PORSENNA

 

Lucumone della città etrusca di Chiusi verso la fine del V sec. a.C. Secondo la tradizione romana, sollecitato da Tarquinio il Superbo, cercò con le armi di ricondurlo a Roma, donde era stato cacciato. Per la giovane repubblica romana  non erano tempi facili, la battaglia appena vinta contro i veienti non era che il preludio di una grande guerra che avrebbe opposto la città dei sette colli ad una lega di popoli etruschi costituita su sollecitazione di Tarquinio il Superbo e comandata da un certo Lars Porsenna, lucomone della città di Chiusi. Ad incoraggiare gli etruschi c’erano sicuramente la particolare situazione politica di Roma, dilaniata dai conflitti sociali, e le forti tensioni esistenti tra la stessa e le altre città del Lazio. L’avanzata degli Etruschi fu inesorabile e gli stessi riuscirono a penetrare nel territorio romano fino ad occupare il Gianicolo, sulla sponda destra del Tevere. Ma proprio quando erano pronti ad invadere l’Urbe attraverso il ponte Sublicio, l’eroico comportamento di un comandante romano, Publio Orazio detto il Coclite (perché cieco da un occhio), evitò la disfatta; rimasto solo sulla sponda destra del Tevere riuscì ad impegnare le sbigottite truppe etrusche, dando il tempo ai suoi soldati di abbattere il ponte. I soldati etruschi erano realmente sorpresi dalla furia e dalle urla con cui questo valente guerriero accompagnava i suoi fendenti. Lanciarono contro di lui i loro giavellotti, che finirono inesorabilmente contro il suo scudo.

Finalmente il ponte crollò alle sue spalle, Roma era momentaneamente in salvo, ma il destino del Coclite sembrava segnato avendo lui perso la sua unica via di fuga. Ma lui non si perse d’animo, si gettò nel Tevere con tutta l’armatura e riuscì ad attraversarlo, rientrando in quella città a cui aveva evitato, con il suo eroico gesto, un infausto destino. Roma gli dimostrò la sua gratitudine dedicandogli una statua e regalandogli un appezzamento di terreno.

Ma il pericolo non era certo finito. Le truppe di Porsenna non erano riuscite ad entrare in città ma l’avevano posta in assedio, tagliandole ogni possibilità di rifornimento. A Roma già cominciavano a scarseggiare i viveri quando un giovane aristocratico romano, Muzio Cordo, propose al Senato un piano che prevedeva l’uccisione del lucomone etrusco. Ottenuta l’autorizzazione passò immediatamente all’azione: armato di un pugnale, penetrò nelle linee nemiche fino a raggiungere l’accampamento dove Porsenna, assistito dal suo segretario, era intento a distribuire la paga ai soldati. Muzio aspettò che l’operazione finisse e quando il suo obiettivo rimase solo lo uccise con un colpo di pugnale. Ma il suo era stato un tragico scambio di persona: aveva ucciso il segretario del re. Catturato dai soldati e portato al cospetto di Porsenna, l’aristocratico romano non tentennò neanche un attimo: “Ero qui per uccidere te. Sono romano e il mio intento era quello di liberare la mia patria, ma ho fallito e quindi punisco quella parte del mio corpo resasi colpevole di questo imperdonabile errore”. Così dicendo mise la sua mano destra in un braciere dove ardeva il fuoco dei sacrifici e non la tolse fino a che non fu completamente consumata. Da quel giorno e per l’eternità questo coraggioso nobile romano avrebbe assunto il nome di Muzio Scevola (il mancino).

Porsenna rimase molto impressionato da questo gesto, che faceva il paio con il comportamento di Orazio Coclite, e decise di liberarlo. Fu allora che Muzio inventò una storia destinata a cambiare il destino di Roma, dimostrando di essere anche molto astuto oltreché coraggioso. “Per ringraziarti della tua clemenza, voglio rivelarti che 300 giovani nobili romani hanno solennemente giurato di ucciderti. La sorte aveva stabilito che io fossi il primo e ora sono qui davanti a te perché ho fallito. Ma prima o poi qualcuno degli altri 299 riuscirà nell’intento”. Questa falsa rivelazione spaventò molto il principe etrusco ed anche suo figlio, il meno convinto di quella spedizione.

Lo stesso affermò che era molto più importante salvaguardare il futuro del re di Chiusi piuttosto che preoccuparsi del destino dei Tarquini. Fu così che Porsenna prese la decisione di intavolare trattative di pace con i romani, della cui valenza era rimasto particolarmente colpito. Per dare inizio alle trattative chiese in cambio degli ostaggi tra i quali si trovava la giovane Clelia. Questa riuscì ad organizzare una fuga attraverso il Tevere con la quale riportò a Roma, sane e salve, tutte le fanciulle romane. L’episodio fece molto arrabbiare Porsenna che minacciò di interrompere le trattative se le ragazze non fossero tornate nel suo accampamento. I romani decisero per la restituzione delle giovani, un atto particolarmente doloroso anche per Publicola considerando che tra le ragazze c’era anche sua figlia Valeria. Ma ancora una volta il comportamento dei romani impressionò Porsenna che acconsentì alla definitiva liberazione delle giovani che stavolta tornarono a Roma accompagnate addirittura dai giovani maschi.

La guerra tra Roma e la lega etrusca guidata da Porsenna terminava, almeno secondo i racconti degli antichi romani in un modo onorevole ed in fondo indolore. E’ probabile che le cose non andarono proprio così. Pur dando per assodato che il conflitto si concluse attraverso una soluzione negoziale è abbastanza probabile che Roma dovette pagare un pegno, rinunciando a gran parte dei territori conquistati in precedenza ai danni di città etrusche e rinunciando soprattutto ad ogni velleità di conquista. In questo senso va interpretata la “legge del ferro” imposta da Porsenna, una sorta di disarmo unilaterale, per cui a Roma si poteva lavorare il ferro solamente per costruire attrezzi agricoli. Un altro segnale in questo senso, potrebbe essere l’accordo stipulato con Cartagine (tradizionale alleata degli etruschi) sempre nel 508 a.c., per il quale Roma rinunziava ad ogni pretesa sulle isole della Corsica e della Sardegna. Roma dovette accettare anche una sorta di protettorato che prevedeva la presenza nell’Urbe di un contingente etrusco. Di contro Porsenna rinunciò al suo progetto di restaurazione monarchica e questo mandò su tutte le furie Tarquinio il Superbo che si rifugiò nella città di Tuscolo presso suo suocero Ottavio Mamilio da dove riuscì nell’intento di coalizzare le altre città latine (Ariccia, Ardea, Tivoli, Pomezia, Lanuvio …). Obiettivo di questa nuova Lega Latina era quello di combattere contro questa forte presenza etrusca nel cuore del Lazio e recuperare molti dei territori che i romani avevano conquistato nei 244 anni che erano passati dalla sua fondazione. I rappresentanti della Lega Latina si riunivano nel tempio di Diana a Nemi e lì prendevano le più importanti decisioni.

Sembra proprio che una disastrosa sconfitta patita dall’esercito etrusco ai danni della Lega Latina, convinse Porsenna a tornarsene nella sua città di Chiusi, abbandonando Roma al suo destino. La battaglia si svolse presso Aricia, ed accanto agli eserciti della Lega Latina si schierarono anche i greci di Cuma. In questa battaglia Porsenna perse suo figlio, Arunte, e questo tragico fatto contribuì a far maturare la scelta del lucomone di ritirarsi nella sua città, determinando in qualche modo il fatale destino della civiltà etrusca.  Secondo la tradizione etrusca, derivata dalla leggenda di Mastarna, con il quale dovrebbe essere quindi identificato egli invece, occupata Roma, vi avrebbe dominato a lungo. Per alcuni infine, Porsenna non sarebbe un nome proprio, ma il titolo corrispondente a un'alta carica etrusca.

 

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