INDIANI

 

Tremila anni prima di Cristo gli abitanti della valle del fiume Indo (nell’odierno Pakistan) costruirono approssimativamente cento città. Nelle più grandi (tra le quali Harappa e Mohenjo Daro) edificarono grandi templi, crearono un sistema di scrittura - che non è ancora stata decifrata - e intagliarono perfetti sigilli cilindrici. Dediti all’agricoltura d’irrigazione, svilupparono una prospera economia e mantennero attivi scambi commerciali tra l’Oceano Indiano e le pendici dell’Himalaya, usando il fiume Indo come principale mezzo di comunicazione. 
    
La cultura, l’organizzazione politica e l’evoluzione storica di questi popoli è poco conosciuta, ad eccezione del fatto che, dopo cinque secoli, la regione fu devastata da invasori che sterminarono la popolazione e distrussero la sua civiltà.
Verso il XVI secolo a.C. giunsero ondate di popoli indoeuropei provenienti dall’Afganistan e a poco a poco conquistarono il subcontinente indiano.

Provvisti di armi di ferro, corazze e carri da combattimento, sottomisero la popolazione locale e stabilirono diversi regni. 

La civiltà che forgiarono, in seguito chiamata vedica, si basava su un rigido sistema di caste, nel quale i conquistatori costituivano la nobiltà dominante (ariana o ayriana significa nobile; da qui il termine ariano utilizzato per designare, in modo generico, gli indoeuropei).

Le invasioni greco-iraniane (VI-IC secolo a.C.) non colpirono lo stato più potente dell’India, Magadha, situato nella valle del Gange (Ganga). Durante il regno di Asoka (274-232 a.C.) il regno si estese a tutto il subcontinente, ad eccezione dell’estremo sud. A partire da allora, si può parlare di una civiltà indiana: Asoka e i suoi discendenti furono promotori di un’unificazione culturale che includeva la predicazione di Gautama Siddharta (Buddha, 563-483 a.C.). Tra il I e il III secolo questa civiltà cominciò a disgregarsi, intaccata dallo sviluppo dei regni fu Kusana (Afganistan) e Ksatrapa nel nord-ovest.
 
Tuttavia quando i Gupta di Magadha presero il potere (III-IV secolo), ebbe inizio un nuovo periodo di unificazione che fu uno dei più brillanti della cultura indiana. L’espansione islamica dell’VIII secolo non riuscì a impossessarsi dell’India; questo avvenne solo quattro secoli più tardi con i turchi di Mahmud di Ghazana. Successive ondate di popolazioni islamizzate dall’Asia Centrale invasero quindi il subcontinente, fino all’arrivo dei tartari di Timur Lenk (Tamerlano). Tra il 1505 e il 1525, uno dei suoi discendenti, Babur, fondò l’impero che poi sarebbe stato conosciuto come quello del Gran Mogol, con la capitale a Delhi.
 
I discendenti di Babur consolidarono la religione islamica, specialmente nel nord-ovest e nel nord-est. La cultura e le arti ebbero un notevole sviluppo (il Taj Mahal fu costruito verso il 1650), ma si affermò anche la presenza europea, che durante il XVI secolo si era limitata all’installazione di fattorie costiere. Nel 1687, la Compagnia britannica delle Indie Orientali si installò a Bombay; nel 1696, costruì Fort William a Calcutta e durante tutto il XVIII secolo il suo esercito privato fece la guerra contro i francesi, che furono sconfitti nel 1784. A partire dal 1798 le truppe della Compagnia, comandate da un fratello del duca di Wellington, intraprese varie campagne al fine di conquistare metodicamente il territorio indiano. Attraverso queste campagne, verso il 1820, la Gran Bretagna era riuscita a controllare quasi tutta l’India, a eccezione del Punjab, del Kashmir e del Peshawar, governato dal suo alleato, il sikh Ranjit Singh. Gli inglesi annetterono quei territori nell’anno 1849, dopo la morte di Singh. Gli ''alleati leali'' mantennero un’autonomia nominale, che permetteva loro di conservare le proprie corti, i palazzi e i privilegi, per la soddisfazione dei visitatori europei.
Nel frattempo, l’economia indiana fu completamente trasformata. L’artigianato tessile, che esportava stoffe di eccellente qualità, costituiva un ostacolo alla crescita dell’industria tessile inglese.
La distruzione di questa industria, costituita dall’artigianato domestico prodotto nei vari villaggi, portò ad un impoverimento generalizzato dei contadini, che inoltre si videro severamente pregiudicati dalla riorganizzazione dell’agricoltura, che fu orientata all’esportazione. Di conseguenza le prime ripercussioni della dominazione inglese furono la riduzione delle entrate e una maggiore disoccupazione. L’amministrazione coloniale adeguò la contabilità dello stato alle proprie necessità: le spese militari, incluse le campagne di Afganistan, Birmania, Malaysia furono pagate dal tesoro indiano, e il 70% del suo bilancio era impiegato per le «spese per la difesa». Tutte le erogazioni britanniche, per quanto avessero un rapporto assai remoto con l’India, venivano calcolate come spese dell’impero dell’India.
La politica coloniale si basava sul divide et impera: si inviavano mercenari di una regione per sottometterne un’altra (come nel caso dei gurka nepalesi o dei sikh del Punjab). Si sfruttarono anche le differenze religiose: per esempio agli inizi del XX secolo una riforma elettorale stabilì che musulmani, indù e buddhisti potevano votare solamente candidati della propria religione. Durante il periodo coloniale, questa manipolazione causò innumerevoli disordini sociali, a livello sia nazionale sia locale, con una partecipazione a volte irrisoria, a volte imponente.
La rivolta più importante, che fu chiamata ribellione dei cipayo (i soldati indiani al servizio della Gran Bretagna), svoltasi tra il 1857 e il 1858, cominciò con una protesta nelle caserme che successivamente si allargò ad altre rivendicazioni, trasformandosi in una protesta di tutto il paese. Indù e musulmani si unirono e arrivarono persino a proporre la restaurazione dell’impero del Gran Mogol. Questo movimento manifestò chiaramente che la Compagnia delle Indie Orientali non era in grado di amministrare tutto il territorio e fece sì che la Corona britannica, dopo una violenta repressione, assumesse direttamente il governo dell’India.
Il sistema educativo basato sul modello inglese e concepito per la preparazione dei «nativi» all’amministrazione coloniale, non ottenne esattamente il fine preposto. Nel lungo periodo, i suoi effetti non portarono ad altro che alla creazione di un’élite intellettuale, familiare con la cultura e il pensiero europei. Certamente, non era mai stato nei piani inglesi che la prima associazione di funzionari pubblici in India - creata nel 1876 da Surendranath Benerdji - avesse come ispiratore e patrono Giuseppe Mazzini. Questa intellighenzia confluì, qualche anno dopo, nel Congresso Nazionale Indiano (1885), al quale parteciparono anche liberali inglesi, e per molto tempo si limitò a proporre cambiamenti minimali all’amministrazione britannica.
Quando, nel 1915, Mohandas K. Gandhi, avvocato educato in Gran Bretagna e con una buona conoscenza dei metodi coloniali applicati in Sudafrica, ritornò in India, percepì la necessità di superare la stretta 'collaborazione' anglo-indiana. Gandhi cercò di conquistare i musulmani alla causa autonomista, rivalutò la dottrina indù (che Ram Mohan Roy aveva ricostruito nel XIX secolo) e diede particolare importanza alla mobilitazione popolare. I suoi legami con il Congresso Nazionale Indiano rafforzarono l’ala più radicale di questo movimento, dove militava il giovane Yawaharlal Nehru, specialmente dopo la strage di Amristar (1919), nella quale una manifestazione fu repressa a colpi d’arma da fuoco (secondo le fonti inglesi 380 furono i morti e 1.200 i feriti).
Per iniziativa di Gandhi e in risposta al massacro, nel 1920 il Congresso lanciò una campagna che mostrò l’efficacia dell’opposizione civile. Il movimento fu autenticamente nazionale, per estensione e profondità, e mise in atto il boicottaggio delle istituzioni coloniali (tramite la mancata partecipazione a elezioni o organismi amministrativi e la mancata frequenza delle scuole inglesi), a non violenza, il rifiuto di consumare prodotti inglesi e l’accettazione passiva delle probabili rappresaglie penali che ne conseguivano. Gandhi fu allora consacrato Mahatma (grande anima) in riconoscimento della sua leadership.
Negli anni dal 1930 al 1934 fu realizzata una nuova campagna, che aveva per obiettivi l’indipendenza totale e la lotta contro il monopolio statale del sale. Questa lotta mostrò la capacità del Mahatma di coniugare una profonda impostazione politica con una rivendicazione concreta, che avrebbe avuto effetto su tutti i poveri - in modo che essi potessero comprendere e partecipare. Le donne per la prima volta parteciparono in maniera massiccia alle manifestazioni. Le carceri straripavano di prigionieri che affluivano senza sosta e senza opporre resistenza, e le autorità coloniali non sapevano cosa fare. Gandhi si convertì così in interlocutore obbligato per gli inglesi, i quali, dopo la seconda guerra mondiale, non trovarono altra uscita se non di negoziare rapidamente l’indipendenza.
 

Pakistan

 

Bangladesh

 
Con il ritiro degli inglesi nel 1947, la penisola rimase divisa in due stati: da un lato l’Unione Indiana e, dall’altro, il Pakistan, che fu creato con il proposito di riunire la popolazione musulmana in una sola regione. L’Unione Indiana riunì una molteplicità di gruppi etnici e culturali, consolidando un sentimento di unità nazionale forgiato nella lotta anticolonialista che gli inglesi non riuscirono mai a soffocare.
 
       

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