L'ARCO FELICE

 

Costruito nel 95 d.C. per consentire il passaggio della via Domitiana attraverso il monte Grillo, l'Arco Felice può essere considerato l'ingresso monumentale alla città di Cuma lungo il lato orientale.
Si ipotizza che per la sua edificazione sia stato necessario ampliare il taglio nel monte che, forse, già sussisteva in età greca: il monumento veniva, così, ad acquisire sia la funzione di contenimento per eventuali frane e smottamenti del terreno sia di viadotto per il collegamento fra le due parti della cresta del monte Grillo

 


<<Veduta di una gran fabbrica nella via di Cuma, i Paesani la chiamano Arco Felice>>. Acquaforte di G. B. Natali-G Volpato, in P. A. Paoli ( 1768), tav 45 Napoli Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III

 

Realizzato in opera laterizia e rivestito da lastre marmoree, l'arco era costituito da un alto fornice (m. 20), sormontato da due ordini di archi; i piedritti presentavano, su entrambe le facce, tre nicchioni destinati ad accogliere statue. La lunga serie di modifiche e ristrutturazioni subite dall'arco nel corso dei secoli ne ha profondamente mutato l'aspetto originario: scomparso il rivestimento marmoreo, gli archi superiori furono murati nella prima metà del Settecento, mentre la facciata orientale, completamente ricortinata durante l'ultimo decennio del XVIII sec., ha perso l'antica articolazione a nicchioni. Dell'originaria struttura romana sono oggi visibili solo l'intradosso e parte della facciata occidentale.
Un tratto dell'antica via Domitiana, ancora fiancheggiato da paracarri lapidei, è conservato proprio all'altezza dell'Arco Felice. Poco più avanti, inglobati nella Masseria Mancino, sono alcuni ambienti con copertura a volta e muri in opera laterlzia e mista; databili alla fine del I sec. d.C., la loro funzlone non e ben chlara.
Ritornati alla Croce di Cuma, si imbocca via Vecchia Licola, che attraversa la zona delle necropoli cumane. Poche tombe sono oggi visibili e quasi nessuna è visitabile. Gran parte dei corredi funebri in esse ritrovati sono però conservati al Museo Archeologico di Napoli, dove costituiscono la Collezione Cumana.

 

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