Area
archeologica dell'Acropoli - Area archeologica di Vallebuona - Fonti di S.
Felice - Terme di S. Felice - Porta dell'Arco
Le indagini sul piano dell'Acropoli si sono concentrate soprattutto nella zona occidentale, in cui era conosciuta l'esistenza di alcune strutture antiche già nel Settecento. Prima di entrare nella zona archeologica vera e propria troviamo sulla nostra destra un rialzo del terreno, che costituisce la copertura di una grande cisterna sotterranea non aperta al pubblico. La cisterna, realizzata in opus caementicium, doveva rifornire d'acqua l'intera zona dell' Acropoli; è formata dal una grande camera rettangolare divisa in tre navate coperte con una volta a botte da sei pilastri in blocchi di pietra. L'intera costruzione è databile al I sec. d. C. e per la sua capacità, che è di circa 1000 metri cubi, deve essere stata costruita con denaro pubblico. Entrando nella zona aperta ai visitatori notiamo sulla sinistra i resti di un' altra cisterna in opera cementizia.
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Questa
cisterna (Fig. 2), che in origine dovette essere parzialmente costruita
anche in elevato, è contemporanea alla precedente e costituiva con essa
un unico sistema idraulico destinato ad approvvigionare in epoca romana
l'intera zona dell' Acropoli. |
Proseguendo
troviamo la zona archeologica (Fig. 3). Gli scavi iniziarono nel 1927 ma furono
interrotti quasi subito; una grande campagna fu intrapresa dalla Soprintendenza
Archeologica nel periodo 1969-71; a partire dal 1987 gli scavi sono stati
condotti con cadenza annuale dall'Università di Pisa. Le indagini hanno portato
alla luce i resti del quartiere santuariale dell'Acropoli di Volterra mettendo
in evidenza l'assetto urbano di questa parte della città dal VI sec. a. C. fino
all'età imperiale romana. Gli edifici si trovano a una quota leggermente
inferiore rispetto all'ingresso dell'area e pertanto possiamo godere di una
visuale panoramica delle strutture. Quello che è stato scavato è un quartiere
che si specializza come zona santuariale già dalle prime fasi urbanistiche
della città: il rinvenimento di un bronzetto votivo databile al VI sec. a. C.
proverebbe l'esistenza di un luogo di culto già in questo periodo. Gli scavi
non hanno però portato ancora alla luce reperti significativi che siano
databili a quest'epoca. Alla prima metà del IV sec. a. C. deve invece datarsi
un altro tempio di cui sono stati portati alla luce i resti di parte della
decorazione architettonica e che doveva essere destinato a sostituire quello più
antico.
La
fase edilizia meglio conservata è quella di età ellenistica (III-II sec. a.
C.). Si compone di due edifici di culto, denominati convenzionalmente tempio A e
tempio H, e di altri edifici di servizio che si trovavano nelle vicinanze. Il
tempio più antico (tempio H) è quello più a Ovest, proprio al limite del
pianoro dell' Acropoli, ed è databile alla seconda metà del III sec. a. C.;
invece il tempio A, che è proprio di fronte all'ingresso, è databile a poco
dopo la metà del Il sec. a. C. Di nessuno dei due conosciamo il nome del dio a
cui era dedicato. Il tempio B è conservato solo a livello di fondazione, era
orientato in direzione NE-SO e gran parte dell'edificio deve essere stata
distrutta in epoca moderna da uno smottamento che ha interessato questa zona del
pianoro. In base agli elementi sopravvissuti possiamo identificare un edificio
di tipo tuscanico, di pura tradizione etrusca. Si componeva di due parti di
uguale grandezza: la parte posteriore consisteva in una cella chiusa che è
quasi del tutto perduta; quella anteriore era costituita da un colonnato di tre
file di quattro colonne. Il tempio si ergeva su un podio, di cui non si è
conservato nessun blocco del rivestimento, e vi si accedeva tramite una
scalinata di cui si conserva solo un gradino. La copertura dell'edificio
includeva terrecotte modellate a mano e a stampo che in parte sono conservate al
Museo Guarnacci. Contemporanee a questo intervento sono: una serie di vasche in
cocciopesto attualmente coperte dallo stradello basolato che corre fra i due
templi, la cisterna inglobata nel podio del tempio A e alcune strutture di
servizio, fra cui un' altra cisterna che possiamo vedere sulla sinistra del
tempio B se ci poniamo con le spalle alla fronte.
La
maggior parte di queste strutture fu obliterata con la costruzione del nuovo
tempio; furono anche costruiti lo stradello intertemplare e parte del muro di
cinta che racchiudeva l'area sacra (temenos). Il tempio A non è di
tipologia etrusca, ma deriva dai templi di tipo greco; l'unico elemento della
tradizione italica è l'alto podio su cui fu costruito. L'edificio era orientato
NO-SO, la muratura era in opera isodoma a blocchi squadrati parallelepipedi di
eguale misura; il settore NO non si è conservato a causa dell'impianto di un
quartiere medievale nel corso del X secolo. Era costituito da una cella chiusa,
che era circondata sul retro e ai fianchi da colonne di cui non rimane alcun
elemento; la parte frontale aveva una scalinata di accesso. Si sono conservati
alcuni blocchi del rivestimento del podio in pietra arenaria grigia modanata;
anche di questo tempio sono rimasti elementi della decorazione architettonica.
Contemporaneamente
al tempio A fu completato il muro di temenos che recingeva l'intera area
sacra e venne costruito presso il margine occidentale del pianoro un edificio la
cui planimetria è ancora da mettere completamente in luce. Un vano di questo
edificio, era rivestito di un ricco affresco di pannelli di diversi colori:
verde, rosso, nero, giallo, bianco, vinaccia disposti con sintassi geometrica, i
cui frammenti sono attualmente in corso di restauro e di cui è possibile vedere
una parte presso il Museo Guarnacci. Si tratta di un ritrovamento eccezionale,
se non addirittura unico, per l'Etruria. Questo affresco è attribuibile a
maestranze di estrazione greca di cui è accertata la presenza a Volterra in
questo periodo dalla produzione di urne di alabastro ispirate a modelli di
tradizione ellenistica. Questi due templi continuarono ad essere utilizzati
anche in epoca romana. Nel corso del I sec. a. C. nell' area sacra furono
compiuti alcuni interventi, fra cui la costruzione delle nuove cisterne in opus
caementicium e la sistemazione dello spiazzo antistante il tempio B, ma gli
edifici non subirono sostanziali modifiche. La zona cessò di essere frequentata
nella prima metà del III secolo dopo Cristo.
Terminata
la nostra visita all' area archeologica dell'Acropoli ci rechiamo nei pressi
della chiesa di S. Michele, in epoca romana vi era il Foro. Non
conosciamo con esattezza l' area occupata da esso, ma sappiamo che si trovava in
questa zona grazie ad alcuni riferimenti toponomastici; infatti la chiesa di S.
Michele è ricordata in un documento del 987 come "ecclesia S. Michaeli
in foro".
Oltrepassata la Porta Fiorentina, che si trova alla fine della strada, sulla nostra sinistra troviamo l'ingresso per l'area archeologica di Vallebuona. Il complesso architettonico romano di Vallebuona è composto dal teatro e da un impianto termale racchiuso da un grande colonnato; queste tre strutture sono state costruite in epoche diverse. |
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A Nord
dell'area archeologica, nella zona in cui oggi è un quartiere moderno, sono
stati trovati cospicui resti di abitazioni signorili della Volterra romana;
degni di rilievo sono due mosaici trovati durante la costruzione del Macelli
Pubblici nel 1969 e conservati al Museo Guarnacci. Quest'area conserva scarse
testimonianze della Volterra etrusca; vi è infatti possibile notare solo i
resti di una struttura muraria di età ellenistica che per lungo tempo è stato
creduto fosse il basamento di un tempio, ma la cui funzione, non ben precisata,
dovrebbe limitarsi ad un intervento di assetto scenografico del colle. Il
monumento più imponente è il teatro, che è databile all'età augustea. Questo
grandioso edificio venne scavato negli anni'50, ma alcuni ritrovamenti
occasionali avevano già segnalato la sua presenza (Fig. 5). Fu grazie
all'intervento dell'archeologo volterrano Enrico Fiumi che il teatro venne
portato alla luce. Egli utilizzò come operai una squadra di malati di mente
ricoverati presso l'Ospedale Psichiatrico di Volterra, come ricorda la targa
posta all' ingresso dell'edificio a ricordo del loro contributo.
Durante
gli scavi è stata trovata buona parte dell' epigrafe dedicatoria del teatro,
oggi conservata al Museo Guarnacci, essa ci informa che furono due membri della
famiglia Cecina, Aulo Cecina Largo e Aulo Cecina Severo, a costruire a loro
spese il teatro. Questi due personaggi facevano parte di una delle famiglie
volterrane più ricche e influenti i cui membri nel corso del I sec. a. C. si
trasferirono a Roma per essere più vicini al centro della vita politica dello
stato; entrambi i fondatori del teatro furono consoli, ma anche molti loro
consanguinei ebbero importanti incarichi a Roma. Scendendo dall'ingresso ci
troviamo all'altezza di una galleria coperta (cripta) che doveva
facilitare l'accesso del pubblico alla cavea, la zona destinata agli
spettatori; oggi questa galleria è quasi completamente franata, ma nei tratti
ancora superstiti della volta possiamo vedere scarsi resti dell'intonaco che in
origine ricopriva completamente le pareti ed il soffitto.
La
cavea si appoggia alla collina e si compone di due ordini di gradinate
rispettivamente di nove (media cavea) e dieci (ima cavea) file di
sedili separati da uno stretto passaggio semicircolare. I sedili, che si sono
conservati solo in alcuni settori, erano ricavati lavorando il calcare locale;
alcune scalette di accesso ai posti sono disposte a raggiera confluendo verso il
basso; nell'ordine superiore sono 11, mentre in quello inferiore sono sei; le
scale di accesso sono realizzate in pietra di Montecatini Val di Cecina di
colore nero. La differenza di materiale fra le gradinate le scalette creava un
effetto cromatico voluto, poiche le gradinate erano bianche. Doveva contenere
circa 1300-1700 posti, rientrando quindi nella categoria dei teatri
medio-piccoli. Le ultime due file di gradini recavano incisi i nomi di molte
delle famiglie volterrane, si trattava di un sistema per riservare i posti alle
autorità e alle famiglie più influenti della città.
Al
di sopra della cripta si trova una grande terrazza ornata al centro da
tre esedre, che contenevano statue dell'imperatore, a cui era evidentemente
dedicato il teatro, e dovevano servire per il culto imperiale. Delle teste di
statua raffiguranti Augusto, Livia e Tiberio, sono state trovate durante gli
scavi e sono evidentemente i resti superstiti delle tre statue che si trovavano
nelle esedre. Non è infrequente trovare questo tipo di costruzione in un teatro
(a esempio anche Fiesole ha una struttura simile al di sopra della cavea);
questo perche è proprio grazie all'impulso dato da Augusto che molte opere
pubbliche furono realizzate a spese di ricchi mecenati che, insieme al ricordo
della loro donazione, lasciano frequenti richiami all'imperatore e alla sua
famiglia.
In
origine l'ingresso al teatro avveniva da Sud e questa terrazza era la parte del
teatro più vicina all'ingresso, che però non si è conservato. Alla terrazza
si accedeva tramite scalinate che portavano poi alla galleria sottostante. Ai
piedi della cavea vi è un semicerchio del diametro di 17,60 m., l'orchestra,
delimitata da un muretto (pulpitum), dietro la quale vi è il
proscenio, uno spazio rettangolare coperto da un pavimento ligneo sul quale si
movevano gli attori. Tra il proscenio ed il pulpitum vi è un canale (aulaeum),
che conteneva il sipario che si ripiegava al momento dello spettacolo.
Fra
le gradinate della cavea e i parasceni vi sono due gallerie chiamate pàrodoi
che dalle estremità del semicerchio immettono nell'orchestra; sono due
gallerie coperte da una volta a botte in conglomerato cementizio, su cui si
conservano delle tracce di intonaco. Mediante due porte le gallerie sono
collegate con i vestiboli che fiancheggiano i parasceni. I vestiboli erano
frequentati dagli spettatori per poter accedere al portico retro stante la
scena. In epoca più tarda (fine II d. C.) il teatro subì alcuni lievi
interventi, ma cessò definitivamente la sua attività verso la fine del III
sec. d. C.; secondo i primi scavatori la causa fu un terremoto che ne fece
crollare parte della struttura. Alle spalle della scaena si trova un
porticato (la Porticus Post Scaenam), costruito in più fasi.
Si
entrava dal lato più vicino al teatro e la prima sala era adibita a spogliatoio
(apodyterium), da qui si passava in un'ambiente quadrangolare provvisto
di due nicchie absidate che costituivano le vasche per l'immersione in acqua
fredda (frigidarium). Seguiva una stanza ellittica di passaggio che
immetteva nelle stanze destinate ai bagni caldi; tale ambiente era pavimentato
con un mosaico che è ancora visibile sul posto.
Questa
stanza possedeva due porte su un lato e una sull' altro, che corrisponde allo
spazio chiuso che si trova nel mezzo fra le due porte; questo era un espediente
per impedire la dispersione del calore dalle stanza calde a quelle fredde. Le
stanze successive sono il tepidarium, il calidarium e illaconicum.
In questi ambienti i pavimenti sono sopraelevati dal suolo per mezzo di
pilastrini in terracotta (suspensurae); in questo modo l' aria calda
proveniente dai forni circolava nello spazio vuoto sotto il pavimento e si
irradiava nelle pareti fino alla volta. Tutte le stanze conservano ancora parte
della decorazione in marmo delle pareti e alcuni mosaici; sono proprio i mosaici
che ci permettono di datare questo impianto termale: lo stile delle
rappresentazioni non è, infatti, anteriore al III sec. d. C. Inoltre furono
utilizzati alcune parti della decorazione marmorea del teatro, cosa questa che
ci induce a pensare che le terme siano posteriori alla distruzione del teatro.
Le terme di S. Felice sono l'unica grande struttura conosciuta che si
trovi al di fuori delle mura della città. Probabilmente la scelta di questa
posizione è dovuta sia al fatto che era un punto ottimale per
l'approvvigionamento dell'acqua, sia alla vicinanza di una importantevia di
comunicazione con il territorio circostante la città. L'edificio fu esplorato
per la prima volta da mons. Mario Guarnacci nel 1759; dal nome di questo
illustre studioso furono chiamate Guarnacciane. Le terme si compongono di stanze
disposte non una dopo l'altra come nel caso delle terme di Vallebuona, ma in
maniera radiale; sono identificabili le zone destinate ai bagni caldi perche i
pavimenti sostenuti dalle suspensurae sono conservati in maniera
migliore. Sul lato nord è anche visibile una delle vasche per i bagni in acqua
calda accanto a cui si trova il forno per il riscaldamento (praefurnium).
Tutte
le stanze erano rivestite di marmo e avevano pavimenti a mosaico; due di questi
mosaici furono trasferiti al museo Guarnacci e oggi ornano i pavimenti delle
sale XII e XXII. Una vasca di forma absidale lunga 3 m. e profonda 1,85 m. fu
scoperta nel 1894 e venne quindi smontata e trasferita nel giardino del museo
Guamacci, in cui è tuttora visibile. Non sappiamo con esattezza quando l'
edificio fu costruito, una iscrizione frammentaria oggi perduta non è
sufficiente per la datazione, ma in base ai mosaici possiamo attribuirne la
costruzione a non prima del III sec. d. C.
Terminata
la visita alle terme romane torniamo verso via S. Felice, e prendiamo per la
prima traversa a destra, via della Pietraia, costeggiando le mura medievali fino
ad arrivare alla Porta dell'Arco.
Porta dell'Arco |
La Porta dell'Arco costituisce il principale monumento architettonico della Volterra etrusca. Questa porta, che si apriva nel lato Sud delle mura, è caratterizzata da una copertura formata da un arco in conci di pietra decorato da tre teste inserite nella sua struttura. La porta, come possiamo subito notare, è realizzata con materiali e tecniche costruttive non omogenei, segno dei numerosi rimaneggiamenti che ha subito nel corso dei secoli. |
Gli
stipiti sono formati da blocchi di pietra arenaria che localmente è chiamata
Panchino, le dimensioni dei blocchi sono considerevoli. Le tre teste e l'arco
sono realizzati con altri due tipi di pietra; i conci dell'arco sono di
"tufo di Pignano", una pietra calcarea la cui cava si trovava nei
pressi di Volterra, mentre le teste sono scolpite nella selagite, una roccia
estratta nella zona di Montecatini Val di Cecina. Oltre ad avere una struttura
inconsueta, il mistero che circonda questo monumento è dovuto anche al fatto
che non sappiamo cosa rappresentino le tre teste che decorano l'arco. L'ipotesi
più attendibile è quella secondo cui queste sculture rappresentano i numi
protettori della città; probabilmente si tratta di una triade di dei che
dovevano vegliare su Volterra. In un'urna del museo Guamacci databile al I sec.
a. C., raffigurante una scena di assedio, l'azione ruota intorno aduna porta
decorata da tre teste; questa è probabilmente la raffigurazione più antica che
abbiamo della Porta dell'Arco. Le mura contemporanee alla porta non esistono più
poichè furono sostituite da quelle comunali nella prima metà del XIII secolo;
in questo tratto le mura medievali ricalcano il percorso di quelle antiche.
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