Roselle (questo il suo antico nome romano – Rusel in etrusco) era situata in una posizione geografica particolarmente interessante: dominava il versante sud-orientale del "lago" Prile, via naturale di comunicazione con il mare e le città costiere, mentre il fiume Ombrone, presso la cui foce Roselle sorgeva, rendeva possibile il commercio con la VaI d'Orcia e le città dell'Etruria interna.
Anche se sono attestate tracce di frequentazione di età preistorica e protostorica, Roselle venne organicamente abitata dalla prima metà del VII sec. a.C., probabilmente in seguito ad un fenomeno di sinecismo, che interessò i gruppi umani che abitavano i villaggi dei territori circostanti. Le motivazioni che portarono, nel VII sec. a.C., alla scelta di quest'area per un insediamento urbano, possono individuarsi nell'ampio e fertile entroterra adatto alla coltivazione, nella possibilità di controllare determinate vie di comunicazione (approdo sul "lago" Prile, confluenza dell'Ombrone con il mare) e nella naturale possibilità di difesa del luogo.
La
zona archeologica di Roselle
Nell'ambito delle scarse fonti letterarie su Roselle, ci sembra particolarmente importante ricordare Dionigi di Alicarnasso, che la nomina insieme a Chiusi, Arezzo e Volterra per aver promesso aiuti ai Latini contro Tarquinio Prisco alla fine del VII sec. a.C. La notizia può essere considerata indizio che Roselle doveva essere già organizzata come città in età orientalizzante, se era in grado di fornire forze militari al pari di centri etruschi ricchi, prosperosi e di più antica fondazione. Ruderi archeologici lo confermano: al VII sec. a.C. risalgono, infatti, i resti della più antica cinta muraria rosellana con fondamenta a blocchi regolari e alzato in mattoni crudi. Di epoca orientalizzante è anche l"'edificio con recinto", recentemente interpretato come luogo di culto, localizzato nella valle fra le due colline, ove in età romana sorgerà il fòro. Nel VI sec. a.C. la città ebbe un notevole sviluppo: dall'ultimo quarto del VI sec. a.C. considerevole, infatti, fu l'importazione di ceramica attica, che aumentò progressivamente, rivelando come Roselle fosse ormai un importante centro urbano. Risale al VI sec. a.C. la seconda cinta muraria, costruita con blocchi di arenaria in opera poligonale, ancora oggi visibile per lunghi tratti, che si snoda recingendo ambedue le colline. La città, in questo periodo, era costruita in argilla, terracotta e pietre a secco. Le due colline e la valletta intermedia erano ampiamente urbanizzate, pur conservando - per quanto si può dedurre dalle indagini archeologiche effettuate finora - una fisionomia fra loro diversa: sulla collina settentrionale furono realizzati per lo più edifici privati; su quella meridionale si concentrarono, invece, strutture di tipo artigianale.
Si può riscontrare una continuità di vita anche in età classica ed ellenistica. Sulla collina sud ciò è confermato da numerosi ritrovamenti di ceramica attica a figure rosse e sovradipinta. Sulla collina nord, nonostante la profonda alterazione operata nel I sec. d.C. (costruzione dell'anfiteatro), si riscontra un allineamento di muri pertinenti a strutture di epoche diverse (età arcaica, classica, ellenistica); si può postulare, quindi, una continuità nello schema urbanistico. Nell'area del fondo valle, reperti facenti parte in origine di un deposito votivo e frequenti ritrovamenti di ceramica fine di importazione costituiscono una ulteriore conferma della prosecuzione della vita nella città nel Ve IV sec. a.C.
La conquista romana nel 294 a.C., ad opera del console Lucio Postumio Megello, è ricordata da Livio. L 'archeologia non documenta questa data e le testimonianze dei primi due secoli dopo la conquista sono scarse. Uno strato di distruzione per incendio, datato ai primi decenni del I sec. a.C., fa ritenere che anche Roselle sia stata coinvolta nelle distruzioni operate da Silla, così come era accaduto ad altre città etrusche (Talamone, Vetulonia, Populonia, Volterra e Fiesole). Con la Lex Iulia e con la Lex Plautia-Papiria, gli abitanti di Roselle, sottomessi da Roma, furono inseriti nella tribù Arnensis e divennero cittadini romani. Lo strumento principale della romanizzazione dei territori conquistati era la colonizzazione, che aveva due scopi: controllare il territorio conquistato e respingere gli attacchi esterni. A sud di Roselle, la colonia di Cosa costituisce un esempio di come la colonizzazione investisse, oltre al centro urbano, l'intero territorio, con infrastrutture quali ponti, strade, porti, e con la centuriazione. La conquista di Roselle, invece, non implica la colonizzazione e settori, anche ampi, vengono lasciati pressoche intatti, pur presupponendo il controllo, non meno ferreo che altrove, da parte dei Romani. Roselle, solo in età romano-imperiale (a circa tre secoli dalla conquista), fu infatti interessata da un'intensa attività edilizia e monumentale, prodotto della protezione augustea e dell'evergetismo di potenti famiglie locali (i Vicirii, i Bassi). Alla città venne attribuito il titolo, ormai puramente onorifico, di colonia, testimoniato sia da fonti letterarie (Plinio il Vecchio, Nat. Hist., III 51 ), che da atte stazioni archeologiche, quali l'iscrizione Pub(lica) Col(onia) Rus (ellana) stampata su condutture in piombo per l'acqua poste nel centro cittadino. Ad età imperiale risale dunque la monumentalizzazione della città, contestualmente ad una ripresa economica favorita dalla politica imperiale: sono riferibili a quest'epoca l'anfiteatro, il monumentale complesso forense, la basilica dei Bassi, le terme.
Roselle – vie di accesso alla città
Nella tarda età imperiale, Roselle fu soggetta alla decadenza che investì progressivamente le città romane: Rutilio Namaziano, autore nel V sec. d.C. di un poemetto che narra di un suo viaggio lungo le coste italiche, non la cita, probabilmente perche non si affacciava già più sulla costa. In quel periodo comunque mancò un'attività edilizia vera e propria: le strutture romano-imperiali furono per lo più riutilizzate, alterandone conseguentemente l'aspetto e modificando la funzione originaria.
Nel V sec. d.C. Roselle fu sede vescovile e doveva comprendere una vasta diocesi: il primo vescovo noto è Vitaliano, nel 499 d.C. Fra la fine del VI sec. d.C. e i primi decenni del VII d.C. la città fu interessata dalla conquista longobarda. Nel 787 Carlo Magno donò i territori di Populonia, Roselle e Sovana a Papa Adriano, ma tale donazione fu eseguita limitatamente a Sovana, poiche il controllo del Sacro Romano Impero continuò, nei confronti di Roselle, mediante il fedele episcopato di Lucca che ne era proprietario fin dal periodo longobardo.
Nell'anno 862 il vescovo di Lucca, della famiglia degli Aldobrandeschi, permutò alcuni beni, fra cui rientrava Roselle, con altri più vicini e quindi più facili da amministrare, appartenenti al fratello. Da questo momento la storia di Roselle è strettamente legata alle vicende della potente famiglia degli Aldobrandeschi. In età medievale, Roselle era comunque ridotta ad un piccolo centro e non occupava certamente l'area di quella che era stata la città romana imperiale. Nell138 una bolla di Papa Innocenzo II (1130-43) sancì il trasferimento della diocesi nel vicino centro di Grosseto, la cui esistenza è testimoniata fin dall'inizio del IX secolo.
Il decreto determinò la fine della civitas di Roselle, che da allora, nominata come castrum, fu progressivamente abbandonata. Il territorio di Roselle seguì le sorti dell'intera Maremma: nel 1243 Siena, per la fedeltà dimostrata ai Ghibellini, ottenne dall'Imperatore Federico II di Svevia (1220-50) l'investitura dei territori degli Aldobrandeschi. Fu questo il precedente che rese giuridicamente legittime le mire espansionistiche di Siena, che progressivamente si sostituì alla potente famiglia nel controllo della Maremma. Roselle, nonostante sporadiche frequentazioni persistenti fino al XVII secolo, abbandonata dai pochi abitanti rimasti, si ridusse ad "una solitudine selvaggia di pietre e di cespugli spinosi - tana della volpe e del cinghiale, del serpe e della lucertola - visitata solo dal mandriano e dal pastore...". Così la vide George Dennis, diplomatico ed erudito inglese del XIX secolo, in occasione di una sua visita in Maremma.
Si può visitare dalla ore 9 fino al tramonto e lungo la strada di accesso sono visibili i resti di una piccola necropoli etrusca. Dell'imponente cinta muraria che si snoda per circa 3 km. lungo le pendici di due colline si conservano lunghi tratti, cinta costituita da grossi blocchi e databile intorno alla metà del VI° sec. a.C. e che comprendeva ben sette porte di accesso alla città; una delle porte di apriva nei pressi dell'attuale ingresso.
Le
necropoli
Le necropoli, collocate in un'ampia area circostante la città antica, all'esterno del perimetro murario, furono in uso per un lungo periodo di tempo, dall'età orientalizzante all'epoca romana. A Roselle, per quanto riguarda il periodo etrusco, abbiamo sostanzialmente attestazioni di tre tipi di tombe: a camera, a pozzetto, a fossa. Lungo la fascia ovest delle mura di cinta si possono notare sepolture del tipo a camera, ma scavate nella roccia, per le quali si può pensare ad una datazione in età ellenistica.
Tombe "alla cappuccina" sono invece riferibili alla fase romano-imperiale. Le sepolture sopra citate non sono tutte visitabili. Le uniche a cui si può accedere sono quelle della necropoli del Serpaio, che si trova lungo la strada carrozzabile che conduce alla città antica, fuori della cinta muraria. Su questa strada, che approssimativamente ricalca un antico tracciato, fra l'altro sono visibili i resti di una tomba a tumulo, costituita da un tamburo che circoscrive un tumulo di terra, al centro del quale si apre la fossa rettangolare che racchiude le strutture perimetrali di una piccola camera sepolcrale. Sulla medesima strada si affacciano resti di tombe a camera di piccole dimensioni, del tipo diffuso a Roselle: si tratta di piccoli ipogei con un'unica camera a pianta quadrangolare, un dròmos per accedervi e copertura a lastre in aggetto. Il tipo è attestato alla fine del VII-inizi VI sec. a.C., ma è nota la loro utilizzazione fino ad età ellenistica. Si tratta senz'altro di costruzioni modeste dal punto di vista monumentale, se confrontate con le sepolture dello stesso tipo in altri centri.
La
cinta muraria
La cinta muraria si snoda per circa 3 km. lungo le pendici delle due colline, adeguandosi sia alle asperità del terreno che ad esigenze di tipo strategico. L 'altezza massima che si conserva nella fascia nord è di 5 metri. Nell'edificazione delle mura sono stati utilizzati blocchi in pietra provenienti da cave locali; il materiale da costruzione varia da zona a zona, secondo la disponibilità della roccia presente nelle cave retro stanti il tratto di mura in edificazione. La costruzione è in opera poligonale fondata sulla viva roccia. I paramenti esterni sono costituiti da grossi blocchi rozzamente sbozzati, mentre il drenaggio interno consta di una fodera di pietre più piccole miste a terra.
Di queste notevoli mura di cinta - rimaste in uso per molti secoli - si conservano lunghi tratti ad est, a nord, a nord-ovest; in base alle indagini archeologiche, questa antica cinta muraria è databile al VI sec. a.C. Nelle zone ovest e sud-ovest, le mura si caratterizzano per la presenza di blocchi di minori dimensioni, di forma pressoche parallelepipeda, che tendono a disporsi su filari orizzontali. Si tratta di un rifacimento di età ellenistica (IV sec. a.C.), poiche il pendio della collina, in quel punto particolarmente accentuato, e la pressione del riempimento interno di terra, avevano probabilmente provocato frane e dissesti. Lungo il circuito murario si aprivano almeno 7 porte, ipotizzate sulla base di foto aeree, ma solo tre sono state messe in luce: una, a nord, è caratterizzata da un accesso a camera, mentre le altre due, che si aprono rispettivamente sui lati est ed ovest, sono del tipo a porta scea. Una parte significativa della cinta muraria è aperta nel tratto: Ingresso Scavi-Anfiteatro.
L
'area del foro
Il piano di calpestio della piazza forense di età romana fu ottenuto con una colmata artificiale, che rialzò il livello d'uso attenuando i pendii delle due colline, originariamente più scoscesi ed uniti in uno stretto fondo valle. Si può osservare, infatti, la differenza di quota tra la pavimentazione del fòro ed i livelli su cui sorgono le adiacenti costruzioni orientalizzanti e arcaiche. Quest'area è particolannente importante, poiche gli scavi, con strati grafie che talora raggiungono i 6 metri di profondità, hanno messo in luce testimonianze ininterrotte di vita dal VII sec. a.C. fino all'età romana ed oltre. E' infatti in questa valletta, compresa fra le due colline, che sembrano collocati, nel corso dei secoli, gli edifici di maggior prestigio. Nella parte settentrionale della piazza, dove le lastre pavimentali del fòro mancano (perchè oggetto di spoliazioni), è stato possibile raggiungere i livelli più antichi e metterne in luce le strutture relative. Qui si può incentrare l'attenzione sul cosiddetto "edificio con recinto”, nonché su quello “a due vani”.
"L'edificio con recinto" è un monumento del periodo orientalizzante, costituito da un vano internamente ovale ed esternamente rettangolare, con due recinti, uno nella parte meridionale, l'altro in quella settentrionale. La struttura, realizzata con mattoni di argilla cruda, seccati al sole, aveva il pavimento in argilla battuta ed il tetto probabilmente in strame. Il vano ovale, al momento dello scavo, fu interpretato come una casa; l'ipotesi sembrava convalidata dai reperti provenienti dal recinto, in gran parte riferibili al lavoro domestico: pesi da telaio, vasi di uso casalingo, ecc.
Il medesimo edificio, recentemente, è stato invece re interpretato come luogo di culto, in base a motivazioni architettoniche: "il contrasto tra la spaziosità del recinto el'esiguità della struttura coperta, collocata però enfaticamente al suo centro, assieme al1'ubicazione in quello che indiscutibilmente era già allora il cuore della città, depongono, senza possibilità di equivoco, per una funzione pubblica, possibilmente sacrale". (G.Colonna 1986, pp.400-401). In base a questa ipotesi, i reperti connessi al lavoro domestico farebbero pensare ad un culto analogo a quello della dea romana Vesta. "L'edificio a due vani" è costituito da due ampie stanze rettangolari, divise da un tramezzo. I muri perimetrali sono formati da pietre collegate fra loro con argilla e rivestite con questo stesso materiale; il muro divisorio, in mattoni crudi, è ricoperto da intonaco. Resti di tegole e coppi, trovati sul pavimento, fanno supporre che il tetto fosse stato realizzato in laterizi. In base ai reperti ritrovati, la struttura è datata al VI sec. a.C. L'edificio è stato interpretato come abitazione, ma l'ampiezza della costruzione farebbe pensare ad una probabile funzione pubblica; l'ubicazione in un'area centrale della città, come quella del fondo valle, potrebbe costituirne una conferma.
Roselle – il foro
In età augustea si delineò una ripresa dell'attività edilizia, concentrata particolannente nell'area centrale, al di sopra di una grande colmata artificiale che costituì la base su cui il fòro venne edificato, modesto in origine, ma soggetto a progressivi ampliamenti. Il fòro, quale è giunto fino a noi, risale al I sec. d. C. ed ha un aspetto più monumentale rispetto a quello precedente. La piazza forense è pavimentata con grandi lastre in travertino. Il lato orientale è delimitato dal cardo maximus, che secondo un'inconsueta soluzione tennina nel punto di incontro con il decumanus, fonnando con questo un angolo retto. Con tale variante s'intendevano probabilmente rispettare preesistenze urbanistiche od adeguarsi alle asperità del luogo. Nel lato occidentale, invece, la piazza si affaccia scenograficamente sulla pianura.
Nell'area nord-occidentale del fòro è situato un edificio rettangolare con abside aperta sul lato corto, mentre sui lati lunghi dell'edificio sono ricavate tre nicchie, un tempo destinate, come l'abside, ad ospitare statue marmoree. Un altro edificio si affianca al primo ed è costituito da due vani rettangolari; accanto a questo altri due edifici - sempre destinati a culti - sono stati recentemente oggetto di scavo. Gli ambienti non si affacciavano direttamente sul fòro, ma comunicavano con questo mediante un grande portico.
Particolarmente importante appare l'edificio con abside, entro il quale sono state trovate statue di marmo, alcune delle quali presentano le iscrizioni Bassus, Bassus avos,dalle quali deriva la denomi- nazione corrente di Basilica dei Bassi. La costruzione dell'edificio risale al I sec. d.C. e si presume che abbia avuto in un primo tempo una destinazione pubblica, forse collegata al culto imperiale. In seguito (II-III sec. d.C. ?) fu probabilmente sottratto alla sua originaria funzione pubblica e riutilizzato da una potente famiglia locale come ambiente di rappresentanza, che allogava una galleria di statue riprodu- centi personaggi dello stesso gruppo familiare, appunto i Bassi.
Ad est del fòro si erge la “basilica" romana, uno dei fulcri della vita pubblica, a pianta rettangolare con colonnato interno, di cui oggi si conserva soltanto il basamento di una colonna. Mediante una scaletta si accede al tribunal sopraelevato. L'alzato è caratterizzato da una complessità di tecniche murarie: opus reticulatum ed opus vittatum con ricorsi in laterizio, di cui resta come esempio visibile una limitata porzione di parete. Nel lato meridionale si situa la sede del Collegio dei Flamines Augustales, costituita da un'aula rettangolare con abside. Sulle pareti si aprivano alcune nicchie che ospitavano statue raffiguranti componenti della famiglia Giulio-Claudia, mentre due basamenti presso l'abside sorreggevano le statue dell'imperatore Claudio e di Livia, oggetto di culto. Nell'edificio sono state rinvenute dediche firmate da Vicirio Pròculo, notabile locale, membro della potente famiglia rosellana dei Vicirii. Questo elemento riflette una precisa politica degli imperatori della dinastia Giulio-Claudia che, per mantenere il controllo di determinate colonie, si appoggiavano a potenti famiglie locali. Le iscrizioni firmate da Vicirio Pròculo e le statue rinvenute sono attualmente conservate presso il museo di Grosseto. Accanto a questo edificio sorgeva un piccolo tempio su basso podio, in antis, con una coppia di colonne sulla fronte, ai lati di una scala centrale. La struttura è probabilmente pertinente all' età claudia. Nell'area sud del foro, con entrata sul cardo maximus, si apre la cosiddetta "domus dei Mosaici", che costituisce un esempio tipico di abitazione romana. La prima fase edilizia risale ad età tardo - repubblicana, ma l'edificio fu soggetto a restauri e rifacimenti in epoche successive. L'ingresso si apre, ad oriente, sulla strada lastricata da dove, mediante il vestibolo, ci si immette nell'atrium dotato di impluvium centrale. A destra ed a sinistra si aprono vani laterali (alae) ed in fondo il tablinum. Nella parte posteriore della domus si apre il peristilio, che si affaccia scenograficamente sulla vallata.
Successivamente, in età tiberiano-claudia, furono aggiunte piccole terme nella parte meridionale della domus; possiamo distinguere, nella seguente successione, le stanze adibite a frigidarium, tepidarium, calidarium e laconicum, oltre ad ambienti di servizio. Interessante è la tecnica edilizia, che si avvalse dell'uso di calce come legante delle murature, tecnica costruttiva quasi assente nelle costruzioni rosellane di età precedente. Le pavimentazioni sono di vario tipo: a mosaici con tessere bianche e nere, in opus sèctile, mentre in uno degli ambienti caldi delle terme restano mattoni bipedali. Nel III-IV sec. d.C. si installò nella domus l'officina di un fabbro. La scelta fu probabilmente motivata dalla disponibilità di acqua fornita dalle tubazioni termali; questa presenza spiega d'altra parte numerosi ritrovamenti, costituiti da frammenti metallici di oggetti depredati da contesti di età precedenti, raccolti per il valore rappresentato dal metallo come materia da riutilizzo.
L
'area dell'anfiteatro romano
La collina nord è dominata dall'anfiteatro, che
ha forma ellittica, dimensioni piuttosto modeste ed è dotato di quattro
accessi, due scoperti e due con volta a botte. Al centro, sull'asse maggiore, è
possibile individuare quattro blocchi in pietra posti a distanza regolare, che
avevano la funzione di sorreggere il velarium.
Roselle – l’anfiteatro
La tecnica muraria usata è l'opus reticulatum, che riporta ad una datazione nel I sec. d. C. In età medievale l'anfiteatro fu riutilizzato come edificio fortificato, probabilmente per lo spessore delle murature e per la posizione elevata. Resti dei muri medievali che lo inglobano sono visibili sul lato ovest, a ridosso dell'ingresso maggiore, che si apre in quel punto. Una frequentazione anche in età più recente, fino al XVI-XVII secolo, è testimoniata infine da frammenti di ceramica, ora conservati al Museo di Grosseto. Le strutture dell'anfiteatro, sempre emergenti, attirarono l'attenzione degli studiosi già nel '700 e furono oggetto dei primi scavi condotti a Roselle ( nel 1774 ), in seguito pubblicati da Leonardo Ximenes, noto ingegnere idraulico e gesuita, che si occupava del problema del degrado della Maremma, nel quadro dei progetti di bonifica voluti dai lungimiranti granduchi Lorena. L'anfiteatro fu impostato su edifici preesistenti, con la conseguente distruzione di parte di essi. Alla destra dell'ingresso meridionale sono stati messi in luce resti di una casa etrusca della fine del VII sec. a.C., che documenta l'occupazione urbanistica dell'area fin dalle origini della città.
L 'occupazione in epoca posteriore (età ellenistica) è invece testimoniata dai resti di una casa posta sulla sommità della collina, le cui strutture sono in parte coperte dall'anfiteatro stesso, che si impostò sulle sue rovine nel I sec. d.C. La planimetria dell'abitazione è quella caratteristica delle domus di età romana: l'atrium al centro, ai lati le alae, in fondo il tablinum, mentre l'ingresso si apriva probabilmente a sud. La tecnica muraria è costituita da muri a secco con scaglie di pietra irregolare, coperti da uno spesso strato di intonaco; i pavimenti in calce e cocciopesto sono preceduti da una preparazione in pietrisco e terra battuta. Si trattava presumibilmente di una lussuosa abitazione, costruita tra la seconda metà del III e il II sec. a.C., come farebbero pensare gli affreschi alle pareti, di cui sono state rinvenute solo tracce, nonche le modanature sull'intonaco, in corrispondenza del pavimento, ed i sostegni in lastre marmoree.
L‘area
della collina meridionale
Quest'area è caratterizzata da un piccolo quartiere di abitazione di età ellenistica sovrapposto ad un altro di età arcaico-classica, di cui sono visibili alcuni resti. Delle strutture arcaiche sono interessanti, in particolare, una abitazione di due vani ed alcuni forni per la cottura della ceramica, realizzati mediante piccole pietre, con rivestimento interno di argilla. Probabilmente, in quest'area, in età arcaica aveva sede un quartiere artigianale. Il luogo, particolarmente ventilato data la disposizione a settentrione, favoriva tale sistemazione. In epoca ellenistica la zona era occupata da abitazioni private, distribuite lungo una strada acciottolata e disposte su terrazze, costruite artificialmente tagliando la roccia. La tecnica edilizia consiste in muri costruiti a secco con rivestimenti ad intonaco; i pavimenti sono in cocciopesto e in opus signinum. Tutto l'abitato era attraversato da una fitta rete di canalizzazioni. Monumentale è una grande cisterna romana, qui localizzata, totalmente scavatà nella roccia, con volte ad opus incertum ed internamente rivestita di malta idraulica.
L 'area delle terme (al momento chiusa)
Quest'area è occupata da un impianto a pianta complessa. Non tutto l'edificio è stato portato alla luce, poiche esso risulta coperto da pesanti stratificazioni alto-medievali, relative a costruzioni che si susseguirono nel tempo sopra al primitivo impianto. Caratteristica è una grande natatio, che probabilmente svolgeva le funzioni di un secondo frigidarium; contigua è un'ala ad "elle", munita di una serie di ambienti in cui è possibile distinguere, partendo da oriente, un jrigidarium con vasca a cui si accede tramite scalette, un tepidarium, un laconicum ed infine il calidarium con abside. Recentemente, di fronte alla natatio è stata messa in luce anche la palestra. La tecnica costruttiva è l'opus mixtum che induce a supporre una datazione agli inizi del II sec. d.C.
Roselle
– le terme
Le terme erano pavimentate con mosaici bianchi e neri composti in temi marini, di cui restano soltanto fotografie effettuate in occasione degli scavi che, negli anni '40, interessarono quest'area. In età alto-medievale, una chiesa venne impostata sopra i resti dell'edificio termale. La nuova struttura utilizzò, come del resto tutti gli edifici medievali di questa zona, le strutture preesistenti. Vennero utilizzati, come muri perimetrali, i medesimi in opus mixtum delle terme romane, rialzati - con una rozza tecnica- mediante pezzami vari di riuso. La vasca centrale fu colmata e il tutto fu ricoperto da un pavimento. La chiesa acquistò la seguente fisionomia: l'ingresso era a sud ovest; seguiva il nartece con il fonte battesimale ad immersione, del tipo in uso in quel periodo; le navate erano tre; sul fondo si aprivano tre ambienti, dei quali quello centrale svolgeva funzioni di presbiterio, mentre quelli laterali erano destinati a vani di servizio (sacrestia, pastòfori).
All'esterno della chiesa, a stretto contatto con essa, sorse un ampio cimitero strutturato a terrazze che rimase in uso per secoli (VI-XII sec. d.C. ?)e di cui limiti non sono stati ancora individuati, essendo l'area in corso di scavo. La topografia del luogo ed eventuali datazioni potranno essere meglio precisate dalle attuali indagini.
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