Il Matrimonio

Il primo incontro: il fidanzamento
Solitamente era la famiglia che prendeva i primi accordi, infatti i giovani spesso non si conoscevano.
Il giovane pretendente non appena raggiungeva l' età adulta informava la sua famiglia del suo desiderio di sposarsi con una ragazza del suo paese che fosse della sua stessa classe sociale. A questo punto erano i genitori che si preoccupavano di ingaggiare una persona di loro fiducia (poteva essere un parente o un conoscente).
Questa persona era chiamata "Su Trattadore" che doveva occuparsi di andare a casa della famiglia di lei per proporre le felici intenzioni.
"Su Trattadore" con tatto e delicatezza dialogava del più e del meno, solitamente del mondo agropastorale, poi si informava se "s' aiana" (la giovane nubile) fosse libera da ogni impegno sentimentale e di conseguenza accettasse un matrimonio col figlio dell' amico o del parente che l' aveva mandato.
La risposta non veniva data subito poiché questa richiedeva la consulta ed il successivo consenso di tutti i familiari, quindi si invitava "su trattadore" a ripresentarsi entro un termine stabilito. Se tutto procedeva nel migliore dei modi, cioè col consenso dei genitori, alla prima importante richiesta seguiva la seconda ufficiale da parte de "SOS MANNOS" del giovane, che avveniva a casa della ragazza in un giorno prefestivo per via del lavoro, con amici e parenti intimi.
Il padre della sposa chiedeva:
"ITE CHE FAGHET CUSTA ZENTE IN DOMO MIA?"
e gli altri rispondevano:
"HAMUS ISCHIDU CHI CH' AZIS UNA COLUMBA, CA NOIS HAMUS UNU LIZU. "
La richiesta poteva avvenire anche nel seguente modo:
"A SI PODEDE INTRADE? A NDE ISPETAIZIS DE ISTRANZOS?"
Allora i parenti della sposa rispondevano:
"E LAITE NO! BONA NOTTE."
E ancora i parenti di lui:
"NO SEMUS BENNIDOS A FAGHEDE UNA VISITA, NE' A DOMANDADE; MA A CUNFIRMADE SU CHI HAN FATTU SOS MINORES, S' INDE SEZIS CUNTENTO SOS MAZORES."
Il giovane pretendente diceva:
"SO IN DOMO DE SOS MAZORES M' INVOCO A-I CUDDU CHI CUMANDADA CA FOSSI SA REJONE NO ABBASTADA SO PIZZINNU E PIENU DE ONORE DE TOTU SOS PARENTES MERAVIZA SI PERMITTIDES BOS DOMANDO…SA FIZA."
O ancora:
"SEMUS CHIRCHENDE UNA PUDDEDRA
ET NOS ANA NADU CHI ESTE INOGHE"
(stiamo cercando una cavalla e ci hanno detto che è qui) oppure :
"SEMUS CHIRCHENDE UNA COLUMBA ET
NOS ANA NADU CHI ESTE INOGHE".
(stiamo cercando una colomba e ci hanno detto che è qui).
Ed il padre di lei rispondeva:
"GIA ESTE BERU, ESTE INOGHE".
(SI è vero è qui).
E ancora il padre di lui:
"FAGHIDEMILA IDERE"
(mostratemela)
così il padre della ragazza dava il permesso che lei comparisse e diceva:
"EST CUSSA"
(è quella).

Il padre di lui rispondeva:
"EMMO, EST CUSSA CHI SEMUS CHIRCHENDE"
(Si è QUELLA CHE STIAMO CERCANDO).
Dopo questa frase rituale, i due giovani si potevano considerare fidanzati a alla presenza di tutti si scambiavano BACIO e PRIMI DONI.
Il giovane donava alla ragazza "su muncaloru de seda" e lei gli donava "su entone", seguiva la consueta benedizione e gli auguri in versi.

"SI AZID PROMMISSU DE FAGHER GIURAMENTU
SA PROMESSA CHI ENZAD CONCRUIDA
DO 'NDE GOSEDAS A UNA LONGA VIDA
MANCARI SIEDAS PIUS DE CHENTU
GAI ANDADES AFAGHER GIURAMENTU
BOS FALED SA COLUMBA IN CUMPAGNIA
BOS DIAT FOZA SA MANU DIVINA CHI OGNI FESTA FATEDAS CUMPRIDA"
Il giorno dopo il fidanzamento i giovani accompagnati da un corteo di amici e parenti, si recavano in chiesa per ascoltare e sapere del nuovo fidanzamento.
Per molare sociale, questo rito bastava rendere soprattutto la sposa già impegnata a vita, e difficilmente trovava marito qualvolta i due non andavano a nozze.
La data delle nozze veniva fissata dai rispettivi genitori e solitamente veniva celebrato entro l'anno, esclusi il mese di luglio (triulas), perché triuladu, cioè nefasto e il mese di novembre (Santu Andria) perché dedicato ai morti.

LA SFILATA DE "SOS CANISTREDDOSO"

Tre giorni prima "de s'affidu" la futura suocera inviava nella casa degli sposi il corredo ed i regali dello sposo, esposti in lungo alla vista di tutto il paese, dentro "sos canistreddosos".
Si apriva un vero e proprio corteo con simbolismi, gerarchie e figure particolari. Apriva il corteo una donna che picchiava forte il timpano (tamburello napoletano) con lo scopo di avvisare comari e vicini del passaggio dei doni. Dietro la suonatrice c'era un giovane con un montone bianco sulle spalle legato per le quattro zampe con nastri rossi. Il montone era il simbolo del lavoro e della ricchezza economica.
Seguiva poi una ragazza che con la mano sinistra teneva una gallina, bianca, adorna di fiocchi rossi sul collo e sulle ali, e alla destra una caraffa di vino bianco anch'essa infiocchettata. Anche la gallina ed il vino simboleggiavano l'agiatezza economica che ognuno possedeva e con cui viveva in stretto contatto.
Il resto del corteo era formato da donne, che con numerose ceste in testa portavano gli abiti degli sposi cosparsi di "proinca" (pervinca).
La prima di esse portava gli indumenti della sposa:
"s'imbustu" (busto), "su corittu" (giubboncino), "sa munnedda" (gonnella), "sa camojia" (camicia), con i bottoni d'oro; sulla cesta era collocato anche un elegante cuscino in seta rossa, azzurra o di altro colore. La seconda portava i capi d'abbigliamento dell'uomo:
"su gabbanu" (cappottino), "sa berretta" (cappello), "sas ragas" (pantaloni) "sas ghettas" e altri indumenti che lo sposo doveva indossare la mattina del matrimonio.
Altre ragazze portavano una cesta con diversi capi di vestiario e di biancheria da uomo divisa per specie: una o più dozzine di camicie, di calzoni bianchi, di fazzoletti, calze, (tovaglie, tovaglioli, lenzuola e asciugamani) tutto il corredo completo dell'uomo già preparato e fornito dalla mamma dello sposo.
C'erano altre persone che con grandi ceste piatte, portano il pane degli sposi (su pane piccadu), con pagnotte lavorate in varie forme: fiori, colombe, uccelli, sole, stelle, luna, ecc…con trafori che davano l'idea di un ricamo arabescato. Veniva preparato da donne esperte. Spesso questi piani erano infiocchettati e si conservavano come doni per dare a parenti e amici per buon augurio, in ricordo della cerimonia.
Venivano in seguito le altre donne che portavano un numero considerevole di "pischeddos" (pezzi di formaggio), una o più dozzine di grossi pani di burro, cinque o sei larghe fette di lardo, numerosi piatti e zuppiere con latticini e altri prodotti di pastorizia.
Chiudevano il secondo gruppo due robusti giovanotti con una grande caldaia di rame , simbolo del calore domestico .Avanzano le altre donne con altre ceste di grano, granone e orzo, frutta secca e legumi di ogni genere .Tutte le ceste indistintamente erano adorne di nastri dai vivi colori e cosparsi di rami di pervinca, la pianta dai fiori azzurri indispensabile nelle cerimonie nuziali , perché ritenute di buon augurio.
Molto interessante "su donu". Era il regalo della suocera alla sposa e consisteva in un cestino pieno di mandorle, con sotto una bella tovaglietta di seta, ricamata a mano, che, in seguito, la sposa avrebbe utilizzato nel costume; un piatto e una tazza da colazione pieni di confetti e in mezzo, la fede nuziale, che, a quei tempi veniva data solo alla sposa .
Attorno alla tazza, un ciuffo di lino grezzo "s'istuppa" augurava alla sposa lunga vita e buone capacità come filatrice, e una manciata di sale, simbolo di sapienza .
Chiudevano il lungo corteo due persone coi costumi di lusso che simbolicamente, rappresentavano le madri degli sposi nel trasporto dei doni .
Inutile dire che al passaggio del corteo le strade erano gremite di curiosi e curiose si affacciavano alle finestre e alle soglie delle porte per applaudire le donatrici e passare in rassegna il corredo e il valore dei doni.
Tutti entravano in casa a depositare i regali delle ceste, in cambio ricevevano un nastro di seta più o meno grande e anche esso era oggetto di curiosità e critica. Tutte le compaesane circondavano, curiosando, le comari perché volevano vedere e toccare il fiocco, per malignare in seguito alla generosità o avarizia degli sposi.
Una settimana prima de "s'affidu" iniziavano i solenni preparativi del pranzo. Venivano ammazzati da mani esperte agnelli, pecore e porcetti, "si faghiat sa petta" la carne si lavorava con molta precisione e cura. Essa doveva servire esclusivamente per il pranzo de "sos cojuados noos " ma "sa coscia intera" serviva per ricompensare coloro che come regalo inviavano agli sposi la pecora e una "corbula" di grano. Si dovevano preparare i dolci tradizionali e il pane in abbondanza col grano raccolto nel podere e portato al mulino per farlo macinare e doveva essere cucinato nel forno di casa. Tutto il vicinato si offriva per dare in prestito pentole, piatti, posate, tavoli (sa mesa), le sedie e i bicchieri.

SA DIE DE "SOS PRESENTESE"

Il sabato si ricevevano i regali degli invitati che venivano collocati sul letto, ricoperto per l'occasione dalla "fauna" (copriletto tessuto al telaio).
Essi consistevano in: grano, formaggio, pecore, attrezzi per il lavoro e per la casa o denaro.
Nel pomeriggio i due futuri sposi si recavano in chiesa "solos" per la confessione. La notte si doveva lavorare ininterrottamente per il pranzo dell'indomani.
Il giorno de "sos presentes" la famiglia della sposa mandava il pranzo completo alla famiglia dello sposo, parte del quale veniva distribuito al vicinato e alle famiglie povere del paese.

IL GIORNO DEL MATRIMONIO

Dopo una settimana di preparativi arriva il grande giorno.
Prima che il futuro sposo uscisse da casa per andare a casa della sposa, la madre dava lui la benedizione.
Il valore della parola "benedizione"contiene sia un augurio di prosperità, di felicità e di bene come anche di gratitudine e di lode.
Ogni madre dava la sua particolare benedizione;alcuni esempi:
"in cambiu de sa manu mia
bos beneigat Gesus Giuseppe e Maria.
Beneigo a fizu meu
Su latte chi t'happo dadu
S'ora chi t'happo allatadu
E t'happo dadu sa titta
Da' e sa manu infinita
Sias tue beneittu
E beneittu su situ
De inue abitas e de ue ses
Dai conca fin'a pes
Ti "eigo fizu meu"
Chi ti 'eneigat deus
Ca ses andende a affidare
E ti 'nde pottas gosare
Fin'a chent 'annos de vida!
Dami unu asu e affida !"

Invece della mia mano
Vi benedica Gesù, Giuseppe e Maria.
Benedico mio figlio
Il latte che ti ho dato
L'ora in cui ti ho allattato
E ti ho data la mammella
Della mano infinita
Tu sia benedetto
E benedetto il sito
Dove abiti e dove sei
Dalla testa fino ai piedi
Ti benedico figlio mio
Che ti benedica Dio
Perché stai andando a sposare
E possa avere gioia
Fino a cent'anni di vita!
Dammi un bacio e sposa!


"ti siat beneittu
su latte chi t'happo dadu
a caldu e a frittu
bazi in bon'ora
in s'ora 'è sa notza e Cana
in s'ora ch'andesit Cristos a iscola
in s'ora ch'andesit Cristos a sa rughe
su sole bos diat lughe
sa luna bos betted paghe
happedas bona fortuna
cantu girat sole e luna
bene happedas pro 'nde dare
cantas istellas b'hat in mare.
In nomine de Deus e de Nostra Signora
E de tota sa Corte Celestiale
Chi bos liberet da ogni male!


Lo sposo col costume tradizionale, accompagnato dal braccio del padre col seguito di parenti ed amici si recava a prendere la sposa.
La sposa gia preparata da mani abili, con semplici tocchi facevano indossare il costume, assieme allo sposo s' inginocchiavano e attendevano, questa volta dalla madre di lei, la solenne benedizione:
l'inginocchiato era stato precedentemente preparato dalle amiche della sposa con cuscini e federe bianche, solitamente disposte in modiche gli sposi si trovassero rivolti verso la chiesa o il mare.
La madre della sposa, mentre pronuncia la formula augurale lasciava cadere nel capo degli sposi, formando una o più croci, manciate di grano miste a fiori.

"In nomen de su Babbu e de su Fizu
e de tota sa Corte Celestiale.
Nostru Signore bos diat sa paghe
sa paghe chi hat dadu a sos Doighi Apostulos
In istadu 'e gracia.
Fizos bazi in ora'ona
comente est andadu Gesus a iscola
comente est andadu Cristos a sa rughe
sas istellas bos fettan sa lighe
su sole bos fettat compagnia
bazi fizzos affidade
cun Gesus Giuseppe e Maria!


In nome del Padre e del Figlio
e di tutta la Corte Celestiale
Nostru Signore vi dia la pace
La pace che ha dato ai Dodici Apostoli
in stato di grazia.
Figli andate in buona "ora"
come è andato Gesù a scuola
come è andato Cristo alla croce
le stelle vi facciano luce
il sole vi faccia compagnia
andate figli e sposatevi
Con Gesù Giuseppe e Maria!

Gli sposi assieme ai liro genitori (la spos adavanti e lo sposo dietro) col corteo di parenti ed amici si incamminavano in chiesa.
Finita la cerimonia sacra, gli sposi e gli invitati si incamminavano nella loro casa, e lungo le vie del paese, venivano salutati con manciate di grano e con la relativa rottura dei piatti.
Il corteo nuziale percorreva al ritorno una strada diversa da quella dell'andata. Aveva quindi inizio il ricevimento ed il grande pranzo. Diverse erano le portate: si iniziava con gli immancabili gnocchi (sos cicioneddos) preparati giorni prima, conditi con ottimo formaggio casalingo e col "ghisadu" (sugo ottenuto con le ossa leggermente spolpate degli agnelli e delle pecore.
"Su ghisadu" inoltre costituiva da solo la seconda portata: esso veniva gustato con il pane fatto in casa "sas lotturas" e "su pane piccadu" dalle svariate forme ricamate, riproducenti il sole, gli uccelli e disegni geometrici. Non mancavano naturalmente le polpette tonde e appiattite, "su patatu frissu"e per ultimo gloria della cucina sarda, il croccante arrosto di agnelli e i maialetti fragranti di rosmarino aglio e mirto. Ultima portata: la gustosissima "timballa" (specie di budino amarognolo), un caratteristico dolce degli sposi. In tavola non mancavano i vini che erano abbondanti, liquori fatti in casa ( su rosoliu) con la base di acquavite (abba ardente). La fine della festa era resa allegra dai balli tradizionali come "su ballu tundu", "su passu torradu" e "su dillu".
Tutti ballavano sia anziani che giovani, con le musiche di qualche amico che suonava la fisarmonica. Un altro strumento che riscuoteva grande successo era la chitarra che solitamente accompagnava musiche come "sa corsicana", "su cantu in re", "no poto riposare".
Gli amici dello sposo per concludere, intonavano "già l'asa fatta bella a ti cojuare".
Con queste melodie terminava la giornata più faticosa, ma sicuramente più felice e spensierata di tutta la vita. Il giorno seguente gli sposi si recavano in chiesa "sa missa manna" finalmente soli!!!