Lucus Feroniae

 

Il Lucus (bosco sacro) di Feronia sorge su una piattaforma di travertino e ha origini molto antiche così come antichissime sono le origini del culto della dea. È un culto italico e se ne trovano corrispondenze anche nei santuari di Trebula Mutuesca, Terracina, Amiterno e un altro in Umbria, scoperto recentemente. Il Santuario si trova al 18° Km della Via Tiberina, presso Scorano; l'esatta ubicazione fu individuata solo nel 1953, quando il principe Vittorio Massimo, proprietario del Castello di Scorano e dei terreni circostanti, segnalò alla Soprintendenza dell'Etruria Meridionale l'affioramento, durante dei lavori, di reperti archeologici. La località era già chiamata "Bambocci" per la notevole quantità di ex-voto anatomici che spuntavano dal terreno. Gli scavi furono diretti dal prof. Bartoccini e misero in luce i resti di una vera e propria città. La dea Feronia era soprattutto la protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che sottoterra esce alla luce del sole. Erano quindi sotto la sua protezione le acque sorgive e ogni tipo di fertilità: la fertilità del suolo, quella umana etc. Aveva inoltre proprietà guaritrici confermate anche dai numerosi ex-voto anatomici. La divinità, di origine locale, assume anche attributi greci e romani come Giunone Vergine e Persefone. Del luogo di culto si hanno notizie anche di alcuni storici (Dionigi d'Alicarnasso, Strabone e Livio) che affermano che il santuario era un centro fiorente già in epoca regia e vi si raccoglievano mercanti e fedeli dall'Etruria, dal Lazio e dalla Sabina. Il Santuario - famoso per le sue ricchezze - fu saccheggiato da Annibale nel 211 a.C., ma il culto continuò fino alla costruzione in quel luogo di una colonia: COLONIA IULIA FELIX LUCUS FERONIAE. In questo periodo la città si ingrandì notevolmente e l'attuale impianto urbano risale in gran parte proprio al periodo Augusteo. L'ultimo dato epigrafico che ci testimonia la frequentazione del santuario è del 266 d.C. e probabilmente il suo completo abbandono risale al V sec. d.C.

Prima di iniziare la descrizione del sito archeologico è necessario avvertire il lettore che tutta l'area è ancora in fase di studio per cui alcune parti possono essere suscettibili di ulteriori approfondimenti o precisazioni. Appena entrati nell'area archeologica ci si imbatte immediatamente in un incrocio tra l'antica V. Tiberina e la strada che congiungeva il Santuario con la città di Capena: la Via Capenate; in questo punto si notano tracce di una porta d'ingresso. Il bivio era un importante nodo stradale e proprio in questo luogo furono trovati i cippi miliari datati al III sec. d.C., che ci danno la datazione del restauro più recente delle strade. Su questo bivio si affaccia un piccolo ambiente che molti hanno voluto identificare con una latrina pubblica.

Tabernae (particolare)

Proseguendo lungo la Via Tiberina, immediatamente si notano sulla destra del visitatore degli ambienti non molto ampi, che sono stati identificati come luoghi d'incontro e ristoro, forse tabernae, dove è interessante notare il sistema di chiusura a saracinesca. Si arriva quasi subito a delle scale di ferro che ricalcano quelle antiche. Arrivati alle scale si lascia la V. Tiberina e subito sulla sinistra si notano tre colonne: è ciò che resta del portico davanti all'entrata della Basilica, mentre le scale ci immettono nel porticato che delimita su questo lato occidentale la Piazza del Foro.

Del portico rimangono numerose tracce delle basi e numerosi resti di colonne ancora in piedi. La piazza era rettangolare e aveva un orientamento Est-Ovest. Si conserva ancora una parte della pavimentazione fatta con lastre rettangolari di calcare. Il lato con il porticato ha una gradinata alla base della quale è ancora ben conservato il canale per lo scolo delle acque (Euripo). Nel canale si notano ancora degli incassi che forse servivano per tenere pilastrini che sorreggevano spranghe o catene che in certe occasioni isolavano la piazza. Poiché nel Foro si tenevano anche cerimonie in onore della Dea, le gradinate servivano anche come sedili per il pubblico. Sotto il portico, sul lato opposto alla gradinata, ci sono numerose basi onorarie dedicate a personaggi illustri che finanziavano le varie manifestazioni pubbliche; da notare quella riguardante la famiglia Apronia, un componente della quale ricopriva la carica di Soprintendente all'edilizia pubblica ed era anche questore alimentare; quella in onore di Lucio Ottavio che rifece per due volte il Foro e molte dedicate da Q. Vibio Paride che fra l'altro, era duoviro (sindaco) della città. L'altro lato lungo - quello situato a Est era invece chiuso da un muro in opus reticulatum che serviva anche per sostenere l'acquedotto che alimentava tutta la città. Addossata all'acquedotto si nota ancora una lunga vasca di raccoglimento delle acque, usata anche come fontana

Questo muro divideva il Foro dall'Area Sacra arcaica, di cui rimane visibile solo un basamento piuttosto vasto in opera quadrata, in blocchi di tufo, relativo a uno degli edifici di culto.


Area sacra

Il lato meridionale è quello meno conservato e recentemente, proprio in questa zona, sono venuti alla luce alcune strutture che sicuramente sono repubblicane, con un orientamento diverso, a un livello inferiore da tutto il resto e di cui non si conosce ancora la funzione. Sul lato Nord si trova l'area prettamente religiosa, punto focale della vita politica e dell'amministrazione del culto della città. Questo lato è delimitato da un alto basamento formato da blocchi di calcare, ai piedi del quale, sulla sinistra, si trova un ambiente, in parte ricavato nella roccia e in parte costruito, chiuso anticamente da una saracinesca, dove si trovava l'aerarium (il tesoro) della città.

Quasi attaccato alla porta dell'erario, si nota un grosso avancorpo in opera cementizia, costruito successivamente, che originariamente era ricoperto con lastre di marmo grigio. Probabilmente si tratta del podio dove si svolgevano le cerimonie civili in onore della dea. Ai suoi lati, a ridosso del basamento, si trovano ancora le due epigrafi con gli attributi della dea Feronia di SALUS e FRUGIFERA. Davanti c'è la copia della base marmorea circolare decorata con bucrani e festoni, che sosteneva un tripode. Era l'ara sacrificale. Sopra il basamento in calcare c'è ancora una pavimentazione a lastre squadrate di travertino che mostra evidenti segni di restauro. Si tratta di un ambiente basilicale, datato ai primi anni di vita della colonia, con una navata centrale delimitata da colonne, di cui rimangono ancora le basi, e con ambulacri laterali.

L'entrata della basilica era laterale, a destra, delimitata da un portico, di cui rimangono tre colonne. Sul lato di fondo di questo ambiente si trovano due costruzioni: una è di forma rettangolare: è un tempietto con davanti una scalinata e l'altare circolare usato per le funzioni religiose, di cui si nota ancora la base. La seconda costruzione è un'aula con un'abside. Era ornata di marmi, di cui rimangono numerosi resti e con un pavimento in opus sectile, con una cornice in mosaico. Era probabilmente "L'Augusteo" in onore della famiglia imperiale; infatti all'interno si trovano ancora le basi che sostenevano le statue onorarie dedicate ai suoi membri. Proviene da qui il maggior numero di statue marmoree rinvenute al Lucus, tra cui la statua togata di Agrippa e epigrafi dedicatorie. Da iscrizioni ritrovate nell'interno, le due costruzioni sono databili al I sec. d.C. Uscendo dalla piazza del Foro, sull'altro lato del portico si aprono delle botteghe molto ben conservate. Sono in gran numero "termopolia" taverne e punti di mescita. In alcune si conservano ancora i banchi originali in marmo, con i grossi dolii usati per contenere le bevande e i cibi. È interessante vedere che tutte avevano un piccolo tavolo separato in muratura e marmo, dove gli avventori consumavano le bevande a degli ambienti interni che si aprono su un cortile posteriore che generalmente ha un pozzo al centro. Edifici simili si trovano anche a Ostia e a Pompei. Nel primo tratto di taberne, all'angolo con la strada che conduce all'Anfiteatro, l'ultimo ambiente fu successivamente ristrutturato e trasformato in un edificio pubblico, forse una scuola o la sede dei Duoviri (una sorta di edificio comunale). Oltre le botteghe si trova un complesso termale che gli studiosi datano, per i materiali ceramici rinvenuti, all'età imperiale. Il complesso forse tu costruito quando la città si allargò perché le Vecchie Terme non erano più sufficienti, e per la sua costruzione furono sacrificate due botteghe. Vi si possono ammirare dei pregevoli pavimenti in mosaico bianco e nero, con motivi geometrici. Si conserva ancora tutto l'impianto di riscaldamento che avveniva tramite il passaggio di aria calda sotto i pavimenti e lungo le pareti. Ritornando sulla piazza del Foro e costeggiando il muro a Est, che sorregge l'acquedotto, si esce su una piccola strada basolata. Questa strada era usata solo per i servizi e si poteva sbarrare, in occasione delle manifestazioni religiose, per impedire l'accesso al Foro. Si conserva infatti ancora il sistema di chiusura.

Tornati al Bivio, prendendo la strada che conduceva all'antica Capena, si arriva a un altro impianto termale: sono le Antiche Terme principali, dove è stata trovata un'iscrizione molto interessante perché reca elencati tutti i "Castella Aquarum": i punti di raccolta e di sbocco dell'Acqua Augusta. Di solito ciò è importante per stabilire i punti principali di una città e di conseguenza i vari quartieri, ma in questo caso specifico, ciò non è stato ancora possibile perché l'epigrafe, e quindi le indicazioni che essa contiene, non sono verificabili topograficamente. Oltrepassate le Terme, si giunge in vista dell'Anfiteatro. L'Anfiteatro, di cui rimangono le strutture portanti, ha una forma molto singolare: è infatti quasi circolare, ma, pur essendo molto piccolo, presenta tutti gli aspetti caratteristici di un anfiteatro: ha porte molto ben conservate, con i "vomitoria" (uscite per il pubblico) e ambienti di servizio sottostanti le gradinate.


Si notano resti delle gradinate in muratura, effettuate sfruttando la natura del terreno, ma l'anfiteatro doveva averne anche altre mobili, di legno.


Anfiteatro

Inoltre, non essendoci ipogei (sotterranei, con gabbie), era destinato soltanto ai giochi gladiatori e non ai combattimenti con le belve. Si sa con esattezza la data della sua costruzione che fu iniziata dal liberto M. Silius Aepaphroditus nell'epoca Giulio-Claudia, come ci dice l'iscrizione dedicatoria.

A conclusione, un cenno meritano i vari collegi addetti al culto della dea Feronia: 1) "Mulieres Feronenses", associazione di donne fedeli a Feronia al di fuori del culto ufficiale e che erano presenti anche a Roma; 2) "Iuvenes Lugo Feronense", associazione giovanile di carattere ginnico-militare; 3) "Seviri Augustales", collegio addetto al culto particolare di Augusto. La prima e la terza associazione erano probabilmente collegate tra loro come risulta da molte epigrafi dove le due associazioni fanno spesso dediche insieme.

 

Villa dei Volusii Saturnini

 

La Villa dei Volusii Saturnini, venuta alla luce durante i lavori per la costruzione dell'Autostrada del Sole, si trova a 500 mt. a Nord-Est di Lucus Feroniae, ed è raggiungibile da qui attraverso i campi, oppure dall'area di servizio Feronia dell'Autostrada. I Volusii Saturnini furono una potente famiglia Senatoria. Il primo personaggio che si conosce è il pretore Quinto Volusio, al quale va attribuita la prima edificazione della Villa (50 a.C.).

La villa fu ampliata dal figlio Lucio Volusio Saturnino, tra la media età augustea e la prima età tiberiana (10 a.C - 20 d.C.). Gli ultimi esponenti della famiglia dei Volusii sono due fratelli, consoli nell'87 e nel 92 d.C. La famiglia probabilmente declinò a causa delle persecuzioni antisenatorie di Domiziano.


Veduta generale

La villa presenta, come abbiamo visto, due fasi di costruzione: alla prima appartiene il nucleo centrale o parte signorile; nella seconda fase fu ristrutturata in parte la zona residenziale già esistente e fu creato un grande peristilio con intorno gli ambienti "servili". All'inizio la villa ebbe l'aspetto di una lussuosa abitazione di campagna, in seguito prese l'aspetto di un vasto complesso rurale con numerosi schiavi che lavoravano la terra, unico esempio del genere arrivatoci così ben conservato. La parte centrale della residenza padronale è composta da un peristilio con 6 x 4 colonne tuscaniche di calcare, con un ambulacro (corridoio), pavimentato con marmi colorati inseriti su un fondo nero. Sul peristilio si aprono numerosi ambienti: un vasto tablinio (sala da pranzo) a triplice ingresso che ha un vano di passaggio a Sud e una sala a Nord; un oecus (sala di soggiorno), pavimentata in opus sectile (con marmi intarsiati); un'esedra divisa in due parti. Sempre sul peristilio si aprono anche cubicoli (stanze da letto) e recessi intimi.

Alcuni ambienti hanno bei mosaici policromi decorati a "cassettoni' e a "cancellata in prospettiva" rifiniti con uccelli, fiori e simboli vari; altri sono pavimentati con mosaici in bianco e nero.


Pavimenti in mosaico

Dietro ai vani del lato Nord-Est del peristilio, vi sono alcuni ambienti identificati come appartenenti ad un frantoio. Un passaggio univa la zona signorile con il peristilio del complesso servile (ergastulum). Gli ambienti del lato meridionale del nucleo padronale, appartengono per la maggior parte al periodo repubblicano . Le costruzioni di prima fase sono eseguite in "opus incertum" e predomina la pavimentazione a mosaico policromo. L'opus reticulatum" invece, caratterizza le strutture della seconda fase e i mosaici sono in bianco e nero. Il grande complesso "servile" si sviluppa a Nord e a Est della villa signorile; vi si accedeva da una strada lastricata proveniente dalla campagna. Il vastissimo peristilio di questa zona aveva delle colonne su tre lati e mezzo. Lungo i portici si aprono una ventina di stanze col pavimento a nuda roccia: quasi certamente si tratta delle cellette degli schiavi del latifondo (forse alcune centinaia). All'estremità orientale si trova una latrina con il pavimento in "opus spicatum" (mattoni di cotto messi a spina di pesce). Al centro del lato più lungo e in asse con l'ingresso alla casa signorile, si trova il "larario" della casa, costituito da una grande sala. Sul pavimento vi è un mosaico molto bello, di forma circolare, a motivo radiante in bianco e nero, con al centro il simbolo policromo della vita.


Larario

Al centro della sala è situato l'altare di marmo con i simboli del sacerdozio della famiglia: l'albero sacro degli Arvali e il lituo dell'Augure.

Su di un lato vi è una tavola rotonda e una sella (sedia) - copie degli originali - con bei piedi di leone, di stile neo-attico. Su di un bancone, nel fondo della sala, venivano poste le statue degli avi e le iscrizioni in loro onore.

 

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