LA STORIA

 

Cuma greca ebbe più o meno tre secoli di vita: fondata dai Calcidesi nel 730 a.C. circa, fu presa dai Sanniti nel 421 a.C. (sui rapporti fra Pithecussai e Cuma, cfr. il capitolo introduttivo dedicato ai Greci in Campania).
Al momento dell'arrivo dei Greci l'aspetto del litorale cumano era assai diverso da quello attuale: la collina dell'acropoli, infatti, oggi arretrata rispetto alla linea di costa, doveva allora formare un largo promontorio lambito da ogni parte dal mare. Era stata frequentata nell'Età del Ferro e probabilmente fin dal periodo del Bronzo finale (XI-X sec. a.C.).

 

I luoghi della colonizzazione calcidese nell'Italia Meridionale (da J. Berard, 1963).


Le prime ricerche nel territorio ebbero luogo nel corso del Seicento in seguito alla ripresa delle coltivazioni nella zona, da tempo malarica; da allora, furono raccolte iscrizioni e statue fra le quali occorre ricordare il famoso busto di Giove (il Gigante di Palazzo), in un primo momento sistemato a Napoli vicino al Palazzo Reale e oggi al Museo Nazionale. I primi scavi regolari furono condotti dal 1853 al 1857 dal Conte di Siracusa, fratello di Ferdinando II. Dopo l'unità d'Italia continuò il sistema di scavi affidati a privati con la concessione data all'inglese Stevens che portò alla luce una parte delle necropoli, a lungo, peraltro, saccheggiate da clandestini. L'esplorazione dell'acropoli fu oggetto di ricerche parziali iniziate prima della I guerra mondiale e continuate fra le due guerre da Gabrici, Spinazzola e Maiuri; dopo l'ultima guerra, gli scavi si sono concentrati nella città bassa, dove sono stati esplorati alcuni edifici della città ellenistica e romana. 

Per Cuma arcaica, lo storico dispone di alcuni dati forniti sia dalle fonti scritte che dal materiale delle necropoli. Lo studio recente di sepolture rinvenute all'inizio del secolo ha permesso di ricostruire, se non un quadro completo, almeno alcuni aspetti della società e dell'economia cumana: alla fine dell'VIII sec. a.C. e all'inizio del VII, vi era una classe aristocratica che conservava le tradizioni funerarie della metropoli (incinerazione e deposizione delle ceneri in un vaso di bronzo), ma con corredi molto più ricchi; questi ultimi erano anche più ricchi di quelli delle necropoli contemporanee, in verità mal conosciute, delle colonie calcidesi di Sicilia. La particolare prosperità di Cuma in quest'epoca è stata attribuita, oltre che allo sfruttamento del territorio (allevamento di cavalli, colture di cereali e vigneti) e alla lavorazione dei metalli, soprattutto agli scambi marittimi favoriti da una posizione geografica eccezionale.
Dopo la decadenza e la fine dell'emporio di Pithecussai, l'isolamento di Cuma, a fronte della densità delle poleis calcidesi di Sicilia, colpisce ancora di più. Tuttavia, non dobbiamo trasferire nel passato quella situazione di conflitto con il mondo etrusco che vedremo poi, e immaginare l'avamposto ellenico pericolosamente solo in un ambiente ostile. Ricordiamo che la presenza etrusca o protoetrusca nella zona era anteriore alla fondazione di Cuma e che i Greci avevano scelto di ubicare il loro insediamento in tale contesto: il loro interlocutore naturale era dunque etrusco.
Nel corso del VI sec. a.C., alcuni avvenimenti modificarono profondamente la fisionomia del medio Tirreno: all'inizio del secolo, i Sibariti avevano fondato Poseidonia (la romana Paestum); nel basso Tirreno erano intanto nate le <<sottocolonie volute dalle colonie sullo Ionio. Verso la metà del secolo, un gruppo di Focei, che aveva dovuto lasciare la patria (Focea, in Asia minore) dopo l'attacco persiano (545 a.C.), si recò in Corsica, ad Alalia (oggi Aleria), dove, vent'anni prima, alcuni compatrioti avevano fondato una città (va ricordato che, negli anni 600 a.C., gli stessi Focei avevano fondato Marsiglia). La loro attiva presenza nel Tirreno provocò una violenta reazione degli Etruschi e dei Cartaginesi, che li accusarono di atti di pirateria. Vi fu allora un'aspra battaglia navale nelle acque di Alalia, e solo venti delle sessanta navi focee scamparono alla distruzione; i prigionieri degli Etruschi furono lapidati a morte sotto le mura di Agylla (Cerveteri); i superstiti, con l'aiuto dei Reggini fondarono Elea (Velia).
Tali avvenimenti non vanno interpretati come prova di una sistematica ostilità degli Etruschi verso l'elemento greco in genere. Infatti i contatti fra le due culture sono sempre più evidenti: a Capua era cominciato verso il 600 I'uso delle tegole da tetto; allora appaiono case con basamento in pietrame orientate secondo gli assi stradali; in Campania i santuari presentano ormai una decorazione di terracotta di tipo greco ad esempio, il tempio dorico di Pompei, di poco posteriore alla fondazione della città, è di tipo greco. E l'analisi delle importazioni greche che sono identiche a Cuma e nella parte <<etrusca>> della Campania (Capua, Nola, Suessula, Pompei, Vico Equense, ecc.) porta alle stesse conclusioni: fra le due culture i contatti sono profondi, e l'influenza di Cuma appare preponderante.
Tuttavia, a questo punto, due livelli di contatti vanno distinti: dal punto di vista strettamente culturale, l'irradiazione dei culti di Cuma (Apollo, Hera, Demetra, Dioniso, ecc.), la diffusione dell'alfabeto e il suo ruolo nella distribuzione di oggetti di manifattura greca attestano un processo di influenza che si estende ben al di là del suo territorio (pensiamo ai rapporti <<culturali>> fra Cuma e Roma). D'altra parte vi sono precisi contatti territoriali: Cuma cercò presto di consolidare la sua presenza nel Golfo di Napoli con punti di appoggio lungo la costa. Ed è così che nacquero un porto a Miseno, un insediamento nella zona in cui sorgerà più tardi Puteoli, un altro sulla punta di Pizzofalcone e sull'isolotto di Megaride (ove l'attuale Castel dell'Ovo) e uno a Capri.
Il rinvenimento a Napoli, sulla collina di Pizzofalcone, di una necropoli greca con sepolture databili fra il VII sec. a.C. e la metà del VI, cioè al momento della piena fioritura di Cuma, conferma l'esistenza di un insediamento che prese il nome di Parthenope, dal nome di una sirena che vi sarebbe stata sepolta. Accanto a problemi aperti e periodicamente discussi (esistenza di una prima Partenope rodia, distruzione della Partenope cumana, ecc.), la presenza di questo primo insediamento dimostra la volontà di Cuma di consolidare il controllo del golfo. Allo stesso modo, è senza dubbio per contrapporsi all'espansione etrusca che, nel 531 a.C., i Cumani concessero a un gruppo di Samii, fuggiaschi dalla patria ormai sottomessa alla tirannide di Policrate, l'autorizzazione a insediarsi nel loro territorio, sul sito dell'attuale Pozzuoli: così nacque Dicearchia, la <<città della giustizia>>, ovviamente con l'assenso dei coloni Calcidesi, egemoni del Golfo.
Ciononostante, il declino di Partenope dopo la metà del VI sec. a.C. coincise con una recrudescenza della pressione etrusca nel Tirreno centrale: nel 524 a.C., gli Etruschi passarono all'offensiva assalendo la stessa Cuma. Vi fu uno scontro nei terreni paludosi che circondavano la città: gli Etruschi furono battuti e Cuma si sentì abbastanza forte per mandare, nel 505 a.C., un contingente ad Aricia in aiuto alla coalizione latina in lotta contro gli Etruschi. Come è stato sottolineato giustamente da M. Pallottino, questa spedizione <<dimostra una svolta nella politica di Cuma; mentre la guerra del 524 era nettamente difensiva (...), la spedizione di Aricia mostra una aggressività di Cuma verso il cuore della sfera di influenza etrusca.>>.
E' questo un periodo assai complesso: attraverso alcune fonti antiche, soprattutto Dionigi d'Alicarnasso, abbiamo una <<cronaca cumana>> abbastanza precisa per gli avvenimenti della fine del VI e del V sec. a.C.: a partire dalla battaglia del 524 a.C. si era imposta la figura di un curioso personaggio, Aristodemo, che svolgerà un ruolo determinante per più di un quarto di secolo; la sua ascesa cominciò infatti con la vittoria sugli Etruschi, per la quale, si diceva, aveva goduto anche della protezione divina per sé e i suoi cavalieri. Ma, quasi subito dopo, l'aristocrazia che lo affiancava (i cavalieri) si era divisa, e della crisi aveva approfittato il demos; perciò, nella guerra del 505, Aristodemo avrà con sé gli elementi popolari; al ritorno, divenuto tiranno, prenderà misure filodemocratiche. Uno studio recente di N. Valenza Mele ha mostrato in maniera convincente come una attenta analisi delle sepolture dell'epoca confermi l'ascesa del demos voluta dal tiranno. Vi sarebbe stato allora un periodo di <<filoetruschismo>>, che spiegherebbe perché Tarquinio il Superbo si sarebbe rifugiato presso di lui dopo la battaglia del lago Regillo. In questo momento si manifestò inoltre una volontà di espansione territoriale e agricola, con opere di canalizzazione e di drenaggio nelle zone paludose, particolarmente a nord della città. Poco dopo l'inizio del V sec., tuttavia, il tiranno fu deposto e ucciso con tutta la sua famiglia.
Appare ormai sempre più chiaramente una diminuzione irreversibile della vitalità di Cuma: per difendersi contro la presenza minacciosa degli Etruschi, la vecchia città deve rivolgersi a Siracusa, che è ormai la grande metropoli dell'Occidente greco. Pindaro canterà la vittoria di Ierone nelle acque di Cuma (474 a.C.), <<onde si tacque il grido di guerra dei Tirreni domati dai Siracusani, che dall'alto delle loro navi ne gettarono in mare la migliore gioventù ... sottraendo la Grecia a duro servaggio>>. Siracusa controllava ormai il Golfo di Napoli e, dopo aver insediato un proprio presidio a Pithecussai, prese l'iniziativa della fondazione di Neapolis, la <<città nuova>> affiancata all'antica Parthenope, come la Neapolis creata da Gelone in Siracusa a ridosso della vecchia Ortigia. L'influenza di Siracusa è evidente sia nella pianta che nei culti e nella monetazione della Neapolis campana. Questa soppianterà presto Cuma: dopo la caduta dei Deinomenidi a Siracusa (466 a.C.), Pithecussai è occupata dai Neapolitani; il Golfo subisce allora, come tutto l'Occidente greco, I'influenza preponderante di Atene.
E' anche l'epoca in cui comincia la discesa dalle montagne del Sannio di popolazioni di stirpe sabellica, gli Oschi, che presto premeranno sulle città greche della costa. Si impadroniscono di Cuma (421 a.C.), poi di Dicearchia, e fanno subire a Neapolis un pesante dominio politico. Diventa così inevitabile il loro scontro con Roma: con quest'ultima si schiera Cuma, che riceve la civitas sine suffragio, cioè la cittadinanza senza diritto di voto. Dopo una lunga resistenza a Napoli del partito filosannitico, la zona napoletano-flegrea, dall'inizio del III sec. a.C., si troverà, come tutto il resto della Campania, nelle mani dei Romani. Secondo Diodoro Siculo (XII 76), Cuma aveva avuto a soffrire più di ogni altra città dell'invasione sannitica; sembra però che già nella prima metà del V sec. a.C. essa avesse ripreso, per un certo tempo, la sua funzione di scalo marittimo accanto alla produzione di ceramica (secondo il Trendall, i principali ateliers di ceramica campana a figure rosse sarebbero stati a Cuma, a Capua e ad Avella), ma subisse sempre di più la concorrenza di Neapolis.
Infatti, dopo la metà del III sec., la produzione di ceramica sembra concentrarsi a Napoli che, alla conclusione della guerra sannitica, era uscita dal conflitto come alleata di Roma, con una relativa autonomia; verso la fine del secolo, la cosiddetta Campana A, di cui J.P. Morel ha studiato i tipi e la diffusione, rimane di produzione esclusivamente napoletana Secondo Morel, l'<<esplosione della A>> non sarebbe da mettere in rapporto con la fine della seconda guerra punica, ma <<sarebbe legata alla nascita e allo sviluppo di Puteoli>> (fondata nel 194 a.C.) e rappresenterebbe una <<specie di simbiosi fra l'economia napoletana e quella romana (puteolana nel caso particolare), fra il dinamismo dei negozianti delle due città del Golfo>>.


Fascia inferiore della decorazione di un lekythos di stile arcaico. Litografia in G. Fiorelli (1856), tav. 3, n. 2. E' raffigurata Persefone nell'atto di salire sulla quadriga di Ade. Le stanno accanto Dioniso barbuto e coronato di edera, Demetra col braccio destro levato in segno di saluto, Hermes riconoscibile dal cappello e dai calzari alati ed Ecate che leva le fiaccole per rischiarare il cammino verso gli Inferi.

E' chiaro che, per i secoli posteriori alla conquista sannitica, Cuma non avrà mai più l'importanza che aveva avuto durante il periodo greco, anche se non va esagerata l'immagine di una città rapidamente decaduta e se si deve tener presente che, nel corso della sua storia successiva, vi furono momenti di indiscutibile ripresa. Ma, paradossalmente, questa Cuma, quella sannitica e soprattutto romana, è meglio conosciuta, dal punto di vista archeologico, della Cuma greca. Dall'epoca sannitica fino alla tarda età imperiale, lo sviluppo urbano si estende verso la zona bassa. Ad esempio, per il periodo sannitico sull'acropoli si procede solo a una risistemazione dei templi e a un rafforzamento delle strutture difensive - è vero che si tratta di lavori importanti - mentre, nella città bassa, sono edificati diversi edifici, in particolare il tempio che diventerà più tardi il Capitolium.
Per l'età romana si notano anche, durante il periodo repubblicano, lavori di sistemazione dei monumenti e delle fortificazioni dell'acropoli mentre, nella città bassa, si organizza un nuovo abitato con case e strade regolari. Ma è importante sottolineare che, mentre per l'epoca greca, Cuma è l'elemento dinamico e decisionale dell'insieme della vita del Golfo, ormai le <<novità>> a Cuma, in particolare nel campo dell'architettura e dell'urbanistica, appaiono come un riflesso o una conseguenza di misure territoriali prese in rapporto con il resto dell'area flegrea. Ai primi anni dell'età imperiale va datata la Crypta Romana, che metteva in comunicazione la città bassa con il porto, in prosecuzione con la <<Grotta di Cocceio>>, che univa la zona del Portus Iulius a Cuma; l'opera è parte del grande progetto di potenziamento strategico dei porti flegrei affidati da Agrippa all'architetto Cocceio. Il foro di Cuma si trovava così inserito in un sistema di comunicazioni che andava oltre l'ambito urbano, mentre l'acropoli ne era praticamente tagliata fuori. Tuttavia, nello stesso tempo, quest'ultima ritrova la sua funzione sacra: è noto quanto Cuma fosse devota alla famiglia di Augusto; vi fu allora, probabilmente, la volontà imperiale di ridare un prestigio sacro alla vecchia cittadella connessa alla leggenda di Enea e al culto di Apollo.
Nei primi secoli dell'impero la città bassa subisce notevoli trasformazioni, con la monumentalizzazione del foro e lo sviluppo indotto dalla costruzione della via Domitiana.
Solo in età tardo-imperiale, quando si riproporranno di nuovo problemi di sicurezza, l'acropoli ritroverà la sua funzione difensiva; tutta la zona bassa sarà progressivamente abbandonata; lì, nell'alto medioevo, vi sono alcune abitazioni rurali isolate (i tesoretti monetali, rinvenuti nella zona delle Terme del Foro, sono espressione dell'insicurezza di quei tempi), mentre sull'acropoli sembra vi fosse un borgo fortificato (non ancora preso in considerazione dalla ricerca archeologica), con le sue modeste case e le chiese risultate dalla trasformazione dei vecchi templi.

 

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