CAPUA

          

Le Necropoli

 

La documentazione funeraria capuana si dimostra assai preziosa poichè copre un arco cronologico assai vasto, all'interno del quale è stato possibile giungere a una vera e propria periodizzazione culturale sulla base dei materiali archeologici restituiti dalle tombe. La facies culturale più antica rivelata dalle tombe coincide con la prima età del Ferro (fase villanoviana): nella zona nord-occidentale della città moderna è stata individuata un'area adibita a necropoli risalente alla metà del IX secolo a.C. Le sepolture di incinerati erano allogate in olle e vasi biconici in ceramica di impasto, protette da un coperchio a calotta. Durante il secolo successivo l'affermarsi del rito inumatorio coincide con l'intensificarsi dei rapporti commerciali e culturali con il mondo greco della Campania, mentre un aumento di ricchezza e prosperità si coglie più apprezzabilmente in alcuni corredi funerari che annoverano ceramiche di importazione da Pithecusa e dalla Grecia continentale, sintomo di una crescente differenziazione sociale e del fonnarsi di una locale aristocrazia. Non mancano splendidi esempi di manufatti metallici quali vasellame bronzeo o fibule dalla foggia ricercata, che al pari dei corredi rinvenuti per la stessa epoca nell'Etruria tirrenica e nella vicina Cuma, ove pure sono state rinvenute sepolture "principesche", costituiscono indubbiamente gli elementi di maggior richiamo tanto da potersi considerare veri indicatori di rango.

Con il VII secolo Capua seguita a proporre un quadro articolato, nel quale accanto alle produzioni locali e alle suppellettili ceramiche di importazione, il contatto con il mondo greco si ripropone occasionalmente anche nell'adozione del rito incineratorio per le sepolture di maggior prestigio, contemplando la deposizione dei resti del defunto entro bacini di bronzo o talora in crateri fittili di provenienza ellenica. Come sovente accade, la composizione dei corredi secondo un criterio non scevro di influenze dal mondo greco coloniale, porta con se anche l'adozione delle costumanze funerarie legate al consumo del vino, ben testimoniate dalla presenza di vasellame potorio, ossia crateri, oinochoai, coppe, tazze e quant'altro fosse funzionale alla pratica del bere (simposio). L'abitudine tipicamente greca di ricorrere agli oli profumati per la detersione o per l'unzione del corpo, inteso anche come pratica funebre, è suggerita dalla occorrenza di piccoli vasi balsamari di sagoma affusolata (aryballoi, alabastra).

Dall'Etruria meridionale giungono esempi della più caratteristica produzione di quell'area, ovvero la ceramica di bucchero, con preferenza proprio per le fonne idonee a contenere, a versare e sorbire vino, ben presto imitate e smerciate anche dalle botteghe di ceramisti locali.

Lastra della testata della Tomba 16 da S. Prisco con la figura del guerriero stante in completo armamento sannitico (Museo Nazionale Archeologico di Napoli).

L'alto livello dell'artigianato artistico di Capua troverà espressione, a partire dal VI secolo a.C., anche nelle terrecotte architettoniche destinate a decorare i tetti degli edifici civili e sacri, con caratteri propri che attingono sia del mondo etrusco che da quello greco, inaugurando una manifattura a tal punto peculiare delle officine capuane da perdurare attraverso i secoli, fino all'età ellenistica.

Nell'antichità Capua era celebre anche per la lavorazione dei metalli e ancora un volta, a dimostrare il magistero artistico raggiunto dagli artefici capuani, non mancano dai corredi funebri ricchi e fastosi esempi di vasellame bronzeo da mensa, anche di grandi dimensioni.

Come in alcuni centri della Campania (Nola, Cuma) anche a Capua fra il V ed il IV secolo a.C. è conosciuta una particolare tipologia tombale, quella della tomba dipinta a camera o a cassone fonnato da lastre litiche; già nel 1868 in contrada Quattro Santi venne a luce una grande tomba a camera, dove erano stati sepolti una ventina di individui, affrescata con una scena nella quale due personaggi seduti ai lati di un basso tavolino sono intenti a un gioco simile a quello degli scacchi. La maggior parte delle tombe dipinte andarono perdute nel corso del secondo conflitto mondiale. Un destino in tutto simile toccò a una tomba scoperta alla metà del secolo scorso nelle adiacenze dell'anfiteatro, la cui decorazione, debitrice delle grandi esperienze pittoriche della Grecia propria e dell'ambiente coloniale, è stata ricostruita agevolmente grazie alle copie acquerellate che vennero tratte in scala reale: vi compaiono, fra gli altri, figure umane che si muovono nello spazio di un porticato, una danzatrice adorna di preziosi monili, una suonatrice di flauto. I defunti dovevano essere adagiati su letti funebri e in una cassa in tufo.

A partire dagli anni Settanta, sia nella zona nord-orientale di Santa Maria Capua Vetere che al Ponte di San Prisco, un nuovo e consistente gruppo di tombe a cassone di tufo ha in parte colmato le perdite occorse durante la seconda guerra, restituendo alla conoscenza storico-artistica della città nel IV secolo a.C. un repertorio iconografico, peraltro piuttosto ripetitivo, che comprende temi cari anche al mondo sannitico, ovvero cavalieri colti nel momento della partenza o di ritorno dalla battaglia e accolti da donne che recano offerte di bevande, a ricordarci che Capua, tra il IV e il III secolo a.C., immortalava attraverso la simbologia pittorica cavalieri e mercenari.

    

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