Amate questo poeta che è forse il più grande poeta italiano del '900. Nessuno come lui ha saputo cantare l'amarezza e il dolore in modi tanto dolci.
Se poi vi piacciono aforismi e aneddoti correte in fondo alla pagina.
(N.d.R.)
Vo nella notte solo
Vo nella notte solo
Per vicoli deserti
Lungo squallide mura.
Al discorde rumor dei passi incerti
Echeggiando le case come vuote,
trasalgo di paura.
Si sfilacciano contro i cornicioni
Delle case che occupano l'aria
I nuvoloni;
e la fiammella gialla
del lampione traballa
su lastrici che caldo vento bagna;
un'imposta si lagna
solitaria.
In parole consuete
In consueti passi,
giovinezza, trapassi
[...]
Come il vestito vecchio
L'anima addosso mi pesa;
tutto intorno m'ingombra;
ogni cosa mi parte che mi copra
il fiato,
ogni cosa mi pare mi stia sopra
e non mi lasci piangere...
[...]
Mi vedo andare per deserte strade
Vile miserabile brutto.
Sbuca da un nero portico e s'arresta
Nel mezzo della via,
m'interroga con occhi larghi un gatto;
miagola a me, poi ratto
scivola via.
[...]
si stacca sul mio capo
rombando mezzanotte.
A me che vo vagando
Solo nella mia notte
Cadono sul cuore
Come pietre quell'ore.
Da " Pianissimo ", 1914
***
Taci, anima stanca di godere
E di soffrire (all'uno e all'altro vai
Rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
Il corpo, ammutolita, tutta piena
D'una rassegnazione disperata.
[...]
Camminiamo,
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
Sono case, le donne
Che passano son donne, e tutto è quello
Che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore
Non ci tocca. Perduto ha la voce
La sirena del mondo, e il mondo è un grande
Deserto.
Nel deserto
Io guardo con asciutti occhi me stesso.
***
[...]
A me par, vivendo questa mia
Povera vita, un'altra rasentarne
Come nel sonno, e che quel sonno sia
La mia vita presente.
Come uno smarrimento allor mi coglie,
uno sgomento pueril.
Mi seggo
Tutto solo sul ciglio della strada,
guardo il misero mio angusto mondo
e carezzo con man che trema l'erba.
***
Esco dalla lussuria.
M'incammino
Per lastrici sonori nella notte.
Non ho rimorso o turbamento. Sono
Solo tranquillo immensamente.
Pure
Qualche cosa è cambiato in me, qualcosa
Fuori di me.
Chè la città mi pare
Sia fatta immensamente vasta e vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni l'ore.
A queste vie simmetriche e deserte
A queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro indifferenza,
alla loro immobilità.
Mi pare
D'essere sordo ed opaco come loro,
d'esser fatto di pietra come loro.
[...]
***
Non, Vita, perché tu sei nella notte
La rapida fiammata, e non per questi
Aspetti della terra e il cielo in cui
La mia tristezza orribile si placa:
ma, Vita, [...] pel tuo Desiderio
che lascia come al bimbo della favola
nella man ratta solo delle mosche,
[...]
per l'indifferenza
di tutto ai nostri sogni più divini,
[...]
pel rimorso che sta in fondo ad ogni
vita, d'averla inutilmente spesa,
come la feccia in fondo del bicchiere,
per la felicità grande di piangere,
per la tristezza eterna dell'Amore,
per non sapere e l'infinito buio...
per tutto questo amaro t'amo, Vita.
***
Talor, mentre cammino per le strade
Della città tumultuosa solo,
mi dimentico il mio destino d'essere
uomo tra gli altri, e, come smemorato,
anzi tratto fuor di me stesso, guardo
la gente con aperti estranei occhi.
[...]
Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
Occhi di bimbi, facce consuete
Di nati a faticare e a riprodursi,
facce volpine stupide beate,
facce ambigue di preti, pitturate
facce di meretrici, entro il cervello
mi s'imprimono dolorosamente.
E conosco l'inganno pel qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l'inutilità della lor vita
amara e il lor destino ultimo, il buio.
Chè ciascuno di loro porta seco
La condanna d'esistere: ma vanno
Dimentichi di ciò e di tutto, ognuno
Occupato dall'attimo che passa,
distratto dal suo vizio prediletto.
Provo un disagio simile a chi veda
Inseguire farfalle lungo l'orlo
D'un precipizio, od una compagnia
Di strani condannati sorridenti.
[...]
***
Lacrime, sotto sguardi curiosi
Non mi scoppiate a un tratto mentre parlo
Di vane cose (mi sovviene a un tratto
Del mio cammino sotto cieli bui,
non avendo una mano che m'incuori;
e l'inutilità di ciò che dico
di ciò che faccio mi fa grave il cuore).
M'irrita la carezza nei capelli.
Io troppe volte in giovinezza risi
Per ricacciare dentro le mie lacrime,
chè la pietà degli uomini mi umilia.
E quell'altro mio io il quale sempre
M'accompagna, vorrebbe quando piango
Alzar la faccia e ridere frenetico.
[...]
Ma nell'angolo buio d'una stanza
O nella solitudine d'un bosco
Oh dolcezza di pianger tutto solo !
Al sostegno più prossimo m'appoggio
Nell'improvvisa piena
Per morire e tra mezzo grosse lacrime
Mi brilla il viso di riconoscenza.
[...]
***
I miei occhi implacabili che sono
Sempre limpidi pure quando piangono
Amicizia non vale ad ingannare.
Quando parliamo troppo forte o quando
D'improvviso taciamo tutti e due,
vedono essi il male che ci rode.
Col rumor della voce noi vogliamo
Creare fra di noi quel che non è;
quando taciamo non sappiam che dirci
ed apre degli abissi quel silenzio.
[...]
Certe volte vedendo una bestiola
Che lecca una bestiola e gioca seco,
mi morte il cuore una crudele invidia.
Con gli occhi vedo che mi sei negata,
gioia di voler bene a qualcheduno.
***
Adesso che placata è la lussuria
Sono rimasto con i sensi vuoti,
neppur desideroso di morire.
Ignoro se ci sia nel mondo ancora
Chi pensi a me e si mio padre viva.
Evito di pensarci solamente.
Chè ogni pensiero di dolore adesso
Mi sembrerebbe suscitato ad arte.
Sento d'esser passato oltre quel limite
Nel qual si è tanto umani per soffrire,
e che quel bene non m'è più dovuto,
perché soffrire della colpa è un bene.
Mi lascio accarezzare dalla brezza,
illuminare dai fanali, spingere
dalla gente che passa, incurioso
come nave senz'ancora né vela
che abbandona la sua carcassa all'onda.
Ed aspetto così, senza pensiero
E senza desiderio, che di nuovo
Per la vicenda eterna delle cose
La volontà di vivere ritorni.
***
Piccolo quando un canto d'ubriaco
Giungevami all'orecchio nelle notte
D'impeto su dai libri mi levavo.
Dimentico di lor, la chiusa stanza
All'aria della notte spalancavo
E mi sporgevo fuor della finestra
A bere il canto come un vino forte.
Con che occhi voltandomi guardavo
la chiusa stanza e dopo lei la casa
dove già tutti i lumi erano spenti !
più d'una volta sulla fredda ardesia
al vento che passava nei capelli
alla pioggia che m'inzuppava il viso
io piansi delle lacrime insensate.
Adesso quell'inganno anche è caduto.
Ora so quanto amara sia la bocca
Che canta spalancata verso il cielo.
[...]
***
Nel mio povero sangue qualche volta
Fermentano gli oscuri desideri.
Vado per la città solo la notte,
l'odore dei fondaci al ricordo
vince l'odor dell'erba sotto il sole.
Rasento le miriadi degli esseri
Sigillati in se stessi come tombe.
E batto a porte sconosciute. Salgo
Scale consunte da generazioni.
La femmina che aspetta sulla porta
L'ubriaco che rece contro il muro
Guardo con occhi di fraternità.
[...]
Mi cresce dentro l'ansia di morire
Senza avere il godibile goduto
Senza avere il soffribile sofferto.
La volontà mi prende di gettare
Come un ingombro inutile il mio nome.
Con per compagna la Perdizione
A cuor leggero andarmene pel mondo.
***
Io t'aspetto allo svolto d'ogni via,
Perdizione. Ti cerco dentro gli occhi
D'ogni donna che passa...
[...]
Quella che tutti ebbero, che ride
Facile e non capisce, quella che
Con un crollar di spalle e un muover d'anca
Dentro tutto il mio mondo mi dissolva,
quella più disprezzabile che ignora
la sua potenza,
io prego che la strada m'attraversi.
Io, come un mendicante che venuto
Sulla sponda del fiume, sghignazzando
L'unico soldo che possiede getta,
per lei la vita getterei ridendo.
Da " Rimanenze ", 1955
***
Voze, che sciacqui al sole la miseria
Delle tue poche case, ammonticchiate
Come pecore contro l'acquazzone;
e come stipo di riposti lini
sai di spigo, di sale come rete;
nell'ombra dei tuoi vichi zampa il gallo
presuntuoso; gioca sulla soglia
il piccolo, con dietro il buio e il freddo
della cucina dove su ramaglie
una vecchia si china ad attizzare;
sulle terrazze splende il granoturco
o rosseggia la sorba; nel coltivi
strappati all'avarizia della roccia
i muretti s'ingobbano, si sbriciola
la zolla, cresce storto e nano il fico.
In te, Voze, m'imbatto nel bambino
Che fui, nel triste bimbo che cercava
In terra mele mèzze per becchime
Buttate, tratto dall'oscuro sangue
A mordere ai rifiuti;
nel cattivo celato dietro l'uscio
che godeva d'udirsi per la casa
chiamare da colei che lo crebbe
e si torceva presso lui non visto,
la povera, le mani e supplicava
che s'andasse con pertiche alla gora.
Quando bevuto egli abbia ad ogni pozza
Guasta,
più nessuno lo cerchi per la casa
vuota,
come in madre in te possa rifugiarsi.
Se l'occhio che restò duro per l'uomo
S'inteneriva ai volti della terra,
nella casa di allora che inchiodato
reca sull'uscio il ferro di cavallo
portafortuna,
sèrbagli sopra i tetti la finestra
che beve al lapislazzulo laggiù
del mare, si disseta
alla polla perenne dell'ulivo,
Voze, soave nome che si scioglie
In bocca...
VERSI A DINA
1
La trama delle lucciole ricordi
Sul mar di Nervi, mia dolcezza prima ?
(trasognato paese dove fui
ieri e che già non riconosce il cuore).
Forse. Ma il gesto che ti incise dentro,
io non ricordo; e stillano in me dolci
parole che non sai d'aver dette.
Estrema delusione degli amanti !
Invano mescolarono le vite
S'anche il bene superstite, i ricordi,
son mani che non giungono a toccarsi.
Ognuno resta con la sua perduta
Felicità, un po' stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.
Miele segreto di me che s'alimenta;
fin che sino il ricordo ne consuma
e tutto è come se non fosse stato.
Oh come poca cosa quel che fu
Da quello che non fu divide !
Meno
Che la scia della nave acqua da acqua.
Saranno state
Le lucciole di Nervi, le cicale
E la casa sul mare di Loano,
e tutta la mia poca gioia, e tu,
fin che mi strazi questo ricordare.
2
Ora che sei venuta,
che con passo di danza sei entrata
nella mia vita
quasi folata in una stanza chiusa,
a festeggiarti, bene tanto atteso,
le parole mi mancano e la voce
e tacerti vicino già mi basta.
Il pigolìo così che assorda il bosco
Al nascere dell'alba, ammutolisce
Quando sull'orizzonte balza il sole.
Ma te la mia inquietudine cercava
Quando ragazzo
Nella notte d'estate mi facevo
Alla finestra come soffocato:
che non sapevo, m'affannava il cuore.
E tutte tue sono le parole
Che, come l'acqua all'orlo che trabocca,
alla bocca venivano da sole,
l'ore deserte, quando s'avanzavan
puerilmente le mie labbra d'uomo
da sé, per desiderio di baciare...
3
Era color del mare e dell'estate
La strada tra le case e i muri d'orto
Dove la prima volta ti cercai.
All'incredulo guardo ti staccasti
Un po' incerta dall'altro marciapiede.
Nemmeno mi guardasti. Mi stringesti,
con la forza di che s'attacca, il polso.
A fianco procedemmo un tratto zitti.
[...]
Acuta come questa non mi desti
Altra gioia, non mi potevi dare.
T'amavo. Amavo. Anche per me nel mondo
C'era qualcuno.
O strada tra le case, benedetta,
dove la prima volta nella vita
pietà d'altri che me mi strinse il cuore.
**********************************************************
Da " Trucioli ", 1914-1940
Lo so, non sono poesie e quindi non dovrebbero stare qui, ma sono troppo belli per non citarli. (N.D.R.)
Forse mi vado mineralizzando. Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; e il cuore, un ciottolo pesante.
In piazza C. una vecchia veniva avanti [...] persisteva nella vecchia la terribile vita che agita il mozzicone di lombrico spiaccicato.
Una livida alba cittadina che i tram carichi s'avventavano verso le officine e le saracinesche sollevate gridavano, provai un senso di angoscia.
Adolescente. Contenuta a stento nella vesticciola [...] sento il suo corpo come una lava impedita. Oh le sue possibilità ! Frustare i desideri degli uomini; sventolare il corpo come una bandiera; invischiare il milionario bavoso; entrare nel letto dei re; sfinge comparire alla sbarra nel processo sensazionale; sfiorire nell'orgoglio; battere i grandi porti... Cammino dietro a lei su un marciapiede ardente.
Quando una ragazza sale sul tram accanto a me, qualche cosa come un urto mi desta. Capisco che non camminerò mai per una strada fuorimano tenendo una donna allacciata. E costei che è vicina e pare aspetti le parli e sarebbe tanto dolce baciare la vedo lontana, cosa che non mi riguarda. E poiché i miei amori li consumai nella fantasia e neppure gli altri furono corpi, ma fantasmi abbracciati, nulla di saldo, sento improvvisamente che non ho mai baciato una donna e con un leggero freddo mi vedo nero prete traversare il mondo.
Estate sontuosa in città ! Sa l'aria di cipria e di donne scollate. Ha fatto la comparsa nel suburbio la rossa luna del cocomero. Frullano come sassate gli uccelli nel fogliame all'alba. Sotto il mezzodì sta la città senza fiato, stramazzata. S'incolla la camicetta ai seni irritati. Giardinetti impolverati, refrigeri di verde ! Vi si accolgono i viventi ammutoliti. S'appisola dietro la tenda del negozio la padrona, il giornale in grembo.
Quando mi inflissero un fucile, dentro mi raggrinzii, vergine violentata dal mascalzone.
Il tramonto: pennellate crudamente giustapposte; striscioni d'arancione, di rosso cupo. Più tardi i colori si fondono. Il cielo si sbava di viola con presentimenti d'oro. Delicatezze e iridescenze da bolla di sapone. A momenti si vive in un vetro soffiato. Sughero galleggio in questo incerto. (La guerra dov'è ?)
Dapprima fu, nell'immaginazione, un facciata rossa in un vicolo evitato. Ai radi uomini che accostavano il muro a viso in su, delle svergognate di sotto le persiane tenevano proposte oscene. [...] La prima volta fu con una che si sventagliava sulla soglia. Mi conduceva il cattivo compagno. Mi restò l'impressione che avesse gli occhi di vetro. Allora esisteva il Peccato. Si camminava distrattamente; poi si scantonava di colpo. Accoglieva all'entrare un archivolto e l'acre odore. [...] Apriva nelle ore di ressa uno sportello donde si ritirava la tessera come nei cinema usa; e una donna alla porta, con un toscano in bocca, contendeva l'ingresso alla stanzetta a pianterreno, dove in una cruda luce di acetilene le ragazze aspettavano. [...] Prendevo sempre la prima, strangolato dal desiderio e dalla vergogna. [...] I miei occhi vedevano carni brucianti dove non erano che povere nudità e scambiavano dei cencetti colorati per gonne fastose. [...] Se mi fossi sbagliato di sesso, io sarei stata una di loro; con questa sete d'un po' di gioia quotidiana mi sarei perduta; per un nastro, per uno specchietto; per meno. [...] Vico Crema tiene nella mia vita il posto che, per altri, il ricordo del primo amore.
A volte, seduto di fronte a me, vedo il mio io che mi guarda senza voce; o in una stanza improvvisamente mi sento eguale a quel vestito appeso a quell'attaccapanni. E se, a illudermi d'esser vivo, di là mi scrollo ed esco, avverto camminando il meccanismo del corpo, e, come la caverna dell'eco, l'anima mi si riempie del frastuono della via. Dura cosa non avere bisogni. E' allora che si mangia senza fame, si trangugia vino e si mendica di postribolo in postribolo un poco ci foia. Il mondo è limitato da un muro scialbo orribilmente vicino; e il nostro io ci fa ribrezzo, vagamente, come il fantoccio la cui mano, sollevata, ricade.
Da " Fuochi fatui ", 1967
L'anno che nel passaggio alla seconda liceo fu consentito di scegliere tra il greco e la matematica, i condiscepoli che optarono per questa lessero sulla loro lavagna: " A noi le violette di Saffo, a voi un mazzolino di segmenti ".
Vi sono parole che i vocabolari danno per equivalenti e ch'io non confonderei. La nuvola è leggera, un fiocco di bambagia; la nube, il suono cupo lo dice, è plumbea, minaccia temporale. La sottana è greve, tetra, è quella del prete, dell'ava; mentre la gonna è festosa, è una corolla capovolta... pur minima la diversità di suono distingue al mio orecchio le parole nel significato.
Da mezz'ora fruga assorto nel fornello; con un stecco ne cava cenere trinciato gromma, un colaticcio nero. Disintasa la pipa o fa l'esame di coscienza ?
Cubismo o l'uomo che ricorda di quando era cristallo.
Nella traduzione in eschimese del Vangelo, l'agnello di Dio diventa la "piccola bianca foca" di Dio.
Scrittore, lavorai sempre a intermittenza; senza provare nelle lunghe pause velleità o rimpianti di sorta. Di non avvertire alcuna sollecitazione a scrivere, accettavo con la stessa passività con cui, avvertendola, vi avevo ubbidito. Non mi misi mai di proposito davanti a un foglio bianco; per aver pubblicato, non sentii mai d'aver contratto impegni, neppure con me stesso. "Lavorai" non è quindi la parola giusta; se la frase non si prestasse a interpretazioni metafisiche, direi che scrissi sempre sotto dettatura.
Deploriamo l'incoscienza; e senza questo sughero quanti si terrebbero a galla ?
Capita che quello che scrivo mi prenda la mano, acquisti mio malgrado un'andatura cantante. La parola s'insedia da sé nello schema d'un verso; impossibile sloggiarla, spezzare quel ritmo gratuito. E' il campanello d'allarme: non c'è che alzarsi e uscire.
Ragazzine e ragazzini, dopo aver occhieggiato da fuori, invadono il caffè, vengono al mio tavolo. L'insegnante ha letto loro la poesia a mio padre. La fama, nel suo aspetto più amabile.
Essere "amaro": la radice contorta che permette all'albero di essere all'aria un mazzo di fiori.
Non avverto parentela con chi in treno, invece d'aver l'occhio al paesaggio, non importa se visto le mille volte, lo tiene su un libro, sia pure la Commedia.
Matematica: un mondo che l'uomo s'è fabbricato per respirare almeno lì certezza: la sua terraferma, non importa se anch'essa illusoria.
Ottobre '42. A cena fuori quando fischia l'allarme. Non raggiungo il ricovero (un portico armato al più contro le schegge) che la luce vien meno. Si entra in ballo; questa volta fanno sul serio. Nel buio voci femminili intonano litanie. A ogni scrollo piove dall'alto terriccio nel collo. Uno, zittito, tenta freddure; un altro accende sigaretta da sigaretta, sordo alle proteste che si levano. Pigiata contro me, una donna trema tutta; per farle animo l'afferro forte per un braccio: - Chi mi tocca?- strilla: il sesso è l'ultimo a morire.
Quando scrivendo mi viene il sospetto di perdere il tempo "Mah" mi dico "resta sempre che mi diverto". E poi, scrivendo fumo: alla peggio, ho l'alibi.
La saggezza dei proverbi sta nel contraddirsi.
Nel gesto del bimbo che rompe il giocattolo, il seme della metafisica: l'esigenza che "dietro" ci sia qualche cosa.
Fosse Dante a vantarsi, ve', mi direi, un pero che si vanta di far pere.
Bacio o il morso civilizzato.
Sulla sua tomba basterà il nome: Ben ito.
Piange perché l'ha deposto a terra. Sopruso dell'educazione che lo costringerà fin che vive a tenersi in bilico su due piedi.
Per dire "far l'amore" i greci dicevano "esser giovani insieme". Che modo di sentire pulito: l'amore come ruzzare di cuccioli.
La vita è una stoffa che i giovani vedono dal diritto, i vecchi dal rovescio.
Strappandogli il giocattolo gli han tolto tutto; come han potuto ? Le gambe non lo servono più, il pianto è un osso in gola, resta dov'è senza fiato. Olimpici essi proseguono. Previdenti ! Lo allenano alla vita.
" Che hai ? Ti senti male ? " ruminavo un verso. Pensare sciupa.
Avrà pure radice in un briciolo di vero, l'illusione, se a intaccarla non basta l'evidenza.
Ad attirarmi l'antipatia dei compagni era stato dal primo giorno il colletto inamidato che per ingenua vanità Benedetta [la tata-mamma N.d.R.] m'infliggeva. Venendo come al solito a riprendermi, trovò all'ingresso della scuola la scolaresca schierata in attesa. Al mio comparire mi accolse una salva di fischi. Credendomi minacciato, Benedetta volò a impadronirsi del mio braccio e mi scampò contro di sé. E cominciò l'interminabile discesa, seguiti da presso dalla canèa. [...] un rinforzare di fischi, si trottava verso casa quando, distratto da un padelotto di caldarroste, timidamente la toccai perché me ne comprasse. Lei mi credette in cerca di conforto; il cuore le cadde e, tiratomi da parte, mi subissò di baci e carezze. - Non piangere - diceva - E' invidia: l'han con te perché sei il meglio vestito e sei il primo della classe. Approfittano sapendoti senza madre, ma ci sono io. Non piangere - e piangeva. Io non piangevo; già dimentico dell'accaduto, subii quello sfogo di tenerezza senza capire, lo sguardo voglioso teso alle caldarroste.
Nella vita come in trincea alzi la testa e fischiano le pallottole.
Lo scontento di ciò che hai scritto è il concime di ciò che scriverai.
Nella donna lo commuove il seno: l'Abbondanza, ai suoi occhi di povero.
Nella vita come in tram quando ti siedi è il capolinea.
Più facile scrivere che cancellare; più che in ciò che riesce a dire, il merito dello scrittore è in ciò che riesce a tacere.
Una lettera d'amore che non fu aperta, la zitella.
Perché l'allacciano al polso, credono, il tempo, d'averlo a guinzaglio.
A proposito di "Cartoline in franchigia": ormai che è ricordo, riconoscenza alla guerra che per due anni mi distolse da me.
Anche oggi un lichene nuovo: il mondo non è finito di fare. [Sbarbaro era botanico di fama internazionale N.d.R.]
Alla spia della persiana, mio padre saltava su a spalancare finestre. L'aveva fatta lui, a vederlo, la bella giornata.
Non chiamarlo ratto, non ti farà più ribrezzo; chiamalo topolino, ti farà tenerezza.
Vanerella, la pianta del cece, sempre così azzimata. I figli le finiscono in minestre per poveri; ma lei chi l'ha mai vista senza i riccioli fatti ?
Inoffensiva, l'adolescente, a vederla: il ferro da stiro che, freddo alla vista, è rovente.
Felicità, ti ho riconosciuta al fruscio con cui t'allontanavi.
Non fare arte, lasciala farsi.
Nessun grido atroce all'orecchio come il silenzio dell'insetto sotto il dito che lo schiaccia.
Una cosa è quando è detta; è la parola che dà consistenza (e durata) al mondo.
Licenzio le bozze della mia ultima compilazione botanica: trenta anni di ricerche, centoventisette specie, nuove per la scienza. Ho dato anch'io una mano all'inventario del mondo.
Nella aiuole di Rapallo la scritta: RISPETTATE LE ROSE. Un imperativo finalmente accettabile.
Bolle di sapone, Sottovoce, Trucioli, Rimanenze, Scampoli, Fuochi Fatui... e se seguitassi: Spiccioli, Briciole, Quisquillie... mi denigro o più umile è l'atteggiamento, maggiore la superbia ?
Non dar dell'egregio: "uscito dal gregge" suona offesa agli altri, definiti così pecorame.
Leggersi, capacitarsi d'essere esistito.
Se eccesso di godimento è peccato, perdei l'anima per il boccale di birra in cui spensi una sete memorabile.
Ogni barca un nome di donna: i pescatori si affidano al mare su dichiarazioni d'amore.
Amico è con chi puoi stare in silenzio.
La viaggiatrice che s'accaparrava la mia attenzione è diventata innocua quando ho visto quel che leggeva.
Non è il dolore (come vogliono), è la gioia che fa buoni; anche un accenno di gioia. Non punge più quando è in fiore l'ortica.
Poesia, altro vizio solitario.