CORTONA

   

La Storia e l’Area Archeologica

 

Cortona sorge su una collina dominante la fertile Vai di Chiana, a circa 250 metri sul livello del mare. Ci sono testimonianze relativamente significative per i periodi neolitico ed eneolitico, sia in città che nel territorio. All' epoca protovillanoviana e villanoviana si possono attribuire una serie di attestazioni archeologiche concentrate in zone marginali del perimetro urbano. Di alcune sepolture scoperte nel Cinquecento sulla collina ci restano solo scarne descrizioni di cronisti dell'epoca, che consentono tuttavia di riconoscervi, con una certa verosimiglianza, tombe a pozzetto della prima fase.

Da menzionare, comunque, i sicuri ritrovamenti nell'area della Tanella Angori, nelle vicinanze dell' abitato, e i resti, emersi recentemente presso via Vagnotti, di insediamenti in capanne, databili attorno al 700 a.C. Nonostante le leggende sulla remota origine della città, la documentazione materiale arcaica proveniente dalla collina e dall' area urbana - almeno sulla base dei dati attualmente disponibili - è così scarsa da indurre a sospettare che in questa fase non esistesse ancora un agglomerato abitativo organizzato, ma piuttosto un'occupazione del territorio a livello preurbano. Dunque una vera e propria città sull'altura dovrebbe essere sorta nel V secolo a.C. Resti delle antiche mura, costruite con grandi blocchi, lunghi fino a tre metri, quasi rettangolari di pietra arenaria locale ("macigno") e disposti a filari irregolari con riempimento a scaglie, sono ancora visibili per vasti tratti sui lati sud, ovest e nord. Punti meglio conservati sono osservabili nei pressi di porta Colonna, di porta Santa Maria, di porta Sant' Agostino e di porta Montanina.

Area Archeologica

 

La cinta di epoca etrusca, originariamente lunga più di due chilometri, racchiudeva, entro un perimetro quadrangolare, una superficie di circa trenta ettari, in cui era compreso il forte mediceo del Girifalco, forse insistente sull'acropoli originaria. Tale cinta forma solo in parte la base delle meno ampie mura medievali (XIII secolo). In passato si sono datate le mura etrusche perfino al VI secolo a.C.; oggi si ritiene, peraltro senza elementi di valutazione assolutamente conclusivi, di poterne fissare l'erezione al V-IV secolo, all'epoca, cioè, in cui, con l'inizio dell'espansione romana, si rileva una tendenza generalizzata dei centri dell' Etruria a rafforzare le proprie difese. Risulta acclarato che l'economia del centro era fondamentalmente basata sull'agricoltura e sull'industria del bronzo. Nel periodo ellenistico-romano anche il commercio sembra essersi sviluppato a più ampio raggio e sicuramente l' importanza di Cortona si accrebbe in misura notevole, raggiungendo il suo massimo splendore.

La prima notizia storica esplicita e attendibile relativa a Cortona è riportata da Tito Livio, laddove riferisce gli eventi del 311 a.C. Secondo la sua testimonianza in quell'anno, eccetto gli Aretini, tutti i popoli d'Etruria, si mossero in armi all'assedio di Sutri, già città etrusca, ma allora colonia romana (dal 383 a.C.). Questa guerra di notevoli proporzioni, per il controllo di quella città che era una sorta di "ingresso dell'Etruria", si concluse, l'anno successivo, con una grave disfatta dell'esercito etrusco (si parla addirittura di sessantamila nemici uccisi o fatti prigionieri). Nello stesso 310 a.C., sempre secondo Livio, subito dopo il rovescio militare, da Perugia, Cortona e Arezzo, «che a quel tempo erano come le capitali dei popoli d'Etruria (capita Etruriae populorum)», furono inviati ambasciatori a Roma con richieste di pace; fu concessa una tregua di trent'anni.

La struttura sociale di questo periodo era certamente basata su gruppi oligarchici in posizione di privilegio economico e politico. Il governo della città-stato era retto da organi magistraturali elettivi e temporanei (ciò doveva valere almeno per le cariche più rilevanti). E’ altamente verosimile che anche a Cortona l'accesso alle magistrature (almeno a quelle superiori) fosse di fatto, se non di diritto, riservato agli appartenenti a una ristretta schiera di famiglie costituenti la nobilitas. Un ritrovamento abbastanza recente ha gettato straordinari sprazzi di luce sulla Cortona etrusca; si tratta della lunga epigrafe nota come "tavola di Cortona" (tabula Cortonensis), che gli editori datano tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. .

Le sepolture di grande pregio architettonico, costruite in prossimità del centro urbano, e la continuità d'uso delle aree sepolcrali attorno ai grandi tumuli della campagna testimoniano la prosperità raggiunta dai Cortonenses. Degli antichi edifici interni alla città e dell'assetto urbanistico d'età ellenistico-romana resta assai poco. Vicino alla porta Sant'Agostino, non molto lungi dalle mura, c'è un ambiente in opus incertum, con copertura a volta, che forse funse da cisterna (II secolo a.C.). Altri avanzi di qualche rilievo si segnalano in via Mazzuoli, dove, nel palazzo Cerulli-Diligenti, rimane un cospicuo tratto di muro in opera quadrata, di circa 6 x 4,5 metri, formante un angolo, in cui è inserito l'accesso a un cunicolo scavato per circa 2 metri nella roccia e coperto con una volta a botte. Sulla base dell'andamento poligonale della piazzetta antistante il palazzo, si è ipotizzato che la struttura in questione possa essere stata pertinente a un teatro. Anche in altri punti (per esempio in piazza Signorelli) si sono scoperti resti di mura tardo-etrusche e romane; a ciò si aggiungono tracce di fognature antiche, bagni romani, mosaici e altari; tutte testimonianze, nell'insieme, relativamente limitate.

È pressochè certo che a Cortona, dalla prima metà del IV e per tutto il III secolo a.C., fosse presente una zecca monetaria locale (tra le raffigurazioni prevalenti dei conii: una ruota, una bipenne, una lunula). Le serie "incerte" della Val di Chiana del III secolo a.C. da alcuni sono state collegate col passaggio di Annibale e la seconda guerra punica (presentano immagini come una testa di negro e un elefante), da altri sono invece collocate alla metà del secolo e valutate come una delle ultime emissioni autonome dell'Etruria. Quelle monete recanti la legenda 'di Peithe' sono da riferire al nome di un importante personaggio, reclutatore di truppe, più che a una città precisa.

 

 

Cortona – Mura etrusche e Porta Bifora

 

Seguendo ancora Tito Livio, nel 217 a.C., sotto il consolato di Gneo Servilio Gemino e di Gaio Flaminio (per la seconda volta), come è ben noto l'esercito romano, guidato dal console Gaio Flaminio, cadde nell'imboscata di Annibale finendo sterminato nella famosa e tremenda battaglia che prese il nome dal lago Trasimeno (dalla tavola di Cortona sappiamo che in neoetrusco 'lago Trasimeno' si diceva itis Tarsminas). Livio racconta che, oltre allo stesso comandante Flaminio (ucciso da un cavaliere insubro di nome Ducario), caddero in combattimento quindicimila Romani; altri diecimila, sparsi in fuga attraverso tutta l'Etruria, cercarono di tornare rapidamente a Roma. Tra i Cartaginesi e i loro alleati morirono duemila e cinquecento uomini in battaglia e parecchi altri in seguito, per le gravi ferite riportate. Cortona era ormai da molti decenni inserita nell'orbita romana e Livio la descrive come una fedele alleata; del resto gli Etruschi non passarono mai con Annibale, nemmeno dopo il disastro di Canne, avvenuto proprio l'anno dopo, nel 216, e che sembrò letale per Roma poichè, secondo gli antichi annalisti, vi persero la vita quasi cinquantamila soldati romani. L'alleanza con Roma costò comunque cara ai Cortonesi; infatti, quantunque la città, difesa da solide mura, non sia stata toccata, tutto il territorio fino al lago Trasimeno subì una spietata e rovinosissima devastazione da parte delle orde di Annibale.

L'economia di Cortona, solidamente impiantata sulle risorse di un'agricoltura ancora di tipo latifondistico, ricevette, in questo modo, un colpo durissimo, al punto che la città non figura nell'elenco dei maggiori centri dell'Etruria che, nel 205 a.C., inviarono a Roma notevoli contributi per la costruzione della flotta che Scipione avrebbe condotto in Africa. A dire il vero Silio Italico nel suo poema epico Punica (8,472-473) accenna anche a Cortona tra le città etrusche che contribuirono ne1 205, ma la notizia è ritenuta imprecisa e priva di attendibilità. La decadenza economica e politica di Cortona in questo periodo è ancora più vistosa se paragonata con la grande e contemporanea fioritura di centri vicini come Chiusi e Perugia, in cui sono nettamente rilevabili segnali notevoli di sviluppo economico e incremento demografico. Il ritrovamento, appunto a Cortona, di un cippo confinario pubblico con l'iscrizione tular rasnal ('confine dell'Etruria' o 'confine dell'Etrusco') resta giustamente interpretabile come un segnale del ruolo, proprio del contesto cortonese, di baluardo avanzato del nomen Tuscum verso il territorio umbro. La guerra sociale, all'inizio del I secolo a.C., segnò l'estremo tentativo delle popolazioni italiche di sottrarsi all'egemonia romana. Per Cortona non ci sono notizie precise, ma tutto induce a ritenere che essa abbia parteggiato per il vincitore, Silla.

Certamente nell'88 a.C. i Cortonesi ricevettero la cittadinanza romana venendo iscritti nella tribù Stellatina. Nonostante Dionigi di Alicarnasso tramandi la notizia della deduzione di una colonia romana, le epigrafi menzionanti magistrature quattuorvirali testimoniano l'esistenza di un ordinamento municipale. Per l'età imperiate e tardo-antica le fonti letterarie, con l'eccezione di alcuni scarni accenni di geografi, restano mute. Nelle campagne si assiste, comunque, a un ritorno allatifondismo, con un'organizzazione della produzione su base schiavistica, come dimostrano le tracce, tornate alla luce, di vari insediamenti rustici diffusi in più zone del territorio. Sotto Augusto fu simbolicamente restaurato un simulacro delle antiche leghe etrusche e da una testimonianza epigrafica sappiamo che la carica di praetor Etruriae XV populorum ('pretore dei quindicipopuli d'Etruria', titolo onorifico sacerdotale rivestito anche dall' imperatore Adriano) fu ricoperta anche da un Cortonese, un tale Gaius Metellius, con la massima verosimiglianza discendente di quell'Aule Meteli figlio di Vel, raffigurato nella famosa statua bronzea detta "dell'Arringatore", ora al Museo Archeologico di Firenze. A proposito dell'attività bronzistica, che tra le attività cittadine dovette rivestire un certo rilievo, va senz'altro menzionata una serie di piccole statuette votive, ascrivibili a un periodo compreso tra il IV e il II secolo a.C., rinvenute nell'area e prodotte certamente in massima parte nella stessa Cortona. Vi sono raffigurate soprattutto figure di divinità come Giano (etr. Culsans) bifronte, immagini di oranti o di animali; spesso vi sono incise iscrizioni dedicatorie. Alcuni esempi: (su una statuetta di Giano): v cvinti arntias culsansl alpan turce 'Vel Cvinti (figlio) della Arntia a Culsans in regalo diede'; (su un'immagine muliebre): mi cels atial celbi 'io (sono) della Terra Madre, nella terra'; (sulla statuetta di un cane): s(elansl) calustla 'di Silvano infero'; in quest'ultimo caso, ammessa l'integrazione, si tratterebbe di un'offerta al corrispondente infero della divinità ctonia di Silvano, (etr. Selvans: qui però è integrato secondo la variante cortonese con il passaggio -lv->-ll->-l-, favorito dalla forte velarizzazione della l etrusca); l'epiteto è la forma articolata calusta (da calusur, forse 'dèi Mani'); su un vaso di Volsinii è testimoniato anche il nome del corrispondente infero di Giove, Tinia calusna (questa volta si ha un aggettivo in -na). A questa produzione si può anche riferire il grazioso putto con bulla e un'oca, conservato nel Rijksmuseum di Leida; la sua iscrizione dedicatoria ricorda l'offerta di una madre a favore del figlio: il regalo di Velia Fanacnei per (la divinità) Thufltha è stato fatto a favore del figlio secondo il pubblico voto.

Il più famoso di questi oggetti è comunque il grande e bellissimo lampadario in bronzo fuso, oggi custodito nel Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona. Esso fu ritrovato nel 1840 in una tomba a Fratta, a ovest della città; ha un diametro di 58 centimetri e un peso di 57,7 chilogrammi; è a forma di piatto e dispone di sedici lucernini a olio. La ricca decorazione nella parte inferiore consiste di una testa di Gorgone in rilievo al centro, contornata da un serpente e da un fregio raffigurante animali in lotta e un nastro a onde con delfini. li tutto è a sua volta circondato da figurine di arpie alate e sileni (su cui poggiano i lucernini) che suonano la siringa o il flauto e sono inframmezzate da teste barbate di Acheloo. In passato il carattere eccezionale del reperto aveva fatto sorgere attorno alla sua autenticità alcuni dubbi, oggi del tutto fugati. Al lampadario è affissa con un chiodo una targhetta bronzea recante un'epigrafe incisa; il Pallottino riteneva non del tutto certa la sua originaria pertinenza al lampadario. La traduzione è difficile in alcuni punti, anche a causa delle lacune: 'l'omaggio pregevole Musni come <generoso> dono votivo <fa consacrare>'. Sembrerebbe, dunque, che il prezioso lampadario da oggetto di uso privato sia passato, per un certo periodo almeno, ad arricchire la suppellettile di un sacrario, finendo, in ultimo, nella tomba in cui venne riesumato nel XIX secolo.  

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