore, maestro dei novizi e vice-priore della comunità.

Si dedicò con grande zelo ai compiti affidatigli, praticando uno stile di vita molto rigoroso e mortificato. Si distingueva per la devozione alla Passione di Cristo, alla Madonna, a S. Stanislao martire, suo patrono, e soprattutto all'Eucaristia, che costituiva la caratteristica eminente della sua spiritualità e che egli indicava instancabilmente nella sua predicazione come il centro della vita cristiana di ogni battezzato.

Molta gente accorreva a lui, attratta dal particolare carisma che egli esplicava nel ministero della Parola, della confessione e della direzione spirituale; anche i poveri e i malati potevano contare sulle sue generose premure.

La dottrina e la virtù con cui Stanislao servì e difese la Chiesa, in un periodo in cui si diffondevano gli errori di Wiclif e di Hus, arricchirono grandemente anche il suo Ordine, i Canonici Regolari Lateranensi, attraverso la solida formazione che diede ai novizi, ispirandosi fedelmente alla riforma canonicale di Roudnice del 1422.

Lasciò parecchi scritti di carattere spirituale; l'ultimo codice con le sue omelie, che si trovava nella biblioteca Nazionale di Varsavia, è andato purtroppo distrutto durante la seconda guerra mondiale. Il lavoro assiduo e la vita austera logorarono presto la sua salute: Stanislao morì a Casimiria il 3 maggio 1489, all'età di 56 anni.

Le sue spoglie furono sepolte nella chiesa del "Corpus Christi"; la fama di santità, che lo circondò durante la vita, si accrebbe dopo la sua morte in seguito alle numerose grazie ottenute presso la sua tomba. Tale fama, la cui espressione più evidente e genuina furono i pellegrinaggi alla sua tomba, le litanie e gli inni che il popolo compose spontaneamente in suo onore, indusse presto le autorità religiose a far trasferire la sua salma in un magnifico sarcofago posto sopra la mensa di un altare.

Già nelle prime biografie apparve, accanto al suo nome, il titolo di "Beato". Gli abitanti di Casimiria lo considerano loro patrono. L'influsso spirituale di Stanislao nella storia della Polonia si situa in quel periodo aureo che è chiamato il "felix saeculum" - di Cracovia, dove vivevano altri grandi suoi contemporanei, come S. Giovanni Canzio, il B. Isaia Boner, il B. Simone di Lipnica, il B. Michele Giedrojc e il B. Sventoslao di Slawkovo.

All'approvazione del culto del beato Stanislao Casimiritano si è cominciato a pensare solo dal XVIII secolo, ma le circostanze storiche ostacolarono i tentativi intrapresi e la Causa fu avviata formalmente in tempi recenti, nel 1971, dietro l'incoraggiamento dell'allora arcivescovo di Cracovia, Cardinale Wojtyla. Introdotta a Roma nel 1988 si è conclusa il 21 dicembre 1992 con la lettura del Decreto sulla eroicità delle virtù ed il culto "ab immemorabili".

 

Beata MARIA CATERINA di S. AGOSTINO (vergine)

8 MAGGIO

 

Longpré, Caterina De (Maria Caterina di S. Agostino). Nacque in Francia a Saint-Sauveurle-Vicomte (Dipart. della Manche) il 3 magg. 1632. Fu religiosa professa delle Ospedaliere della Misericordia dell'Ordine di S. Agostino, fu invitata nel loro monastero di Québec (Canada): qui visse, morì l'8 maggio 1668 e fu sepolta. Il 29 nov. 1978 i consultori hanno dato parere favorevole alla "Positio historica super introductione causae et virtutibus" della serva di Dio.

Nata da due famiglie nobili del Cotentin, Maria Caterina di Sant'Agostino venne alla luce e fu battezzata il 3 maggio 1632 a Saint-Suveur-le-Vicomte, diocesi di Coutances, nell'attuale Dipartimento della Manica, in Francia. Il Padre, Giacomo Simone de Longpré, era avvocato, e la madre, Francesca Jourdan de Launay, figlia di un inquisitore di giustizia.

A due anni circa, la bambina fu affidata ai nonni materni che si incaricarono della sua educazione. Ben presto fu iniziata all'esercizio della carità, perché i Jourdan avevano nella loro abitazione una specie di ospedale dove ricevevano e curavano i poveri e i malati. A contatto con i sacerdoti e i religiosi che frequentavano la casa si aprì, ancora molto giovane, alla pratica della virtù. Già a tre anni e mezzo, Caterina desiderava con tutto il cuore di fare la volontà di Dio ed era disposta anche a soffrire per arrivarci.

La famiglia patema della Beata era in rapporti molto stretti con San Giovanni Eudes che esercitò un influsso notevole su di lei fin dalla più tenera infanzia.

Questa bambina precoce si confessò per la prima volta a quattro anni, e ricevette la prima Comunione a otto anni. A dieci anni si consacrava alla Beata Vergine; l'anno seguente, forse dietro consiglio di San Giovanni Eudes, faceva tre voti: prendere la Beata Vergome come Madre; non commettere mai un peccato mortale; vivere in castità perpetua.

Caterina era attirata dalla vita religiosa. Incoraggiata da S. Giovanni Eudes, entrò come postulante nell'ospedale "Hótel-Dieu" di Bayeux il 7 ottobre 1644. Aveva dodici anni e mezzo. Due più tardi prese l'abito e fu ammessa al noviziato dove "visse nel fervore e nello zelo che ci aspetterebbe da un'età più avanzata".

Al noviziato, Maria Caterina concepì il desiderio di "andare in Canada", dove alcune Agostiniane ospedaliere della Misericordia di Gesù avevano, nel 1639, fondato l'ospedale "Hótel-Dieu" di Québec. Queste, naturalmente, domandavano forze giovani. Caterina subito si offrì volontaria. Non aveva ancora sedici anni. Si tentò di dissuaderla. Suo padre si oppose al suo disegno. Fece voto "di vivere e morire in Canada, se Dio gliene avesse aperto la porta". Finalmente tutti si arresero alle sue ragioni.

Così Caterina potè fare la professione religiosa a Nantes il 4 maggio 1648, in previsione dell'imbarco che ebbe luogo a La Rochelle il 27 maggio. Il 19 agosto 1648 arrivava a Québec.

Madre Maria Caterina di Sant'Agostino presto si rivelò di un grande aiuto alla comunità: a ventidue anni fu eletta una prima volta depositaria (amministratrice del monastero e dell'ospedale) e più tardi ospedaliera (direttrice dell'ospedale), discreta (consigliera della superiora) e maestra delle novizie. Durante il primo triennato come depositaria, diresse la costruzione del nuovo ospedale.

Intanto questa giovane suora così attiva era "quasi sempre malata". Secondo la Beata Maria dell'Incarnazione, orsolina di Québec, ebbe "la febbre per più di otto anni senza andare a letto, senza lamentarsi, senza omettere di fare l'obbedienza, senza perdere gli esercizi, sia del coro, sia del suo ufficio, sia della comunità". Non soltanto non si lamentava, ma era di un'accoglienza così amabile e di una sì grande dolcezza che tutti ne rimanevano incantati.

La discrezione di Maria Caterina ingannò anche le sue consorelle sulle sue disposizioni interiori. Si pensò, durante la sua vita, che si comportava semplicemente come una buona religiosa, perché al di fuori del direttore spirituale e del Vescovo, nessuno sapeva cosa accadeva in lei. Le ricchezze della sua vita interiore e le meraviglie che lo Spirito Santo aveva operate nella sua anima non furono rilevate che dopo la sua morte. Fu allora che si scoprì quale grande mistica era stata la Madre Maria Caterina di Sant'Agostino.

Si narrano a suo riguardo delle "cose straordinarie": visioni, rivelazioni, lotte continue contro i demoni. Il Beato Francesco di Laval, suo Vescovo, e la Beata Maria dell'Incarnazione fecero attenzione, a dire il vero, più alle sue solide virtù "che ai miracoli e ai prodigi". Maria dell'Incarnazione, dal canto suo, riteneva che "le grazie che Dio le aveva fatte erano fondate su tre virtù, che sono l'umiltà, la carità e la pazienza".

Queste tre virtù, che sono alla base della sua santità e che ne danno la chiave, Maria Caterina le praticava a un grado veramente eroico a partire dal 1663, anno in cui il Signore le assegnò la sua missione personale al Canada: essere "la vittima per i peccati altrui". Mai, infatti, ella ha sofferto tanto, in particolar modo dalla parte dei demoni che non le concedevano alcun riposo, torturandola moralmente, picchiandola anche ripetutamente. Tuttavia, "mai sazia di sofferenze", l'umile ospedaliera desiderava immolarsi sempre di più per la salvezza delle anime e per il bene spirituale del suo paese di adozione.

Questo terribile martirio, Maria Caterina lo affrontò con una fedeltà senza cedimenti alla volontà di Dio. Consumata dalla tisi, morì l'8 maggio 1668, all'età di 36 anni.

Il Beato Francesco di Laval, per cui Maria Caterina di Sant'Agostino era "l'anima più santa ch'egli avesse conosciuto", aveva "una fiducia del tutto speciale", nel suo potere, "perché se ci ha soccorso così efficacemente durante il tempo in cui è stata con noi, cosa non farà ora che conosce più chiaramente le necessità del pastore che delle pecore?"

Malgrado la straordinaria fama di santità che circondò la Beata subito dopo la morte, soprattutto con le testimonianze della Beata Maria dell'Incarnazione, orsolina, e del Beato Francesco di Montmorency-Laval, vescovo di Québec, bisognò attendere 255 anni - a causa dei rivolgimenti politici e religiosi che conobbe il Canada nel corso dei secoli XVIII e XIX - per poter cominciare il processo di beatificazione nel Québec e il Processo rogatoriale di Bayeaux, furono aperti ufficialmente nel 1928. Dopo l'istituzione in seno alla Congregazione dei Riti della Sezione storica per lo studio delle cause antiche basate unicamente su documenti scritti, la Causa di Maria Caterina fu affidata a questa Sezione nel giugno del 1930. Dopo il conseguimento del Decreto sugli scritti nel 1970, e una diligente preparazione, al termine di molti anni di lavoro, della Posizione storica della Causa, si arrivò nel 1980 all'introduzione canonica della medesima. Le virtù eroiche di Maria Caterina furono proclamate l'8 giugno 1984, e il 28 novembre 1988 si approvò il miracolo presentato per la Beatificazione. Oggi, proclamandola solennemente Beata, Sua Santità Giovanni Paolo Il annovera Maria Caterina di Sant'Agostino nel numero dei gloriosi "fondatori della Chiesa del Canada".

 

Sant'UBALDO (vescovo)

16 MAGGIO

 

Appartenente a nobile famiglia oriunda della Germania, Ubaldo nacque a Gubbio tra il 1084 ed il 1085, figlio di Rovaldo di Pace di Baldassino (donde il casato Baldassini assunto poi dalla famiglia) e di Giuliana, come sembra si chiamasse la madre, che ebbe appena il tempo d'inculcare nell'animo del fanciullo i primi sentimenti di bontà ed istradarlo nella via della virtù, di cui fu poi sempre adorno.

Rimasto infatti ben presto orfano di entrambi i genitori, Ubaldo fu allevato da un omonimo zio, che curò in sommo grado l'educazione religiosa ed intellettuale del giovane nipote, affidandolo dapprima alla scuola della Collegiata di S. Secondo ed inviandolo quindi a completare i suoi studi nel collegio di S. Maria a Mare nella non lontana città di Fano. Tornato a Gubbio, entrò nella Canonica di S. Mariano per compiervi gli studi ecclesiastici, ma non avendovi trovato l'ambiente spirituale che si aspettava, né esempi di edificazione tra le persone con le quali doveva convivere, Ubaldo, desideroso di vera perfezione, avrebbe voluto ritirarsi in qualche eremo, ma dovette incontrare forse l'opposizione dello zio, per cui non gli rimase altro che ritornare tra i buoni canonici di San Secondo, dove trascorse alcuni anni d'intenso studio e di raccolta preghiera, confermandosi vieppiù nella sua risoluzione di votarsi interamente a Dio.

Di lì fu tratto nel 1104 dal nuovo vescovo di Gubbio, Giovanni di Lodi, che lo volle suo collaboratore nell'opera di riforma della disciplina ecclesiastica a cominciare proprio dalla canonica della Cattedrale. alla cui realizzazione Ubaldo proseguì anche dopo la morte. nel 1105 , del santo vescovo, soprattutto con l'esempio della sua condotta di vita.

Ordinato sacerdote nel 1114, qualche anno più tardi Ubaldo veniva eletto priore della sua canonica, di cui riformò la disciplina ed il costume con la regola Portuense, che egli stesso apprese direttamente a S. Maria di Porto presso Ravenna (1119), riuscendo finalmente, tra il 1120 ed il 1122 a fare di S. Mariano un centro di virtù da additare quale esempio dovunque, come risulta dalle parole del biografo Giordano, il quale dice che essa prese a risplendere anche nei dintorni, quasi una nuova Avellana .

Rimaste distrutte da un violento incendio nel 1126 la canonica e la cattedrale di Gubbio, grande fu lo sconforto di Ubaldo che meditò persino di ritirarsi nell'eremo di Fonte Avellana, incontrando tuttavia l'opposizione del priore Pietro da Rimini che lo esortò invece a ritornare a Gubbio a farvi opera di ricostruzione, di cui infatti si fece artefice instancabile ed appassionato. La fama del nome e delle virtù di Ubaldo si andava frattanto diffondendo al di fuori della sua città, tanto che Perugia rimasta senza pastore nel 1126, acclamò suo vescovo l'umile priore di S. Mariano, che, schivo di tanto onore, si portò subito a Roma per chiedere al papa Onorio Il di essere esonerato da sì gravoso incarico, ottenendone grazia.

Ma. quando morì Stefano, vescovo di Gubbio, tra la fine del 1128 ed il principio del 1129, non poté egli esimersi dall'accettare il vescovato eugubino, a cui venne designato dallo stesso Onorio Il, che questa volta si mostrò sordo ad ogni protesta di Ubaldo, al quale volle conferire egli stesso la consacrazione episcopale.

Il vescovo Ubaldo governò la diocesi di Gubbio per trentuno anni, durante i quali affrontò sempre con ardore le fatiche del suo ministero pastorale, superando felicemente avversità ed ostacoli, e riuscendo a piegare con la dolcezza i suoi nemici e ad ammansire gli avversari con l'abituale mitezza del suo animo.

Amatissimo della patria, Ubaldo volle essere non soltanto il padre spirituale dei suoi fedeli, ma anche il protettore materiale dei suoi concittadini, adoperandosi in ogni momento con tutte le forze ad addolcire le relazioni dei sudditi con gli altezzosi feudatari, a sedare contese civili, a placare odi domestici, a risolvere attriti con città rivali. Risolutivo fu infatti il suo intervento in occasione dell'elezione dei consoli durante le furibonde lotte di parte, tra il 1135 ed il 1140, per la costituzione del Comune; come determinanti furono il suo consiglio e la sua azione nella vittoria conseguita dagli eugubini sugli undici collegati (tra città e feudatari) che, capeggiati dai perugini, avevano posto l'assedio a Gubbio nel 115 3; così pure fu suo merito l'aver salvato la città dall'estrema rovina intervenendo efficacemente, nell'agosto del 1155, presso Federico Barbarossa, il quale, dopo aver messo a ferro e fuoco Spoleto, istigato dai fuoriusciti eugubini, intendeva fare altrettanto con Gubbio, che fu risparmiata solo per intercessione del suo santo vescovo.

Dopo un lungo ministero pastorale, esercitato con vivo amore paterno e con ardente zelo apostolico, il vecchio vescovo di Gubbio veniva chiamato da Dio, all'alba del 16 magg. 1160, lunedì di Pentecoste, a ricevere il premio della sua immensa carità. Sepolte dapprima "iuxta corpora sanctorum Mariani et Iacobi" nella cattedrale, di cui divenne subito contitolare, le spoglie di s. Ubaldo furono traslate, l'11 sett. 1194, al fine di salvaguardarle da un'eventuale sottrazione o dispersione, in una chiesetta sul monte Ingino, dove sono tuttora venerate incorrotte.

Gli storici contemporanei e quelli più vicini al santo narrano diffusamente dei fatti portentosi operati da lui in vita e persino sul letto di morte, e come la sua tomba divenne subito una fonte prodigiosa di grazie, sicché immediata fu l'acclamazione della santità di Ubaldo da parte del popolo riconoscente e ammirato, che lo scelse anche a suo celeste protettore, al tempo stesso in cui il culto del vescovo taumaturgo s'andava estendendo nelle terre vicine, sino ad ottenere, a soli trentadue anni dal suo pio transito, la sanzione ufficiale della Chiesa; provvide infatti Celestino 111 ad iscrivere Ubaldo nel catalogo dei santi, con Bolla del 5 marzo 1192, il cui originale è conservato nell'archivio comunale di Gubbio (cf P. Cenci, Codice diplomatico di Gubbio dal 900 al 1200, in Archivio per la storia ecclesiastica dell'Umbria, Il [1915], pp. 459-60), ed a proposito della quale è interessante rilevare com'essa sia la prima Bolla di canonizzazione in cui un papa si appella all'autorità dei coapostoli Pietro e Paolo (cf A.P. Frutaz, Auctoritate... beatorum apostolorum Petri et Pauli; saggio sulle formule di canonizzazione, in Antonianum, XLII [1967], pp. 468-69).

Invocato contro l'idrofobia, contro gli spiriti immondi e "contra omnes diabolicas riequitias", s. Ubaldo viene festeggiato il 16 maggio mentre la traslazione è ricordata l'11 settembre.

In onore del patrono s. Ubaldo si celebra ogni anno a Gubbio, il 15 magg. la famosa "festa dei ceri", durante la quale si svolge la corsa dei ceri, a ricordo della miracolosa vittoria riportata dagli eugubini sulle undici città confederate per merito del suo santo vescovo (cf P. Cenci, I ceri di Gubbio e la loro storia, 2a ed., Città di Castello 1908).

 

Sant'IVO (o IVONE) (vescovo)

21 MAGGIO

 

IVO nacque verso il 1040 a Beauvais (Rouen) da famiglia agiata che gli dette i primi insegnamenti letterari proseguiti poi a Parigi. In seguito studiò teologia all'abbazia di Le Bec in Normandia dove ebbe per maestro Lanfranco e per condiscepolo Anselmo di Aosta. Nominato canonico di Nesles in Piccardia, Ivo fu presto richiamato a Beauvais dal vescovo della città Guido che lo nominò prevosto del monastero dei Canonici Regolari di st Quentin appena fondato: Ivo vi rimase dal 1078 al 1090.

Poiché il vescovo di Chartres, Goffredo, era stato obbligato a lasciare la sua sede sotto l'accusa di simonia, ed il popolo elessero Ivo come loro nuovo vescovo, naturalmente con il "placet" di papa Urbano Il. Tuttavia non fu facile consacrarlo. Infatti se il re Filippo I gli consegnò il pastorale, il vescovo metropolitano Richer di Sens non lo volle consacrare perché non era stato consultato nel processo romano del suo suffraganeo. Ivo decise allora di andare dal papa, ma Urbano II per evitare le soldatesche di Enrico IV era dovuto fuggire da Roma e si era rifugiato a Capua dove però alla fine del 1090 finalmente consacrò Ivo vescovo. Le difficoltà non finirono. All'inizio del 1092 re Filippo 1 contrasse un matrimonio adulterino con Bertranda di Montfort e Ivo protestò provocando le ire del re che lo fece imprigionare per molti mesi. Alla sua liberazione il vescovo continuò a protestare; andò persino a Roma per evitare anche l'elezione a vescovi di alcuni partigiani di Filippo, scomunicato nel 1095. Partecipò al concilio di Clermont del 1095 dove il papa Urbano Il predicò la prima crociata e a quello di Poitiers del 1100 presieduto dal legato di Pasquale Il successore di Urbano. Ivo continuò a lottare contro lo scandalo reale e le nomine fatte da Filippo finché nel 1104 lo stesso Filippo si separò da Bertranda, rientrando così nella comunione della Chiesa.

Nella sua lotta poi per il trionfo delle idee riformatrici anche il suo clero fu per lui fonte di dispiaceri; entrò in conflitto con il suo capitolo che era appoggiato dal re Luigi VI detto il Grosso, successore di Filippo I. Solo nel 1114 una Bolla papale gli dette ragione. Il 23 dicembre I 116 Ivo morì logorato dal male e dall'intensa attività pastorale. Fu subito considerato santo. Scrisse tre collezioni di carattere giuridico: la "Tripartita", il "Decretum" (lunga raccolta di decreti pontifici e conciliari) e la "Panormia" (complesso delle nonne del governo ecclesiastico). Inoltre compose ventiquattro "Sennoni" e di lui ci restano ben trecento lettere che rivelano la sua densa attività di vescovo a Chartres.

 

San GREGORIO VII (papa)

25 Maggio

 

La sua vocazione era la vita monastica. Indossava la cocolla benedettina anche sul soglio pontificio. Ildebrando di Soana, toscano, nato verso il 1028, pare abbia iniziato la vita monastica a Cluny. Dopo aver collaborato con i papi S. Leone IX, che lo nominò abate di S. Paolo, e Alessandro II, venne proclamato papa a furor di popolo. Era il 22 aprile del 1073. Otto giorni dopo i cardinali ratificarono l'elezione, che egli accettò con "molto suo dolore e gemito e pianto". Divenuto papa col nome di Gregorio VII, attuò con molto coraggio il programma di riforme, che egli stesso aveva caldeggiato come collaboratore dei suoi predecessori: lotta contro la simonia e l'ingerenza del potere civile nelle nomine dei vescovi, degli abati e degli stessi pontefici, restaurazione d'una severa disciplina per il celibato. Si ebbero violente resistenze anche da parte del clero.

Al concilio di Magonza i chierici gridarono: "Se al papa non bastano gli uomini per governare le Chiese locali, cerchi di procurarsi degli angeli!". Il papa confidava le sue pene ad amici con lettere che rivelano il suo animo sensibile, soggetto a profondi sconforti, ma sempre pronto alla voce del dovere: "Mi circondano un dolore immane e una tristezza universale, - scriveva nel gennaio del 1075 all'amico S. Ugo, abate di Cluny- perché la Chiesa orientale defeziona dalla fede; e se guardo dalle parti di occidente, o del mezzogiorno, o di settentrione, a stento io trovo vescovi legittimi per l'elezione e per la vita, che reggano il popolo cristiano per l'amore di Cristo, non per ambizione secolare". L'anno dopo prese il via il duro scontro con l'imperatore Enrico IV, che s'umiliò a Canossa ma, subito dopo, riprese le redini dell'impero, si vendicò facendo eleggere un antipapa e marciando su Roma. Gregorio VII, abbandonato dagli stessi cardinali, si rifugiò in Castel S. Angelo, dove venne a liberarlo il duca normanno Roberto il Guiscardo. Il papa si recò poi in volontario esilio a Salerno, e qui morì l'anno dopo, pronunciando la nota frase: "Ho amato la giustizia e ho odiato l'iniquità ... ". Era il 5 maggio 1085.

Il suo corpo venne sepolto nella cattedrale di Salerno. Fu canonizzato nel 1606. Abituati a vedere in questo papa il lottatore impegnato in un braccio di ferro con l'irrequieto imperatore, non dobbiamo dimenticare l'umile servo della sposa di Cristo, la Chiesa, per il cui decoro egli lavorò e sofferse affinché "permanesse libera, casta e cattolica". Sono le ultime parole della lettera che egli scrisse dall'esilio salernitano per invitare i fedeli a "soccorrere la madre", la Chiesa.

 

Santa BONA (vergine)

29 MAGGIO

 

Nacque a Pisa verso il 1156. Rimasta orfana del padre, Bernardo, crebbe con la madre Berta, di origine corsa. A sette anni, Bona, passando davanti alla chiesa del S. Sepolcro, fu benedetta dal Crocifisso. Un'altra volta, nella stessa chiesa, le apparve Gesù, insieme con la Vergine, le due Marie e s. Giacomo (che in seguito l'avrebbe confortata con frequenti visioni), e, soffiando sopra di lei, disse: "Ricevi lo Spirito Santo".

In seguito a una visione, Bona fece un pellegrinaggio a Gerusalemme, dove già si trovavano tre suoi fratelli, uno dei quali patriarca della città. Nel viaggio di ritorno, intrapreso per consiglio di un eremita, s'imbatté nei saraceni, dai quali fu sottoposta a vessazioni angherie e perfino imprigionata. Si recò nove volte a S. Giacomo di Compostella e molte altre fu a Roma, sulla tomba di s Pietro, sebbene fosse di salute molto delicata.

Bona fu dotata di celesti favori, quali il dono della profezia e il potere di leggere nei cuori; operò, inoltre, numerosi miracoli e conversioni. Morì il 29 magg. 1207 e fu sepolta nella chiesa di S. Martino a Pisa, dove il suo corpo è tuttora venerato. Bisogna però osservare che la sua Vita, edita dai Bollandisti, sebbene non sembri molto tardiva, non può essere accettata senza riserve.

 

San NORBERTO (vescovo)

6 GIUGNO

 

Norberto, nato a Xanten (Germania) dalla nobile famiglia dei Gennep, verso il 1080, com'era destino per ogni cadetto della nobiltà, avrebbe dovuto intraprendere la carriera militare o ecclesiastica. Norberto scelse la seconda via, non per vocazione ma per semplice opportunità. Ordinato suddiacono poté infatti godere di molti privilegi al seguito del grande elettore di Colonia e dell'imperatore Enrico V, che lo predestinò a una importante sede episcopale. Ma Dio aveva ben altri disegni. Durante una cavalcata nel bosco, sorpreso da un violento uragano, Norberto venne sbalzato di sella da un lampo accecante e come Saulo sulla via di Damasco ripeté la domanda: " Signore, che vuoi che io faccia?".

La risposta che determinò una radicale svolta nella sua vita poco edificante fu: " Abbandona la via del male e fai del bene". Quell'episodio fu l'inizio della sua conversione. Disertò i ritrovi mondani e si mise alla scuola dell'abate benedettino di Siegburg e dei canonici di Klosterrath, poi segui l'esempio dell'eremita Liudolfo trascorrendo tre anni in penitenza e in preghiera. Nel 1115 fu ordinato sacerdote dall'arcivescovo di Colonia e iniziò la sua attività missionaria itinerante.

Volle dare l'esempio spogliandosi di tutto e distribuendo ogni avere ai poveri. Per sé tenne una mula e dieci monete d'argento, di cui si privò ben presto per proseguire a piedi scalzi le sue peregrinazioni. In Francia, nei pressi di Nimes, incontro papa Callisto Il e fu incoraggiato a proseguire per la strada intrapresa. Il vescovo di Laon, per trattenerlo nella sua diocesi, gli propose di mettersi alla guida dei Canonici regolari posti sotto la regola di S. Agostino, ai quali era stato assegnato il convento di Praemonstratum (Prémontré). Nasceva cosi l'Ordine dei premostratensi. Intanto Norberto aveva ripreso la sua attività di predicatore ambulante di quella città, quando a voce di popolo venne scelto a succedergli.

Fu un vescovo scomodo per molti. Tenace, buon organizzatore, ma negato ai compromessi, raccolse applausi e inimicizie.

L'imperatore Lotario lo nominò cancelliere dell'impero per l'Italia e papa Innocenzo Il estese la sua giurisdizione alla Polonia. Ma Norberto non dimenticò la regola monastica della povertà e dell'esercizio dell'apostolato tra l'umile gente di campagna, e visse integralmente l'ideale di vita attiva e contemplativa dei premostratensi anche nel fulgore delle alte cariche. Mori a Magdeburgo, di ritorno da una missione di pace in Italia, il 6 giugno 1134. Fu canonizzato nel 1582. S. Norberto è patrono della Boemia.

 

San BERNARDO (sacerdote)

15 GIUGNO

 

Bernardo, arcidiacono di Aosta (di Mentone o di Mont-Joux), Santo. Secondo la più antica biografia del santo, contenuta in un panegirico i cui manoscritti più antichi risalgono al sec. XII-XIII, nacque da nobile famiglia valdostana agli inizi del sec. XI. Entrato fra il clero della città, divenne arcidiacono del capitolo della cattedrale. Il suo zelo apostolico lo condusse a predicare non soltanto nella sua diocesi, ma fino a Novara e Pavia. Qui si incontrò con Enrico IV che allestiva una spedizione contro Gregorio VII e aiuti per l'antipapa Gilberto di Ravenna. Ritornato a Novara vi morì il 12 giugno 1081 e fu sepolto tre giorni dopo nella basilica di S. Lorenzo.

Bernardo è molto più conosciuto come fondatore dell'ospizio del Gran S. Bernardo, opera non ricordata nel panegirico, ma attribuitagli dalla tradizione successiva. Più che fondatore in senso stretto, però, Bernardo sarebbe stato il restauratore di un vecchio convento già esistente fin dal sec. VIII e distrutto dai Saraceni nel sec. X. La regina Ermengarda di Borgogna, signora del luogo, lo donò a Bernardo che edificò poco distante, proprio sul valico alpino, un ospizio cui assegnò le entrate del vecchio convento. L'opera si dimostrò molto utile, ed i pellegrini che attraversavano le Alpi ne trassero grandi vantaggi. I chierici che abitavano l'ospizio seguivano forse all'inizio le norme del Capitolo di Aosta, ma dal 1222 divennero canonici regolari sotto la regola di s. Agostino. A Bernardo è attribuita anche la fondazione dell'ospizio sul Piccolo S. Bernardo, ma ciò è meno sicuro.

Subito dopo la morte Bernardo fu venerato dai fedeli. Agli inizi del sec. XII, forse ad opera del vescovo di Novara, Riccardo (1123), ebbe luogo la "elevazione" del suo corpo, atto che equivaleva alla canonizzazione vescovile. In quell'occasione le reliquie di Bernardo furono poste in un altare dove rimasero fino al 1552, anno della distruzione della chiesa, dopo il quale furono trasferite nella cattedrale di Novara. Nel 1681 Bernardo fu solennemente canonizzato ed il suo culto si estese nella Valle d'Aosta, nel Piemonte, in Lombardia, nel Vallese e nella Savoia.

Nel 1923 Pio XI lo proclamò patrono degli alpinisti. Nel Martirologio Romano la sua festa è indicata il 15 giugno.

Iconografia. Nel territorio di Aosta, presso il valico che dal santo prende il nome, sorsero su antiche i due ospizi: il Gran S. Bernardo, edificato sulle Alpi Pennine nel luogo che il paganesimo aveva consacrato a Giove (Pennino) e che, fornito di mansiones per i valicanti, acquistò nel sec. XI grande importanza ad opera del santo; e il rifugio del Piccolo S. Bernardo sulle Alpi Graie, in luogo anch'esso anticamente sacro a Giove, per una colonna erettavi in suo onore, da cui la denominazione Mons columnae Iovis. Quivi, nel V sec., era sorta una chiesa dedicata a s. Gennaro d'Auxerre, e quindi l'ospizio che si ritiene fondato da Bernardo.

Rare e non anteriori al sec. XV, sono le raffigurazioni del santo; tutte, però, pongono in grande rilievo i suoi più comuni attributi. Il più frequente è la croce in forma di "alpenstock" che ricorda ai fedeli la protezione esercitata dal santo su tutti i viandanti della montagna.

Assai comuni sono anche la torre con una sola finestra, che rievoca la fuga di Bernardo dalla torre in cui era stato rinchiuso dal fratello, e il demonio incatenato, posto a simboleggiare la sua vittoria sui malvagi spiriti delle cime alpine. Fra gli attributi più recenti figurano una piccozza, un paio di sci e uno dei cani che del santo appunto presero il nome e che vengono ancor oggi addestrati nei due ospizi alpini. Fra le immagini più significative di Bernardo sono, nel XV sec., una vetrata della Certosa di Pavia (1477) e un riquadro delle vetrate, oggi purtroppo andate distrutte, della Cattedrale di S. Giovanni a Lione. Assai più indicative, dal punto di vista iconografico sono alcune più tarde opere come la tela di Marcello Venusti (già attr. a Sebastiano del Piombo) in cui Bernardo in abito bianco e pastorale, calpesta il demonio vinto ai suoi piedi, e il dipinto di Gaudenzio Ferrari nel Seminario di Aosta; notevoli, per la chiarezza con cui descrivono alcuni episodi della vita del santo e pongono in evidenza i suoi attributi, sono un affresco a Villafranca Sabauda in cui Bernardo placa un drago a quattro teste e un pannello del Museo di Troyes, illustrante la carità di Bernardo: egli è, infatti, rappresentato nell'atto di ricevere da un angelo il mantello già donato ad un povero (sec. XVI).

 

Beata MARIA LHUILIER (vergine e martire)

25 GIUGNO

 

Accolta fra le Canonichesse Regolari di Sant'Agostino della Congregazione delle Ospedaliere della Misericordia di Gesù, svolse per tutta la sua vita il servizio di conversa, coltivando intensamente tutte le virtù religiose. Durante la rivoluzione francese, avendo rifiutato il giuramento civile, venne accusata e incarcerata. Per la sua fedeltà alla Chiesa fu decapitata nel 1794. L'inizio del 1794 segnò a Laval e in tutta la Mayenne una recrudescenza della persecuzione religiosa, che, sotto forme diverse, si era sviluppata per parecchi anni in quella provincia, come in tutta la Francia. Le disposizioni vessatorie prese fino a quel momento contro i preti, i religiosi ed i fedeli, assunsero gli aspetti di una feroce repressione. Quattordici sacerdoti comparvero dinanzi alla commissione rivoluzionaria del distretto. Essi erano: Giovanni Battista Turpin du Connier (1732-1794), parroco della Trinità a Laval e decano rurale di quella città; Giovanni Maria Gallot (1747-1794), vice parroco della Trinità e cappellano delle Benedettine; Giuseppe Pellé (1720-1794), direttore e cappellano della comunità delle Clarisse; Renato Ambroise, della stessa età del precedente, prete della Trinità; Francesco Duchesne (173 6-1794), prete semi-prebendato e diacono d'ufficio alla collegiata di S. Michele a Laval; Giuliano Morin de la Girardière (1733-1794) che esercitava il suo ministero a St-Martin (Mayenne), Giovanni Triquerie (1737-1794) dell'Ordine dei Conventuali; Giacomo André (1743 -1794). curato di Rouessé-Vassé e decano rurale di Sillé-le-Guillaume; Andrea Duliou (1727-1794), parroco di Saint-Fort; Luigi Gastineau (1727-1794), cappellano dei fabbri di PortBrillet; Francesco Migoret-Lamberdière (1728-1794), parroco di Rennesen-Grenouilles; Giuliano Moulé (1716-1794), parroco di Saulges; Agostino Philippot (1716-1794), parroco di Bazouge-desAlleux (Mayenne); Pietro Thomas (1729-1794), cappellano dell'ospedale di Cháteau-Gontier, tutti ben noti per la loro esemplare vita sacerdotale.

Il processo ebbe inizio il 21 gennaio alle ore otto e trenta del mattino, dinanzi a una commissione rivoluzionaria istituita dai rappresentanti del popolo Bissy e Bourbotte. Legalmente, tale commissione non era qualificata per istruire il processo; essa si preoccupava tanto poco della legalità che, insediata per un mese, continuò a funzionare fino al primo aprile. A quella data essa aveva mandato al patibolo trecento cinquantanove uomini e cento due donne nel numero dei quali erano ventidue preti, un seminarista e tre religiose.

I dibattiti si svolsero nella massima confusione tutti i giudici interrogavano insieme gli accusati e litigavano per decidere a chi dovevano porre le domande; gli accusati non avevano il permesso di spiegarsi e, più volte, fu loro ordinato di rispondere soltanto con un si o con un no. D'altra parte ai giudici importavano poco le ragioni per le quali tutti quegli ecclesiastici erano stati arrestati, l'opposizione cioè alle leggi della repubblica; essi avevano invece come scopo principale - tutti i testimoni sono d'accordo su questo punto - di provocare l'apostasia dei sacerdoti che avevano fatto arrestare. Si proponeva loro di rinunciare alla religione cattolica e, a tal prezzo, era loro assicurata l'impunità. Tutti, unanimemente, rifiutarono di piegarsi a questo ricatto, per cui la commissione li condannò a morte.

I quattordici confessori della fede risposero al verdetto dicendo, a voce sufficientemente alta per essere intesi: Deo gratias. Erano le undici del mattino. I condannati furono immediatamente condotti sul luogo del supplizio e morirono in pace e in letizia. Salendo per ultimo sul patibolo, Turpin du Cormier recitava il Te Deum. I testimoni lo videro, prima di venire legato, baciare rispettosamente il tavolato cosparso del sangue dei suoi confratelli. Prima di mezzogiorno, tutto era compiuto. I corpi dei quattordici sacerdoti vennero gettati su due carrette e portati nelle lande della Croix-Bataille.

Il gruppo dei martiri di Laval comprende, inoltre, un altro prete, Giacomo Burin (1756-1794), curato di S. Martino di Connée, che fu ucciso dai soldati il 17 ott. dello stesso anno a causa dell'apostolato clandestino cui si dedicava; una pia donna, Francesca Mézière, maestra nella parrocchia di St-Léger, giustiziata a Laval nel febbraio, e tre suore: due appartenenti alla congregazione della Carità della Chapelle-au-Riboul (oggi Notre Dame d'Evron), Francesca Treliet e Giovanna Véron e una agostiniana dell'ospedale di S. Giuliano di Cháteau-Gontier, le due prime ghigliottinate il 13 marzo e la terza il 25 giugno 1794.

Subito dopo che questi confessori della fede ebbero reso le loro anime a Dio, si cominciò ad invocarli. Anche durante la Rivoluzione, di nascosto, si andava a pregare sulla loro tomba alla Croix-Bataille. Sotto il consolato, le adunate di popolo alle lande furono tanto frequenti e importanti che le autorità civili se ne preoccuparono vivamente. Con la restaurazione gli omaggi divennero pubblici.

Sulla base del monumento, elevato nel 1816 a perpetuare la memoria della grande missione predicata in quell'anno a Laval, venne incisa la seguente iscrizione: "In mezzo a questa piazza, il 21 gennaio 1794, quattordici sacerdoti, i cui nomi stanno sul libro della vita, dovendo scegliere tra il giuramento e la morte, sigillarono con il sangue la purezza della loro fede e, secondo le parole di uno di loro, dopo aver insegnato al popolo a ben vivere, gli insegnarono a ben morire".

Fu inoltre effettuata la traslazione dei resti dei martiri e fu data loro degna sepoltura. Nel 1839 infine, ebbe inizio l'inchiesta canonica che si concluse nel 1841. Per evitare, tuttavia, il riaccendersi degli odi ancora mal sopiti a Laval - come nel resto della Francia - si attese per proseguire la procedura: si preferì lasciare che il tempo sopisse i toppo penosi ricordi. L'onore di intraprendere i passi- definitivi presso la Santa Sede per la beatificazione dei servi di Dio doveva spettare a mons. Grellier, vescovo di Laval (1906-1936).1125 giugno 1917, nel corso di una udienza a lui concessa da Benedetto XV, il prelato espose al pontefice il desiderio del suo clero e di un gran numero di diocesani di vedere elevate agli altari alcune delle vittime del Terrore, uccise per odio alla fede.

Il papa si degnò di approvare un tale progetto e incoraggiò mons. Grellier a mettersi all'opera senza più indugi. Per evitare ogni difficoltà, vennero scartate tutte quelle vittime della Rivoluzione la cui morte avrebbe potuto essere attribuita almeno in parte, a motivi politici e non unicamente a motivi di ordine religioso. Questa fu la ragione della scelta e della designazione di diciannove martiri mentre la diocesi di Laval diede, durante gli anni 1793 e 1794, un incalcolabile numero di vittime, di cui una gran parte è caduta per il suo attaccamento alla religione. Si volle pure concedere alla pubblica venerazione quei rappresentanti di ogni gruppo che già prima del martirio godevano di una grande reputazione di santità e per cui la morte aveva messo un suggello a virtù veramente eroiche: parroci di parrocchie urbane e rurali, un religioso, una maestra la cui attività apre uno spiraglio sulla evangelizzazione per mezzo della scuola nel sec. XVIII, suore votate ad opere di misericordia.

Da quel momento la causa seguì il suo corso normale: venne introdotta nel 1941 e il 19 giugno 1955 Pio XII poteva procedere alla solenne beatificazione dei diciannove martiri la cui fama acquistava nuovo splendore.

 

San GIOVANNI da Osterwijk (martire)

9 LUGLIO

 

Giovanni Lenartz nacque a Osterzijk, un paesino del Brabante da dove gli derivò in nome: Giovanni Osterzicano. Fu educato cristianamente dai genitori, poi entrò nella congregazione dei Canonici Regolari di Windesheim, nel monastero di Santa Elisabetta a Ruggen, presso Briel. Dai superiori fu destinato a Gorkum come direttore spirituale della Canonichesse Regolari. Imperversava allora l'eresia calvinista, particolarmente violenta contro il clero; Briel fu espugnata, il monastero di Ruggen raso al suolo e Giovanni, ormai anziano, fu catturato con altri 18 sacerdoti e religiosi. Ci furono dapprima una durissima prigionia e torture, finché poi il 9 luglio 1572 furono uccisi per impiccagione: il motivo reale di tanta crudeltà, fu la fedeltà alla fede cattolica e particolarmente per ciò che riguarda la verità dell'Eucaristia e del Romano Pontefice.

Nell'anno 1572 le eresie di Lutero e Calvino avevano 9 à staccato dalla Chiesa una grande parte dell'Europa. Nei Paesi Bassi i calvinisti conquistavano piano piano il potere e perseguitavano i cattolici. Inoltre, la lotta degli Olandesi contro la Spagna (1568-1648) per conquistare la propria indipendenza, era in primo luogo una lotta politica, ma aveva anche un movente religioso.

Dopo le prime vittorie della Spagna, molti Olandesi, essendo stati esiliati, si associarono ad avventurieri e pirati per continuare la guerra sui mari: si trattava dei cosiddetti Gheusi, calvinisti feroci e pieni di odio contro i sacerdoti e i religiosi.

Il I' apr. 1572 costoro presero le città di Brielle e di Vlissingen. Nel giugno dello stesso anno Dordrecht e Gorcum caddero nelle loro mani. Soltanto una piccola guarnigione resistette nel castello con i Francescani, il parroco e molti fedeli. La resistenza non fu però di lunga durata. Alla resa i Gheusi, contro le promesse fatte, catturarono i sacerdoti e religiosi. Erano undici frati minori (nove sacerdoti): Nicola Pieck, guardiano del convento in Gorcum, Girolamo da Weert, vicario dello stesso convento, Teodorico van der Erel, Nicasio da Heeze, Willehado di Danimarca (aveva novant'anni, ed era già sfuggito alla persecuzione dei Luterani in Danimarca), Goffredo da Melveren Antonio da Weert, Antonio da Hoomaert, Francesco da Roye e due fratelli laici: Pietro da Assche e Comelio da Wijk Bij Duurstede. Furono presi anche tre preti secolari: Leonardo Vechel parroco di Gorcum; Nicola Poppel, coadiutore del parroco e Goffredo van Duynen. Inoltre fu catturato Giovanni Lenaerts, canonico regolare di s. Agostino. Il parroco di Hoomaert, Heer Giovanni, domenicano accorso a Gorcum per amministrare loro i sacramenti, fu anch'egli catturato. Dal 26 giugno al 6 luglio 1572 i martiri rimasero incarcerati in Gorcum e vani furono i tentativi dei cattolici per liberarli. Il 6 luglio i Gheusi li trasportarono seminudi in una nave verso Brielle, poi, giunti a Dordrecht, fermarono la barca per dare modo al popolo di insultarli. A Brielle le vittime furono accolte da Lumey, il capo dei Gheusi, nemico fanatico della fede cattolica e dei sacerdoti, e costretti ad andare in corteo per la città, mentre il popolo li schemiva e maltrattava. Nella prigione di Brielle si trovavano altri tre sacerdoti: i premostratensi Adriano da Hilvarenbeek, Giacomo Lacops e Andrea Woutersz, prete secolare. Così il numero salì a diciannove (altri quattro non rimasero fedeli).

Lumey tentò la fede dei martiri con lunghe dispute ed interrogatori, specialmente sul primato del papa e sulla presenza reale di Cristo nella Eucaristia. La loro costanza e sagacità nel confutame gli argomenti furono causa di tormenti nuovi e raffinati. Nel frattempo arrivò una lettera da Guglielmo di Orange che raccomandava a tutte le autorità di non molestare sacerdoti e religiosi. Lumey, non solo non si attenne al decreto, ma accelerò la morte dei martiri che nella notte del 9 luglio 1572 furono impiccati. 1 poveri corpi nudi furono mutilati anche dopo la morte. Il luogo del martirio in Brielle continua ad esser meta di pellegrinaggi e processioni.

1 diciannove martiri di Gorcum furono beatificati da Clemente X nel 1675 e canonizzati da Pio IX nel 1867. La loro festa si celebra il 9 luglio.

 

San TORLACO 1133 -1983 (vescovo)

20 LUGLIO

 

È il primo dei tre santi nazionali dell'Islanda. Fu canonizzato dai vescovi locali nel 1198 (non si domandò la conferma papale).

Torlaco nacque a Fljotshlio, Islanda, nel 1133, e divenne prete ca. nel 1154, studiò all'estero per sei anni (Parigi, Lincolii), fu superiore nella casa agostiniana nel Thykkvibaer dal 1168, data della fondazione, finché fu eletto vescovo. Nel 1178 fu consacrato vescovo di Skalholt (diocesi dell'Islanda meridionale) e il 23 dic. 1193 morì.

Come l'arcivescovo Eysteinn egli lottò per sostenere le rivendicazioni della chiesa contro quei capi laici che tentavano di difendere l'antica tradizione del patronato laico sulla chiesa islandese. La sua politica a questo riguardo non ebbe sempre successo. Nel 1186 fondò un convento nel Kirkjubaer.

Torlaco fu uno delle più influenti guide spirituali della sua epoca e la sua santità fu riconosciuta subito dopo la sua morte. Molte leggende narrano la sua vita e un antico ms. (ai primi del XIII sec.) riferisce una raccolta di miracoli connessi al culto di Torlaco. Il materiale latino che lo riguarda è indicato in BHL, II nn. 8273 e 8274.

Il patrono d'Islanda, nato nell'anno 1133, già a 19 anni aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale. Poiché il giovane sacerdote desiderava dedicarsi agli studi teologici, si recò a Parigi dove molto probabilmente conobbe i canonici dell'abbazia di San Vittore (fondata nel 1108). t certo, come si legge in un responsorio dell'ufficio di S. Torlaco, scritto ca. nel 1300, che egli riportava in Irlanda il dolce miele dell'insegnamento ricevuto a Parigi ed a Lincolti, in Inghilterra, dove aveva continuato gli studi. Al suo ritorno in patria diventò rettore della chiesa di Kirkjubaer, dove più tardi avrebbe fondato un monastero di canonichesse.

Poiché fino a quel momento il movimento della riforma gregoriana in Islanda era sconosciuto, la sua famiglia si aspettava che Torlaco si cercasse una moglie. Egli però professò i voti tra i canonici regolari di Sant'Agostino e fu il primo priore del monastero, fondato da Thorkill, nell'anno 1168 a Thykkvabae.

Il vescovo di Skalholt, Kloengur, confermò Torlaco come priore e gli dette la benedizione abbaziale nel 1170. La "Vita" islandese del Santo - "Thorlàks saga" - che fu scritta poco dopo la sua morte, racconta che molti islandesi entrarono nel monastero di Thykkvabae; anche gli stranieri, avendo udito la fama del santo abate, andarono in Islanda per vivere la vita canonicale sotto la sua direzione.

Ma un uomo così non poteva godere di una vita tanto ritirata in un monastero, per molto tempo: Torlaco fu nominato successore di Kloengur e ordinato vescovo nel 1178 a Nidaros dall'arcivescovo Eystein. Eystein riuscì ad introdurre la riforma gregoriana anche in Islanda attraverso il guadagno al suo partito del nuovo vescovo, che ad ogni modo fu un uomo di grande spiritualità e verità.

Torlaco cercò di aumentare il livello di formazione del clero d'Islanda; egli fu anche un grande promotore del celibato sacerdotale. Il suo capolavoro fu il "Penitenziale", la cui grande severità fu il risultato della confusione dell'epoca: già nel 1180 l'arcivescovo Eystein sarà bandito dal Re e Torlaco stesso soffrirà molto.

Nel dodicesimo secolo l'Islanda era un paese senza città dove le famiglie, che avevano costruito le chiese, ritenevano tutti diritti su queste. 1 sacerdoti, che loro nominavano a queste "chiese-private", naturalmente avevano poche possibilità di rimproverare i loro signori, se avessero agito contro i principi della morale cristiana. In alcuni casi Torlaco si rifiutò di consacrare una chiesa finché tutti i diritti sulla chiesa non fossero trasferiti a lui, come vescovo.

Ciò causò una disputa duratura con il diacono Jon Loptsson, che aveva restaurato la chiesa di Hofdabraeck; la situazione peggiorò per il fatto che Jon, sposatosi, coabitava con Ragneid, la sorella di Torlaco. Per ben tre volte cercò di uccidere il vescovo.

La disputa sarebbe finita solo con la morte di Torlaco (23 dicembre 1193) quando il suo successore Paolo, figlio di Jon e Ragneid, avrebbe riconciliato il padre con la Chiesa.

La morte del vescovo sembrava segnare il fallimento completo dei suoi disegni e delle sue speranze per una fruttuosa riforma della chiesa islandese. Ma come l'apparente fallimento del Signore sulla Croce fu in realtà la sconfitta finale del peccato e della morte, cosi con la morte prematura del suo servo Torlaco si apri la strada verso una riforma duratura.

Così Torlaco ha il suo posto nel rango dei santi, nella cui vita e morte, si manifestò il mistero della croce: "chi perde la propria vita, la conserverà". t questa la legge del chicco di frumento che brilla nei martiri come Olav della Norvegia o Boris e Gleb dell'Ucraina. Torlaco non fu un testimone con il sangue per il Signore, ma realizzò nel suo ministero episcopale la stessa norma di sequela che i martiri fecero con la loro morte.

Già durante la sua vita si parlava di miracoli da lui operati e soltanto cinque anni dopo la sua morte il Parlamento islandese decise il solenne trasferimento ("translatio") del suo corpo, cioè la sua canonizzazione (non ancora riservata alla Santa Sede). La sua festa si celebrava il 23 dicembre: anche oggi questo giorno si chiama in islandese "Thorlaksmessa" - la messa di Torlaco. In Islanda nel medioevo ci furono 56 chiese dedicate a lui, perfino a Costantinopoli durante le crociate fu costruita una chiesa dedicata a S. Torlaco.

Torlaco sarà molto venerato in Inghilterra e in Scandinavia, nel 1237 verrà aggiunta una seconda festa alla sua "translatio ", infine il Messale e Breviario di Nidaros (15 19) includerà la sua memoria.

Frammenti di un'agiografia come pure un compendio di antifone e responsori sono ancora conservati. La Riforma poteva distruggere il suo reliquiario, ma non la sua memoria nel popolo.

Nel 1982 fu fissato un giorno per la sua memoria nel Proprio della Chiesa Cattolica della Norvegia. Poi, nell'anno dell'anniversario, il 1983, la Santa Sede confermò la celebrazione della sua memoria per l'ordine dei Canonici Regolari di Sant'Agostino. Poiché le nuove leggi liturgiche non permettono la piena celebrazione di un santo durante la settimana prima di Natale, la memoria di Torlaco fu definitivamente spostata al 20 luglio, già festa della "translatio".

Per la celebrazione nell'ordine canonicale vi sono testi presi da fonti medievali.

 

Beato GABRIELE PERGAUD (sacerdote e martire)

21 LUGLIO

 

Gabriele Pergaud nacque il 29 Ottobre 1752 a Saint- Priest- la Plaine (Creuse).

Sentendosi chiamato alla vita religiosa e sacerdotale, entrò nella Congregazione di Francia dei canonici regolari di S. Agostino dove nel 1769 emise i voti. Ordinato sacerdote, svolse vari incarichi, l'ultimo dei quali fu quello di priore dell'abbazia della B. Vergine Maria di Beaulieu (Cotès d'Armor).

Uomo di carattere forte e viva fede rifiutò il giuramento civile, imposto dalle autorità politiche, ma proibito da Pio VI. Per questo fu imprigionato e rinchiuso in una delle due navi ("pontoni"), ancorate nel mare vicino a Rochefort. Dopo molte sofferenze, sopportate con spirito di abbandono a Dio e riconfermando la sua fedeltà alla Chiesa, morì il 21 luglio 1794.

Beatificato il I' ottobre 1995, insieme a 63 compagni, martiri dei "pontoni di Rochefort", Francia. Il lungo martirio dei sacerdoti e religiosi "deportati" (ufficialmente erano considerati tali, ma la deportazione non ebbe mai luogo): stipati nello stretto interponte, essi passavano la natte in condizioni inumani e insopportabili; ciò era aggravato dal fatto che l'equipaggio ogni mattina faceva bruciare del catrame, rendendo l'aria irrespirabile. Durante il giorno dovevano stare in piedi sul ponte della nave. Il cibo era scarso e spesso avariato. Inoltre erano esposti alla brutalità e ai motteggi dei marinai. Ogni preghiera e ogni segno religioso erano proibiti e severamente repressi. Praticamente tutti erano colpiti da una malattia contagiosa. Essendo interdetta l'assistenza di un medico, molti si facevano infermieri dei loro confratelli.

I sacerdoti e religiosi coltivavano in gran parte una vera vita spirituale e, date le severe proibizioni, dovevano ricorrere a sotterfugi. Seguendo l'esempio di Cristo perdonavano i loro aguzzini.

Scrissero le loro "risoluzioni"; una di queste recita: "Se siamo i più infelici degli uomini, siamo anche i più felici dei cristiani".

 

Sant'EUSEB10 (vescovo)

2 AGOSTO

 

Nato in Sardegna alla fine del III o al principio del IV sec, si trasferì giovinetto a Roma, dove frequentò la schola e fu ordinato lettore, divenendo collega e condiscepolo di Liberio, il futuro papa.

Inviato in Alta Italia, probabilmente al seguito di una legazione pontificia, si portò a Vercelli, già designata sede di episcopato, e per unanime acclamazione venne eletto vescovo.

Il papa S. Giulio approvò l'elezione e consacrò Eusebio a Roma il 15 dic. 345.

Il territorio vastissimo affidato al protovescovo confinava ad oriente con quelli delle diocesi di Milano e di Pavia, a settentrione ed occidente con le Alpi e a mezzogiorno, oltre il Po, si avvicinava al Mar Ligure. Saggio pastore, instancabile ed efficace oratore, secondo la testimonianza di s. Massimo di Torino, Eusebio diffuse e stabilì il cristianesimo tra quelle popolazioni. Affrontò la forte resistenza delle genti rurali che praticavano prevalentemente il culto ancestrale celto-ligure, e fondò centri di evangelizzazione nei luoghi che più attiravano gli abitanti a compiere le loro osservanze pagane; gli attuali santuari di Oropa e di Crea, celebri nella regione piemontese, hanno la loro origine appunto in tale apostolato missionario del santo.

Nella città vescovile fondò un cenobio o monastero, nel quale riunì in vita comune tutti i suoi ecclesiastici con una severa disciplina di lavoro, di studio, di preghiera e di austerità. In esso erano accolti anche gli aspiranti al sacerdozio che vi ricevevano istruzione ed educazione dagli anziani cenobiti ed anche personalmente dal fondatore, quando si trovava in città. Numerosi furono gli alunni dell'istituzione; conosciamo i nomi di alcuni che furono discepoli di Eusebio e di altri che in seguito ebbero la formazione ecclesiastica dai successori di lui. Tra i primi, sono Limenio e s. Onorato, che ressero la diocesi dopo la morte del protovescovo; Evagrio, che fu poi vescovo di Antiochia dopo la morte di Paolino; s. Gaudenzio, primo vescovo di Novara; probabilmente s. Essuperanzio, secondo vescovo di Tortona; s. Eustazio ed Eulogio, protovescovi, rispettivamente di Aosta e di Ivrea. Tra i secondi, ci limitiamo a ricordare s. Massimo, vescovo di Torino e Padre della Chiesa, che si annovera egli stesso fra i discepoli del cenobio. S. Ambrogio, oltre ad affermare che il monastero di Vercelli fu il primo in tutto l'Occidente, aggiunge che le comunità della Liguria, dell'Emilia, delle Venezie e di altre province, solevano eleggere i propri vescovi tra gli alunni di esso.

Questi presuli fondarono poi nei loro territori altri cenobi ecclesiastici sul modello di quello eusebiano, e così se ne ebbe una notevole diffusione. Eusebio fondò a Vercelli anche un monastero femminile con la collaborazione della sorella s. Eusebia, che ne fu la prima superiora, secondo la tradizione locale non documentata. Si conservano nove o dieci marini o iscrizioni funebri di monache eusebiane; di essi il più antico è quello di Zenobia morta a sessantacinque anni nel 471; notevole è poi l'iscrizione della fanciulla Maria, morta a tredici anni e già velata da un anno.

Dopo il concilio di Arles del 353, che si concluse con la condanna di Atanasio imposta dallo imperatore Costanzo presente e dai vescovi ariani e cortigiani, il papa Liberio mandò alla corte una legazione presieduta da Lucifero di Cagliari, con l'istruzione di passare prima da Vercelli e consegnare ad Eusebio una sua lettera. In essa Liberio lodava la invitta fede del suo antico condiscepolo e lo invitava ad unirsi alla legazione senza indugio, per proporre all'imperatore tutto ciò che la fede cattolica esigeva in quelle circostanze. Eusebio aderì all'invito e rispose al papa esprimendo il suo giudizio sulla situazione, con un messaggio che non possediamo più. Liberio lo ringraziò con una altra lettera piena di elogi e vibrante di speranza nel buon successo della legazione. Costanzo acconsentì alla proposta del concilio, ma volle che si tenesse a Milano dove egli stesso si trasferì. Esso ebbe luogo nella primavera del 355, con la partecipazione di un numero non molto grande di vescovi, in maggior parte occidentali. L'imperatore voleva una nuova condanna di Atanasio e la ottenne per mezzo degli intrighi del vescovo Valente di Muria, che godeva allora la protezione del sovrano. Eusebio si era astenuto dal parteciparvi, perché non nutriva alcuna fiducia nel suo esito, essendo l'assemblea sotto il timore delle minacce e delle intimidazioni del potere secolare. Gli scrisse il legato Lucifero, supplicandolo di intervenire e di sconvolgere con la sua presenza la trama ordita dagli eretici; gli scrisse anche Liberio, per convincerlo a portare aiuto alla causa già compromessa della fede cattolica e a sostenere l'azione del legato; gli scrisse la fazione ariana del concilio per ammonirlo ad aderire alle decisioni approvate dalla maggioranza; e gli scrisse, finalmente, anche l'imperatore per dirgli: " ti diamo il monito di non tardare ad aderire al consenso dei tuoi fratelli", cioè di avvalorare la condanna di Atanasio, tanto agognata dal sovrano, con la Sua autorevole e da tutti desiderata sottoscrizione. Eusebio comprese che orinai non poteva più astenersi dal comparire e annunziò a Costanzo la sua decisione con le seguenti parole: " Ho ritenuto necessario venire con premura a Milano. Quando sarò alla tua presenza, tutto ciò che apparirà giusto e al Signore gradito prometto di fare".

Costanzo dominò i presenti, imponendo a tutti di condannare un'altra volta Atanasio, cioè il più valido difensore del Simbolo Niceno, vale a dire della fede cattolica. Eusebio, Lucifero e Dionigi si opposero vigorosamente in un contrasto drammatico, che si concluse con la condanna all'esilio dei tre confessori, i quali furono subito tradotti ai luoghi della relegazione: Eusebio a Scitopoli di Palestina, Lucifero in Cappadocia e Dionigi in Armenia, dove mori. Nella sede di Milano fu introdotto con la forza Aussenzio, ariano orientale.

Un editto di Giuliano, succeduto a Costanzo nel nov. 361, liberò tutti gli esiliati. Eusebio risalì l'Egitto in compagnia di Lucifero e si portò ad Alessandria, mentre il confratello proseguì per Antiochia. D'accordo con Atanasio, anch'egli ritornato dall'esilio, nella primavera del 362 fu convocato in Alessandria un concilio di pochi vescovi (una ventina in tutto), provenienti dall'Arabia, dalla Libia e dall'Egitto per concordare il modo di procedere nell'opera di restaurazione della fede nicena, combattere le eresie incipienti circa la divinità dello Spirito Santo e il mistero dell'Incarnazione e provvedere ai casi della Chiesa di Antiochia, afflitta dallo scisma. Le decisioni di questa importante assise, chiamata da Rufino "il concilio dei confessori", sono contenute nel Tornos ad Antiochenos.

Eusebio intraprese un lungo viaggio in Oriente; fu probabilmente a Cesarea di Cappadocia, passò in Macedonia, poi a Sardica e raggiunse Sinnio. Dovunque esortò, insegnò, riparò i mali ed estinse gli errori disseminati dall'eresia, operando come apostolo, pacificatore e sapiente medico, come si esprime Rufino. Nella primavera del 363, dopo essersi recato a Roma a informare Liberio della sua azione missionaria, poté finalmente raggiungere la sua Vercelli dopo otto anni di assenza. Al suo ritorno, come dice s. Girolamo, "lugubres vestes Italia mutavit". Riprese allora la sua attività pastorale e di organizzazione delle comunità nella vasta diocesi, si recò nelle città vicine e convocò un sinodo di vescovi italiani per discutere la situazione delle Chiese dell'Illirico.

Le grandi sofferenze nel corpo e nell'anima, le fatiche e gli strapazzi della sua instancabile attività lo condussero alla tomba quando aveva raggiunto l'età di settanta anni circa. Spirò serenamente il l' agosto del 371, anno indicato dalla costante tradizione, e fu sepolto nella basilica da lui stesso edificata sulla tomba del martire s. Teonesto e presso la salma di lui, secondo il desiderio espresso ai suoi discepoli. Più tardi, la piccola basilica fu sostituita da un'altra più grandiosa, dedicata alla sua memoria. Il culto di s. Eusebio si diffuse presto nelle Chiese dell'Alta Italia, in Gallia e in altri luoghi. S. Gregorio di Tours possedeva una reliquia del santo vercellese nel suo oratorio domestico e lo celebrò nei suoi scritti, come pure fecero altri Dottori e scrittori ecclesiastici contemporanei e posteriori.

Degli scritti di s. Eusebio sono pochi quelli noti e conservati. t andata smarrita una traduzione in latino del Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea ricordata da s. Girolamo che loda il traduttore per aver evitato i passi non ortodossi. Sono smarrite molte sue lettere: ne possediamo tre soltanto, dirette all'imperatore Costanzo, ai suoi diocesani e a Gregorio di Elvira. t stato recentemente riconosciuto a s Eusebio il trattato De Trinitate, prima attribuito a Virgilio di Tapso o ad altri. Esso è una confutazione delle eresie allora diffuse, in forma di dialogo tra un cattolico e un eretico. L'archivio capitolare di Vercelli conserva la nota versione latina dei Vangeli nel celebre codice A, che la tradizione locale vuole scritto dal santo.

La figura di s. Eusebio primeggia nella storia ecclesiastica del IV sec; asceta, pastore zelante, primo organizzatore del Cristianesimo nella regione subalpina e apostolo eroico della fede ortodossa tra le insidie dell'arianesimo e le prepotenze del potere secolare, egli non temette di affrontare le ire del sovrano e la rabbia crudele dei settari, i quali lo condussero fino alla soglia della morte. Per le sofferenze eroicamente sopportate a difesa della fede, la Chiesa vercellese gli diede il titolo di martire, riconosciuto dalla Chiesa romana e dalla liturgia. Con Breve apostolico del 24 novembre 1961 s. Eusebio, su richiesta unanime dei vescovi piemontesi è stato costituito patrono principale della regione Subalpina e la festa liturgica annuale è stata fissata al giorno del suo transito, l' agosto. La S. Congregazione dei Riti, con decreto del 4 maggio 1962, ha approvato l'Ufficio e la Messa propri con le lezioni storiche del Il Notturno.

 

Santa GIULIANA di Cornillon (vergine)

7 AGOSTO

 

Santa, Giuliana nacque a Retinne (presso Liegi) verso il 1191-1192.

La fonte principale che ci informa su di lei è una Vita scritta da un chierico di Liegi che, quantunque contemporaneo, non conobbe personalmente la santa e si è ispirato a testimonianze orali (quelle si Eva di S. Martino, di Giovanni di Losanna e di altri ancora) dovute a persone che conobbero intimamente Giuliana e a un testo in lingua volgare in vallone senza dubbio, redatto probabilmente da Eva di S. Martino (vedere a questo proposito: J. De Marteau, La première auteur wallonne: la bien heureuse Eve de Saint- Martin, Liegi 1896). Questa Vita (Acta SS. Aprilis, I, Venezia 1737, pp. 443 sgg.), narrazione vivace e colorita, è di un grande interesse, ma manca di precisione cronologica ed ha delle lacune (v. S. Balau, Les sources de l'histoire du pays de Liège, Bruxelles 1901, pp. 438 sgg.). D'altra parte è evidente che l'autore della Vita manifesta un'ammirazione senza limiti per la santa e parla soprattutto dei carismi di cui essa fu favorita. Questi gli erano stati narrati in gran parte dalla reclusa di S. Martino che, come gli altri testimoni, era evidentemente persuasa che questi fatti non comportassero alcuna spiegazione naturale. Una discussione a questo riguardo dovrebbe essere condotta con grande prudenza e se possibile con l'aiuto di psicologi e psichiatri, i quali potrebbero determinare con maggiore sicurezza la parte della natura e l'apporto soprannaturale. Esistono pure numerose fonti archivistiche che permettono di controllare e di contemplare le fonti narrative (v. E. Denis e F. Callaey).

Perdette, ancora giovanissima, i suoi genitori e fu affidata al convento di Comillon, ove visse soprattutto nel podere della Boviere sotto la sorveglianza di una certa suor Sapienza. Prese il velo verso il 1207. Si pone la sua prima visione verso il 1209; in seguito ella ne ebbe molte altre. La luna non piena le appariva regolarmente al momento della preghiera: ella credette di vedervi il simbolismo del cielo liturgico cui mancava una solennità, quella della festa del S.mo Sacramento. Per promuovere questa festività ella si adoperò con tutte le sue forze, aiutata anche dalla reclusa Eva, sua amica. Verso il 1230 compose un Ufficio. Ben presto beneficiò dell'appoggio della commissione che si occupava delle sue visioni, composta da Giovanni di Losanna, Ugo da S. Caro e dall'arcidiacono di Liegi, Giacomo di Troyes. Costui, divenuto papa Urbano IV, introdusse la festa del Corpus Domini nella Chiesa intera nel 1264, dopo che il vescovo di Liegi, Roberto Thourotte, l'aveva estesa nel 1246 alla sua diocesi, e il legato Ugo da S. Caro, nel 1252, alla Germania occidentale.

Priora dal 1230 del Mont- Comillon, Giuliana instaurò una disciplina severa, che le valse l'opposizione di molte religiose e molestie da parte di alcuni cittadini di Liegi, cosicché si dimise il 2 maggio 1248 per compiere la sua vita come reclusa a Fosses. Ivi morì, nel 1258, il 5 aprile., giorno in cui è stata fissata la sua festa.

Nell'iconografia, un ms. di Liegi del sec. XIII (Biblioteca dell'Arsenale, Parigi, n. 945), al E 2v, la rappresenta in ginocchio davanti a un altare sormontato dal calice, in abito bruno cupo, quasi nero, di semplice religiosa e al £ 24r, in abito di superiora e tiene fra le mani il libro della Regola di Cornillon.

Una statuetta scolpita in legno, datata 1524, che serve di sostegno ad uno degli stalli della chiesa di Fosses, reca la sua immagine. Il Libro d'Ore dell'Abbazia cistercense di Colen-Kerniel (Limbourg), del sec. XVII (?), contiene un ritratto, probabilmente fittizio, della santa. Si vedano inoltre le incisioni di Klauber (1746) riprodotte specialmente un una brochure fiamminga( Louik eri het feest vari het Ligchaem .... ) del 1846.

 

Beato MAURIZIO TORNAY (sacerdote e martire)

12 AGOSTO

 

Maurizio Tornay nacque il 31 agosto del 1910 a la Rosière, contrada della parrocchia di Orsières, nel Vallese-Svizzera. Fu battezzato il 13 settembre seguente e cresimato nel 1918.

Dopo la scuola primaria al suo villaggio, fece gli studi ginnasiali presso il collegio dell'abbazia di St. Maurice. Allievo studioso, fu un modello, per la sua pietà e il suo comportamento, a tutti i suoi compagni. Fece un pellegrinaggio a Lourdes e compose una preghiera a Santa Teresa del Bambin Gesù per ottenere il dono dell'umiltà.

Entrò nel noviziato dei Canonici regolari del Gran San Bernardo, Vallese, Svizzera, il 25 agosto del 1931. Emise la professione temporanea l'8 settembre 1932 e, tre anni dopo, la professione solenne. Nel frattempo seguì i corsi filosofici e cominciò gli studi di teologia, nei quali era brillante

Nel febbraio del 1936 sollecitò ed ottenne il permesso di partire per la missione ancor prima di aver terminato gli studi teologici. a Weisi, Yunnan, - Cina - centro della regione affidata ai Padri del Gran San Bernardo, che terminò i suoi studi teologici e iniziò lo studio delle lingue locali: il cinese ed il tibetano.

Fu ordinato sacerdote ad Hanoi il 24 aprile 1938. Ritornato nella sua missione fu incaricato della formazione dei giovani allievi del piccolo seminario. Per sette anni diresse questa scuola con ammirabile dedizione.

Verso la Pasqua del 1945 fu nominato parroco di Yerkalo, la sola parrocchia situata nel Tibet detto indipendente. Qui, tanto le autorità civili che religiose erano in mano ai gruppi di lama locali. Il lama amministratore del Distretto fece ben presto capire al missionario che era indesiderato, dal momento che i lama non ne volevano più sapere di cristiani in Tibet. P. Tornay replicò che non poteva andarsene, perché il suo vescovo gli aveva ordinato di restare al suo posto. 1 lama misero in atto ogni sorta di minacce ed intimidazioni. P. Tomay rimaneva irremovibile: obbediva al suo vescovo!...

Allora i lama invasero la residenza, saccheggiarono la casa e la chiesa e puntarono i loro fucili contro il Padre sempre risoluto nella sua decisione. Nel frattempo accorsero alcuni notabili del villaggio e persuasero i lama a non commettere l'irreparabile. Poi, supplicarono il Padre di andarsene per la paura che i lama si ritorcessero contro di loro.

Allora, come già gli aveva detto il suo vescovo, P. Tomay cedette alla violenza e prese il cammino dell'esilio. Si stabilì momentaneamente a Pamé, a una giornata di cammino dalla sua parrocchia, rimanendo così in contatto con i suoi fedeli, molti dei quali passavano da Pamé per i loro traffici commerciali.

Incoraggiava i suoi cristiani a resistere sotto la persecuzione anche quando i lama proibivano le loro riunioni di preghiera e li costringevano all'apostasia e imponevano di inviare i loro ragazzi presso i centri dei lama come novizi. Ricorse inoltre al Nunzio Apostolico e alle autorità accreditate presso il Governo Cinese. Scrisse un po' ovunque per sollecitare preghiere in favore dei suoi cari cristiani perseguitati

Costatata l'inefficacia della via diplomatica, su consiglio del Nunzio Apostolico, parti per Lliassa nella speranza di ottenere dal Dalai-Lama stesso un editto di tolleranza e protezione per la sua parrocchia.

Saputo della sua partenza per Lhassa, i lama che l'avevano espulso, volendo sbarazzarsi di quest'uomo risoluto, tennero consiglio e decisero di eliminarlo. Con questo intento lo fecero accompagnare da uomini armati, incaricati, così dicevano, di condurlo sano e salvo in Cina; in realtà lo accompagnarono sì sul suolo cinese, ma in un'imboscata tesa in alta montagna, a circa 4000 metri, sul colle di Choula, quattro lama lo uccisero con il suo domestico; era l'11 agosto del 1949.

A misfatto compiuto, i lama si impadronirono della carovana del Padre, spogliarono le vittime dei loro abiti e ripassarono tranquillamente la frontiera. In Tibet nessuno chiese loro di render conto del loro crimine; al contrario, intascarono il premio di 1000 piastre promesse dai loro mandanti!

Le vittime furono trasportate a Atuntze da una colonna di soccorso e sepolte con onore nel giardino della Missione. Furono immediatamente considerati come dei martiri sia dai pagani che dai cristiani. Nel 1987 con ogni probabilità i resti mortali delle due vittime furono trasportate a Yerkalo e inumate nel cimitero della missione, dove riposano attualmente.

La glorificazione del Servo di Dio Maurizio Tornay sembra essere una grazia speciale riservata al nostro tempo, un rimedio ai tristi momenti che la Chiesa ha sofferto e soffre ancora nei nostri paesi oppressi da un materialismo invadente. Sarà motivo di conforto per i cristiani di tante regioni dove la libertà religiosa è più teorica che effettiva. Che l'eroismo e la santità di P. Tornay siano uno stimolo per la nostra gioventù, perché s'ingaggi decisamente per i più nobili ideali: il servizio di Dio e l'annuncio del suo Vangelo di pace!

 

San MEINARDO (vescovo) 13 AGOSTO

 

San Meinardo (ted. Meinhard), primo vescovo della LIVONIA. In età già avanzata, Meinardo, monaco del convento agostiniano di Segeberg nello Holstein, prese la decisione di andare da solo in missione in Livonia. Imbarcatosi come cappellano su una nave mercantile di Lubecca, sbarcò nel golfo di Riga e, col permesso dal principe russo Wladimiro di Polotzk, predicò ai pagani del luogo.

Nel 1184 costruì la prima chiesa ad Uxkull, sulla riva destra della Daugava, e nel 1186 informò del suo apostolato l'arcivescovo Hartwig Il di Brema, che lo consacrò vescovo dei Lìvoni. Su preghiera di Hartwig, il papa Clemente 111 (m. 1191) riconobbe, con un Breve del 25 sett.. 1188, il vescovado di Uxkull suffraganeo di Brema. Ben presto i compiti della missione divennero sproporzionati alle forze di un uomo solo, e poiché Hartwig era stato scacciato dal suo paese, Meinardo si rivolse a Roma per aiuti. Il 27 aprile 1191 il papa Celestino 111 permise all'episcopus Livoniae gentis di cercare aiuti in patria. Frattanto l'iniziale fiducia dei Livoni si era mutata in una sempre maggiore diffidenza verso i tedeschi; M., venuto a trovarsi in gravi difficoltà, inviò a Roma in cerca di aiuti il suo collaboratore, il monaco cistercense Teodorico. Celestino III allora concesse un'indulgenza a tutti coloro che fossero pronti a partire per una crociata in difesa della Chiesa della Livonia.

Morì mentre attendeva questi aiuti profondamente amareggiato per il fallimento della sua opera, l'11 ottobre (secondo altre fonti il 12 aprile, o il 14 agosto) 1196. Le sue ossa furono traslate tra il 1380 e il 1390 nel Duomo di Riga.

Della sua vita esemplare e del suo apostolato ci danno notizia due cronache dell'epoca, degne di fede (Henrici Chronicon Livoniae, ed. L. Arbusow - A. Bauer, Darmstadt 1959, pp. 3-11, 348 e in MGH, Script., XXIII, pp. 241 sg., Arnoldi Chronica Slavorum, ibid., XXI, p. 2119. Il Bruiningk trovò molte tracce, che dimostrano come Meinardo fosse venerato quale santo, la sua festa veniva celebrata nella diocesi di Riga il 14 agosto. 1 Bollandisti tuttavia dubitano che si siano finora raggiunte prove del culto immemorabile tali da poter promuovere una conferma ufficiale di esso (Acta SS. Augusti, III, Anversa 1737, p. 146 (tra i praetermissi); Anal. Boll., XXV (1906), p. 514).

 

Sant'ALIPIO (vescovo)

17 AGOSTO

 

Le notizie sulla vita di Alipio sono contenute quasi totalmente nelle opere del suo grande amico, s. Agostino, con il quale divise gli errori della gioventù, la conversione e le fatiche dell'apostolato (cf. le Confessioni e le Epistole, in PL, XXXII C XXXIII).

Alipio nacque a Tagaste da genitori che erano tra i maggiorenti del paese: "parentibus primatibus municipalibus " (Confess., VI, 7, 11). Piccolo di statura (De beata vita, 15), ma di animo forte (Confess. IX, 6, 14) e di indole virtuosa (Confess. VI. 7, 11), strinse un'affettuosa ed intima amicizia con s. Agostino tanto che questi lo chiama ripetutamente "frater cordis mei" (Confess., IX, 4, 7).

Più giovane di qualche anno del suo amico che era nato, come si sa, nel 354, ne frequentò le scuole di grammatica nel paese natale e le scuole di retorica a Cartagine; lo precedette a Roma, dove si recò per studiare diritto, e lo accompagnò a Milano. A Roma fu assessore del comes elle elargizioni per l'Italia e diede, in questa circostanza, rari esempi di illibatezza e di disinteresse. Resistette energicamente alle pretese d'un senatore potentissimo che tentava di indurlo a commettere illegalità, restando indifferente, tra le meraviglia universale, sia alle minacce che alle lusinghe: "anima rara", scrive s. Agostino, "che non faceva caso dell'amicizia e non paventava l'inimicizia di un uomo così potente, famosissimo per gli innumerevoli mezzi che aveva di far del bene o di far del male" (Confess., VI, 10, 16). L'amicizia con Agostino valse a ritrarlo, momentaneamente, dalla passione per i giuochi del circo, ma lo trascinò nel manicheismo (Confess., VI, 11 - 16).

Con l'amico Alipio visse il travaglio del ritorno alla fede (ibid., VII, 25); castissimo di costumi, egli fu di sostegno nella lotta contro le passioni, e lo sconsigliò dal prendere moglie per non rinunziare a vivere liberamente nell'amore della sapienza (ibid., VI, 21); fu presente alla crisi della conversione (ibid., VII, 13-19), e ne seguì l'esempio (ibid., VIII, 30); si ritirò con lui a Cassiciaco, dove prese parte alle dispute di filosofia (ibid., IX, 8), e insieme con lui ricevette il battesimo il 25 aprile 387 (ibid., IX, 14). L'anno seguente Alipio tornò in Africa e a Tagaste si ritirò con gli amici a vita cenobitica (ibid., IX, 17; Possidio, Vita A., 111).

Nel 391 seguì Agostino nel monastero d'Ippona (Ep., XXII, 1). Poco dopo viaggiò in Oriente e strinse amicizia con s. Girolamo (Ep., XXVIII, 1). Fu caro a s. Paolino da Nola, che ne ammirava la santità e lo zelo (Ep., XXIV, tra le agostin. Y-XVII, 5). Eletto vescovo di Tagaste, quando s. Agostino era ancora prete (394 ca.; cf. Ep., XXV, 1), a fianco di lui, per quasi quarant'anni, rifulse nella Chiesa d'Africa come riformátore del clero, maestro di monachismo (s. Melania Iuniore passò sette anni a Tagaste sotto la sua direzione; cf. Ep., LXXXIII, 125, 188) e difensore della fede contro i donatisti e i pelagiani.

Nel 411 partecipò alla Conferenza di Cartagine, e fu tra i sette vescovi cattolici che sostennero le dispute con i donatisti (Gesta coll. carth., Mansi, Conc., IV 1760, pp. 7 sgg.). Nel 418, per incarico di papa Zosimo (Ep., CXC, l; Possidio, Vita A., XIV), si recò a Cesarea di Mauritania per affari ecclesiastici, e prese parte alla disputa di Agostino con Emerito, vescovo donatista (De gestis cum Emerito donatista). Contro i pelagiani si adoperò con tanto zelo che fu dagli eretici unito ad Agostino nell'odio (Op. imp. contra lul., 1, 42, 47; 3, 35) e da Girolamo nel merito: auctoribus vobis haeresis caelestiana iugulata est (Ep., CCII, 1, tra le agostin.). Nel 416 partecipo' al concilio di Milevi (Numidia), e ne scrisse al papa Innocenzo (Ep., CLXXVI-VII). Per la causa pelagiana venne più volte in Italia, latore di opere agostiniane al pontefice Bonifacio e al comes Valerio (Contra duas ep. Pelag., 1, 1-3; De nupt. et concup., Il, 1). Nel 428, da Roma, inviò all'amico una replica di Giuliano, e insisté perché rispondesse (Ep., CCXXIV, 2). Sono le ultime notizie che abbiamo di lui. Si presume che fosse ad Ippona per la morte di s. Agostino, e che sia morto nello stesso anno 430.

Della sua opera letteraria non ci resta che la parte da lui presa nei dialoghi agostiniani Contra Academicos e De Ordine (cf. Contra Acad., 1, 4). t commemorato fina dal 1584 nel Martirologio Romano al 18 agosto Dal sec. XVII con approvazione pontificia (cf. il breve di Clemente X Alias a Congregatione del 19 agosto 1672) i Canonici Regolari e gli Eremiti di s. Agostino ne celebrano il culto.

 

San POSSIDIO (vescovo)

17 AGOSTO

 

Nulla si conosce della vita di questo santo prima dell'incontro con s. Agostino, avvenuto ca. il 390 e da cui nacque un'amicizia fraterna ed intima protrattasi per quarant'anni, nutrì una vera venerazione verso il vescovo di Ippona, di cui celebrò la memoria compilandone la biografia e l'Indiculus, un elenco di opere agostiniane.

Fino al 400 visse nell'ambiente ascetico formatosi attorno ad Agostino; poi in quell'anno venne designato vescovo di Calama in Numidia, accettando però a malincuore l'incarico, perché non desiderava allontanarsi da Ippona dove tuttavia ritornò frequentemente per collaborare assiduamente con il santo vescovo nella lotta contro il donatismo ed il pelagiallesimo. Partecipò attivamente ai diversi sinodi di Cartagine, come quelli del 403, 407, 4 10 (Mansi. III, pp. 790, 806, 810) ed alla grande conferenza tra cattolici e donatisti, tenutasi nella stessa città nel giugno del 41 l. In tale assise intervenne efficacemente varie volte per esporre e difendere la posizione cattolica (Mansi, IV, pp. 8 sgg.). Sviluppatasi in Africa l'eresia pelagiana, cercò di ostacolarne la diffusione e per questo partecipo' ai sinodi di Milevi del 416 e di Cartagine del 419 (Mansi, IV, pp. 335, 433; Agostino, Epp. 137, 176).

Per questioni inerenti alla Chiesa africane per la lotta contro il donatismo fu inviato in Italia presso l'imperatore Onorio (410-411) e prese occasione da questo viaggio per incontrarsi a Nola col vescovo Paolino (Agostino, Ep. 105, 4; Contra Cresconium, 111, 50-52; Possidio, Vita Augustini, 12). Nella propria diocesi svolse un'attività pastorale molto intensa con l'intento di estirpare l'eresia donatista; in una di tali visite ad una località della propria giurisdizione cadde in un'imboscata preparata dai donatisti (404) e ne ebbe a stento salva la vita (Agostino, Ep. 105, 2, 4; Vita Augustini, cit., 12). Gravi difficoltà nel suo ministero incontrò nella stessa Calama sempre ad opera di fanatici donatisti (Agostino, Epp. 90-91, 103-104).

Nel 428 la sua sede episcopale venne occupata dai Vandali e per sfuggire alla crudeltà dei barbari Possidio si rifugiò ad Ippona ove rimase per quattordici mesi, e nel 430 potè assistere alla morte del suo grande maestro, s. Agostino. Ritornato nuovamente a Calama, ne fu scacciato nel 437 dal re Genserico (cf. Prospero di Aquitana, Epitomata Chronicon, c. 1327, ad an. 437, in MGH, Chronica minora, I, p. 475).

Le fonti antiche tacciono del luogo d'esilio, l'anno di morte e la sorte delle reliquie di Possidio, mentre un testo liturgico del sec. XIV appartenente ai Canonici Regolari Lateranensi pretende di sapere che Possidio, imbarcato assieme ad altri vescovi su una nave senza remi né vela, approdò sulle spiagge di Napoli, dove il vescovo di Calama sarebbe morto. Sempre in una lezione di un Breviario agostiniano del sec. XVI si afferma che il luogo dello sbarco e della morte fu l'Apulia. Il suo corpo, per ordine dell'imperatore Ludovico il Pio, sarebbe stato trasferito prima in Germania, poi a Reggio Emilia e definitivamente nella cittá di Mirandola (sec. IX). Su queste tarde notizie è il caso tuttavia di avanzare molte riserve. Se è vero che durante il dominio vandalo molti vescovi furono esiliati in Italia o in altre zone è anche vero che molti rimasero in territorio africano. D'altra parte l'identificazione del Possidonio venerato a Mirandola con il vescovo di Calama avviene proprio nel sec. XVI, senza alcuna prova e tutto lascia credere che i due personaggi non abbiano niente in comune a parte l'assonanza dei nomi (v. POSSIDONIO venerato a Mirandola).

La festa di Possidio è iscritta nel Martirologio Romano al 16 maggio, ma nessun martirologio antico prima del Baronio menzionava un culto a lui reso.

 

 

 

Santa MONICA

27 AGOSTO

Non poteva avere un biografo più attento e devoto di Agostino, che ella generò due volte, nella carne e nello spirito. Sono parole che si leggono nelle Confessioni di S. Agostino: "Ella mi ha generato sia con la sua carne perché venissi alla luce del tempo, sia con il suo cuore, perché nascessi la luce dell'eternità". Monica era nata a Tagaste, in Africa, da famiglia cristiana.

Andò sposa in giovane età a Patrizio, non ancora battezzato, dal quale ebbe due figli, Agostino e Navigio, una figlia, di cui ignoriamo il nome. La sua non fu una vita tranquilla: ebbe molte afflizioni per il comportamento del marito, di carattere difficile e facile all'ira; ma ebbe la consolazione di portarlo al fonte battesimale, ammansito, un anno prima della morte.

Rimasta vedova, tutte le sue cure si volsero al figlio più ribelle alla grazia, intelligente ma svogliato. Per lui pregò e pianse. Gli fu costantemente accanto, dolce e discreta, e per non perderlo di vista lo segui nelle varie peregrinazioni in Italia, a Roma e a Milano. "Non può essere che il figlio di queste lacrime si perda", le disse in sogno una misteriosa visione. Agostino ricevette il battesimo nel 387. Trascorsero insieme il periodo estivo, in attesa della partenza di Monica per l'Africa dal porto di Ostia. È qui che Agostino registra gli ultimi colloqui con la madre, dai quali possiamo dedurre la grande nobiltà d'animo di questa incomparabile donna, di non comune intelligenza se poteva scambiare pensieri tanto elevati con Agostino: "Avvenne - scrive questi al capitolo nono delle Confessioni - che io e lei ci trovammo soli, appoggiati al davanzale della finestra, che dava sul giardino interno della casa dove alloggiavamo, a Ostia. Si parlava tra noi, con infinita dolcezza, dimenticando le cose passate e protendendoci verso le future, e si cercava insieme, in presenza della verità, quale sarebbe stata l'eterna vita dei santi, vita che né occhio vide né orecchio udì, e che mai penetrò in cuore d'uomo".

Le ultime parole di Monica in questo colloquio ci danno l'immagine della sua anima:. "Figlio mio, per quanto mi riguarda, non c'è nulla che mi attragga, in questa vita. Non so nemmeno che cosa faccia quaggiù, e perché ci sia ancora. Una sola cosa mi faceva desiderare di vivere ancora un poco: vederti cristiano prima di morire. Dio mi ha concesso più e meglio: vederti cioè disprezzare le gioie terrene e servire lui solo. Che cosa faccio qui ancora?". Di lì a poco infatti ella morì, a Ostia, prima di potersi imbarcare per far ritorno in patria. Era l'anno 387 e aveva 55 anni.

 

 

Sant'AGOSTINO (vescovo e dottore della Chiesa, nostro padre)

28 AGOSTO

 

Del santo che più di ogni altro ha parlato di se stesso - ma lo ha fatto con sincerità e semplicità convertendo in confessione cioè in lode a Dio, tutto ciò che gli appartiene- non è facile parlare. Uomo e maestro, teologo e filosofo, moralista e apologista, santo e polemista: tutte immagini che traspaiono come in filigrana, e tutte valide, a chi osservi da vicino Agostino di Ippona, vescovo e dottore della Chiesa. L'uomo, anzitutto, con le inquietudini, le debolezze, le ansie, quale ci si presenta alla lettura delle sue Confessioni, nelle quali mette a nudo la sua anima con sincerità e candore.

Sulle soglie della giovinezza (era nato a Tagaste in Tunisia nel 354 dal pagano Patrizio e dalla cristiana Monica), Agostino sperimenta le contraddizioni del suo spirito, che ha sete di verità e si lascia sedurre dall'errore. Lo studio di una certa filosofia lo porta all'eresia manichea. Avverte il richiamo della perfezione morale, ma si sente " involto nella caligine della carne".

Impara retorica a Cartagine, poi insegna grammatica a Tagaste finché a 29 anni prende la via del mare e dopo una breve tappa a Roma raggiunge Milano, dov'è vescovo il grande S. Ambrogio.

La sua conversione al cristianesimo, propiziata dalle amorose premure e dalle lacrime della madre, che riesce perfino a convincerlo a separarsi dalla donna con la quale convive da quattordici anni e gli ha dato un figlio, Adeodato, giunge a maturazione in un episodio singolare e misterioso per lo stesso Agostino che, accogliendo l'invito "Prendi e leggi", trova nelle parole dell'Apostolo la sferzata decisiva: "non vi fate travolgere dalla carne e dalle sue concupiscenze".

Agostino chiede il battesimo al vescovo Ambrogio, poi torna in veste di penitente in Africa, dov'è consacrato sacerdote e poi vescovo di Ippona, trovando nella sincera adesione alla verità cristiana e nella multiforme attività pastorale la pace del cuore alla quale anelava il suo spirito tormentato dagli affetti terreni e dalla sete di verità: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha pace, finché non riposa in te".

Amato e venerato, per le umanissime doti di cuore e di intelligenza, muore il 28 agosto del 430 a Hippo Regius, antica città presso la moderna Bona in Algeria, mentre i Vandali la cingono d'assedio. Vent'anni prima la Roma imperiale aveva conosciuto l'umiliazione inflittale dal re barbaro Alarico e questo evento inaudito per quanti erano convinti della incrollabilità della città eterna spinse il vescovo di Ippona a scrivere l'altro suo capolavoro, la Città di Dio.

 

Beati GIOVANNI CARLO M. BERNARD DU CORNILLET

GIOVANNI FRANCESCO BONNEL DE PRADAL

CLAUDIO PONSE (sacerdoti e martiri)

4 SETTEMBRE

 

J.F. Bonnel de Pradal nacque il 5 settembre 1738 a Ax-les-Thermes da un'importante famiglia agiata. Studiò in casa con un precettore privato, poi il 4 settembre 1758 decise di entrare nella comunità dell'abbazia di Foix appartenente alla congregazione dei Canonici Regolari di st. Geneviève detta anche Congregazione di Francia. Professati i voti un anno dopo iniziò lo studio della filosofia e della teologia nella stessa abbazia di Foix, per poi essere trasferito in Normandia, all'abbazia di st. Ló dove ricevette gli ordini sacri. Di lì fu poi inviato nella diocesi di Chartres nella piccola comunità di soli tre confratelli. del convento di st Vincent de Bois con l'incarico di infermiere, dato che questo convento era diventato oramai una casa per infermi ed anziani.

Nel 1778 venne trasferito a Parigi alla casa madre di st. Geneviève. Nella città già serpeggiava la Rivoluzione, ma egli non volle assolutamente ritornare ad Ax, al sicuro, bensì si prodigò ancor più verso il popolo più povero, al contrario di molti suoi "confratelli" diocesani.

Il 10 agosto scoppiò l'insurrezione parigina che portò sul patibolo Luigi XVI e tutti coloro (compresi i sacerdoti) che non volevano prestare giuramento alla nuova Repubblica. Anche Jean Frangois ed il suo confratello Claude Ponse vennero arrestati a st Geneviève il 31 agosto. 1 due insieme anche ad un folto gruppo di sacerdoti e religiosi catturati dai rivoluzionari - tra i quali c'era anche Jean-Charle-Marie Bernarde du Comillet, canonico regolare di st Victor-, rifiutarono davanti al Pantheon di prestare giuramento di "Liberté et Egalité" al nuovo Stato, considerando tale atto una bestemmia a Dio.

Il 3 settembre 1792 vennero tutti uccisi. Pio XI, il 17 ottobre 1926 beatificò tutto questo gruppo di martiri.

Di Claude Ponse, come di Jean-Marie-Bernard du Comillet, sappiamo veramente poco. Il primo nacque nel 1729 nella diocesi di Puy e nel 1756 entrò a st. Geneviève dove rimase fino al suo arresto nel 1792. Il secondo fu l'ultimo bibliotecario dell'abbazia di st Victor a Parigi. Professò la vita religiosa nel 1783 e, come J.F. Bonnel de Pradal, non fuggì dall'abbazia durante la Rivoluzione.

 

San PIETRO di Chavanon (sacerdote)

9 SETTEMBRE

 

Su questo santo siamo bene informati grazie ad una Vita (BHL, Il. p. 974, nn. 6703-704) scritta una quarantina d'anni dopo la sua morte da un canonico della sua fondazione di Pébrac, e dall'elenco delle donazioni fatte al momento della fondazione di questa casa.

Pietro nacque nella prima metà dell'XI sec. (tra il 1003 e il 1007) a Langeac (HauteLoire) in Alvernia, nella diocesi di St-Flour. Apparteneva a una famiglia nobile di Chavanon, numerosi membri della quale a dire del biografo, compirono miracoli: "de stirpe eius plurimi exstitisse feruntur, quorum vitam Deus per miracula saepissime declaravit".

Dopo una pia educazione divenne arciprete (cioè parroco) del suo villaggio natale: "in praetaxato oppido Langiacensi... ad archisacerdotium... sublimatus est". Oltre ai suoi compiti pastorali, doveva anche assicurare il servizio religioso nel monastero femminile di St-Pierre-Les-Chases sito nei pressi (comune di St-Pierre-Les-Chases, HauteLoire). In quest'ultima sua funzione diede esempio di notevole virtù, respingendo gli assalti di una religiosa impudica ("sanctimonialis femina, quae potius daemonialis dicenda est").

Questa avventura, ampiamente romanzata dall'agiografo, ci fornisce un'interessante scena di vita quotidiana: il santo accompagnava a cavallo la badessa e alcune religiose che si recavano a sorvegliare la battitura del grano nei possedimenti del monastero; durante una sosta notturna, mentre il santo dormiva in un carro di fieno, la sua virtù fu messa alla prova.

In seguito Pietro diede le dimissioni dall'arcipretura di Langeac e fondò a Pébrac (Haute-Loire) una casa di Canonici Regolari posta sotto la regola di s. Agostino. Si assisteva in quel tempo agli inizi di un movimento canonicale che tendeva a sottomettere i canonici ad una regola più severa di quella dell'816 ed in particolare ad imporre loro la vita in comune e la povertà individuale. La fondazione di Pébrac, che deve collocarsi intorno al 1060, si ispirava direttamente a questi principi che erano stati proclamati in particolare al concilio di Roma del 1059 e costituivano uno degli aspetti della riforma gregoriana. t per questa ragione che la biografia sottolinea il fatto che i primi canonici di Pébrac seguivano "victum apostolicum secundurn edicturn augustinicum, nihil habentes in hoc mundo proprium".

Questi canonici ricevettero in dono dai signori del vicinato numerose chiese, donazioni confermate in seguito dal vescovo. Queste chiese erano fonti di reddito, ma forse i canonici di Pébrac assicuravano il ministero parrocchiale in alcune di esse.

Pietro morì in età molto avanzata, un 8 sett. tra il 1080 e il 1085. Già da vivo aveva compiuto numerosi miracoli e il suo culto si affermò presto; la sua festa fu fissata al 9 settembre. t interessante notare i procedimenti usati dai fedeli per ottenere i miracoli. Una donna cieca riacquista la vista lavandosi gli occhi con l'acqua delle abluzioni della Messa celebrata dal santo "aquam de manibus illius sancti hominis post consecrationem Corporis et Sanguinis Jesu Christi defluentem". Presso la sua tomba si veniva soprattutto a sollecitare la guarigione dalle febbri. Un malato trattenuto in casa dalla febbre, manda un messaggero per riportargli "exiguum de vino quo sacerdotis tumulus superfundebatur".

Nel sec. XVII altri racconti di miracoli fanno menzione del rito della incubazione: malati di febbri riottengono la salute dopo aver dormito una notte presso la tomba del santo. Il suo culto, dunque, era in quell'epoca ancor vivo.

 

Sant'ALBERTO (patriarca di Gerusalemme)

12 SETTEMBRE

 

Nato a Castrum Gualterii (l'attuale Castel Gualtieri, in diocesi di Guastalla, oppure Gualtirolo, in diocesi di Reggio Emilia) verso la metà del sec. XII, dalla famiglia Avogadro, come alcuni sostengono, oppure, più probabilmente, dai Conti di Sabbioneta.

La prima data sicura della sua vita è il 1180, anno in cui fu eletto priore dei Canonici Regolari di S. Croce di Mortara (Pavia), dove qualche tempo prima aveva abbracciato la vita canonicale. Nel 1184 fu nominato vescovo di Bobbio e l'anno seguente trasferito a Vercelli, che governò per vent'anni. In questo periodo vercellese svolse con rara prudenza e fermezza missioni di portata nazionale e internazionale: fu mediatore tra Clemente 111 e Federico Barbarossa, il cui successore, Enrico IV, prese sotto la sua protezione i beni ecclesiastici di Vercelli, costituendo Alberto principe dell'Impero. Per incarico di Innocenzo III nel 1199 rimise in pace Parma e Piacenza, ciò che il 12 gennaio 1194 aveva già fatto a Vercelli per Milano e Pavia. Nello stesso 1194 dettò statuti per i canonici di Biella; verso il 1200 decise in una lite tra l'abate e il preposto di S. Ambrogio di Milano; nel 1201 fu fra i consiglieri per la regola degli Umiliati, trasformati in ordine religioso da Innocenzo III. Importanza speciale, in questo periodo vercellese, ha il sinodo diocesano celebrato nel 119 1, di grande valore per la parte disciplinare, che continuò a servire di norma fino ai temi moderni.

Dopo la rinunzia del card. Goffredo (Soffredo, Suffredi) al patriarcato di Gerusalemme, i Canonici regolari del Santo Sepolcro, appoggiati dal re Amalrico Il di Lusignano, elessero loro patriarca Alberto. Innocenzo III ratificò la nomina pregando poi Alberto, con lettera del 17 febbraio 1205, di accettare l'elezione "licet... valde nobis necessarius sis in partibus Lombardiae, utpote cui secure in arduis etiam negotiis committimus vices nostras" (cf PL, CCXV, col. 540).

Il 16 giugno dello stesso anno, il papa annunziava ai prelati di Terra Santa che avrebbe mandato loro Alberto, "virum. approbatum, circumspecturn et providum", come suo legato per la provincia ecclesiastica di Gerusalemme (T. Haluscynskyj, Acta Innocentii III, Roma 1944, pp. 306-7). Sulla fine dell'anno Alberto otteneva varie facoltà e il pallio. Giunse in Palestina all'inizio del 1206, ma, non potendo entrare a Gerusalemme occupata dai Saraceni fissò la sua sede ad Accon (S Giovanni d'Acri), sebbene in quella sede già ci fosse un vescovo.

Anche da patriarca Alberto ebbe incarichi di straordinaria fiducia dal papa: fu mediatore di pace tra il re di Cipro e quello di Gerusalemme, fra il re di Armenia e il conte di Tripoli, tra questo e i Templari, fra il re di Armenia e gli stessi Templari, tra il re di Cipro e il suo connestabile. In campo ecclesiastico si oppose all'arcidiacono di Antiochia, che sostituì con altra persona; si oppose al conte di Tripoli, che teneva prigioniero il patriarca di Antiochia; depose il patriarca greco intruso e fece eleggere un nuovo patriarca latino; annullò la scelta invalida dell'arcivescovo di Nicosia in Cipro e ne fece eleggere un altro; col sultano d'Egitto operò uno scambio di prigionieri e mandò legati al sultano di Damasco per la pace in Terra Santa. Fu sempre molto stimato da Innocenzo III, che gli inviò molte lettere e ne apprezzò la saggezza, la prudenza e la fortezza, attribuendo alla sua opera se la Terra Santa non finì del tutto sotto il dominio dei Saraceni.

Il 19 apr. 1213 il papa lo invitava al Concilio Lateranense IV (PL, CCXVI, coll. 830-3 1), al quale non poté però, partecipare per il sopraggiungere della morte.

Verso il 1208- 1209 Alberto scrisse la Regola carmelitana, che indirizzò al priore del Monte Carmelo, Brocardo, e agli altri "eremiti che sotto la sua obbedienza abitano presso la Fonte" sulla sacra montagna. Breve e laconica, la Regola è un saggio prezioso della mens e dello spirito di Alberto, ed è da ritenersi un testo importante della spiritualità medievale. Alberto codificò certamente quella che era la tradizione monastica del Carmelo, ma vi manifestò indubbiamente i tratti caratteristici della sua anima. Non per nulla la Regola, così parca e discreta relativamente a vere e proprie prescrizioni disciplinari, insite particolarmente sullo spirito della nuova istituzione orientata verso la continua orazione e la meditazione della parola di Dio, e al clima interiore ed esteriore di silenzio, al raccoglimento e al distacco, che favoriscono il contatto con Dio. Per questo testo, che è ancora la legge basilare della formazione e della disciplina monastica del Carmelo, l'Ordine venera s. Alberto come proprio legislatore.

Mentre ad Accon il 14 sett. 1214 partecipava ad una processione, Alberto fu ucciso a colpi di coltello dal Maestro dell'Ospedale di Santo Spirito, che egli aveva rimproverato e deposto per la sua mala vita.

La festa di Alberto comincia ad essere celebrata tra i Carmelitani nel 1504, secondo H. Zimmermann, ed è fissata all'8 aprile; abbandonata nel 1574, riappare nel proprium degli Scalzi nel 1609; le lezioni approvate nel 1672 fanno morire il santo patriarca "fra i suoi" sul Monte Carmelo. Attualmente la festa di Alberto è celebrata in sett.; il 16 dai Carmelitani dell'Antica Osservanza; il 25 dai Carmelitani Scalzi; il 26 dal Patriarcato latino di Gerusalemme. Continuano a celebrarne la festa l'8 apr. l'arcidiocesi di Vercelli e i Canonici Regolari Lateranensi (dal 1666).

 

San PIETRO di ARBUÈS (sacerdote e martire)

17 SETTEMBRE

 

È celebre per aver trovato la morte nell'esercizio delle sue funzioni di inquisitore in Spagna segnando una tappa importante nella storia di questa istituzione.

Nacque ad Epila, nel territorio di Saragozza nel 1440, da nobile famiglia. Fece i suoi studi prima in Spagna, poi a Bologna, dove divenne professore di teologia e dottore in utroque iure. Ritornato nel suo paese, fu aggregato al capitolo regolare di Saragozza e vi fece la professione nel 1476. Era uomo austero e pio, di una virtù superiore ad ogni elogio e di grande zelo per la difesa dell'ortodossia. Aveva quindi tutte le qualità per entrare a fare parte dell'inquisizione di Spagna che allora si andava organizzando.

In realtà l'inquisizione esisteva già in Spagna fin dal Medioevo, ma era episcopale e romana, mentre quella che sorse a partire dal 1483, anno della nomina del Torquemada ad inquisitore di tutta la Spagna, si presenta sotto tutt'altra luce. Innanzitutto ebbe un carattere spiccatamente nazionale e statale (Torquemada aveva il potere di giudicare in appello, in luogo della curia di Roma) e in secondo luogo fu diretta non contro gli eretici, ma contro i falsi cattolici, cioè gli ebrei e i mussulmani convertiti solo in apparenza, ma di fatto rimasti fedeli alla loro primitiva religione. Questi marrani (ex-ebrei) o moreschi (ex-mussulmani) erano detestati dal popolo ed in queste condizioni l'inquisizione spagnola si mostrò fin da principio dura e crudele.

Torquemada aveva diviso la Spagna in parecchie circoscrizioni territoriali, e Pietro, su richiesta del re Ferdinando, fu nominato grande inquisitore d'Aragona; nell'esercizio delle sue funzioni si mostrò rigoroso e mandò al supplizio numerosi " ebrei-cristiani". Contro di lui fu allora organizzato un complotto, cui parteciparono alcuni personaggi di rilievo legati per via di matrimonio con l'ambiente ebraico. I congiurati raccolsero forti somme di denaro e incaricarono dell'esecuzione Giovanni de la Abadía, nobile aragonese, discendente, per parte di madre, da ebrei. Pietro, avvertito del complotto, non tenne conto della minaccia, desiderando quasi una tal morte che avrebbe fatto di lui un confessore della fede e un martire.

Nella notte del 15 settembre 1485, mentre cantava inginocchiato il Mattutino, fu colpito da alcuni congiurati e morì due giorni dopo per le ferite riportate. Dopo l'attentato pronunziò queste parole: "Sia lodato Gesù Cristo che mi ha concesso di morire per la santa fede".

Dichiarato beato nel 1664, fu canonizzato nel 1867 da Pio IX. La sua tomba si trova nella cattedrale di Saragozza. Pietro fu iscritto nel Martirologio Romano al 16 settembre nell'ed. del 1748 per ordine di Benedetto XIV.

 

San CHETILLO (sacerdote)

26 SETTEMBRE

 

CHETILLO (ESUPERIO), prevosto di VIBORG. Nel Breviario dello SchIeswig del 1512 sono riportate sei lectiones riguardanti la sua vita e riferenti notizie, nel complesso, degne di fede.

Chetillo nacque al principio del sec. XII da buona famiglia danese a Venning, nello Jutland; fin dalla giovinezza si distinse nelle discipline sacre e profane, ma maggior fama s'acquistò per la condotta virtuosa. Il vescovo di Viborg, Eskillo, lo invitò nella sua diocesi e l'ordinò sacerdote. Entrato poi fra i Canonici Regolari Agostiniani, Chetillo ne divenne prevosto e assunse anche l'incarico di educare i chierici della scuola capitolare Si valse della sua grande influenza per promuovere la pacificazione degli animi, turbati dalle lotte per le successioni dinastiche, svolgendo contemporaneamente opera missionaria presso i Vendi. Secondo una lezione del Breviario sopra citato, sarebbe morto martire (la notizia non è però suffragata dai più antichi martirologi): forse la sua fine fu violenta, ma non causata dall'odio degli infedeli.

Morì nel 1150 (o 1151), probabilmente il 27 settembre In Danimarca la sua festa è celebrata l'11 luglio, verosimilmente data di approvazione del culto da parte di Clemente III (1188).

 

San CRODEGANGO (vescovo)

3 OTTOBRE

 

Nacque nel 712 ad Hesbaye (Brabante) da Sigrammo e Landrada, nobili ambedue. Ricevuta una solida formazione nel monastero benedettino di Saint-Trond, ad appena venticinque anni fu nominato da Carlo Martello referendario, cioè cancelliere, del regno d'Austrasia (737). Non abbandonò, tuttavia, le abitudini di mortificazione e carità verso i poveri acquistate nel monastero.

Dovette conservare il suo posto di cancelliere anche dopo la consacrazione a vescovo di Metz, avvenuta il 30 sett. 742, e lo tenne dignitosamente esercitando un benefico influsso sulla politica religiosa di Pipino il Breve e senza trascurare i suoi doveri di vescovo, anzi, ricavandone mezzi per una più energica azione pastorale in continuazione e approfondimento di quella di s. Bonifacio, riformatore del clero franco e apostolo della Germania.

Promosse la diffusione del monachismo benedettino, fondando le abbazie di Gorze (74 8) e di Gengenbach (74 1), contribuendo alla fondazione di quella di Lorsch (764) e alla restaurazione di quella di S. Ilario, che prese il nome di Saint-Avold.

Preoccupandosi soprattutto del clero secolare, Crodegango promulgò il parvum decretulum, un piccolo codice con cui, "per quanto gli fosse possibile, se non proprio quanto avrebbe dovuto", cercò di riportarlo nella vita della rettitudine. t la regola canonicorum, che per due terzi si ispira e, anzi, riproduce quasi alla lettera la Regola di s. Benedetto ch'egli, antico alunno di Saint-Trond, ben conosceva, e per il resto si adatta alla situazione particolare del clero diocesano. Sono originali i capitoli riguardanti la Confessione, le feste, la proprietà privata e gli obblighi di matricularii, addetti al servizio delle chiese. Questa Regola, in 34 capp. nella redazione originaria, in 86 nelle redazioni posteriori, adottata presto da molti capitoli in Francia e fuori e ripresa nella sostanza, se non nella forma, dall'Institutio canonicorum del concilio di Aquisgrana dell' 816 (ed. A. Werminghoff, in MGH, Concilia aevi Karolini, 1, pp. 307 sgg.), influirà decisamente sulla spiritualità del clero diocesano della Chiesa latina lungo tutta l'età feudale.

Crodegango, che non indica mai la fonte principale della sua Regola, si preoccupa invece di indicare i particolari ispirati all'uso romano che aveva conosciuto nel 753 quando si era recato a Roma a prendervi il papa Stefano Il, che doveva incontrarsi con Pipino a Ponthion (6 gennaio 754). In premio, il papa gli concesse il pallio e, dopo la morte di s. Bonifacio (755), anche il titolo di arcivescovo, senza che per questo la sua sede diventasse metropolitana. Quel viaggio a Roma influì anche in altri campi della sua attività pastorale: si ispirò alle basiliche romane, specialmente a S. Maria Maggiore, e alla liturgia romana nella riforma di quella di Metz, specialmente nei riguardi del canto liturgico e dell'ordinamento stazionale.

Crodegango presiedette i concili provinciali di Verneuil nel 755, di Compiègne nel 757 e di Attigny nel 765 (o, come vogliono altri, nel 762). 1 ventisette vescovi e i diciassette abati presenti a quest'ultimo firmarono un patto funerario, il primo che si conosca, per cui ciascuno avrebbe celebrato un certo numero di Messe e cantato cento salmi alla morte dei singoli firmatari (cf. Mansi, XII, coll. 773-76). In quello stesso 765 Crodegango ritornò a Roma e ottenne da Paolo I i corpi dei martiri Nazario, Gorgone e Nabore che depose, rispettivamente, nei monasteri di Lorsch, Gorze e S. Ilario, da allora Saint-Avold.

Morì l'anno dopo, il 6 marzo 766. 1 suoi resti, deposti dapprima, in ossequio al suo desiderio, nel monastero di Gorze, furono più tardi trasferite in quello di S. Sinforiano a Metz e vi restarono fino alla Rivoluzione, quando andarono dispersi. L'epitafio, in distici latini, composto da s. Teodolfo d'Orléans, ne celebra la pietà, lo zelo episcopale, la carità e il beneficio influsso esercitato sui principi, sicché "vita eius cunctis nonna salutis erat" (cf. PL, LXXXIX, col. 1054). Metz ne celebra la festa il 6 marzo: solo una parrocchia di questa diocesi, però, l'ha come patrono, e cioè Althorn, presso Bitche.

 

San GIOVANNI da Bridlington (sacerdote)

100TTOBRE

 

Secondo il bollandista Paolo GrosJean (m. 1964), che ha compiuto un importante studio su Giovanni, pubblicando alcuni documenti inediti (v. in bibl.), Giovanni di Thwinng (località presso: Bridlington) entrò ventenne nel priorato di S. Maria dei Canonici Regolari di s. Agostino a Bridlington, posto nella parte orientale della contea di York, dove fu sacerdote maestro dei novizi, predicatore, elemosiniere e sottopriore. Nel 1361 ne divenne priore distinguendosi per la pietà e per l'abilità amministrativa, per cui il monastero divenne fiorente. Morì il 10 ottobre 1379

Nel 1386 fu compiuto un esame dei miracoli che gli venivano attribuiti.. Nel 1400 il canonico Giovanni Gisburn si recò a Roma per promuoverne la canonizzazione. Il papa Bonifacio IX lo iscrisse fra i santi in data 24 sett. 1401 e tre anni dopo il corpo fu trasferito in un magnifico sepolcro. Questo divenne meta di pellegrinaggi e fra gli altri, vi si recò Enrico V, re d'Inghilterra, per ringraziare il santo della vittoria riportata ad Azincourt nel 1415, a lui attribuita oltre che all'omonimo di Beverley. A Giovanni, erroneamente, vengono attribuite alcune profezie sulla storia inglese, omelie e un commento dei Salmi.

 

San BERTRANDO (vescovo)

16 OTTOBRE

 

Nacque a l'Isle-Jourdain (Gers) verso la metà del sec. XI: era figlio di Attone Raimondo, signore del luogo, e di Gervasia, figlia del conte di Tolosa, Guglielmo Tagliaferro e sorella della regina Costanza, sposa di Roberto il Pio. Contrariamente a ciò che si afferma comunemente, Bertrando non fu allevato all'Escale-Dieu né alla Chaise-Dieu (entrambe le abbazie furono fondate dopo la morte del santo), ma la sua educazione fu dapprima unicamente militare, come quella di un giovane nobile Ben presto, però, entrò nel clero, divenne canonico e arcidiacono di Tolosa (dopo il 1070), poi vescovo di Comminges verso il 1078-80, ricevendo la consacrazione episcopale ad Auch dalle mani dell'arcivescovo.

La sua opera pastorale fu di grandissima importanza: ridiede vita alla città episcopale, l'antica Lugdununi Convenarum, distrutta e abbandonata dopo il 585, la quale prenderà più tardi il suo nome (S. Bertrando di Comminges, Alta Garonna), vi chiamò degli abitanti, vi costruì una cattedrale e un chiostro, vi fondò un capitolo di canonici sotto la regola di s. Agostino. Visitò senza sosta la diocesi, in gran parte montagnosa e di difficile accesso, riconducendo, nello spirito della riforma gregoriana, il clero alla disciplina canonica e i fedeli alla pratica delle virtù cristiane: il suo sforzo fu confortato da molti e significativi miracoli.

Preso dalla febbre nel corso di una di queste visite pastorali, si fece ricondurre nella sua cattedrale, dove morì il 16 ott. 1123 e nella quale fu seppellito.

La fama, che lo attorniava già da vivo, non fece che crescere coi miracoli che si manifestarono sulla sua tomba e il popolo non esitò a considerarlo un santo. L'arcivescovo di Auch, Guglielino Il di Montaut, suo nipote, incaricò verso il 1167-70 il chierico Vitale di scriverne la Vita e di interessare alla sua causa di beatificazione il papa Alessandro III. L'opera di Vitale è pressoché l'unica fonte che ci sia rimasta per B. anche se, nel 1220, Onorio III ordinò a sua volta un'inchiesta sulla vita e i miracoli del grande vescovo.

La canonizzazione, questa volta, dovette seguire senza ritardo, quantunque se ne ignori la data esatta poiché la città vescovile è chiamata col suo nuovo nome di S. Bertrando dal 1222.

Comunque, la festa della depositio (16 ottobre) si estese in tutta la Francia del sud-ovest. Ad essa, nel corso del sec. XIII, si aggiunse la festa della revelatio di s. Bertrando (2 maggio), la cui origine fu un celebre miracolo operato dal santo dopo la morte: egli era apparso a un cavaliere prigioniero dei Mori e l'aveva liberato, in ricompensa di una buona azione compiuta nel passato. Infine, il vecchio vescovo di Comminges, Bertrando de Got, divenuto papa Clemente V, procedendo il 16 gennaio 1309 all'elevazione delle reliquie del santo, decise che anche l'anniversario di questa translatio sarebbe stato festeggiato. Ai fedeli che visitassero la cattedrale di Comminges in queste tre feste e nelle loro ottave, Clemente V concesse anche delle indulgenze considerevoli. Inoltre, un "gran perdono" o giubileo, di cui è difficile storicamente attribuirgli l'istituzione, ma che è stato approvato dai papi Pio VI nel 1777 e Gregorio XVI nel 1839, può essere lucrato a S. Bertrando di Comminges ogni volta che la solennità dell'invenzione della S. Croce cade di venerdì.

Le reliquie di Bertrando, sfuggite prima al furore dei protestanti poi a quello dei rivoluzionari, sono state di nuovo riconosciute ufficialmente il 15 ottobre 1912. La cattedrale di Comminges conserva anche un certo numero di oggetti (mitra, cappa, sandali, ecc.) che si crede siano appartenuti al santo vescovo .

La diocesi di S. Bertrando di Comminges è stata soppressa dal concordato del 1801 e il suo territorio diviso tra le diocesi di Tolosa e di Tarbes, ad eccezione di trentuno parrocchie situate in territorio spagnolo: il titolo episcopale è passato recentemente all'arcivescovo di Tolosa.

La festa di s. Bertrando si trova iscritta nei Propri diocesani di Tolosa, Auch e Tarbes, il 16 ottobre. Essa attira sempre molti fedeli nella vecchia città vescovile.

 

San FOLCO (vescovo)

26 OTTOBRE

 

Folco nacque a Piacenza verso il 1164 da famiglia probabilmente oriunda irlandese: per questo motivo spesso viene aggiunto al suo nome il "cognome" Scotti (da Scotus latino). Non si sa nulla della sua infanzia e giovinezza.

Nel 1186 entrò nell'ordine dei Canonici Regolari di S. Agostino che reggevano la parrocchia di S. Eufemia e dai quali fu inviato a Parigi per gli studi teologici. Nel 1194 tornò a Piacenza perché era stato nominato prevosto di S. Eufemia. Il vescovo Grimerio (1199-12 10) si servì di lui per molti affari e tra l'altro lo incaricò di stendere il discorso di apertura dei sinodo del 1207. L'anno seguente fu nominato canonico della cattedrale e poco dopo arciprete.

Ebbe anche l'incarico di Lettore di S. Teologia al seminario teologico di Piacenza, allora molto fiorente. Alla morte di Grimerio nel 1210, Folco venne eletto vescovo di Piacenza, ma l'elezione non fu confermata dal papa Innocenzo III; nonostante tutto egli resse la diocesi per sei anni, finché papa Onorio III l'11 settembre 1216 lo consacrò ufficialmente. Nello stesso anno gli elettori di Pavia richiesero Folco come proprio vescovo: accettò.

Nel nuovo campo di apostolato istituì 77 mense per i poveri e scuole gratuite per i giovani; fece riforme per i monasteri maschili (tra i quali il monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro) e femminili, difese i diritti ecclesiastici nella lotta con il potere civile.

Morì il 16 dicembre 1229 e fu sepolto nella cattedrale. Il suo culto fu poco sentito fino al 1567 quando vennero riscoperte le sue reliquie ed il suo nome inserito nel Martirologio romano al 26 ottobre. Tuttora il culto è poco popolare e la sua iconografia a Piacenza è recente.

 

San GERALDO (vescovo)

5NOVEMBRE

 

GERALDO (fr. Guiraud), vescovo di BúZIERS, santo. I documenti che avrebbero potuto servire di base ad una biografia di questo santo sono in gran parte scomparsi, ma fortunatamente una Memoire pour servir a' la vie de saint Guirand, venne scritta all'inizio del XVIII sec. (senza nome d'autore, ma non v'è dubbio alcuno che si tratti d'un priore di Cassan chiamato: de Ciry); e questa memoria, composta sulla base degli archivi del priorato, merita ampia fiducia.

Il curriculum vitae di Geraldo si può così riassumere: originario del borgo di Puissalicon (dipartimento dell'Hérault), già in diocesi di Béziers, ma attualmente in quella di Montpellier, nacque verso l'anno 1070 e la sua nascita, poiché prematura, non fu accolta molto bene; fu battezzato in fretta per immersione come era allora costume.

Avendo quindi imparato a leggere e a scrivere, il ragazzo entrò, prima del 1085, tra i Canonici Regolari di s. Agostino nel priorato di Cassan (attualmente comune di Roujan, nel dipartimento dell'Hérault). Grazie ad alcune carte da lui sottoscritte, si può seguire la sua vita clericale e religiosa: diacono nel 1094, prete nel 110 1 , fu senz'alcun dubbio eletto priore tra il 4 maggio 1105 ed il 9 agosto 1106.

Divenuto priore, Geraldo diede un vigoroso impulso alla vita canonicale di Cassan: il numero dei canonici s'accrebbe, mentre, sul suo esempio, la vita spirituale si sviluppò fervente e mortificata. Contemporaneamente egli riedificò il chiostro e la chiesa, la cui dedicazione solenne ebbe luogo il 5 ottobre 1115; fondò inoltre un nuovo ospizio, fuori della clausura.

Divenuta vacante la sede episcopale di Béziers nel 1122, egli vi fu elevato, ma il suo episcopato fu sfortunatamente assai breve, affetto da idropisia Geraldo moriva il lunedì 5 novembre 1123.

Il suo corpo, deposto dapprima nella collegiata di S. Afrodisia, venne affidato, tra il 1247 ed il 1261, alle Clarisse di Béziers, per essere poi riportato, nel 1355, al luogo primitivo, col patto però che ogni anno, le sue reliquie, portate in processione, facessero sosta al convento di S. Chiara. Tali reliquie furono danneggiate durante le guerre di religione nel XVI sec., ma Roujan conserva sempre un ricordo insigne di Geraldo: il suo anello pastorale.

 

Santi ISRAELE e TEOBALDO

7NOVEMBRE

 

L'antica abbazia benedettina di Le Dorat (H.teVienne), distrutta nell' 866 dai Normanni, fu riedificata nel 944 da Bosone il Vecchio, conte della Marca, il quale in un primo tempo si attribuì il titolo di abate, ma poi, nel 987, l'affidò ai Canonici Regolari di s. Agostino sotto la direzione dell'abate Folicaldo.

Tra le persone insigni per santità che vi fiorirono nel sec. XI sono i due santi: Israele (m. 22 o 31 dic. 1014) e Teobaldo (m. 6 nov. 1070). Il primo, autore di poesie religiose che erano lette ancora nel sec. XVII, venne invitato da Ilduino vescovo di Limoges, ad insegnare nella scuola episcopale di questa città e vi divenne prete e vicario generale, pur rimanendo maestro di canto a Le Dorat. Viva fu la sua carità nell'assistere gli ammalati di epidemie scoppiate negli anni 989 e 990 e saggia la sua influenza anche alla corte di re Roberto il Pio: l'arcivescovo di Reims, Gerberto, ne aveva grande stima e divenuto papa Silvestro Il (999-1103) lo creò prevosto di Saint-Junien. Tornò a Le Dorat prima come insegnante nel 1006, poi definitivamente nel 1013 quando un furioso incendio aveva devastata l'abbazia. Vi morì alla fine dell' anno seguente.

Più ritirata è la vita di s. Teobaldo, trascorsa in umile nascondimento. Nato nella provincia di Limoges (a Chaix, se vogliamo credere ad una tradizione locale), si recò a studiare a Périgueux, poi tornò in patria ed entrò tra i Canonici di Le Dorat, dove fu discepolo di Israele, almeno secondo una tradizione raccolta dalle lezione del suo Ufficio, composto nel sec. XVII. Per desiderio dei confratelli che lo volevano sacerdote, fu iniziato agli ordini sacri, ma pare che non raggiungesse il sacerdozio. Passava tutta la sua giornata in chiesa e non ne usciva che per visitare gli infermi, cosicché venne eletto custode e sacrista della chiesa stessa, ed a queste cure si dedicò con ogni impegno. Non si accontentava della comune recita del notturno sub gallicinii tempore, ma passava quasi tutta la notte in preghiera e penitenza. Morì santamente il 6 nov. 1070.

Sepolti ambedue nel cimitero comune, in seguito ai miracoli che cominciarono a verificarsi sulle loro tombe, furono traslati nella cripta della chiesa di S. Pietro il 27 gennaio 1130, poi nella chiesa superiore il 13 settembre 1659. Da questa data ogni sette anni se ne fa la solenne ostensione delle reliquie, con grande concorso di popolo.

Le Vite dei due santi (BHL, I, p. 667, n. 4496; Il, p. 1162, n. 8027) hanno un certo valore: furono scritte nell'ambiente di Le Dorat poco dopo la loro morte. Però solo dal sec. XVII abbiamo notizia di feste liturgiche in loro onore, nella diocesi di Limoges: dal 1659, al 27 gennaio (prima traslazione) e dal 1872, al 13 settembre (seconda traslazione).

 

San GUALTIERO di Esterp

7NOVEMBRE

 

La Vita di Gualtiero fu scritta prima dell'anno 1096 da Marbodo vescovo di Rennes (1096-1123) e fu pubblicata dall'Henskens, in Acta S S Maii (citt. in bibl.).

Nato nel castello di Confolens, in Aquitania verso il 990, fu prima alunno dei Canonici Regolari dell'abbazia di Dorat e poi canonico della stessa abbazia. Caduto in disgrazia presso l'abate che egli aveva cercato di rendere più umano nei rapporti coi canonici, si ritirò a Confolens. I Canonici Regolari di Esterp (diocesi di Limoges) lo attirarono nel loro monastero dove, alla morte del superiore, lo elessero abate. Si segnalò per la mansuetudine e per una grande carità verso i poveri, ai quali distribuì notevoli aiuti.

Morì l'11 maggio del 1070, giorno nel quale è commemorato; sepolto nella chiesa di Esterp si cominciò a celebrarne solennemente l'anniversario fin dal 1091. Quantunque abbia avuto un culto pubblico, questo rimase circoscritto ai Canonici Regolari .

 

San LORENZO (òToole) da Dublino (vescovo)

14NOVEMBRE

 

LORENZO òTOOLE (Lorcan Ua Tuathail), arcivescovo di Dublino, santo. Nato a Castledermot, contea di Kildare nel 1128. Lorenzo era figlio di Murtagh, capo del clan Murray. Nel 1140 entrò nella scuola monastica di Glendalough e nel 1154 fu eletto abate di quel monastero all'età di venticinque o ventisei anni.

Il suo abbaziato (1154-1162) fli notevole per la devozione alla riforma; egli contribuì anche alla fondazione dell'abbazia di Baltinglass per i Cistercensi e di una casa per i Canonici Agostiniani a Fems.

Eletto arcivescovo di Dublino nel 1162, egli mise mano alla riforma di quella Chiesa imponendo la regola di Arrouaise ai canonici della sua cattedrale. La sua santità personale era ravvivata ogni anno da un ritiro di quaranta giorni nella grotta di s. Kevin a Glendalough.

Quando nel 1169 i Normanni invasero l'Irlanda, Lorenzo venne a trovarsi in una posizione difficile; era stato, infatti, suo cognato, Dermot Mac Murrough, re del Leinster, a chiamare i Normanni d'Inghilterra e sua nipote, Eva, figlia di Dermot, fu data in sposa a Strongbow, capo degli invasori. Durante il secondo assedio di Dublino nel 1170, Lorenzo fu incaricato di negoziare con i Normanni, ma la città fu presa mentre ancora procedevano le trattative. Sembra tuttavia che egli abbia fatto fronte all'occupazione anglo-normanna dell'Irlanda senza eccessivi sforzi.

Quando Enrico Il giunse nell'isola e convocò un sinodo a Cashel, Lorenzo accettò la Bolla papale Laudabiliter con cui il papa inglese Adriano Il autorizzava Enrico Il ad operare in Irlanda. Quindi agì da intermediario tra Enrico e i vari re irlandesi e negoziò un trattato tra Ruaidhri ÒConnor, "High-King", ed Enrico.

Con l'arcivescovo di Tuam ed i vescovi di Limerick, Kildare, Waterford e Lismore, partecipò al III concilio Lateranense in Roma nel 1173.

L'aprile o maggio di quello stesso anno fu nominato da Alessandro III legato papale in Irlanda ed ottenne dallo stesso papa due importantissimi privilegi, uno per Dublino ed uno per Glendalough (pubbl. in Crede Mihi, ed. J. Gilbert, Dublino 1879, pp. 1, 6).

Alla fine del sett. 1179, Lorenzo era di ritorno in Irlanda ed immediatamente convocò un sinodo a Clonfert per le regioni settentrionali dell'isola (arcidiocesi di Tuani e Armagh); scopo particolare del sinodo - durante il quale furono deposti sette vescovi "ereditari" - era quello di arginare gli abusi dei laici nella Chiesa.

Agli inizi del 1180, Lorenzo si recò in Inghilterra per incontrare Enrico II, portando con sé il figlio del re del Connacht come ostaggio per suo padre. Probabilmente a causa dei privilegi papali che egli aveva ottenuto a Roma (v. Giraldus Cambrensis, Ewpugnatio Hiberniae, in Opera Giraldi Cambrensis, ed. J. Dimock, V, Londra 1860, p. 357) Lorenzo incontrò ad Oxford o ad Abingdon, nel marzo 1180, un Enrico assai incollerito, il quale, infatti, "costrinse il beato Lorenzo a vivere in esilio" ( Vitae, ed. Plummer, p. 152). Dopo aver seguito il re fino in Normandia, finalmente ebbe il permesso di tornare in Irlanda. Sulla via del ritorno, tuttavia, si ammalò e morì il 14 nov. 1180 nella casa dei Canonici di S. Vittore ad Eu, in Normandia, dove il suo corpo riposa ancora.

Lorenzo fu canonizzato da Papa Gregorio IX nel 1225 e poco dopo un canonico di Eu (probabilmente Jean Halgrin di Abbeville, poi arcivescovo di Besangon) ne compilò una Vita, pubblicata da C. Plummer (Vie et miracles de St. Laurent, archévéque de Dublin, in Anal. Boll., XXXIII[1914], pp. 121-86).

In Irlanda la festa di Lorenzo si è sempre celebrata il 14 nov. (v. The Book of Obits and Martyrology of Christ Church, Dublin, ed. J. Crosthwaite, Dublino 1844); ed Eu, invece, vi è anche una festa della traslazione il 10 maggio.

 

Beato PONZIO (abate)

26NOVEMBRE

 

PONZIO, abate di ABONDANCE, beato. Appartenne alla nobile famiglia di Faucigny (Savoia). Entrato giovanissimo nell'abbazia dei Canonici Regolari di Abondance, ne rivide le Costituzioni accordandole con la regola di s. Agostino. Nel 1144 fu incaricato di fondare, a Sixt, una casa religiosa che fu eretta in abbazia dal papa Adriano IV nel 1155. Ponzio ne divenne primo abate autonomo, pur restando in contatto continuo con Abondance. D'altra parte, nel 1154 aveva fatto elevare al rango di abbazia il priorato di Entremont che fino ad allora era stato dipendente da Sin

Chiamato, nel 1172, a succedere a Burcardo in qualità di abate d'Abondance, ottenne nell'anno seguente la dignità di abbazia per il monastero di Grandval. Volendo tuttavia prepararsi più efficacemente alla morte, abbandonò ogni carica e si ritirò come semplice religioso a Sixt, dove morì il 26 nov. 1178. Sepolto nella chiesa dell'abbazia, il suo corpo, qualche anno più tardi, fu oggetto di un'elevazione e ricevette da allora un culto regolare. Il 14 nov. 1620, s. Francesco di Sales, che aveva per il santo abate una grande venerazione, ne aprì la tomba e ne prelevò alcune reliquie; anche il successore di san Francesco, Carlo Augusto di Sales, nutriva per lui una grande stima.

Gli Analecta Bollandiana (XXIII [1904], p. 506) fanno osservare che tra la morte di Ponzio e la comparsa della prima biografia passarono circa sette sec. e questo fa sì che certi dati debbano essere accolti con cautela. Una causa per il riconoscimento del culto fu iniziata nel 1866 da parte del vescovo di Annecy, Claudio Magnin, e successivamente, nel 1890, fu ripresa da parte di mons. Emesto Isoard. Con decreto del 15 dic. 1896, Leone XIII ne confermò il culto; la sua festa, nella diocesi d'Annecy, è il 26 novembre.

 

 

 

Beato GIOVANNI RUUSBROEC (sacerdote)

2 DICEMBRE

 

Giustamente si è detto che la dottrina ascetico-mistica di Ruusbroec è assai meglio conosciuta che la sua vita I suoi undici libri o trattati e le sue lettere ci sono tramandati in numerosi manoscritti, più di duecento, anche se non tutti sono della medesima qualità. Invece, della sua vita abbiamo soltanto scarsissimo materiale biografico sicuro: nessun diario, nessuna autobiografia, soltanto tre testimonianze contemporanee e una Vita scritta in latino verso il 1420 da un canonico di Groenendael, Enrico Utenbogaerde, conosciuto col nome latinizzato di Henricus Pomerius (m. 1469).

Pomerius compose la vita del primo priore di Groeneridael per inserirla nella sua opera De origine monasterii Viridisvallis databile tra il 1414 e il 1421. Ma non intese presentare un profilo storico. Il suo lavoro segue lo stile agiografico medievale usato per raccontare la vita dei santi: il protagonista è l'uomo perfetto fin dall'infanzia.

In giovane età si ritira dal mondo e passa le sue giornate immerso nella contemplazione divina. Non avendo conosciuto personalmente il "santo priore", si servì del materiale che gli venne fornito da due confratelli anziani: Giovanni van Hoeilaert (m. 1432) e Giovanni va Schoonhoven (m. 143 1)

Ciò spiega che Pomerius fece conoscere, anzitutto, l'attività e l'esperienza mistica di Ruusbroec durante gli anni del suo priorato a Groenendael, parlando dei rapporti con i primi confratelli, p. es. con Giovanni van Leeuwen (m. 1378) che fin dal 1344 faceva parte della piccola comunità di Groenendael. Per i suoi numerosi servizi fu chiamato il "buon cuciniere". Ma compose anche trattati spirituali in cui ripetutamente viene a parlare del suo "glorioso e indimenticabile confessore, Messer Giovanni Ruusbroec".

La Vita di Pomerius, anche se non è un documento utile agli storici, e questi vi trovano più racconti di edificazione che elementi di cronaca, non è priva d'importanza, più delle tre testimonianze. L'esistenza di quindici manoscritti col testo latino e, a partire del secolo XV, di numerose traduzioni in olandese, rivela l'interesse che suscitava la figura spirituale del fondatore di Groenendael.

Le menzionate testimonianze, quella del "buon cuciniere" come quella di Gerardo Grote (1340-1384) che aveva fatto visita a Groenendael, si distinguono per elogi della sua elevata dottrina. Ma non ci arricchiscono di particolari della sua vita a Bruxelles, prima della fondazione di Groenendael, e non ci dicono nulla circa l'eventuale attività di Ruusbroec all'infuori del suo ambiente monastico. Solo il terzo testimone, il certosino Gerardo, ricorda la visita del già anziano priore alla certosa di Hérinnes. Scrivendo il Prologo (circa 1362/63) alle prime opere di Ruusbroec, da lui copiate (o da qualche confratello certosino), ci informa di un fatto concreto, cioè di un viaggio di Ruusbroec con il soggiorno di certamente più giorni a Hérinnes per dare ampie spiegazioni su difficili argomenti della sua dottrina mistica.

L'opera agiografica di Pomerius ha largamente contribuito a diffondere l'immagine di un santo "estatico", autore di libri con una dottrina. esposta sotto l'illuminazione dello Spirito Santo, che raggiunge punte di sublimità, con pagine che riecheggiano esperienze di intima vita con Dio Trinità, con Cristo Incarnato e presente nell'Eucaristia.

Infanzia, studi, cappellania a Bruxelles

Giovanni Ruusbroec nacque nel 1293 a Ruisbroek, paesino situato nella valle della Senna, a nove chilometri a sud di Bruxelles. Secondo l'uso medievale, dal luogo della nascita prenderà il cognome.

Non sappiamo nulla del padre. Le fonti antiche conoscono soltanto la madre e ci parlano di uno zio (o parente stretto), Giovanni Hinckaert, ricco cappellano alla chiesa principale di Bruxelles, dedicata a santa Gudula. Nel 1304, egli accoglie in casa sua l'undicenne nipote per fargli frequentare la scuola capitolare. Giovanni. vi apprende la lingua latina e studia arte, cioè grammatica, retorica e dialettica. Secondo Pomerius questo studio è durato quattro anni. Sedicenne, un po' come san Benedetto, Ruusbroec si sarebbe subito consacrato al Signore con la sola ricerca della scienza divina.

Ruusbroec venne ordinato sacerdote nel 1317. Sua madre, che si era trasferita a Bruxelles nel 1305 "per essere più vicina al figlio", come racconta Pomerius; era già morta nel beghinaggio, dove si era ritirata. Aveva tanto desiderio di vedere suo figlio celebrare i santi misteri dell'altare. E anche Giovanni, dopo l'ordinazione la sentiva interiormente presente. Dio gli fece comprendere che sua madre era entrata nella gioia celeste. Ella gli apparve dicendogli d'essere stata liberata dalle pene del purgatorio in virtù della prima messa del figlio. Per venticinque anni troviamo Ruusbroec come cappellano a Santa Gudula, dove celebra la messa tutti i giorni, partecipa all'Ufficio corale, predica, fa catechesi, si prende cura delle beghine e di altre persone bisognose di consiglio. La vita religiosa era minacciata nei Paesi Bassi. Serpeggiavano le idee dei movimenti del "Libero spirito", creando confusione e disorientamento nei credenti.

Indubbiamente, egli si rese conto del pericolo dei loro atteggiamenti estremamente passivi per il sano sviluppo della vita interiore. Occorreva istruire la gente, arrivare a chiare distinzioni tra atteggiamenti falsi e l'insegnamento della Chiesa.

Nacquero così, ripetutamente, nei suoi scritti spirituali, importanti passi per controbattere le teorie dei "falsi mistici". Può darsi che gli amici o le persone di cui egli era il padre spirituale, glielo avessero chiesto. Ma forse egli stesso sentiva il bisogno di scrivere per mettere a disposizione dei lettori argomenti chiari per opporsi agli errori "degli ipocriti e dei gruppi che professavano una dottrina erronea", come avverte Gerardo.

 

La fondazione di Groenendael

Nei venticinque anni di fedele servizio alla chiesa di Santa Gudula, Ruusbroec, non emerge mai in nessuna carica ecclesiastica superiore. t semplicemente cappellano a Santa Gudula, vive ritirato, si dedica allo specifico apostolato sacerdotale e compone cinque trattati spirituali, tra essi il suo capolavoro Lo splendore delle Nozze spirituali. Non sembra che lo zio, prete mondano e immerso in molte faccende, abbia mostrato molto interesse per la vita di silenzio e di pietà del nipote. Pomerius lo elenca tra i dodici canonici maggiori di Santa Gudula. Ma la sua opinione non ha nessun fondamento storico. Probabilmente Hinckaert aveva soltanto la responsabilità della cappella di San Giovanni Evangelista. Attorno al 1327, in seguito a una grazia interiore che lo chiamò con forza alla conversione, lasciò la prebenda ecclesiastica per condurre vita santa e ritirata nella propria casa.

Il suo esempio impressionò un altro prete di Santa Gudula, più giovane, ma già canonico minore del Capitolo collegiale, Franco van Coudenberghe (m. 1386). Da Pomerius sappiamo che i due preti e Ruusbroec facevano vita comune nella casa di Hinckaert, senza per questo abbandonare il proprio apostolato. Verso il 1339 anche Franco rinunciò alla prebenda e al suo titolo di canonico, probabilmente in vista di un progetto religioso che i tre preti intendevano iniziare, in un luogo solitario, non lontano da Bruxelles.

Il rimanere preti a Bruxelles significava per loro il rischio di non poter svincolarsi del tutto da una società clericale di cui vedevano e comprendevano in pieno i difetti, anzi la decadenza, e di cui non volevano essere partecipi.

Non solo. Con la testimonianza della vita, con la predicazione, e Ruusbroec anche con gli scritti, essi avevano accusato il clero della loro Chiesa locale, criticando l'insoddisfacente situazione della diocesi; auspicando un rinnovamento morale e sociale. Tutto ciò aveva certamente creato nemici e oppositori. Per ciò era meglio voltare le spalle a Santa Gudula e cercare un altro posto.

La scelta di Groenendael (valle verde) si deve forse ai buoni rapporti di Franco van Coudenberghe con il duca Giovanni III di Brabante. Fin dal 1304 vi esisteva un eremitaggio, conosciuto da Ruusbroec che probabilmente aveva scritto il suo trattato La pietra scintillante per l'eremita Amoldo vari Diest, oppure per il suo successore, Lamberto. Uno di questi due era venuto a Bruxelles per chiedere a Ruusbroec di esporre la sua dottrina per iscritto. Sembra che il duca stesso abbia fatto la proposta ai tre preti di Santa Gudula di andare nella valle verde. Lamberto si sarebbe trasferito in un altro luogo della foresta, lasciando l'eremitaggio a loro.

La partenza venne fissata per la settimana di Pasqua del 1343. Il 16 aprile i tre preti presero possesso della nuova abitazione, corredata di un bel po' di terreno e del vicino vivaio.

Il duca Giovanni III aveva posto la condizione di costruirvi una casa per almeno cinque persone, tra cui dei sacerdoti, che s'impegnassero a "celebrare l'Ufficio divino per la lode, la gloria e l'onore dell'onnipotente Dio, della gloriosa Vergine e di tutti i santi". E con questa pia opera il duca voleva assicurarsi i suffragi per l'anima della sua diletta sposa, Maria d'Evreux, morta nel 1335.

 

Il priore di Groenendael

A Groenendael, Ruusbroec continuò la sua attività letteraria, scrivendo "sotto l'ispirazione dello Spirito Santo", come fu convinzione dei contemporanei e confratelli che lo circondavano di sincera ammirazione. L'immagine rimasta nella loro memoria s'incentra su due qualità: sanctus, per il carattere vissuto della sua dottrina mistica di incomparabile sublimità, e inspiratus, per l'influsso divino con il quale si cercò di spiegare il suo insegnamento difficile, per molti "oscuro".

Per quasi quarant'anni il priore di Groenendael sarà il direttore spirituale, l'educatore e la guida dei confratelli più giovani. Tra i primi discepoli si distinguono il già nominato Giovanni van Leeuwen, arrivato nel 1344; Guglielmo Jordaens, maestro di teologia e traduttore dello Splendore delle Nozze spirituali in lingua latina, Godefredo van Wevel, redattore del trattato Le dodici virtù che per molto tempo venne attribuito a Ruusbroec.

Tra i visitatori è da ricordare Gerardo Grote, fondatore del movimento laico chiamato Devotio moderna. Anche i certosini di Hérinnes subirono l'influsso del "santo priore" di Groenendael.

Gli ultimi anni di Ruusbroec passarono tranquilli con una profonda vita di preghiera contemplativa. Pomerius conosce anche grazie e interventi particolari, legati alla sua profonda devozione eucaristica. Celebrava la messa con grande raccoglimento, quasi estaticamente. Avvertitone il prevosto, e temendo qualche malessere fisico, ritenne opportuno di proibirgli la celebrazione quotidiana del santo sacrificio. Chiamò l'anziano priore e glielo fece presente. Ma Ruusbroec non era dello stesso parere. Non celebrare la messa a motivo dell'età avanzata? Sospetti di malessere, di malattia? No, egli non era troppo vecchio. Anzi, tutta la sua gioia, tutta la sua felicità, tutta la forza della sua lunga vita era sempre stata l'Eucaristia. Poteva capitargli un lungo raccoglimento. Ma questo ha tutta un'altra spiegazione: "Dio si ricorda di me. Nostro Signore, egli stesso è venuto e si è manifestato a me". E implorò il superiore di non proibirgli "la celebrazione della messa, nella quale Nostro Signore viene e si fa vedere a me, riempie il mio cuore di gioia e di allegrezza. No, il non dire messa sarebbe troppo penoso per me".

Giovanni Ruusbroec morì il 2 dicembre 13 8 1, dopo circa due settimane di grave malattia, assistito fino all'ultimo momento dai confratelli e discepoli. Tra di loro si trovava anche un sacerdote amico che si intendeva di medicina. Ruusbroec aveva 89 anni e 64 di sacerdozio.

 

Beato ARCANGELO CANETOLI (sacerdote)

4 DICEMBRE

 

La biografia del Canetoli, scritta una ventina d'anni dopo la sua morte da un canonico della sua stessa congregazione che, con eccellente senso critico, indica spesso la provenienza delle singole notizie, costituisce un'ottima fonte di informazione. A questa fu aggiunta nel gennaio 1772 un'appendice col racconto delle grazie attribuite alla sua intercessione. Arcangelo Canetoli nacque poco dopo la metà del sec. XV da una delle più nobili famiglie di Bologna: perdette ben presto il padre e i fratelli, fatti uccidere dai Bentivoglio durante le sanguinose competizioni per il dominio della città. Nel 1484 vestì l'abito di Canonico Regolare al S.mo Salvatore di Venezia, dove gli fu affidato il compito di accogliere gli ospiti: in alcuni di essi gli accadde di riconoscere proprio gli uccisori del padre e dei fratelli, ma, eroicamente, seppe dominare il giusto desiderio di denunziarli. Ordinato sacerdote passò diversi anni in altri monasteri veneti della congregazione (S. Antonio, dove un Catalogo dei Canonici Regolari del 1485 lo qualifica Archangelum Christophori, in contrasto con la Vita che lo dice figlio di Faccio; S.mo Salvatore e ancora S. Antonio). Chiese ed ottenne, nel 1498, di essere trasferito nel monastero di S. Antonio di Gubbio, desideroso di dedicarsi alla vita contemplativa, particolarmente fervida in quella comunità.

Dovette, tuttavia, ritornare per qualche tempo al S.mo Salvatore (1505) e a Padova dove fu nominato vicario di S. Daniele in Monte, rimanendovi fino al 1509, quando gli si concesse di riprendere la sua vita eremitica a Gubbio. Quivi, intanto, andava sempre più affermandosi la sua fama di santità. Fra coloro che, numerosi, accorrevano a lui erano gli Acquisti di Arezzo (che fornirono poi all'autore della Vita parte delle notizie da lui riferite) e i duchi stessi di Urbino, cui il Canetoli preannunziò i futuri avvenimenti. Anche a Giuliano de' Medici, allora esule ad Urbino, predisse che sarebbe ben presto tornato alla sua città con tutti gli onori e, anzi, che la sua famiglia avrebbe avuto la maggior esaltazione che potesse sperare. Si ricordò di questa profezia Giuliano, quando tornò a Firenze e quando il fratello Giovanni diventò papa Leone X: avrebbe voluto allora ricompensare l'eremita di Gubbio offrendogli l'episcopato fiorentino, ma questi ricusò fermamente e chiese solo che fosse in qualche modo dotato il monastero di S. Antonio e che gli fossero concesse particolari indulgenze.

Nel ritorno da Firenze il Canetoli fu colto da febbre tanto grave che non poté proseguire oltre Castiglione Aretino: dovette fermarsi presso gli Acquisti e, malgrado le cure più affettuose, morì santamente, presso di loro, l'aprile 1515. Il 3 dicembre dello stesso anno, il suo corpo fu riportato a S. Antonio di Gubbio, dove è conservato incorrotto.

Della diffusione del suo culto fu testimone lo stesso cardinale Prospero Lambertini, che, divenuto papa col nome di Benedetto XIV, con decreto del 2 ottobre 1748, concesse Messa e Ufficiatura propria del beato, sia ai Canonici Regolari della sua congregazione sia all'archidiocesi bolognese.

 

San PIETRO FOURIER (sacerdote)

9 DICEMBRE

 

Nacque in Lorena a Mirecourt il 30 nov. 1565 e quasi tutta la sua esistenza trascorse nella natia Lorena; è quindi necessario, per meglio comprendere gli avvenimenti della sua vita, evocare, da prima sommariamente, l'originalità del paese in cui il santo visse.

La Lorena era allora suddivisa in vari principati, il più importante dei quali era il ducato di Lorena, stato sovrano con Nancy per capitale. Inseriti nelle terre ducali vi erano tre grandi principati ecclesiastici i vescovati di Metz, Toul e Verdun nei quali il re di Francia si insediò progressivamente a partire dal 1552. Altri principati, quali la contea di Salm, in cui vedremo chiamato per la sua missione P., rendevano ancor più complesso questo frazionamento.

Le circoscrizioni ecclesiastiche erano più semplici: la regione era ripartita in tre diocesi, Metz Toul e Verduri, dipendenti dalla metropoli di Treviri.

Durante tutto il periodo in cui si svolse la vita di P. il duca di Lorena riusci quasi sempre a far ascendere alle sedi episcopali della sua regione un figlio, un nipote, un cugino o, tutt'al più qualcuno che gli era devoto. Nella regione vi era dunque una certa unità d'azione che riceveva impulso dalla corte ducale di Nancy. Dagli inizi della Riforma, quindi, i duchi di Lorena avevano adottato un atteggiamento ostile nei confronti degli innovatori e la regione era rimasta terra cattolica tra la Germania largamente guadagnata al luteranesimo e la Francia in cui il calvinismo si era solidamente insediato.

Grazie agli sforzi compiuti dal duca Carlo III e da suo cugino, il card. Carlo di Lorena, nel 1572 fu creata a Pont-à-Mousson un'università, potente centro di studi da cui doveva ben presto irradiarsi la Contro-Riforma o, per meglio dire, la riforma cattolica. Eretta ufficialmente il 5 dic. 1572 da Gregorio XIII, l'università fu organizzata dal vescovo di Verdun, Nicolas Psaulme, fedele collaboratore del cardinale di Lorena ed attivo zelatore delle idee tridentine. L'insegnamento fu affidato ai Gesuiti.

La giovinezza. In questo centro di Pont-à-Mousson, Pietro giunse nel 1578 per compiervi gli studi, all'età di tredici anni. Era figlio di un mercante di stoffe di Mirecourt, una città del ducato di Lorena, capoluogo del baliaggio dei Vosgi dove, fianco a fianco, vivevano mercanti artigiani, uomini di legge ed ecclesiastici.

Pietro aveva ricevuto in casa un'educazione severa ma affettuosa; aveva imparato i primi rudimenti alle scuole della città natale, dando prova di attitudini intellettuali superiori alla media e manifestando anche una grande attrazione per il sacerdozio. E fu per rispondere a questa doppia vocazione che il padre lo condusse a Pont-à-Mousson dove doveva seguire, dal 1578 al 1585, tutto il ciclo della cultura umanistica e della facoltà delle arti.

Possiamo rilevare ciò che furono per lui quegli anni di studio sfogliando i suoi quaderni di note, ricopiati verso la fine della vita, ma in cui senza dubbio notiamo il riflesso del lavoro dello studente: note piene di citazioni della Scrittura, di autori classici, di Padri della Chiesa, di autori contemporanei.

Il suo primo biografo ed i suoi contemporanei ben descrivono la sua pietà, l'austerità della sua vita, la maturità del suo spirito e del suo giudizio. Mentre compiva il primo anno di filosofia gli fu chiesto di sorvegliare il lavoro e la condotta di un gruppo di giovani allievi del collegio; così a soli diciassette anni si trovò ad essere responsabile di dodici giovani sui quali ebbe un'influenza profonda e durevole. Ancora nel corso degli studi di filosofia divenne amico del benedettino Didier de La Cour e del premostratense Servais de Lairuels, entrambi già sacerdoti e futuri riformatori dei loro Ordini.

Nel 1585 un'epidemia di peste disperse gli studenti e mise termine alla dotta vita di Pont-à-Mousson, perciò P. tornò in famiglia, ma solo per un breve soggiorno, poiché nello stesso anno entrò come novizio nella abbazia dei Canonici Regolari di Chaumousey, tra Mirecourt e Èpinal.

Canonico regolare

Esisteva in Lorena un certo numero di abbazie di Canonici, tutte fondate alla fine dell'XI o all'inizio del XII sec., ma che, dopo un periodo di fervore, avevano conosciuto un lento decadimento A Chaumousey, i Canonici non osservavano praticamente più la povertà personale e non avevano più in comune che il luogo di residenza e l'Ufficio divino. In queste condizioni fa meraviglia vedere P. scegliere un tal genere di vita anziché entrare nella Compagnia di Gesù in seno alla quale era stato educato, conservava sempre tante amicizie e nella quale si sarebbe potuto mettere a profitto le sue rare qualità intellettuali. Ma tra i Canonici regolari avrebbe potuto svolgere un'attività che la Compagnia non gli poteva offrire: il ministero parrocchiale, dato che le abbazie dei Canonici servivano numerose parrocchie. Questa era veramente la vocazione di Pietro: essere parroco, pur appartenendo ad una comunità.

Fece dunque a Chaumousey il noviziato, poi la professione nel 1586 e fu ordinato sacerdote il 29 febbraio 1589 non a Toul, dove la sede episcopale era vacante, ma a Treviri, città metropolitana. Quindi tornò a Pont-à-Mousson per gli studi di teologia.

Ora che era sacerdote, Pietro poteva più facilmente dedicarsi all'apostolato ed ottenne il permesso di predicare e di confessare nella parrocchia di St-Martin, vicina all'università. Organizzò anche corsi di catechismo dialogato per i bambini, primo tentativo dei metodi che applicherà più tardi a Mattaincourt, e rimase a Pont-à-Mousson, fino all'agosto 1595, dopo di che rientrò nella sua abbazia, dove restò due anni incaricato delle funzioni di dispensiere e di amministratore della parrocchia di Chaumousey, alle porte dell'abbazia.

Certo a quest'uomo modesto la piccola parrocchia di Chaumousey poteva bastare; ma il genere di vita che egli intendeva condurre, il desiderio di vedere il suo Ordine ritornare ad una più stretta osservanza della regola non erano fatti per attirargli la benevolenza dei confratelli. Il suo zelo gli procurò perciò ben presto mille inquietudini, scherni talvolta eccessivi, e l'unica soluzione possibile era di ottenere una parrocchia più lontana dall'abbazia dove risiedeva. Scelse, quindi, fra tre proposte, quella di Mattaincourt, presso la sua città natale di Mirecourt.

Mattaincourt era un villaggio abbastanza grande, ma che non godeva di buona fama: la pratica religiosa lasciava molto a desiderare e inoltre la parrocchia era povera.

Pietro ne prese possesso il I' giugno 1597 e la governò fino al 1632, trasformandola completamente.

La Congregazione di Notre-Dame

Un'altra iniziativa del parroco di Mattaincourt si pone agli inizi del suo ministero, ma merita uno studio particolare, di cui ci occuperemo a lungo. Si tratta della Congregazione di Notre-Dame fondata da Pietro, si può dire, suo malgrado, o in ogni caso senza che egli avesse previsto ciò che la piccola opera parrocchiale degli inizi sarebbe divenuta in seguito. Al parroco di Mattaincourt incombeva il compito di nominare il titolare della scuola, dell'unica scuola che i ragazzi, ed eventualmente le ragazze, potevano frequentare. L'idea di Pietro era quella di assicurare a queste una speciale educazione in una scuola che fosse loro riservata e sotto la direzione di signorine.

Nel 1597 la Provvidenza portò al parroco di Mattaincourt quella che doveva divenire con lui la fondatríce della congregazione, Alice Leclercq, una ragazza di Remiremont, nata verso il 1576, e giunta da qualche anno a Hymont, secondo villaggio della parrocchia. Ella aveva sentito, verso i diciassette anni, l'appello di Dio ad una vita più perfetta, ma mancandole un direttore spirituale che l'aiutasse, non aveva ancora trovato la sua strada. La parola convincente di Pietro, l'esempio della sua vita, la saggezza dei suoi consigli orientarono definitivamente Alice verso una forma di vita religiosa dedicata all'insegnamento alle bambine.

Il giorno di Natale 1597 con quattro compagne ella fece la sua consacrazione a Dio, e, aiutata da due canonichesse di Poussay, nobile Capitolo vicino a Mirecourt, si preparò alla sua missione. Pietro assicurò la direzione spirituale, redigendo nel 1598 un primo regolamento, nucleo delle future costituzioni.

 

La riforma del Canonici Regolari

Pietro doveva ancora introdurre la riforma nell'Ordine al quale apparteneva, quello dei Canonici Regolari. Giovane professo a Chaumousey, egli aveva sognato di vedere l'abbazia ritrovare il suo passato fervore, ma da quando si trovava a Mattaincourt, pur senza aver mai cessato di far parte della comunità sembrava essersi rassegnato a proseguire da solo sul cammino della perfezione. Ad ogni modo non sembra avesse preso alcuna iniziativa per promuovere la riforma quando fu incaricato di farlo dal vescovo di Toul.

Gli sforzi compiuti a partire dal 1595 dal card. Carlo di Lorena avevano portato alla riforma di due Ordini: i Benedettini con Didier de La Cour e i Premostratensi con Servais de Lairuels. Rimanevano i Canonici Regolari di cui intendeva occuparsi Giovanni des Porcelets de Maillane, vescovo di Toul dal 1607 al 1624. Egli si rivolse a Pietro il quale malgrado la sua riluttanza ad assumere nuovi incarichi accettò per deferenza di collaborare con il suo vescovo. Conformemente ai decreti del Concilio di Trento, essi decisero di riunire le abbazie in congregazioni: il vescovo si sarebbe occupato dei bisogni materiali e Pietro avrebbe redatto gli statuti e sarebbe stato il vero capo dell'impresa.

Come luogo del noviziato, fu scelta l'abbazia di Luneville, nella quale lo stesso Pietro venne a formare i primi proseliti dei quali sette pronunciarono i voti nel marzo 1627. Voluta dal vescovo ed incoraggiata dal duca di Lorena, la riforma poté rapidamente raggiungere gli altri monasteri lorenesi. Ai vecchi canonici, cui la riforma non piaceva, fu assicurata una tranquilla vita al di fuori della comunità, di modo che le opposizioni furono meno temibili. Per prevenire eventuali inconvenienti derivati dalla commenda, si operò la separazione delle mense.

Alla fine del 1628 Roma accordò una Bolla in cui si riconosceva la Congregazione riformata con il nome di "Congregazione del Nostro Salvatore" sotto la direzione di un generale a vita. Quella Bolla, tuttavia, non rispondeva pienamente ai voti di P. il quale avrebbe voluto orientare i canonici che non si occupavano del ministero parrocchiale verso l'insegnamento, soprattutto nelle scuole più piccole; la Congregazione, invece era stata soltanto autorizzata ad aprire dei collegi.

Questa riforma dei Canonici Regolari era stata condotta a termine in appena sette anni, risultato tanto più notevole se si pensa che Pietro continuava a dirigere la sua parrocchia, conservava la carica nella Congregazione di Notre-Dame in costante sviluppo e contemporaneamente aveva nel 1625 dedicato sei mesi alla missione di Badonviller.

All'inizio del 1634, quando la Lorena sembrava definitivamente vinta, egli fu l'anima dei convegni che per quindici giorni stabilirono con il duca Carlo IV, i supremi mezzi di salvezza. Il 19 gennaio il duca, che non aveva figli, abdicò in favore del fratello, Nicola-Francesco, cardinale e vescovo di Toul. Un mese più tardi a Luneville, per assicurare la continuità della dinastia, il cardinale che non aveva ancora gli Ordini, usando per un'ultima volta la sua autorità giurisdizionale, diede a sua cugina Claudia dispensa di sposare un cugino germano; quindi, dimettendosi dalla dignità ecclesiastica e dal vescovato, sposò Claudia senza indugi. Le nozze che Pietro aveva facilitato e probabilmente consigliato, furono benedette da un canonico regolare. Il fatto provocò l'ira di Richelieu. il quale aveva previsto gli sviluppi sfavorevoli di una causa che credeva vinta, ma aveva compiuto ogni sforzo per impedirli.

Evidentemente da questo momento non vi era più sicurezza per Pietro Fourier nella Lorena, occupata dai francesi. Fatto segno alla persecuzione dell'implacabile cardinale, obbligato costantemente a nascondersi, nel 1636 fu infine costretto a cercare rifugio nella Franca Contea, prima a Pesmes, poi a Gray, dove trascorse gli ultimi anni oppresso dagli affanni e dalla tristezza, lavorando ancora a mettere a punto le costituzioni della Congregazione di NotreDame, insegnando il latino a qualche bambino della città e scrivendo ancora mirabili lettere. Morì a Gray il 9 dicembre 1640.

 

Il Culto

Pietro fu beatificato nel 1730 e canonizzato nel 1897. Dopo la morte, i Canonici Regolari e le religiose di Notre-Dame hanno contribuito grandemente a conservare il suo ricordo in Lorena. Dopo la beatificazíone, gli stessi Canonici stabilirono, nelle numerose parrocchie da essi servite, il culto cui diede nuovo sviluppo la festa della canonizzazione; numerosissime sono le chiese lorenesi nelle quali si incontra l'immagine del curato di Mattaincourt.

Fuori della Lorena e di Gray, invece, il suo culto è poco diffuso. Tuttavia, nel 1730, gli fu dedicato a Roma un altare nella chiesa di S. Nicola dei Lorenesi e dopo la canonizzazione fu collocata nella navata maggiore di S. Pietro una statua fra quelle dei fondatori d'Ordini. A Parigi la chiesa di St-Jean-de-Montmartre, costruita all'epoca della canonizzazione, fu posta sotto il patronato di Pietro senza peraltro che ciò testimoni una vera devozione parigina al santo lorenese; la nuova parrocchia, infatti, era nata per lo smembramento di quella di St. Pierre, sempre a Montmartre, e il parroco trovò comodo scegliere quest'altro s. Pietro offertogli da una recente canonizzazione. La festa del santo si celebra il 9 dicembre data in cui è iscritto nel Martirologio Romano.

 

San VICELINO (vescovo)

11 DICEMBRE

 

Vicelino nacque verso il 1090 nel palazzo reale di Hameln, sul Weser, da genitori non nobili ma ricchi. Presto subì l'influenza delle contrastanti aspirazioni politiche e spirituali del suo tempo e per questo la sua vita presenta lati oscuri e oscillanti. Ebbe una gioventù difficile avendo perso precocemente i genitori e non eccellendo a scuola. Fu però un giudizio negativo su di lui che gli fece nascere l'aspirazione a diventare docente coronata nel 1120 quando divenne titolare alla scuola vescovile di Paderborn, Brema e poi a Laon.

A Laon, Vicelino si unì sotto l'influenza di Norberto di Xantes fondatore dei Canonici Regolari Premonstratensi alla riforma, decidendosi ad una vita ascetica ed al sacerdozio. Norberto lo accolse nella sua comunità ed alla fine dell'autunno del 1126 lo ordinò sacerdote, senza però che Vicelino diventasse premonstratense. Ricevette da Norberto lo stimolo per la missione di convertire i Vagri della Germania settentrionale, detti anche Vendi, avversi ai tedeschi ed alla loro religione. Per questo insieme a Tetmàro cantore della chiesa di Brema andò nell'Holstein e li acquistò un podere presso Wippendorf, detta anche Faldera, e vi eresse un monastero che chiamò Neumunster chiamandovi una comunità di Canonici Regolari agostiniani.

Nel 1134, grazie all'aiuto dell'imperatore cristiano Lotario, Vicelino fece costruire su un alto monte della Vagria chiamato dallo stesso Lotario "Monte della Vittoria" (nella lingua tedesca "Segerberg") un castello ben fortificato ed un monastero con la chiesa, e vi chiama alcuni canonici di Neumunster.

Le insurrezioni dei Vagri del 113 7 e del 1147 distrussero tutto tranne Neumunster. Nel 1149 Vicelino fu consacrato vescovo ad Oldenburg attorno alla quale egli poté continuare la conversione dei Vendi. A causa delle molte fatiche e preoccupazioni ebbe un attacco al cuore nel 1152 che gli paralizzò tutta la parte destra e la lingua. Fu curato a Neumunster dove era prevosto dal 1142 e si faceva portare ogni giorno all'ufficio divino nonostante i fortissimi dolori. Morì il 12 dicembre 1154.

 

Beato ARTMANNO (vescovo)

12 DICEMBRE

 

ARTMANNO (ted. Hartmann), vescovo di BRESSANONE, beato.

Nato a Passau, Artmanno fu educato nel locale convento agostiniano di S. Nicola. Nel 1122 venne nominato decano del capitolo della cattedrale dall'arcivescovo Corrado 1 di Salisburgo, per introdurvi l'osservanza regolare, uguale compito ebbe poi come prevosto del monastero di Herren-Chiemsee (1128-33), e successivamente (1133-40) fu chiamato dal fondatore s. Leopoldo III, margravio d'Austria, nella canonica regolare di Klostemeuburg, presso Vienna.

Eletto vescovo di Bressanone nel 1140, Artmanno si adoperò con grande zelo per la riforma della disciplina ecclesiastica; eresse nel 1142 la canonica regolare di Neustift a Bressanone e, poco dopo, un ospizio per pellegrini poveri. Tenuto in considerazione di santo, fu molto apprezzato anche dagli imperatori Corrado 111 e Federico 1, sebbene nella lotta tra quest'ultimo e papa Alessandro III si dimostrasse incrollabile difensore dei diritti pontifici.

Artmanno morì nel 1164, il 23 dicembre, data in cui si celebra la sua festa nella diocesi di Bressanone e di Passau e in cui viene commemorato da tutti i martirologi benedettini, anche se non appartenne all'Ordine, come erroneamente è stato affermato da alcuni autori seguendo Lechner. La sua tomba a Neustift è meta di pellegrinaggi, e durante il Medio Evo Artmanno fu specialmente invocato nei casi di parti difficili. Il suo culto venne confermato da Pio VI nel 1784.