Il Melone del Sodo II si eleva
ancor oggi a circa trecento metri dal Primo. Esso ha un diametro di circa 60
metri e la sua conservazione è notevolmente compromessa, anche a causa
della infiltrazioni della falda acquifera. La tomba principale, purtroppo già
violata in antico, fu compiutamente esplorata dagli archeologi negli anni
1927-1928, rivelando una pianta complessa di tipo orientalizzante evoluto. Un
lungo dromos d'accesso (di circa metri 8,8 x 1,8) immette, attraverso un
portale con imponente architrave monolitico squadrato e rifinito, a due
vestiboli rettangolari consecutivi introducenti, a loro volta, a sei celle
laterali e alla camera principale sul fondo. Già nel 1927 si potè constatare
la quasi completa distruzione delle celle laterali di destra, a differenza di
quelle di sinistra probabilmente meglio conservate a causa della posizione più
interna e lontana dal corso d'acqua (rio di Loreto).
Altare
– piattaforma
Vicino
all'ingresso della seconda cella laterale di sinistra si trovò un frammento
caduto dell'architrave, recante minime tracce di un'iscrizione purtroppo non
integrabile: ]vla[. Il successivo degrado incessante delle condizioni
della tomba, causato dall'esposizione alle intemperie, alle infiltrazioni di
acqua di falda e all'aggressione della vegetazione, determinò perfino il crollo
parziale della camera di fondo. Nonostante le difficoltà (tecniche ed
economiche) connesse, ne1 1988, si mise in atto un progetto di restauro
conservativo.
Melone
del Sodo II – tomba 1 e 2
Questa
fortunata ed eccezionale stagione di ricerche nel Melone del Sodo II ha portato
alla scoperta, nel 1991, di una seconda fino ad allora insospettata tomba nella
parte occidentale del tumulo. Tale tomba, nonostante sia di un secolo più tarda
della precedente (risalendo, cioè, all'inizio del V secolo a.C.) e sia molto più
modesta sul piano architettonico, ha restituito materiale di corredo
sorprendente per qualità e quantità. Infatti, pur essendo già stata violata
in antico, una parte del prezioso contenuto è riuscita a salvarsi dai
saccheggiatori. Una gran parte dei monili d'oro recuperati, per esempio, devono
essere scivolati fuori dai sarcofagi spezzati dalleinfùtrazioni d'acqua,
cadendo sul fondo della tomba, in uno strato di limo che li ha fortunatamente
sottratti alla vista dei razziatori.
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Tra
l'oreficeria si annoverano in particolare diversi girocollo, dai più semplici
ai più elaborati; pendenti decorati con immagini mitologiche; pendagli a forma
di testa d'ariete, di ghiande o di pigne; un anello d'oro con corniola a forma
di pseudoscarabeo girevole con cavallo pascente intagliato sulla base ecc. Si
sono rinvenuti in situ vari sarcofagi di pietra fetida, alcuni contenenti
ancora resti degli inumati, e urnette fittili o di arenaria, alcune iscritte. I
sarcofagi, le urne e l'abbondante materiale recuperato (oltre ai gioielli: vasi
di bronzo, elementi decorativi di mobili, armi di ferro, uno strigile, uno stilo
scrittorio bronzeo decorato alla sommità con una figurina di Ercole, peducci di
sedie pieghevoli, crateri a colonnette, patere umbilicate, ceramica comune ecc.)
attestano il lunghissimo periodo d'uso (verosimilmente in due fasi cronologiche
distinte) della tomba, dall'inizio del V fino, almeno, a tutto il III secolo
a.C.
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