BUDDHISMO  GIAPPONESE

 

Dopo la morte del Buddha i suoi insegnamenti si diffusero con grande rapidità: infatti oltre all’India arrivarono fino a Ceylon all’Indocina occidentale, nel Nepal, negli Stati Himalayani, in Tibet, Mongolia, Cina, Corea, Vietnam e nel 525 anche in Giappone.

Fu portato qui da un’ambasceria coreana e qui, dopo iniziali difficoltà trovò un terreno estremamente fecondo per la sua predicazione, grazie soprattutto all’appoggio del principe Shotokutaishi (morto nel 621). Per il fatto che non combatteva lo shintoismo locale, ma anzi lo accoglieva nel suo sistema, esso divenne la potenza spirituale predominante e per secoli conferì all’impero insulare la sua impronta. In Giappone le sette hanno acquistato particolare importanza; le più antiche di queste scuole, che avevano la loro sede nella capitale di allora Nara, hanno oggi solo pochi seguaci. Esse rappresentavano diverse correnti:

l’Hinayana il cui scopo che, fatte le debite eccezioni, può essere realizzato solo dai monaci ed il cui nome è Arhat, consiste in un’ascesa che si realizza attraverso una serie di gradi attraverso i quali, dopo aver abolito l’odio, la cupidigia e la vanità, si può raggiungere la condizione dell’individuo santo, superiore alle cose mondane, che alla morte entra nel Nirvana.

il Mahayana in cui l’etica assume una forma più attiva, più rispondente anche nella vita laica. Lo scopo cui il fedele deve tendere, non è più quello di diventare un santo, estraneo al mondo, bensì un futuro Buddha, che sacrificandosi e rinunciando a se stesso porta alla salvezza innumerevoli esseri viventi. Col compimento delle dieci perfezioni (paramita), cioè delle virtù cardinali: generosità, disciplina, pazienza, energia, meditazione, conoscenza, abilità nel trasmettere la verità, decisione, facoltà miracolose e sapienza, egli ascende, sulla via della perfezione, i dieci gradini corrispondenti.

A Kamakura, dove dal XII al XIII secolo dinastie nobiliari e guerriere esercitarono il potere in luogo dell’imperatore (Tenno, Mikado) la scuola di meditazione venuta dalla Cina trovò numerosi seguaci. Anche se i metodi di meditazione (Zen) da essa insegnati sono stati portati, come pare, dall’India in Asia Orientale, hanno acquistato qui forme autonome corrispondenti al pensiero ed alla mentalità affatto diversi dall’Estremo Oriente.

Attraverso il severo esercizio può essere attinta la grande esperienza (satori) non esprimibile a parole, del vuoto superiore ad ogni contrasto, che libera da ogni dolore del mondo perituro e mutevole. Si verifica così una totale trasformazione della personalità determinata dall’Io, così che essa raggiunga il dominio su se stessa e la perfetta armonia con il fondamento universale.

Lo Zen veniva praticato specialmente dai cavalieri giapponesi; esso esercitò anche una grande influenza sull’arte. Inoltre sorsero a Kyoto varie sette Amitabha (giapponese: Amida), che speravano dall’aiuto di questo Buddha la rinascita nel suo "paese puro".

La più importante è la "Shin-shu", la "vera scuola", fondata nel XII secolo da Shinran Shonin. Quest’uomo di nobili natali era persuaso, come Lutero, che le buone opere, l’ascesi, ecc., non portano alla salvezza, la quale dipende piuttosto dalla fede nella misericordia salvatrice di Amida. Perciò egli si sposò e concesse il matrimonio anche ai sacerdoti della sua setta.

Bisogna ricordare infine la scuola di Nichiren Daishonin, che trae il nome da colui che la fondò nel 1253. Nichiren era un monaco trentenne studioso delle religioni che visitò i principali templi per studiarne a fondo le varie dottrine. Dopo quindici anni di ricerca, arrivò a stabilire un nuovo tipo di pratica, naturalmente basata sugli insegnamenti del Buddha Siddharta. In particolare Nichiren ritenne di fondamentale importanza uno degli ultimi insegnamenti predicati da Siddharta: il sutra del loto,

a cui si rivolge un vero e proprio culto, che solo il pronunciare il titolo di quest’opera è considerato come salutifero ed è ancora oggi considerato fra i testi più importanti influenti dell’intera corrente Mahayana. Nel sutra del loto il Buddha rivela l’esistenza di una forza vitale universale che genera, permea e regola tutti i fenomeni della vita. Ogni essere umano – egli dice – indipendentemente da razza, sesso, cultura o epoca, possiede in sé questa condizione vitale illuminata (definita Buddhità), così come in ognuno sono presenti altri stati vitali che si manifestano nelle varie forme dell’umana natura (collera, avidità, gioia, sofferenza e così via). La Buddhità rappresenta il potenziale per lo sviluppo di un'illimitata energia positiva che, attingendo dall’inesauribile fonte della vita universale di cui l’uomo è parte integrante, tende verso uno stato di felicità permettendo il superamento delle umane sofferenze

e la naturale compassione per gli altri. Nichiren affermò che l’essenza di questa dottrina è contenuta in una frase specifica (mantra) la cui recitazione risveglia progressivamente la natura illuminata interiore, così come, ad esempio, una frase può risvegliare la collera. Questo mantra secondo Nichiren è la chiave che apre la porta alla illimitata potenzialità celata nelle profondità dell’essere: una chiave accessibile a tutti ed universalmente valida. Il carattere rivoluzionario di tali affermazioni provocò la burrascosa reazione delle autorità religiose e governative dell’epoca, che cercarono di contrastare la propagazione di questo insegnamento. Oggi, ad oltre settecento anni di distanza, il Buddhismo di Nichiren Daishonin viene praticato da milioni di membri della Sgi (Soka Gakkai Internazionale) un’organizzazione laica fondata nel 1975. Agli insegnamenti di Nichiren Daishonin si rifanno anche altri gruppi religiosi, che talvolta danno interpretazioni anche molto diverse fra loro. Obiettivo della Sgi è quello di contribuire alla creazione di una società pacifica basata sul massimo rispetto per la vita, sul dialogo, la tolleranza, lo sviluppo della cultura e dell’educazione. Tutto questo attraverso la diffusione - anche culturale - del Buddhismo di Nichiren Daishonin. La pratica quotidiana consiste nella recitazione del mantra suddetto e di due brani del "Sutra del Loto"; nello studio della filosofia buddhista e nella concreta applicazione dei suoi principi altruistici nella vita di ogni giorno. Caratteristica fondamentale di questa pratica è infatti quella di poter essere utilizzata e verificata nella realtà quotidiana in cui si vive, mantenendo intatta la propria identità sociale, geografica e culturale.
Tutte le sette caratterizzanti il buddhismo giapponese, si sono scisse in numerose sette minori. Questo processo è stato favorito dall’occupazione americana nel 1945: ora si contano ben 13 sette principali e 262 sette minori. Il Giappone è attualmente il paese in cui il Mahayana ha raggiunto la sua più alta fioritura ed in cui anche lo studio della storia e della filosofia buddhiste viene condotto da numerosi esperti secondo metodi scientifici moderni. I giapponesi emigrati nelle Haway vi portarono il buddhismo che, dai loro discendenti, adattato alla lingua inglese ed alle forme di culto protestanti (musica d’organo, canto corale), è praticato in modo modernizzato. Questo aspetto semplificato e riformato del buddhismo è chiamato "Navayana" (il "Nuovo Veicolo"). Esso ha acquistato un certo seguito anche fra gli Americani.

 

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