UNA STORIA INFINITA

 

Autrice: Dany

Pairing: Piton/Rowling (Sto scherzando!!!)

 

NOTE: leggiamo un libro in cui c’è un ragazzo che legge un libro in cui c’è un ragazzo che legge un libro…

 

La neve cadeva bianca e silenziosa nel rado bosco, posandosi lieve sulla candida coltre che andava divenendo sempre più alta, anche lì, fra gli alberi spogli, e rendendo sempre più difficoltosa la corsa, sia per la preda che fuggiva, che per i cacciatori che la inseguivano. Preda e cacciatori, vestiti ugualmente di una tunica nera, arrancavano, zigzagando tra gli alberi e i cumuli di neve, cercando l’una di raggiungere il limite del bosco, dove l’incantesimo antismaterializzazione terminava, gli altri di catturarla o ucciderla prima. Incantesimi di cattura e morte sfrigolavano nell’aria gelida, il rumore ovattato dalla neve, nessuno raggiungendo il bersaglio, ma avvicinandosi sempre di più.

La figura in fuga saltò un ramo semisepolto, corse oltre un cespuglio e poi si bloccò un attimo, sentendo di essere arrivata alla fine: che fosse stato per un incantesimo di confondimento o per la neve ed il bosco, tutti gli scheletrici alberi uguali l’uno all’altro, la raduna che ora si apriva davanti a sé era quella da cui era fuggita. Si apriva ora deserta, i Mangiamorte lì intorno a cercare proprio lui, al centro ancora troneggiante la Sfera del Viaggiatore, prezioso strumento grazie al quale si poteva raggiungere qualsiasi luogo, indipendentemente degli incantesimi protettivi apposti, come ad esempio la scuola di Hogwarts.

Gli inseguitori erano alle sue spalle: la preda riprese a correre, adesso verso il centro della radura, perché se non poteva salvare la sua vita che almeno salvasse quella di altri distruggendo la sfera.

Uno degli inseguitori si fermò, puntò la bacchetta con cura e lanciò l’Avada Kedavra.

In quell’istante la vittima, a pochi passi dalla sfera, inciampò in un ramo nascosto dalla neve e cadde faccia a terra: l’incantesimo passò sopra la sua testa e colpì la sfera.

Per un attimo regnò il silenzio più assoluto, poi la sfera nera si illuminò di una luce giallo cupo e mentre gli inseguitori si buttavano dietro gli alberi, esplose con un fragore assordante, una bolla di fuoco travolse la radura e quando si fu spenta, restava solo il suolo annerito e il sostegno di pietra della sfera, completamente fuso. Di questa, come della preda in fuga, non restava più neanche la cenere.

 

Piton alzò lentamente il capo, sentendosi come se fosse stato investito da un drago, e i vestiti bruciacchiati sembravano confermare quella versione. A fatica, il mago si tirò a sedere, ansimando ancora e cercando di schiarirsi la mente, perché ancora non gli era chiaro cosa fosse successo: poi i ricordi tornarono e si girò di colpo a guardarsi intorno freneticamente, alla ricerca dei sui inseguitori.

La notte era buia, incredibilmente scura… troppo scura tenendo conto della neve… solo che la neve non c’era e l’aria era decisamente troppo mite.

Barcollando Piton si sforzò di alzarsi in piedi e si guardò di nuovo intorno: in effetti la luce c’era, ma veniva da lampioni che non c’erano assolutamente nel luogo d’incontro dei Mangiamorte dove si trovava un  attimo prima.

Che la Sfera del Viaggiatore esplodendo lo avesse scaraventato in qualche altro luogo?

In quell’attimo una campana particolare batté le undici: il suono inconfondibile del Big Ben. Londra!

Piton non era stato molte volte nel mondo babbano, ma il Big Ben si sentiva anche da Diagon Alley e questo gli fece tirare un sospiro di sollievo: si trovava in uno dei rigogliosi parchi di Londra, decisamente e felicemente lontano dal luogo di partenza, quindi doveva solo raggiungere il Paiolo Magico e mandare un gufo ad Hogwarts, per avvertire Silente.

Cominciò a dirigersi lentamente verso la strada, mentre un dubbio gli si insinuava fra i pensieri: le previsioni della Gazzetta del Profeta, infallibili, davano neve su tutta l’Inghilterra, Londra compresa, mentre l’aria era mite, quasi da Primavera… e questo era decisamente strano… e se la sfera lo avesse sbalzato anche nel tempo?

Rallentando si nascose furtivo dietro un grosso albero vicino alla strada e guardò: macchine moderne sfrecciavano sulla strada, numerose e rumorose, molte indubbiamente degli ultimi modelli e una locandina del cinema reclamizzava l’ultimo film di un tizio chiamato Di Caprio, un bamboccio babbano di cui, però, le sue allieve sembravano innamorate perse e solo il giorno prima aveva requisito ad una studentessa corvonero una rivista che presentava quel film, quindi l’epoca sembrava giusta…però il titolo del film sembrava diverso… però non ci aveva prestato molta attenzione, quindi poteva sbagliarsi… Uscito dal nascondiglio usò un incantesimo di invisibilità e si avvicinò all’uscita dal parco.

Seduto contro un muretto, un ubriaco alzò lo sguardo su di lui:

- Ehi…hic…amico! Hai il…vescito brusciacchiato…hic…hai mica…uno scellino…?

Piton si girò a guardarlo sconvolto: l’ubriaco lo vedeva?

Cercando di concentrarsi ripeté l’incantesimo.

- Ehi…! Sei diventato… traaspaarente…ma ti vedo ancora…hic…sciai?…Se non hai niente…basta dire…hic…

Il mago era sempre più sconvolto: non aveva mai sbagliato un incantesimo e quello, poi, lo aveva usato un’infinità di volte.

Ansimando cercò di concentrarsi più a fondo e provò per la terza volta.

- Wow… dove scei andato adescio?… Sei sparito?…hic… che tipo asosciale! Hic…

Aveva funzionato!

Ancora incredulo e sottosopra, il mago si avvicinò ad una cartina della città, sotto un lampione: per fortuna il Paiolo Magico non era lontano.

Camminò sui marciapiedi, facendo attenzione ad evitare i babbani che camminavano veloci, frettolosi di tornare a casa o dovunque stessero andando e i ragazzi sfaccendati e dall’aspetto poco rassicurante che se ne stavano indolentemente appoggiati contro i muri, a fumare o parlare di cose strane.

Raggiunta la strada si diresse veloce all’altezza del pub magico… e non c’era.

Piton fissò la piccola vetrina impolverata, sporca e buia, di un piccolo negozietto, evidentemente chiuso da molto tempo, a giudicare dall’immondizia che sostava davanti alla porta, un’insegna sbiadita e mezza rotta che ricordava come una volta c’era stata una legatoria.

Il mago si guardò attorno disorientato: la libreria babbana era al suo posto e così il negozio di dischi… la strada era quella, il posto quello, ma del Paiolo Magico neanche l’ombra: la paura cominciava a farsi strada dentro di lui… cosa stava succedendo?

C’era sempre il Nottetempo!

Cacciò fuori la bacchetta e la espose davanti a sé, in quella che per l’autobus magico era un’inequivocabile richiesta di fermata.

Aspettò.

Aspettò ancora.

Niente.

Piton strizzò gli occhi sentendo la testa girargli e si appoggiò al muro sudicio, cercando di pensare al da farsi: dove poteva andare? Esaminò attentamente la bacchetta, nell’inutile tentativo di scorgervi crepe o una rottura nascosta, ma se anche fosse stato, e non era quello il caso, l’incidente alla bacchetta avrebbe forse spiegato il funzionamento imperfetto dell’incantesimo di invisibilità, non certo la sparizione di un pub o la mancata venuta dell’autobus.

Stancamente attraversò la strada e lanciò un’occhiata distratta alla vetrina illuminata della libreria, poi gli occhi gli si appuntarono su un libro in primo piano: “Harry Potter e la pietra filosofale”.

Il mago guardò un attimo il libro a bocca aperta: cosa?!!

Quel mostriciattolo era conosciuto anche dai babbani?!!

Avevano scritto un libro su di lui!!!

Poi spostò lo sguardo di lato:

”Harry Potter e la Camera segreta” …CHE NE SANNO I BABBANI DELLA CAMERA SEGRETA?!! Uno dei segreti meglio custoditi di Hogwarts!!!…

“Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”… BLACK!!!… Ma per i babbani non era un delinquente del loro mondo?.. CHE NE SANNO I BABBANI DI AZKABAN?!!

“Harry Potter e il Calice di Fuoco”… LA COPPA TREMAGHI!!! CHE NE SANNO I BABBANI DEL TORNEO TREMAGHI?!!!

 

Piton adesso era davvero sconvolto e fuori di sé: da qualche parte c’era un babbano che conosceva ogni cosa del loro mondo magico e, cosa peggiore, aveva scritto quattro libri sul mostriciattolo!!!! Era un fan di quella carognetta disgraziata!!!!! Lo scorpiattolo era famoso anche fra i babbani!!!

 

- ALOHOMORA!!!

Questa volta l’incantesimo funzionò all’istante, forse anche perché contemporaneamente Piton si scagliò sulla porta della libreria dandogli una spallata.

Fatto sta che la porta si aprì.

Cercando di calmarsi Piton la riaccostò dietro di sé, sperando che da fuori non si notassero i due cardini divelti e muovendosi fra i scaffali raggiunse la sezione “Harry Potter”…###***bip!!! E afferrato il primo libro cominciò a sfogliarlo…sì, era la cronaca fedele del primo anno di scuola del disgraziato. A un certo punto si fermò e tornò indietro.

- “…capelli neri e untuosi, il naso adunco e la pelle giallastra…”!!!

Piton, che già non provava sentimenti piacevoli verso un babbano che aveva dedicato ben quattro libri a Potter, cominciò ad odiarlo profondamente. Poi andò avanti, per scoprire come Potter aveva saputo della Pietra e chi gli aveva appiccato fuoco al vestito, durante la partita di Quidditch.

Poi un pensiero lo colpì: il babbano sapeva come Potter aveva liberato Sirius Black?

Nelle quattro ore successive Piton scoprì molte cose, si arrabbiò sempre più per la descrizione che il babbano…anzi la babbana, tale Rowling, faceva di lui, esultò quando scoprì che aveva ragione lui sulla fuga del cane pulcioso, si incavolò a morte con Silente che aveva aiutato e giurò vendetta quando scoprì come aveva fatto Potter a vincere il torneo…ed era come diceva lui!!! Quella notte c’era Potter per le scale, incastrato nel gradino a trabocchetto e con il mantello dell’invisibilità!!!!!

E durante il secondo anno la Granger aveva rubato lei dal suo studio!!!

Alla fine l’adrenalina scorreva a fiumi nelle sue vene, il cuore ribolliva di gioia feroce per aver scoperto le parti mancanti e le malefatte del trio che gli erano sfuggite e desiderava solo tornare ad Hogwarts per pareggiare un po’ i conti..

A fatica si alzò dall’angolo dove si era rannicchiato a leggere… doveva solo riuscire a tornare alla scuola… e restava il problema più grave: come poteva una babbana sapere tutte quelle cose?

Doveva trovarla e chiedere spiegazioni: in fondo alla copertina, la biografia dell’autrice diceva che la tizia viveva ad Edimburgo, che non era esattamente dietro l’angolo. Inoltre Piton cominciava a sentirsi stanco e affamato e l’incantesimo di invisibilità cominciava a pesargli: doveva trovare il modo di andare in giro senza bisogno dell’incantesimo, doveva trovare un posto dove dormire, qualcosa da mangiare e trovare un mezzo di trasporto per Edimburgo o Hogwarts… il tutto senza conoscere per niente bene il mondo dei babbani, con una lunga tunica bruciacchiata, una bacchetta che per qualche motivo funzionava male e una manciata di galeoni d’oro di cui non aveva la più pallida idea a quanto corrispondessero in denaro babbano. Sospirò e cercò di farsi forza, ma la verità è che si sentiva tremendamente sperduto: cavarsela senza far affidamento sulla magia? Movendosi allo scoperto nel mondo babbano? Impossibile! Per un attimo si sentì perduto e senza speranze, poi il sangue serpeverde riaffiorò: con calma, logica, pianificazione e determinazione ce la poteva fare!

Bastava affrontare un problema per volta.

Primo: andare in giro senza l’incantesimo di invisibilità voleva dire rendersi simile ad un babbano e cioè cominciare a trovare vestiti babbani.

Dopo aver fatto un bel respiro, uscì dalla libreria e cominciò a camminare lungo la strada: c’erano diversi negozi di vestiti, tutti chiusi, ma a parte questo i vestiti erano orrendi. Che diavolo di colori portavano addosso i maschi babbani?

Lilla?! Bleah!

Marroncino cacarella?! Disgustoso!

Verdolino palude ai suoi ultimi giorni?! Assurdo!!!

Vestiti a quadri scozzesi? Inguardabili!

Piton cominciava ad affrontare la vomitevole possibilità di doversi adattare, quando trovò un negozio di vestiti neri, tutti accessoriati con borchie di metallo luccicante. Si grattò il mento: con quegli affari addosso avrebbe avuto l’aria di un teppista, il che poteva portare la piacevole conseguenza che gli altri babbani lo avrebbero evitato, e almeno erano tutti neri.

- Alohomora!

La porta non si schiodò di un millimetro.

- Oh no! Non ricominciare!! Alohomora!!

Niente. Piton sbuffò.

- ALOHOMORA!

Uno scricchiolio.

Quando la porta si aprì, dopo 10 Alohomora, il mago era vicino all’esaurimento nervoso: erano le quattro di mattina e doveva sbrigarsi, prima che i babbani ricominciassero ad andare in giro.

Trovò un paio di pantaloni di pelle nera, con cinta borchiata, un maglione a collo alto con inserzioni di serpenti di metallo argentati: bello!!

E un giubbotto caldo, anche questo di pelle nera, foderato di pelliccetta nera, con zip soprattutto dove non servivano.

Piton si guardò ad uno specchio: poteva andare.

Poteva andare?

Che ne sapeva lui se poteva andare? Le sue conoscenze di abbigliamento babbano erano limitate alle immagini male illuminate presenti nel negozio e i delinquenti che aveva incontrato in strada.

Si legò i capelli a coda di cavallo, nascose la bacchetta in una tasca capiente e si guardò ancora: aveva decisamente un’aria poco raccomandabile e si sentiva a disagio vestito così, ma non aveva molta scelta.

Inoltre stava praticamente rubando!

Ci pensò un attimo.

- Sì, sto rubando: come un perfetto delinquente babbano.

E uscì soddisfatto in strada.

 

Trovare un posto dove dormire era tutt’altra cosa: c’erano indubbiamente locande babbane, ma bisognava pagare e Piton era troppo esausto per affrontare babbani malfidati, cercando di fargli passare galeoni d’oro per il loro denaro… dovendo ripetere un numero sconsiderato di volte l’incantesimo prima che funzionasse. E non pensava che gli osti sarebbero rimasti a guardare quello che sembrava un delinquente agitare una bacchetta di legno e pronunciare strane parole, mentre li guardava in tralice. Ed era troppo freddo per dormire all’aperto.

Doveva trovare un’altra sistemazione.

 

Il sole sorse pallido, nella bruma dell’alba e Piton stava ancora girando: gli occhi gli si chiudevano dal sonno e lo stomaco brontolava:

- Passiamo al punto tre: procurarmi qualcosa da mangiare.

Entrò in un bar: un omone grosso, seduto al banco, aveva appena ordinato un panino imbottito ed era distratto a parlare con l’avvenente cameriera.

Piton puntò la bacchetta da dentro il giaccone.

- Conspectu abi!

Una lacrima minacciò di uscirgli dall’occhio perché il panino era ancora lì, ben visibile, anzi, adesso stava sparendo nella bocca dell’omone.

L’espressione sul viso di Piton doveva essere terribilmente inequivocabile, aiutata da un sordo brontolio dello stomaco, perché una vecchietta entrata a comprare sigarette gli si parò davanti, lo squadrò attentamente, quindi gli prese la mano e vi ci depose una sterlina.

- Ma vedi di trovarti un lavoro, giovanotto! Sei abbastanza forte per trovarlo.

Ed uscì.

Per un attimo Piton guardò la moneta in mano ed ebbe il folle istinto di raggiungere la vecchietta e restituirle la moneta, perché lui era un professore e non aveva bisogno della carità!

La ragione lo trattenne, prendendo a calci un orgoglio così deficiente.

Mise la sterlina nella tasca dove teneva la bacchetta e provò l’incantesimo di trasformazione di denaro, severamente proibito: qualsiasi commerciante del suo mondo se ne sarebbe accorto, ma c’era da sperare che uno babbano non notasse la differenza.

La ragazza dietro il bancone restò a fissare il giovane uomo appoggiato al muro che si mordeva le labbra, bisbigliava qualcosa, strizzava gli occhi, bisbigliava di nuovo, sembrava avere un attacco di colite, un nuovo bisbiglio, una faccia come se gli fosse morto il gatto, una parola a denti stretti, detta con l’intensità di qualcuno che sta facendo un’altra cosa e poi, finalmente, un’aria sollevata…oddio, non se l’era per caso fatta nei pantaloni?

 

Il passo con cui raggiungeva il bancone, però, era troppo baldanzoso per qualcuno che ha appena avuto un “incidente”.

Piton guardò attentamente le offerte e ordinò il panino più grande, da tre sterline e mezzo: ne depose quattro sul bancone e prese il resto guardandolo stranamente.

Uscì addentando il più buon panino che avesse mai mangiato.

 

Aveva ancora un sonno bestiale, ma se fosse riuscito a salire sul treno per Hogwarts o uno per Edimburgo, avrebbe potuto schiacciare un sonnellino…

Raggiunse la stazione di King’s Cross con un largo anticipo sull’orario solito di partenza per la scuola ed un insopportabile mal di piedi, per aver camminato lungo un numero indecente di isolati. In effetti c’erano diversi autobus babbani e Hagrid gli aveva nominato una certa metropolitana, ma Piton non si sentiva abbastanza sicuro per affrontare quelli: e se i soldi non bastavano? E se sbagliava direzione? E se non indovinava la fermata dove scendere? E se gli chiedevano qualcosa? E i biglietti, perché Hagrid diceva che lì non si paga mai in contanti, dove si facevano? 

Meglio camminare.

Giunto nella stazione si lasciò cadere su una panchina, sbadigliando a più non posso e si guardò intorno: dov’era il passaggio per il binario 9 ¾ ? Non riusciva ad individuarlo e poi lui era sempre passato per Diagon Alley.

Facendo uno sforzo si rialzò in piedi e cominciò ad avvicinarsi cauto e guardingo a tutte le barriere divisorie, spingendo con una mano per vedere se c’era il passaggio: niente. Provò per un verso e poi per l’altro, ma non c’era nessun passaggio.

- Ehi, tu!

Piton si girò: un babbano con una divisa lo stava guardando truce mentre si avvicinava. – Che stai facendo? Che cerchi?

Insolente! Piton strinse la bacchetta, ma doveva restare calmo.

- Sto passeggiando, perché non si può?

Il controllore lo squadrò da cima a fondo: detestava i balordi che bighellonavano in giro, generalmente infastidendo i viaggiatori.

- Se vuoi passeggiare va in un parco: questa è una stazione!

Piton aveva una forte voglia di rimetterlo in riga.

- E secondo te come faccio a prendere il treno da un parco?

Il controllore lo guardò disgustato: che strafottente sfrontato! Fosse stato per lui li avrebbe gettati tutti ai lavori forzati!

- E che treno staresti cercando?

Era al bivio: non poteva dirgli Hogwarts, da un binario su una dimensione parallela, situata tra il binario nove e quello dieci.

- Edimburgo!

Il controllore lo squadrò nuovamente con aria minacciosa.

- Beh, parte dal binario 5 tra meno di un’ora: vedi di fare il biglietto perché se il mio amico ti pesca senza, ti scaraventa fuori senza aspettare una fermata! – e si allontanò, continuando a spiarlo.

Piton gli indirizzò un’occhiata feroce, però aveva ottenuto informazioni preziose, perché dai tabelloni luminosi appesi nell’ingresso non ci capiva assolutamente nulla.

Si diresse verso quella che sembrava una biglietteria:

- Vorrei un biglietto per Edimburgo.

- Prima, seconda o terza classe? Fumatori o non fumatori? Con cuccetta o senza?

Piton la guardò ad occhi aperti e poi si mise a pensare. Ma perché i babbani si complicavano la vita? Lui voleva solo andare da Londra ad Edimburgo!

- Béh… non fumatori: di questo sono certo…poi, che differenza c’è tra le classi?

L’impiegata lo guardò di traverso: un altro perdigiorno.

- Cambia il prezzo e la comodità.

Quanto costa la seconda classe? – meglio provare una via di mezzo.

- Quaranta sterline e nove pences senza cuccetta! Siamo in bassa stagione.

Oddio, che erano i pences? E in quante sterline si erano trasformati i galeoni d’oro?

Le tasche pesavano alquanto: mise le mani in tasca e caccio manciate di monete che poggiò sul banco e cominciò a contare.

- Non mi vorrà pagare con pezzi da uno?! – strillò l’impiegata.

- Sono gli unici soldi che ho e non mi distragga il conto! – rispose acido il mago, contando quaranta monete più una e mettendole da parte. Poi le spinse con tutte e due le mani sotto il vetro divisorio e procedette a rimettere in tasca le restanti: decisamente poche.

L’impiegata l’odiava: si vedeva da come digrignava i denti mentre contava di nuovo le monete. Per fortuna non notò che portavano tutte lo stesso numero di serie. Alla fine staccò un biglietto e glielo passò sgarbatamente, insieme ad altre monetine di resto.

Piton ritenne che non si meritava un ringraziamento e se andò senza degnarla di un’occhiata.

Arrivato sulla banchina del binari 5 si mise ad aspettare, appoggiato a una colonna, osservando i treni che arrivavano e partivano: certo, non erano veloci come il Nottetempo, ma sembravano comunque più veloci del treno per Hogwarts.

Per un attimo pensò alla scuola: nessuno sarebbe mai riuscito a fargli credere che quella dannata scuola gli sarebbe mancava, con Silente che insisteva a trattarlo come un Grifondoro, ossia supponendo una capacità di sopportazione che lui proprio non aveva, con Potter e i suoi malefici amici e tutti quei marmocchi insolenti e ignoranti. Dopotutto non aveva certo scelto di fare l’insegnante per vocazione! Semplicemente si era trovato nella sgradevole situazione di non poter scegliere, tenendo conto del suo passato di ex-mangiamorte, e anche se la sua famiglia gli aveva lasciato un’eredità molto consistente, non voleva rischiare di doversi trovare nella stessa situazione di Remus Lupin… comunque fosse adesso gli mancava: voleva tornare ai soliti tormenti di routine, che perlomeno sapeva come affrontare…Trovava la babbana e poi? Cosa succedeva se lei non sapeva aiutarlo? Sulla mancanza di buona volontà ci scommetteva, visto che aveva capito di stargli molto antipatico, vista la descrizione che lei faceva di lui, ma a questo si poteva rimediare…un pizzico di Cruciatus… ma se non lo sapeva davvero cosa faceva? Dove andava?

L’orologio della stazione spostò le lancette sulle dodici ed il treno arrivò puntuale. Piton osservò i vagoni: sui primi e sugli ultimi c’era scritto il numero uno, alcuni con una sigaretta e altri con una sigaretta sbarrata. Su altri il numero due, stessa storia con la sigaretta e poi altri segni strani.

Seconda classe, se i babbani funzionano con un minimo di logica, doveva essere il numero due, stava per salire quando un babbano vestito con la stessa divisa di quello primo lo fermò.

- L’ha obliterato, il biglietto?

- Obi… che?

- Obliterato! Voi ragazzi ve lo scordate sempre! Lì c’è la macchinetta. – e gli indicò una scatoletta gialla vicino al muro. Piton si avvicinò guardingo: che cavolo doveva farci? Non bastava aver fatto il biglietto? Lasciò passare avanti a sé una signora grassa e la guardò passare veloce il biglietto dentro una fessura. Ripeté il gesto, sussultando e quasi lasciandosi cadere il biglietto quando il timbro scattò secco, quindi, cercando di capire cosa era cambiato, lo mostrò al babbano in divisa.

- Sì, sì! Ho visto che l’ha timbrato! Salga, che aspetta?

Questi babbani erano tutti strani e isterici!

Comunque Piton riuscì appena a sedersi vicino ad un finestrino che sprofondò in un sonno profondo.

 

Il mago non sapeva quanto tempo fosse passato, quando si sentì scuotere da qualcuno: aprì gli occhi di soprassalto, senza sapere dove si trovasse, e cercò di mettere a fuoco la vista su un tipo strano, vestito con una divisa, che gli chiedeva il biglietto.

Piton si guardò attorno, cercando di ricordare perché era su un treno che non sembrava quello per Hogwarts…biglietto?

Ancora confuso si infilò una mano in tasca e tirò fuori un pezzo di carta spiegazzato che aveva l’aria di essere un insolito biglietto.

Il controllore lo guardò con rimprovero e glielo restituì.

- Edimburgo è la prossima fermata – lo avvertì.

A quel punto Piton si era svegliato abbastanza per ricordarsi, dolorosamente, del perché si trovava su un treno dei babbani e avrebbe tanto voluto continuare a dormire: il sonno gli aveva lasciato un sapore amaro in bocca che si accordava perfettamente al suo stato d’animo.

 

Alla stazione della città scozzese scese e si guardò attorno: e adesso?

Avrebbe per forza dovuto ricorrere alla magia: uscì dalla stazione, si appartò in un vicoletto stretto e, tirata fuori la bacchetta magica, pronunciò l’incantesimo di ricerca.

- Quaere J.K. Rowling!

Come Piton temeva non accadde assolutamente nulla!

Già era un incantesimo che ricordava dalla scuola, ma che non aveva mai usato, e quindi sapeva per sommi capi quello che sarebbe dovuto succedere (la bacchetta l’avrebbe dovuto guidare, forse un po’ come una bacchetta da rabdomante), e poi si era visto che la bacchetta sembrava funzionare per sommi capi solo quando lui si concentrava al massimo …ma Edimburgo non era certo un paesino, tale da poter cercare casa per casa.

Il cielo cominciava a scurire e lui aveva di nuovo fame. Si fermò ad una fontanella a bere dell’acqua gelida e poi camminò per i marciapiedi profondamente depresso.

Cosa poteva fare senza magia? Guardò distrattamente vetrine e manifesti e poi si trovò di fronte un autobus di turisti: la guida stava avvisando che era troppo tardi e che a causa del ritardo portato per visitare gli scavi archeologici, sarebbero passati davanti al castello della famosa scrittrice di Harry Potter il giorno seguente. Piton ebbe un tuffo al cuore: la fortuna gli stava dando una mano inaspettata e a quel punto poteva anche passare sul fatto che la dannata era diventata anche lei famosa scrivendo sullo scorpiattolo. Impaziente aspettò che i turisti entrassero nell’albergo di fronte, lasciando sola la guida, che salì sull’autobus fermo. Il mago pensò un attimo a come agire: era troppo stanco per elaborare una scusa plausibile per farsi dare l’informazione: tirò fuori la bacchetta, si piazzò davanti all’entrata e sparò un Imperius sulla guida con tutta la disperazione che aveva accumulato in quei due giorni.

Era il segreto per convincere la bacchetta a collaborare: l’incantesimo partì e per una volta sembrò sortire il giusto effetto al primo colpo.

Gli occhi della guida si offuscarono mentre un sorrisino un po’ ebete si disegnò sulle sue labbra.

Piton salì a bordo dell’autobus.

- Portami con il bus davanti alla casa della Rowling!

La guida assente si sedette ai comandi dell’autobus e partì, senza chiudere la portiera, ingranando male le marce e rischiando di ingolfare il motore.

Troppo tardi Piton pensò che non necessariamente la guida doveva essere l’autista.

Il viaggio fu quanto di più orripilante Piton ricordasse: la guida NON era l’autista ed evidentemente sapeva guidare il mezzo solo in funzione di come sapeva guidare una macchina, che non era esattamente la stessa cosa.

Le curve per esempio: non si possono affrontare con la stessa velocità di un’utilitaria.

L’autobus centrò diversi secchi dell’immondizia, quasi tutti i parchimetri di una strada, tamponò e ammaccò diverse macchine parcheggiate ai lati delle strade, rischiò di investire un tot indefinito di pedoni, cani e gatti, imboccò una strada di campagna sfregiando la corteccia di diversi alberi e già si sentivano le sirene della polizia all’inseguimento del bus impazzito quando la guida fermò il bus di colpo, davanti a un cancello, andando a sbattere contro un muro.

Piton si azzardò ad aprire gli occhi e si forzò a staccare le mani imbiancate che stringevano frenetiche la sbarra vicino al guidatore.

- …siamo arrivati?

- Sì.

- Va bene. Adesso aspetta qui e quando qualcuno ti chiederà perché l’hai fatto dirai: perché me l’ha chiesto un mago.

Piton riconosceva che era una carognata e che la povera guida non se lo meritava, ma davvero non vedeva alternative: scese dal bus e si nascose dietro un folto cespuglio, mentre le macchine della polizia arrivavano e gli agenti portavano via l’uomo ancora confuso.

Ormai era scuro e Piton decise di arrampicarsi sul muro, sperando vivamente che non ci fossero cani feroci ad attenderlo.

Il mago non era a conoscenza dei moderni ritrovati babbani per individuare eventuali intrusi, ma visto che la fortuna gli si era affezionata, gli antifurti erano saltati proprio quella mattina a causa di alcuni gatti randagi in guerra tra loro e perciò erano stati disattivati, per sostituirli con altri meno sensibili e più precisi: dopotutto perché i ladri avrebbero dovuto scegliere proprio quella notte?

Cercando di scivolare tra le ombre, il mago si avvicinò al villa formato castello in cui viveva la disgraziata; cercando di non far rumore si appiattì contro un muro e spiò attraverso una finestra buia.

Le finestre al primo piano erano tutte dotate di inferriate quindi rivolse la propria attenzione al piano di sopra, dove c’erano due finestre illuminate.

Incoraggiato dal successo dell’Imperius riprovò con l’incantesimo di levitazione, sempre cercando di concentrarsi al massimo: dopo il quinto tentativo cominciò a sollevarsi da terra, in modo alquanto sgraziato e diverso dal solito, ma l’importante è che funzionasse. Era quasi arrivato oltre il davanzale quando la bacchetta decise che era stanca: Piton sentì il ritorno improvviso della forza di gravità e fece appena in tempo ad appoggiare le mani sul davanzale, dopodiché il resto del suo corpo cadde di peso e lui rimase a penzolare in maniera preoccupante alla finestra, con una presa scadente e scivolosa sotto una mano, visto che l’altra era stretta a pugno per reggere la bacchetta e dava un aiuto minimo.

Sudando copiosamente, con la testa che girava per la stanchezza, Piton ascoltò una voce femminile che parlava.

- E quando pensi di tornare?

Pausa.

- No, non sono preoccupata, cioè… è solo che senza antifurto preferirei avervi qui.

Pausa.

- Sì, lo so… ma almeno non ti fermare più del necessario, …sì e deve cenare… d’accordo… sì, ciao.

Piton sentì un clic e poi più niente.

Cercò disperatamente di riattivare l’incantesimo, ma non ci riuscì e il movimento della mano lo sbilanciò, facendogli perdere la presa sul davanzale e precipitare in malo modo in un cespuglio di rose.

Dolorante e con le spine che gli graffiavano la pelle si sforzò di girarsi e avanzò carponi fuori dal fogliame.

La donna doveva aver sentito un rumore perché si affacciò fuori dalla finestra.

- Chi c’è là? – gridò verso il buio, non riuscendo a scorgere niente.

Piton si immobilizzò, sperando di non essere visto.

La donna adesso sembrava titubante.

- Beh, adesso chiamo la polizia! Se c’è qualcuno lì sotto, è avvisato!

Piton non poteva permettersi di finire in una prigione babbana: non aveva documenti, non poteva dire da dove veniva, non poteva avvisare nessuno di sua conoscenza e se finiva dentro, anche se non era Azkaban, ci sarebbe rimasto per anni.

Di nuovo, con la forza della disperazione, usò l’incantesimo di levitazione, desiderando con tutto se stesso entrare dalla finestra rimasta aperta.

L’incantesimo funzionò, ma non proprio come doveva, visto che si trovò catapultato dentro la stanza, come se vi fosse stato sparato, invece di levitare dolcemente. Rotolò rovinosamente a terra e finì contro le gambe della donna che gli cadde addosso, giusto un attimo prima di fare l’ultimo numero del centralino della polizia. Dietro di loro caddero il tavolino, il telefono e il vaso di fiori di pregiato cristallo che andò in mille pezzi.

La Rowling urlò: aspettava un bambino e anche se l’atterraggio era stato morbido, il suo cuscino doveva essere un feroce ladro e lei era da sola in casa, perché era il giorno di assenza della governante (quando si dice “i casi della vita”!).

Piton l’afferrò per le spalle.

- Non urli! Non voglio farle del male! Ho solo bisogno del suo aiuto!

Molto poco credibile, viste le circostanze.

Sempre tra gridolini, la scrittrice piazzò una ginocchiata molto precisa nelle parti basse dell’assalitore e mentre questi si piegava su se stesso mugolando per il dolore, lei si divincolò e guadagnò la porta.

Piton riaprì gli occhi e gridò tra i denti.

- Medohora!

E la porta sbatté in faccia alla Rowling e si bloccò.

 

I due si fronteggiarono ansimando e doloranti: la Rowling si teneva una mano sul naso, che aveva sbattuto sulla porta, e Piton era in ginocchio, ancora accucciato su se stesso, con le mani in un altro posto.

- Stammi a sentire, donna! – Piton adesso era infuriato oltre che disperato -  Stammi a sentire e non ti succederà niente!

Ma la Rowling è quella che si dice una donna di carattere: lanciò un occhiata verso l’antico caminetto e mentre Piton guardava nella stessa direzione lei vi era già arrivata e aveva afferrato l’attizzatoio, brandendolo minacciosamente.

- Adesso io vado a chiamare la polizia e tu non ti avvicini se non vuoi vedere il tuo sangue!

Che donna insopportabile! Ma cosa si poteva aspettare da una fan del mostriciattolo?

- Expelliarmus!

La Rowling lo guardò stupita.

- Credi di essere in un mio libro?

Piton si alzò a metà incavolato a morte.

- EXPELLIARMUS!

L’attizzatoio si sfilò dalle mani della scrittrice e cadde a terra.

La Rowling guardò stupita il ferro. Ma il mago non era contento: batté un piede a terra stizzito.

- Wingardium Leviosa!

L’attizzatoio si alzò incerto dal pavimento, ondeggiò a destra e sinistra, e mentre Piton cercava di farlo volare fuori dalla finestra perse quota e sbatté violentemente contro il tavolino ribaltato.

- Dannazione!

Se non altro adesso la donna lo guardava silenziosa, con un’espressione tra la paura e la curiosità.

- …Cosa sei? Un prestigiatore?…Cosa vuoi in casa mia?

Piton la guardò ancora furente.

- Non sono uno dei vostri predisti…gitatori… al diavolo! Io sono un mago vero! E tu dovresti riconoscermi visto che ti sei data tanto da fare per descrivermi come un gargoyle !! – le gridò contro, sciogliendosi i capelli.

La Rowling spalancò gli occhi – Oddio, un pazzo che si crede Piton! – pensò spaventata.

Senza fare movimenti bruschi si appiattì contro il muro.

- Senti, io sto aspettando un bambino…

- Auguri, ma non me ne importa un cavolo! Io voglio sapere se mi puoi aiutare a tornare ad Hogwarts o a Diagon Alley!

La Rowling fece un sorrisino nervoso – Meglio non innervosirlo…magari se ne va!

- Beh – rispose sicura – Per andare ad Hogwarts devi prendere il treno dal binario 9 ¾ e se invece vuoi andare a Diagon Alley devi passare per il Paiolo Ma…

- Non ci sono! – la interruppe Piton, quasi ululando – Non c’è il Paiolo Magico! Non c’è l’entrata per il binario 9 ¾! E non c’è neanche il Nottetempo! Tu sembri sapere tutto ciò che avviene da noi ed è evidente che sei in stretti rapporti con quel disgraziato di Harry Potter, quindi mi devi spiegare che cavolo sta succedendo!

- È completamente pazzo! Oh Dio, aiutami!

- Senti… infondo tu lo sai che non sei veramente Piton, no? (proviamo con la verità) Harry Potter…Severus Piton… sono solo un’invenzione della mia mente… sono solo personaggi di un libro…

Piton la guardò stranito.

- A che gioco stai giocando? Io ti sembro un personaggio inventato? Non lo vedi che sono qui in carne ed ossa?

- No! – la Rowling non ce la faceva più – Tu credi di essere Piton, ma non lo sei.

Piton restò un attimo in silenzio, con il cuore che batteva forte: era talmente stanco che era quasi propenso a crederle per esaurimento.

La Rowling cercò di muoversi lentamente verso la porta.

- Se ci pensi sono sicura che ti verrà in mente un altro nome che tu avevi – parlava dolcemente, nel tentativo di non spaventarlo e farlo ragionare – e sono sicura che ti verranno in mente immagini della tua infanzia, in una tipica casa babbana, mentre leggevi fumetti e guardavi la televisione…

 

Piton cercò di ricordare e gli venne in mente un castello molto poco babbano, niente fumetti o televisione, ma il nonno che di nascosto gli insegnava la Magia Oscura, il padre che insisteva perché imparasse incantesimi che spesso si risolvevano con lui che si faceva male, e tutte le volte che era caduto dalla scopa volante del padre, presa di nascosto, e la madre che lo rimproverava mentre passava la bacchetta magica sulle sbucciature e contusioni varie – Insomma Severus, quante volte ti ho detto di non prendere la scopa che sei troppo piccolo! Impara le pozioni che ti insegna il nonno, invece! – Veramente finora il nonno mi ha insegnato le basi dell’Imperius…

 

Di colpo Piton si riscosse: babbano un cavolo! E scoprì la Rowling che stava cercando di aprire la porta!

- In corpore rana! – urlò arrabbiato, ben sapendo che era vietato trasformare le persone in animali, che l’esperta in trasfigurazione era la McGranitt e che decisamente non era il tipo d’incantesimi da fare con una bacchetta malfunzionante.

 

Ci fu una specie di esplosione, la Rowling urlò e quando il fumo si fu diradato Piton si trovò davanti alla sconcertante visione di un essere dalla testa da rana su un corpo femminile.

L’essere cercò di parlare, emise un gracidio e quindi corse davanti ad uno specchio, dove alzò le braccia in aria e cominciò a saltellare per la camera emettendo gracidii terrorizzati.

- Non ho avuto affatto un’infanzia da babbano e questo ti dovrebbe dimostrare che non sto mentendo! Io SONO Severus Piton e se non mi credi ti lascio così! Se invece mi prometti di stare calma e di parlare, ti riporto alle condizioni iniziali (almeno spero).

Si lasciò cadere su una sedia e guardò l’essere che stava davanti a lui meditabondo. Poi si piegò più volte in avanti con il corpo – è un po’ difficile piegare la testa se non hai il collo – e si fece avanti impaziente.

- Finite incantatem!… Uffa, ma perché non vuoi funzionare come devi?…

FINITE INCANTATEM!

Nel muso di rana gli occhi ridivennero umani e sulla piccola testa spuntò una capigliatura bionda. Piton sospirò, quindi cercò di concentrarsi con le ultime energie rimastegli.

- FINITE INCANTATEM!!!

La Rowling riacquistò il suo viso e dopo essersene accertata davanti allo specchio, si sedette sconvolta davanti al mago.

 

- Tu non puoi essere qui… questo deve essere solo un incubo dovuto alla gravidanza…

Piton era sfinito, ma riuscì a lanciarle uno sguardo truce.

- Non ricominciamo con le assurdità…

- Ma non stavo mentendo! Hogwarts, Harry Potter e tutti gli altri sono un parto della mia fantasia: non hai trovato il Paiolo Magico perché in realtà non esiste se non sui miei libri, così come non c’è nessun passaggio tra le barriere di King’s Cross perché non c’è nessun binario 9 ¾ …

- Ed io, allora? E gli incantesimi che funzionano male, ma funzionano?

- Un’allucinazione?

- Decisamente no! E poi, senti: li ho letti i tuoi libri e tu non descrivi mai cosa succede d’estate alla scuola, ma io mi ricordo benissimo il viaggio che ho fatto a Luglio, le piogge d’Agosto e i libri che ho letto in santa pace… se io fossi un personaggio di un libro non dovrei ricordare cose che tu non hai scritto, giusto?

 

La Rowling ci pensò su, cercando di accantonare il fatto che tutta la situazione era ben oltre i limiti della realtà.

- Beh, in quanto a questo… probabilmente le tue vacanze estive sono state scritte da una di quelle bande di ladre di copyright assatanate che imperversano su Internet…

 

Piton la guardò: non capiva assolutamente di cosa stesse parlando.

 

- E questo – continuò la scrittrice – potrebbe spiegare perché tu sia qui… sempre che la terra non è tonda, ma poggia sulla schiena di un elefante e il sole è una palla attaccata ad un filo…

 

[CONTINUA]