PIACENZA

              

Piacenza sorge sulla riva destra del Po, nel punto di incrocio delle vie di comunicazione che attraversano la pianura Padana sud-occidentale. I primi insediamenti in quest'area risalgono all'età del bronzo e della pietra. In seguito, Galli ed Etruschi dovettero abitare il territorio, mancano, però, tracce sicure. La fondazione del primo nucleo urbano si data nell'anno 218 a.C., quando seimila romani danno vita alla colonia di Placentia, lasciando tracce ben visibili nel tracciato della città, come rivela l'impianto quadrato, impostato sul "cardo", il "decumano" e un reticolo di vie ortogonali.

La colonia sarà subito messa alla prova durante la seconda guerra punica da Annibale con la sanguinosa battaglia sul fiume Trebbia. In età repubblicana e imperiale Piacenza diventa un importante municipio e un fiorente porto fluviale e a partire dal 187 a.C. farà capo qui la Via Aemilia, poderosa dorsale subappenninica diretta a congiungersi a Rimini con la Via Flaminia e Roma. Con l'inizio dell'era cristiana, la comunità riconosce i suoi primi martiri, a cui dedica modesti sacelli, destinati a diventare grandi chiese. Nel lungo Medioevo si registrano non poche devastazioni, Piacenza cade sotto il dominio dei barbari e verrà toccata dalla guerra tra invasori goti e le truppe romane d'Oriente.

Duomo

Passate le dominazioni ostrogota e bizantina, la comunità riacquista un ruolo come capoluogo di un ducato longobardo. La vera ripresa coincide con il predominio dei Franchi, a partire dal IX secolo.

Posta lungo il percorso della via Francigena, Piacenza assiste intorno al Mille alla sua rinascita demografica, civile ed economica, in cui ha un peso la collocazione strategica dell'urbe tra le grandi direttrici che scendevano dalle Alpi alimentando il forte transito di mercanti e di pellegrini.

Nell'età dei vincoli feudali e del potere dei vescovi conti, accanto alla nobilità di sangue, sorge un intraprendente ceto mercantile e artigiano, nuovo potere finanziario che permetterà alla città, secoli dopo, di essere annoverata tra i grandi centri d'Europa. La fine del 1000 vede inoltre una ripresa dello spirito filopapale, non a caso Urbano II sceglie di bandire da Piacenza la prima Crociata per la liberazione della Terra Santa (1095). La città diventa libero Comune nel 1126 e scende in campo con la Lega Lombarda contro il Barbarossa che firma qui gli accordi preliminari per la pace di Costanza (1183).

Nel XII e XIII secolo si intensifica l'attività mercantile, la produzione di tessuti in particolare, prosperano agricoltura ed economia con la fiera dei cambi. La città si arricchisce di chiese, monasteri spesso dotati di ricoveri. Vengono eretti in questa fase i due emblemi cittadini: prima il Duomo, più tardi Palazzo Gotico. Il Medioevo piacentino è tuttavia turbolento e punteggiato da una serie di lotte intestine con frequenti cambi di supremazia. Dalla seconda metà del XIII secolo in poi si susseguono alla guida del territorio gli Scotti, i Pallavicino, Alberto Scoto (1290-1313) mercante e potente banchiere, i Visconti (fino al 1447), gli Sforza (fino al 1499). Luigi XII di Francia, per rivendicazioni sul Milanese, tiene anche Piacenza sino al 1521. Nel 1545, Papa Paolo III Farnese costituisce in Ducato le città di Parma e Piacenza, attribuendone il possesso al figlio Pier Luigi, primo degli otto duchi Farnese che, fino al 1731, governeranno la città.

Ai Farnese succederanno i Borbone, sino alla loro dipartita (1859). Ma il Ducato conosce, a riprese, le dominazioni austriaca, francese, napoleonica e il governo di Maria Luigia d'Austria (1816-1847).

Palazzo Gotico

 

Fegato di Piacenza

 

La principale caratteristica della religiosità etrusca stava nello scopo quasi esclusivo della ricerca scrupolosa e costante della volontà degli dèi, attraverso un complesso insieme di norme che erano scritte e ben fissate nell' Etrusca disciplina. I messaggi degli dèi andavano ricavati dall'osservazione e interpretazione di eventi prodigiosi (lat. ostenta), ma anche di meno eclatanti segnali, che si dovevano percepire scrutando il cielo (in special modo i fulmini e il volo degli uccelli), le viscere degli animali sacrificati e ogni altro fenomeno naturale. La volta celeste era perciò suddivisa in diverse sezioni, corrispondenti ad altrettante "case" o abitazioni di divinità più o meno favorevoli. Le grandi divinità superiori, tendenzialmente favorevoli e fortemente personalizzate, erano localizzate nelle regioni orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinità della terra e della natura si collocavano nelle zone meridionali, mentre i temibili e inesorabili dèi infernali e del fato si credeva dimorassero nei settori occidentali, particolarmente nelle sezione di nord-ovest, considerata le più nefasta. Perciò, a seconda della posizione celeste in cui si manifestavano i fenomeni (fulmini, volo di uccelli, prodigi), si poteva dedurre il carattere del messaggio (di buono o di cattivo augurio), potendo così apprestare le eventuali cerimonie di espiazione.

L'ordine cosmico dei settori di influenza della volontà divina si rifletteva non solo nella volta celeste, ma anche nelle viscere (vale a dire soprattutto nel fegato) degli animali sacrificati; secondo il punto in cui comparivano eventuali anomalie si potevano trarre presagi favorevoli o funesti. Nel 1877, a Decima di Gossolengo, nelle vicinanze di Piacenza, un contadino intento al lavoro dei campi rinvenne un modello bronzeo di fegato di pecora, la cui superficie è interamente divisa in "caselle" occupate da nomi di divinità etrusche: si è osservato che lo schema di questo incasellamento è effettivamente sovrapponibile all'ordine etrusco delle "case" celesti degli dèi, così come ci è stato tramandato da alcune delle antiche fonti letterarie. L' eccezionale documento, probabilmente un modello per l'insegnamento o forse il "promemoria" di un aruspice al seguito di armate romane (che lo smarrì nel corso di qualche campagna), è comunemente noto col nome di "fegato di Piacenza". Per eventuali approfondimenti sul significato religioso e culturale dell' epigrafe risulta senz'altro utile leggere l'intervento di Adriano Maggiani, in Studi Etruschi, 50, del 1984, unitamente a quello, più recente, di Giovanni Colonna in Studi Etruschi, 59, del 1994, anche per più ampi riferimenti bibliografici.

 

Torna a 

Etruria Padana 

Aree Archeologiche Etrusche

Etruschi