ARRINGATORE

Tratto dal testo della sovrintendenza del Museo Archeologico di Firenze

 

Provenienza: Il grande bronzo entrò a far parte, nel 1566, delle collezioni del Granduca Cosimo de' Medici. Scrive a tal proposito Vasari, in una lettera datata 20 settembre 1566, al Borghini: "Il Duca ha avuto una statua di bronzo intera che non gli manca niente, d'uno Scipione Minore" - (l 'identificazione era errata) -"di braccia 3 incirca in atto di locuzione". Non conosciute le circostanze del recupero, il luogo di rinvenimento rimane incerto tra quello tradizionale, Sanguineto (PG) sulla riva settentrionale del lago Trasimeno, e Pila, presso Perugia, località emersa da fonti archivistiche.

 

Stato di conservazione e tecnica: grande statua in bronzo eseguita con tecnica a cera perduta, a fusione cava, in sette parti (testa e collo, tronco in due pezzi, braccio destro, mano sinistra, le due gambe) poi saldate e, nel caso delle gambe, inferiormente piene per maggior robustezza, fissate con chiodi alla toga. Gli occhi, in diverso materiale (avorio, osso e/o pasta vitrea) erano inseriti a parte e sono oggi perduti. Ciocche di capelli, bordi della toga, iscrizione ed altri particolari sono incisi. La mano destra fu spezzata al momento del primo rinvenimento.

 

Datazione: primi decenni del I sec. avanti Cristo.

 

Soggetto: la statua, a grandezza naturale, rappresenta un uomo maturo, con i capelli aderenti alla testa pettinati a ciocche, vestito di una corta toga (toga exigua), praetexta, e, a contatto con la pelle, di una tunica bordata da una stretta banda (angustus clavus; vedi il braccio destro). Indossa dei calzari (calcei). Il suo rango è dichiarato dall' anello che porta alla sinistra.

La destra è alzata, la mano aperta nel gesto del silentium manu lacere: il personaggio è ritratto nel momento in cui, apprestandosi a parlare in pubblico, chiede l'attenzione, di qui il nome con cui la statua è universalmente nota, l"'arringatore".

Il personaggio, un etrusco, come vedremo dall'iscrizione, si atteggia e veste ormai alla maniera romana: la sua veste, pur riportabile alla tebenna etrusca, è ormai accostabile alla toga romana; i calzari presentano la caratteristica linguetta (lìngula) e le corregge (corrigiae) dei calcei senatorii romani.

 

L'iscrizione: incisa su tre righe sul bordo della toga, è un 'iscrizione di carattere "pubblico": la grafia è composta e ben curata, le lettere presentano appendici (apicature) destinate a renderle più belle e ricercate. Il tipo di alfabeto usato è quello presente, in epoca tardo etrusca, nell 'area di Chiusi e Cortona.

 

aulesi .metelis .ve. vesial. clensi cen .jleres .tece .sansl. terine tu ines .chisvlics

 

così interpretabile: "per Aule Metelifiglio di Vel e di una Vesiquesto (oggetto sacro) al dio Tece Padre è posto (o simile) dal pago (o vico) di Chiusuli". Certa è l'interpretazione della prima riga, incerta quella delle altre; quanto basta comunque per capire che ci troviamo di fronte ad una statua comnemorativa di un uomo pubblico, politico, Aulo Metello appunto, offerta in suo onore da una qualche comunità in un santuario della zona di Perugia o, più probabilmente, del Trasimeno.

 

Il ritratto: l'iscrizione dichiara con evidenza che, con questa statua, si voleva ricordare, e rappresentare, un uomo ben preciso, Aulo Metello. Anche il volto dunque si sarà voluto avvicinare alle fattezze del personaggio, accentuandosi in questo una tendenza stilistica di pronunciato verismo di influenza, ancora, romana. Lungo e dibattuto è il problema del nascere e del fiorire del genere artistico del ritratto, e, soprattutto, il problema di quando si possa parlare, per una testa dipinta o scolpita, di ritratto, nella "moderna" accezione del termine. Nella sua evoluzione sono state individuate le seguenti tappe:

l) ritratto intenzionale: il primo impulso al ritratto, che si manifesta nella sua forma più ingenua, attribuendo un nome determinato ad una immagine generica;

2) ritratto tipologico: la genericità dell'immagine si riduce, cercandosi di indicare con essa la classe di appartenenza del personaggio raffigurato (un re, un guerriero, un dio), e la sua età (vecchio, giovane).

La III e la IV tappa tendono ad imitare precisamente le fattezze individuali del soggetto, riproducendone veristicamente i tratti somatici (ritratto fisionomico) ed infine cercando di conferire ad essi un'espressione psicologica che meglio ricordi il personaggio: è il ritratto fisionomico, ritratto nella sua accezione moderna, che affonda però le sue radici nei fermenti della Grecia del IV sec., quando, sullo stimolo della sofistica, si abbandonano le più antiche remore ideologiche che avevano fino ad allora impedito dieternare con un tale tipo di ritratto un individuo isolandolo al di sopra della massa di suoi pari, per giungere ora ad un più pieno apprezzamento della individualità del singolo. Se ancora per il sarcofago dell"'obeso" siamo incerti se ci troviamo di fronte ad un ritratto fisionomico, e non piuttosto ad un ritratto tipologico di dominus adagiato sulla sua kline, per la nostra statua è ormai chiara, nella cura minuziosa dei dettagli, la potente influenza del verismo ritrattistico di Roma. Il collo è lungo, la fronte è solcata da profonde rughe, il taglio degli occhi prosegue lateralmente in sottili incisioni e la loro intensità è aumentata dall'ampiezza delle guance, magre e glabre; la bocca, ben disegnata, è sottolineata da un mento piuttosto deciso.

Aule Meteli, un etrusco (lo dichiara, l'iscrizione) che veste, si fa ritrarre alla maniera romana. Un etrusco, dunque, ormai pienamente romanizzato, come giuridicamente romanizzata è, proprio in questi anni, l'Etruria che, con la Lex Iulia e laLex Calpurnia de civitate (90 a.C.), acquisisce la cittadinanza romana. La nostra statua è dunque un monumento che possiamo prendere a simbolo dello scomparire di una civiltà, quella etrusca, lentamente ed inesorabilmente assorbita da quella romana. Con debita prudenza possiamo quasi riassumere in questo bronzo un'epoca: " Aulo Metello, nato etrusco, cittadino romano".

 

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