Gallia e Germania
Cesare racconta della Gallia nel suo "De Bello Gallico" ed in modo grossolano la presenta come una terra divisa tra tre popoli: gli Aquitani a sud-ovest, i Belgi a nord-est ed i Galli nel resto. A queste tre parti viene aggiunta quella dei Germani per puri scopi propagandistici, al fine di isolare le varie tribù tra loro, richiamando l’antica rivalità che c’era tra i Celti ed i Germani. Secondo Plutarco, Cesare, in dieci anni di campagne militari, distrusse 800 città e villaggi, uccise e rese schiavi 3.000.000 di persone. |
La guerra di conquista gallica dei Romani, basata sulla politica del "dividi et impera", iniziò nel 58 a.C. quando gli Elvezi (nel numero di 360.000), spaventati dall’invasione dei Suebi dalla Germania, migrarono dalla Svizzera, distruggendo tutti i loro villaggi per non lasciarli al nemico.
A tale proposito, ricordiamo che numerosi ritrovamenti archeologici testimoniano che nel basso palatinato esisteva una linea difensiva eretta dai Celti nei confronti dei Germani. Nel caso dei Suebi, si dimostrò che questi ultimi avevano sfondato la linea difensiva. Inoltre, nel 60 a.C. Daci e Traci, popoli della Pannonia, distrussero Bratislava, capitale dei Boi e costrinsero alla migrazione la popolazione celtica locale. Questo dimostra che i Celti si sentivano continuamente minacciati dai Romani, dai Germani e dalle popolazioni dell’europa orientale. A tale proposito ricordiamo che nel 16 a.C. i Marcomanni invasero il territorio dei Boi.
Cesare prese a pretesto l’episodio dei Suebi per far sentire minacciata la Gallia Narbonese ed in particolare gli Edui con cui aveva stretto alleanza. Inseguì ed affrontò gli Elvezi nella Gallia non romana a Bibratte e Lugdunum , sconfiggendoli e ricacciandoli indietro, uccidendone circa 250.000.
E’ opportuno precisare che il senato romano non era favorevole a questa guerra, perché si trattava di questioni tra "selvaggi", ma Cesare era interessato perché aveva bisogno di denaro: la sua corsa alla dittatura rischiava di farlo indebitare con Crasso. Cesare aveva anche fatto una politica denigratoria dei Germani nei confronti dei Galli, sottolineando le differenze tra i due popoli (in realtà erano minori), finchè sempre nel 58 a.C. a Mulhausen sconfisse i Suebi di Ariovisto, lasciando truppe romane in territorio germanico. Per tutto ciò Cesare ottenne a Roma un giorno di fasti.
Nel 57 a.C., con una politica di propaganda, Cesare sconfigge una ad una tutte le tribù dei Belgi che era riuscito a dividere (Suessoni, Bellovaci, Ambiani, Aduatuci, Nervii), facendole di nuovo apparire come un pericolo per gli Edui.
Successivamente furono occupate Normandia e Bretagna, anche se i Gesati si difesero bene. Scoppiarono varie rivolte e Cesare fu costretto a correre per tutta la Gallia. Annientò gli Aquitani, sconfisse i Veneti in Bretagna con una flotta leggera allestita per contrastare l’impeto dell’Atlantico. Sconfisse ed inseguì oltre il Reno Tenteri e Usipeti, allestendo con i suoi genieri un ponte di legno lasciato intatto a metà come monito di un eventuale ritorno. In tutte queste rappresaglie, come esempio, distruggeva villaggi e compiva stragi.
Al ritorno dalla seconda spedizione in Britannia, Cesare affronta e sconfigge prima Induziomaro capo dei Treviri, che aveva assediato un campo romano, e poi Ambiorige capo degli Eburoni, che, sotto il segno di una Gallia comune, aveva sopraffatto con l’inganno i luogotenenti Sabino e Cotta. La strategia cesariana di re contro re stava tramontando. Entrambi i capi furono uccisi nel 53 a.C. dai Romani, ma i due avevano innescato una guerra civile: erano i rappresentanti di nuove classi sociali, composte da una discreta popolazione, che volevano soppiantare le vecchie filoromane, esigue come popolazione. Si trattava di gruppi non organizzati militarmente che volevano affrontare la potente macchina bellica eretta da Cesare.
Nel 52 a.C. fu la volta di Vercingetorige, capo degli Alverni.
E’ opportuno precisare che molti nomi di re celtici, non sono reali. Essi richiamano il nome del popolo da cui provengono questi personaggi e fanno direttamente riferimento al concetto di vigore e di forza tipico della filosofia di vita celtica. Vercingetorige ne è un esempio tipico: ver: super, cinget: guerriero, rix: re.
Fu il fautore della "terra bruciata" e distrusse villaggi gallici, facendo trasferire popolazioni e beni. Questa politica si fermò ad Avaricum, città dei Biturigi che per la sua bellezza non fu distrutta, che fu assediata da Cesare, il quale, tra la fame e gli stenti dei suoi soldati frutto della politica del re alverno, in 25 giorni eresse un rampa fino alle mura di cinta della città. Vercingetorige non attaccò e si ritirò nelle vicine paludi. I Romani massacrarono la popolazione. Il capo alverno aveva dimostrato che era inutile affrontare i romani direttamente e difendere le città da assedi. In questo modo ebbe credito presso i popoli gallici.
Successivamente fu la volta di Gergovia, capitale degli Alverni, dove i Romani subirono la prima sconfitta. Si trattava di una città circondata da montagne, ben fortificata, dove Cesare attuò un’azione da commando che andò a vuoto, per l’intervento delle milizie di Vercingetorige : morirono 700 soldati e 46 centurioni.
Cesare meditava il ritiro dalla Gallia Narbonese, ma gli Allobrogi bloccavano i passi alpini. I Romani sconfissero i Galli che anziché usare una tattica prudente, si richiamarono al loro furore bellico, e decisero di puntare verso Alesia, città sacra dei Mandubi ove risiedeva il capo alverno. Qui Cesare fece costruire delle doppie mura di assedio alte tre metri tutte attorno, con trappole e fossati di acqua di sette metri. La cavalleria di Vercingetorige andò a chiamare aiuto, lasciando 80.000 Galli nella città, e si presentarono attorno ai Romani 240.000 fanti e 8.000 cavalieri. La popolazione alesiana non adatta alla guerra (vecchi, bambini, donne) che costituiva bocche da sfamare fu risparmiata al cannibalismo e mandata verso i Romani che li lasciarono nella terra di nessuno a morire di fame. Cominciarono gli attacchi gallici sia dall’esterno che all’interno che i Romani respinsero bene.
Alla fine, stremati dalla fame gli alesiani consegnarono Vercingetorige ai Romani che lo condussero a Roma ove, nel corso dei fasti fu ucciso nel 46 a.C.. Due anni dopo morirà anche Cesare. Piccole rivolte successive furono sedate: la Gallia era sottomessa. Il risultato di tutto ciò fu la comparsa della città di Hradiste in Boemia, abitata dagli ex abitanti Gergovia, Alesia, Bibratte e la migrazione di popoli celtici verso quelli germanici. Inoltre i Romani proibirono il culto della religione celtica. La cosa fu nuova perché generalmente ai vinti era lasciata la professione della propria religione. Anche questo faceva parte di una strategia tendente a distruggere la cultura celtica che si era opposta strenuamente a quella romana (come fu per l’etrusca, la sannita, la cartaginese). Tuttavia Caracalla, Diocleziano e Massimino si inginocchiarono davanti a divinità celtiche e lo stesso Costantino ebbe la sua famosa visione in un tempio celtico.
Augusto, il successore di Cesare, consolidò l’opera di conquista della Gallia. Per diverso tempo abitò ad Aquileia, per seguire la situazione più da vicino. Stabilì a Lione il centro delle operazioni, da cui partirono le diverse spedizioni militari, affidate prima al suo genero Vipsiano Agrippa, poi ai suoi figliastri Tiberio e Druso. Questi ultimi, tra il 15 ed il 14 a.C., si spingono verso l’Illiria, oltre il Danubio, distruggendo Manching, e fondano tra il Danubio ed il versante meridionale delle Alpi le province romane della Rezia e del Norico. In questo modo si impiantò e si sfruttò una rete di commercio con l’Europa centrale, nonché i suoi metalli.
Successivamente l’attività bellica si concentrò soprattutto contro i Germani, ma, dopo alcuni successi di Tiberio (5 d.C.), le truppe romane, coordinate da Germanico, figlio di Druso, non riuscirono ad avanzare in un terreno così impervio ed in un clima ostile. Nel 9 d.C. 20.000 soldati, al comando di L.Q. Varo, furono uccisi nella battaglia di Teutoburgo. Fu l’epilogo della conquista germanica, nonostante le operazioni di Germanico, che, nel 15 d.C., durante il regno di Tiberio, navigò lungo il Reno dal Mar del Nord. I Romani decisero di non avanzare più e si attestarono lungo il Reno, su una linea difensiva che alcuni secoli dopo sarà distrutta dalle invasioni barbariche. L’attività espansionistica, guidata sempre da Germanico, si spostò in Illiria e Pannonia.