MELPHUM

              

Si crede che Melzo abbia origini etrusche. Lo si è scritto, ripetuto, tramandato tante volte da trasformare l’opinione in un luogo comune e talvolta in una ingiustificata certezza. Si tratta, al contrario, di una ipotesi mai provata. Gli storici antichi raccontano che gli Etruschi, avanzando verso la pianura del Po tra la fine del VI Secolo a.C. e l'inizio del V Secolo, giunsero fino in Insubria, come chiamavano la Lombardia. Durante questa espansione costruirono dodici città. Quella chiamata Melphum o Melpum era, nello stesso tempo, l'avamposto più settentrionale ed orientale, e fu quindi edificata per ultima. Plinio, fidandosi di Cornelio Nepote, riferisce che era questa la città più famosa per l'industria e i commerci. Ma già al tempo di Plinio "numerose erano le città scomparse o distrutte delle quali rimaneva un tenue ricordo solo in opere erudite, ed è immaginabile quanto più frequenti dovessero farsi, via via, le sparizioni di nomi e di luoghi, nonché gli abbandoni di città e villaggi".

D’altra parte, tutti gli storici antichi si riferiscono, per questa come per molte altre notizie, ad un'unica fonte, le Origines di Catone, opera che purtroppo è andata perduta. Le ricerche intese a provare l'origine etrusca di Melzo, la prima delle quali risale al 1878, non hanno dato finora riscontri positivi. Nel marzo 1926, presso una fornace a settentrione dell'abitato, venne alla luce un sepolcreto pre-romano, costituito da venti tombe ad urna cineraria, attribuibili ad una fase recente della prima età del ferro e ad un'epoca certamente anteriore alla prima invasione gallica: tuttavia, invece di confermare l’appartenenza dei resti alla civiltà etrusca, il loro esame tende piuttosto ad escluderla.

In epoca assai più recente è stato ritrovato presso la Cascina Gardino di Comazzo, dunque a pochi chilometri da Melzo, un cippo funerario che ad un primo esame degli esperti è stato definito etrusco, ma che il parere ufficiale della Soprintendenza ha giudicato invece un semplice rifacimento del XVIII secolo, età nella quale il gusto neoclassico ha prodotto molte opere ispirate all’antichità etrusca e romana. Ancora una volta la ricerca di una prova dell’origine etrusca di Melzo è stata delusa. Allo stato delle conoscenze attuali, si può ritenere che un’antica città etrusca di nome Melpum o Melphum sorgesse in un raggio di venti o trenta chilometri da Melzo, ma non si sa esattamente dove, anche perché la più semplice tra le varie ipotesi - che collocherebbe l’antica città sulle sponde dell’Adda, in un luogo cioè topograficamente più caratterizzato - viene contraddetta dalla constatazione che in quell’epoca i terreni prossimi al fiume erano, per molti chilometri, paludosi o addirittura sommersi. Secondo il Costa, l’esistenza di una strada antica, che passando per Paullo, Lodi e Casalpusterlengo collega indirettamente Melzo a Piacenza - città sicuramente fondata dagli Etruschi - deporrebbe a favore dell’origine etrusca dell’abitato, ma simili argomentazioni rappresentano semplici ipotesi non sostenute da prove, e che nessun documento conferma. Resta, per chi comunque vuole credere alla Melzo etrusca, soprattutto la forte somiglianza dei nomi, che senza il conforto di prove più convincenti rappresenta un indizio importante, ma non dimostrato. Di certo, quell'antica Melphum sorgeva in un luogo scomodo. Circondata da una fitta foresta a Sud-Ovest, verso oriente era prossima agli acquitrini paludosi e stagnanti del lago Gerundo, che a quel tempo occupava la riva destra dell'Adda ma si estendeva, con ogni probabilità, anche oltre la riva sinistra del fiume, prima di essere progressivamente colmato, nel corso dei secoli, dai depositi di detriti sabbiosi, a formare la cosiddetta Gera, e più tardi bonificato.

Ne derivò una piana fertilissima, obbiettivo non disdegnato di frequenti invasioni. I Celti avevano occupato l’Insubria fin dall’VIII secolo a.C., e nuove popolazioni galliche, passate le Alpi, vi giunsero nei periodi successivi. Erano popoli di coltivatori e allevatori, soprattutto di maiali, e dunque preferivano occupare terreni asciutti: pertanto la pianura compresa nella zona dei fontanili era poco frequentata, perché acquitrinosa, troppo prossima alle paludi del lago Gerundo e soggetta ai frequenti dilagamenti del Molgora e del Trobbia. Ma non tutto, già nei tempi più antichi, era foresta e palude. La pratica degli spostamenti stagionali delle mandrie dalle alte valli bergamasche alle pianure dell’Adda risaliva infatti all’età paleolitica. Lo sviluppo di colture promiscue, la pratica della fienagione e del maggese e l’adozione di strumenti più razionali per l’attività agricola erano iniziate nell’epoca etrusca, così come lo sviluppo della piantagione del castagno e del faggio e il commercio enologico. L’antica Melphum fu saccheggiata dai Galli Boi, ma sopravvisse. Fu più tardi bersaglio degli assalti di altre popolazioni celtiche, che a quanto pare distrussero molte città, ma non Mantova e Melphum.

Cadde, infine, ad opera dei Galli Senoni, durante la quarta invasione, fra il 394 ed il 390. Secondo Cornelio Nepote, in quello stesso giorno i Romani espugnavano Veio, ma la coincidenza appare sospetta: è possibile che lo storico, descrivendo il crollo della civiltà etrusca, intendesse ricorrere ad una immagine simbolica per rimarcare la rapidità della sua rovina. I Romani giunsero tardi nella pianura, almeno seicento anni dopo le prime invasioni dei Celti. La pianura che chiamarono Gallia Transpadana diventò l’undicesima regione romana solo nel 13 a. C., al tempo di Cesare Augusto. L’epoca romana segna cambiamenti profondi e produce anzitutto grandi opere di disboscamento e di sistemazione idraulica, dalle quali nascono sia la diffusione di una coltura cerealicola intensiva, con rotazione biennale (un anno a grano, uno a maggese) sia la pratica della coltivazione di ortaggi, viti ed alberi da frutta. Ogni famiglia di coloni possiede uno o due buoi, un paio di asini o di cavalli, alcune vacche, maiali e pollame. Si diffondono le tecniche e gli attrezzi per la conservazione delle eccedenze nei magazzini: i grossi ziri per l’olio, gli orci per il vino, le anfore per il grano ed i legumi, le ghiacciaie funzionanti con neve pressata, poi tramandati per molti secoli. Cresce quasi dovunque un artigianato che produce lana, pelli e latticini, più che altro per la sussistenza e non ancora per il commercio. La decadenza dell’Impero e le violente distruzioni che seguono alle nuove invasioni barbariche causano nell’intera pianura la generale decadenza della produzione agricola, la completa rovina delle opere idrauliche di bonifica e l’abbandono dei feudi da parte degli antichi coloni. Ovunque, invece di coltivare, prevalgono il pascolo e l’allevamento di grandi mandrie. Si producono pelli, filati e tessuti.

Numerose sono le testimonianze di questo degrado. Nel 387 S.Ambrogio ha lasciato scritto che la pianura Padana mostra ovunque "i cadaveri di città semidistrutte": espressione che dobbiamo ritenere metaforica, ma assai esplicita, e più volte ricordata dagli storici. Un cronista del V secolo scrive che le popolazioni delle campagne padane "avendo sofferto col ferro e col fuoco le bande dei Goti, più non domano con ostelli i boschi, né con ponti i fiumi". Ancor prima, Plinio ha riferito che Mantova resta "l’unica città degli Etruschi che rimanga oltre il Po". Se pensiamo alle irrisolte discussioni sull’origine etrusca di Melzo, la sua affermazione fa perlomeno riflettere.

 

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