Il SARCOFAGO di LARTHIA SEIANTI

 

Provenienza: tomba a camera della gens Larcna, rinvenuta nel 1877 in loc. Martinella, un km a NE di Chiusi.

 

Stato di conservazione: il sarcofago, pressochè intatto, conserva gran parte della policromia antica, frequente in monumenti del genere, ma spesso sbiadita irrimediabilmente dal tempo e dalle condizioni di giacitura dei reperti. Realizzato in terracotta, fu confezionato in quattro parti distinte (e poi giustapposte) per l'impossibilità di cuocere insieme il grande coperchio e la grande cassa. La figura è stata eseguita a mano libera; per la decorazione della cassa si è probabilmente fatto uso di stampi.

 

Datazione: secondo quarto delll secolo a.C.

 

Soggetto: la defunta è immaginata semidistesa sulla kline, il busto tenuto eretto puntellando il braccio sinistro su due cuscini a bande gialle, bianche e violacee (nell'indicazione dei colori seguiremo anche le descrizioni del pezzo al momento della scoperta, quando essi erano più vivi) dalle lunghe frange gialle e viola. Tiene nella mano sinistra aperta, dalle dita inanellate, uno specchio circolare: la superficie riflettente interna è in azzurro, la cornice perlinata in giallo e deve quindi essere immaginata aurea. La destra discosta dal volto, in un gesto di pudicizia, un lembo dell'ampio mantello bianco, bordato da una striscia violacea tra due minori verdi, che le avvolge le spalle, i fianchi e le gambe, coprendo una tunica, pure bianca, decorata da tre bande verticali (due laterali violacee ed una verde centrale) e da una banda a V che sottolinea la scollatura. Stringe la tunica, poco sotto il seno, una cintura annodata, gialla, frangiata, con motivi rilevati a fulmine ed a dischetto, con punto centrale rosso (forse ad indicare l'inserzione di una qualche pietra dura). I piedi, con calze verdi, calzano sandali con legacci verdi decorati con borchiette gialle. La chioma, a corte ciocche regolari che incorniciano la fronte, reca un diadema (o forse una ghirlanda) di fiori in giallo; ricordano l'oro la collana a girocollo con pendente, la bulla a testa di Medusa sullo scollo, le due armille sul braccio destro. Gli orecchini, a disco con pietre rosse, hanno un pendente a ghianda.

Il fronte della cassa è decorato secondo un chiaro partito architettonico, generato forse dalla particolare ideologia funeraria etrusca (la tomba vista come casa del defunto), o forse, più semplicemente, mediatovi come elemento decorativo. E' ripartito in quattro settori da cinque pilastrini scanalati con capitelli compositi, che sorreggono una fila di ovoli ed un listello piatto su cui è impresso il nome della defunta. I pilastrini inquadrano spazi rettangolari decorati con due rosoni a rilievo violacei e rossi, intercalati a due pàtere umbelicate dipinte di giallo.

 

Il ritratto: come vedremo, l'iscrizione tracciata sul sarcofago al momento della sua esecuzione, venne poi sostituita, prima dell'uso effettivo, da un' altra, con un diverso nome: il fatto rende ancorpiù evidente il problema dell'eventuale valore ritrattistico della figura sul coperchio. In effetti lungo e dibattuto è, in generale, il problema del ritratto, del suo nascere e fiorire e, soprattutto, di quando si possa parlare, per una testa, di ritratto nella "moderna" accezione del termine. Nella sua evoluzione sono state individuate le seguenti tappe: 1) ritratto intenzionale: il primo impulso al ritratto, che si manifesta nella sua forma più ingenua, attribuendo un nome determinato ad una immagine generica; 2) ritratto tipologico: la genericità dell'immagine si attenua, cercando di indicare con essa la classe di appartenenza del personaggio raffigurato (un re, un guerriero, un dio, una matrona), e la sua età (giovane, vecchio). La III e la IV tappa tendono ad imitare precisamente le fattezze individuali del soggetto, riproducendone veristicamente i tratti somatici (ritratto fisionomico) ed infine cercando di conferire ad essi un' espressione psicologica che meglio connoti il personaggio: è il ritratto fisionomico, il ritratto come oggi lo concepiamo.

Nel monumento, la caratterizzazione del volto è piuttosto scarsa e non sembra andare oltre la generica rappresentazione di una giovane matrona pomposamente recumbente sulla sua ricca kline, nello sfoggio della sua ricchezza. La notevole somiglianza del volto stesso con quello dell'analogo sarcofago di Seianti Tanunia conservato presso il British Museum di Londra, ci convince ad assegnarlo all'ambito del semplice "ritratto tipologico". L’iscrizione: larqia:seianti:s…i:sve…(impressa nell’argilla); ...ti a:lar...lisa: niasa (dipinta sullo stucco che ha coperto la prima): vedi Corpus Inscriptionum Etruscarum 1215.

Impressa sul listello superiore della cassa prima della cottura, quando l'argilla era ancora cruda, l'iscrizione indica il nome della defunta, o forse il nome del personaggio che commissionò il sarcofago, senza poi usarlo. L'iscrizione, in effetti, risultava, al momento della scoperta, parzialmente riempita e ricoperta da uno strato di stucco (alcune lettere sono ancora mal leggibili) sul quale era stato dipinto un secondo nome, diverso dal primo, oggi quasi completamente scomparso. Poco chiaro per questo il reale rapporto tra la defunta seppellita nel nostro sarcofago e gli altri personaggi sepolti nella stessa tomba, sicuramente pertinente alla famiglia larcna.

 

Il corredo: attorno al sarcofago furono rinvenuti i seguenti oggetti. Argento: craterisco in lamina; padella; doppio pettine; tre pàtere; tre spilloni; un cucchiaino per cosmetici; tre aghi (forse frammento di una fibula); un paio di pinzette; vetro: cinque pedine da gioco, di vario colore; alabastro: due anforischi; bronzo: una fiaschetta in lamina; un asse romano.

Possiamo agevolmente distinguere tre gruppi di materiale: il vasellame da mensa miniaturizzato, gli oggetti da toeletta, la moneta. Proprio quest 'ultima, presente nel corredo come obolus Carontis, cioè come offerta che la defunta elargirà al traghettatore degli Inferi al momento di esser trasportata nel mondo dei morti, ci fornisce un utile dato cronologico per la datazione della tomba: il monetiere che ha curato la sua coniazione è infatti M. Titinius, che sappiamo attivo a Roma tra il 189 ed il 180 a.C.. La sepoltura sarà dunque di poco posteriore a tale epoca, visto che la datazione tipologica degli altri oggetti di corredo non può scendere molto nel II sec. a.C. I ricchi oggetti da toeletta non fanno che completare, stavolta con l' oggetto reale, la ricca parure già esibita dalla figura sul coperchio.

Il vasellame da mensa, miniaturistico, rimanda al mondo del banchetto aristocratico: una delle manifestazioni tipiche del vivere gentilizio, esaltata nei cicli pittorici delle tombe di Tarquinia (Tomba del Triclinio, Tomba dei Leopardi...) come anche e soprattutto dalla figura sdraiata a banchetto dei grandi sarcofagi maschili ( cfr. quello dell'obesus ) e delle piccole urne cinerarie. Il particolare pregio del metallo con cui tali oggetti di corredo sono stati realizzati costituisce un'ulteriore prova della estrema ricchezza della defunta. Una ricca signora, dunque, debitamente onorata anche nell ' oltretomba: uno dei tanti indizi della particolare considerazione della donna nel mondo etrusco. Una considerazione spesso esagerata da certi moderni, specie influenzati dalla propaganda "scandalistica" della storiografia greca. Una società rigidamente androcentrica non poteva che stigmatizzare negativamente la libertà ad essa concessa, ancor più se questa lo era da un mondo economicamente in competizione, quale quello etrusco. Al di là di facili esagerazioni possiamo comunque riscontrare numerose prove di un diverso ruolo rivestito dalla donna etrusca rispetto ad altre civiltà antiche, assolutamente androcentriche. Un esempio tra tutti, quello offertoci dall'onomastica. Le formule onomastiche antiche citano il nome del padre, il patronimico; quelle etrusche citano talvolta anche il nome della madre, il metronimico (che però mai sostituisce il primo!). Si veda, come esempio, l'iscrizione tarquiniese CIE 5471:

 

Larth Arnthal Plecus clan Ramthasc Apatrual..., cioè Larth, figlio di Plecus e di Ramtha Apatrui.

Mentre la donna romana, inoltre, non possedeva un prenome, cioè un nome proprio, diverso dal nome familiare (ossia il gentili zio che, volto al femminile, la designava), la donna etrusca aveva invece il proprio prenome al pari dell'uomo. Il diverso rilievo della donna etrusca nell'ambito delle società antiche ci è poi confermato anche da altri indizi, anche storici: è l'etrusca Tanaquilla, moglie di Tarquinio Prisco, che, alla morte del marito, impone a Roma il regno di un sovrano ne appartenente alla linea dinastica, ne voluto da (almeno apparenti) forze politiche interne: Servio Tullio (vedi Livio, 1,34).

 

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