CAPUA

          

L' Area Archeologica

 

La città possedeva un regolare impianto urbanistico che si fa risalire proprio agli Etruschi, secondo studi accreditati già a partire dalla metà del VII secolo a.C. L'insediamento nel suo complesso era organizzato secondo criteri di ortogonalità di strade e incroci. Ad esso facevano da corolla le necropoli, che ne perimetravano esternamente il tracciato urbano. Una quota parte di un nucleo dell'abitato arcaico (VI secolo a.C.), che doveva coprire una superficie calcolata intorno ai duecento ettari, è stato restituito da esplorazioni condotte negli anni Ottanta a nord della Porta Urbica nelle vicinanze del Ponte di San Prisco, esternamente alla cinta muranea antica. In quest'area le unità abitative erano dapprima costituite da capanne in legno e altro materiale deperibile, in seguito sostituite da edifici in muratura provvisti di uno zoccolo basamentale in conci tufacei con pareti forse in mattoni crudi.

 

I Santuari

 

I due più celebri santuari della città furono quelli di Diana Tifatina a Sant'Angelo in Formis e quello, tuttora senza nome, rinvenuto nel Fondo Patturelli a Curti, sul limitare orientale della città, dedicato a una Dea Madre, entrambi particolarmente fiorenti in epoca arcaica (VI secolo a.C.). Il santuario del Fondo Patturelli, casualmente scoperto nel 1845, deve la sua fama al gran numero di sculture femminili in tufo che rappresentavano donne con bambini in fasce sul grembo, universalmente conosciute con il nome di Matres Matutae. Preoccupazioni contingenti del proprietario, Carlo Patturelli, e l'effettiva assenza di grazia classica che muoveva queste sculture ne consigliarono il riseppellimento. Lo scavo fu invece ripreso una trentina di anni dopo, ma la speranza che un criterio scientifico venisse applicato restò in larga parte disatteso, tanto da impedire la nostra conoscenza dettagliata del complesso sia planimetricamente che negli edifici i quali nel tempo vi si andarono assommando. Unica eccezione sembra costituita dalla presenza di un altare monumentale in tufo, ipotizzata nel 1907 da H. Koch, con podio gradinato e sfingi alate che ne presidiavano la salita sino a un'edicola posta sulla parte sommitale. Le centosessanta Matres (a tanto ammontavano le sculture che nel tempo si andarono accumulando) dovevano esser poste contro una parete, forse lungo il muro di cinta del santuario, come lascerebbe intendere la parte posteriore scabra che ne guidava la visione solo frontalmente. Tutte riproducono una immagine femminile assisa su seggio che reca almeno un infante in fasce sino a un numero massimo di dodici, secondo l'iconografia di antica ascendenza nel mondo mediterraneo della kourotrophos, ossia della figura femminile ritratta nella sua funzione di nutrice, che in se riassume nella materna gestualità della cura e dell'allattamento, una simbologia di fertilità. In esse si è voluta altresì ravvisare l'immagine della stessa divinità o piuttosto quella delle devote offerenti. In origine quell'impressione di disorganicità e ruvida grossolanità che le statue produssero nei primi scopritori e studiosi, così lontane dai modelli classici tanto da esser reputate «tozze e mostruose sì che sembravano rospi», doveva forse risultare compensata dal trattamento delle superfici mediante uno strato di stucco bianco poi sovraddipinto. La loro straordinarietà scaturisce dal fatto che esse rappresentano un complesso a destinazione votiva di genere unico, che testimonia l'omaggio devozionale alla dea del Fondo Patturelli per un arco di tempo che dal V giunge al II secolo a.C.

Riguardo infine alle caratteristiche più propriamente strutturali degli edifici sacri che i santuari capuani ospitavano, la loro ricchezza decorativa era esaltata da apparati copertura che fondevano la funzionalità con la tradizione propria dell'edilizia etrusca, con particolare riferimento alle terrecotte architettoniche poste a protezione e ad abbellimento della carpenteria lignea del tetto. L'originale elaborazione dei soggetti che compaiono nel repertorio della coroplastica architettonica comprende, per quest'epoca, soprattutto animali fantastici (grifoni) o reali (cavalli, arieti, felini) campiti sia a bassorilievo sulle lastre che a tutto tondo negli acroteri, destinati a dominare sul vertice o agli angoli del tetto stesso. Figure reali e fantastiche - teste femminili, gorgoni o palmette vegetali - compaiono anche su altri elementi di copertura, le antefisse, disposte sui lati lunghi del tetto di tegole e coppi semplici nascondendo alla vista la parte terminale dei travi.

In anni recenti si è individuato anche il tempio di Giove Tifatino, quasi sulla sommità del Monte Tifata, grazie all'occasionale rinvenimento di alcune laminette plumbee cui ha fatto seguito lo scavo che ne ha parzialmente restituito le strutture.

 

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