ARIMINUM

 

Battuti definitivamente i Galli e i loro alleati nella battaglia di Sentino (295 a. C.), nel 268 i Romani fondano la città di Ariminum, traendo il nome da quello del fiume Marecchia (Ariminus), così che il toponimo significa, alla lettera,"la città sul Marecchia". E' probabile che nel luogo preesistesse un insediamento più o meno ampio ed organizzato. L'orientamento della città è una spia eloquente dei progetti del governo di Roma: il "cardo", da monte a mare, ribadisce l'importanza della vecchia via commerciale villanoviana, mentre il "decumano" svela inequivocabili mire espansionistiche in direzione della Valle Padana. All'incrocio fra i due assi principali si apre il foro, cuore politico, religioso ed economico di Ariminum. Vie minori parallele o perpendicolari agli assi delimitano gli isolati, razionalmente disposti a scacchiera. La città, cinta di mura in opus quadratum, può ospitare dai dieci ai ventimila abitanti; altrettanti popolano l'agro, centuriato secondo la regola astronomica e fittamente appoderato. I seimila coloni laziali e campani che, secondo gli storici antichi, si stabiliscono in territorio riminese, sono infatti capifamiglia con moglie, figli e servi.

Arco di Augusto Ponte di Tiberio

 La fondazione di Ariminum è un fatto storicamente significativo, giacchè segna la definitiva vittoria dei sostenitori di uno Stato romano esteso a tutta la penisola contro i fautori di uno Stato circoscritto al Lazio, cioè, in sostanza, dei populares contro il patriziato. La costruzione delle grandi strade consolari riconferma sia questa scelta politica, ormai irreversibile, che il ruolo di caposaldo di Ariminum. Nel 220 Caio Flaminio inaugura la via Flaminia, arteria commerciale e militare di 212 miglia integralmente selciate che congiunge Roma con l'ager gallicus. Nel 187 Emilio Lepido apre la via Emilia che, da Rimini a Piacenza, attraversa e collega l'intera Valle Padana. Nel 132, infine, Publio Popilio Lenate traccia la via Popilia, la strada costiera che, partendo da Rimini, arriva ad Adria e forse ad Aquileia.

 

Anfiteatro di Rimini

Importante centro fortificato, sicuro sbocco portuale e primario caput viarum, Ariminum è ormai, tra il II e il I secolo a. C., una città attiva e florida che pratica l'artigianato e il commercio, e dove si affermano famiglie potenti come gli Ovii e i Maecii.

 Nel 90, al termine di un processo di ascesa politica ed economica di quasi due secoli, Rimini cessa di essere una colonia di diritto latino e diventa municipio romano; i suoi abitanti, parificati ai cittadini di Roma, vengono iscritti alla tribù aniense.

Nella guerra civile tra Mario e Silla, ovvero tra i populares e il partito patrizio, Rimini si schiera coi primi.  Presa a tradimento la città, Silla la mette a ferro e fuoco (82 a. C.). I partigiani di Mario sono banditi.

 La fonte del sacco di Silla è Cicerone; la testimonianza è autorevole, ma non ha trovato conferma in ritrovamenti archeologici. Il 12 gennaio del 49 un altro più famoso rappresentante dei "popolari", Giulio Cesare, attraversa il Rubicone alla testa della XIII legione. Più di trecento anni di discussioni, spesso molto vivaci, non sono bastati a chiarire quale degli attuali corsi d'acqua debba identificarsi col Rubicone: se il cesenate Pisciatello, il savignanese Fiumicino o il riminese Uso; pare infatti che l'antico Rubicone abbia modificato il suo corso nell'alto Medioevo. L'attraversamento in armi del fiumicello - confine tra la Gallia Cisalpina e l'Italia - costituisce un gesto di aperta e insanabile ribellione al senato di Roma ed è stato tradizionalmente interpretato come l'atto simbolico del trapasso dalla repubblica al principato. La sera stessa Cesare si acquartiera ad Ariminum.

L'età augustea costituisce per Rimini un periodo di vasti interventi pubblici e, di conseguenza, di rinnovamento, di crescita e di generale benessere. Nel 27 a. C., al termine del radicale restauro della via Flaminia, è eretto l'arco d'Augusto. Il monumento, tutto in pietra d'Istria, ha la doppia funzione di porta principale della città e di arco trionfale (sull'attico è collocata una statua in bronzo dell'imperatore), ed è il primo e il più importante fra quelli costruiti nella Cisalpina. Iniziato nel 14 d. C., ultimo anno di vita di Augusto, il ponte a cinque arcate sul Marecchia sarà terminato nel 21 dal suo successore Tiberio, a cui è oggi intitolato. Alla costruzione dell'arco e del ponte, collocati ai due estremi del "decumano" - che diviene così la via più importante della città, e tale resterà fino ai nostri giorni - si affianca un ampio programma di lavori pubblici: nell'anno 1 d. C. Caio Cesare, figlio adottivo di Augusto, fa lastricare tutte le strade; allo stesso periodo data l'erezione del teatro nelle adiacenze del foro. I templi e gli edifici pubblici vengono rivestiti di pietra, importata massicciamente dall'altra sponda dell'Adriatico. Gli edifici privati si arricchiscono di pavimenti musivi, marmi pregiati ed eleganti intonaci, e confermano l'impressione di una diffusa agiatezza. Successivi imperatori completano gli impianti pubblici di Ariminum.

Il tempo di Domiziano (81-96 d. C.) risalgono l'acquedotto e la rete fognaria. Il grande anfiteatro, di dimensioni non inferiori a quelle del Colosseo, è eretto in età adrianea (119-138). Ad Antonino Pio (138-161) spetterebbe la costruzione della fontana pubblica. Fra l'età degli Antonini e quella dei Severi si assiste a un consistente sviluppo dell'edilizia privata, promossa da possidenti, mercanti e funzionari. La struttura economica di Ariminum consente ancora l'accumulo di grandi patrimoni, ma la maggioranza dei cittadini deve far fronte a un processo di progressivo impoverimento. Oscure e perlopiù leggendarie sono le notizie sui primi cristiani di Rimini. La tradizione vuole che la persecuzione di Diocleziano abbia fatto qui numerosi martiri, fra i quali la quindicenne santa Innocenza, copatrona della città. La stessa tradizione situa il luogo dei supplizi fuori Porta Romana, nei pressi del tempio di Giove, in un'area sepolcrale detta per la sua natura paludosa Lacus maior (donde il toponimo Lagomaggio).

Il Cristianesimo, in effetti, dovette diffondersi a Rimini tra la fine del II e il principio del III secolo. La cattedra episcopale sarebbe stata istituita nel III secolo. Un vescovo di nome Stemnio avrebbe ottenuto da Costantino di convertire il tempio pagano di Ercole in chiesa cristiana e avrebbe intitolato questa, che sarebbe poi diventata la cattedrale, a santa Colomba. Il concilio di Nicea del 325 si era chiuso con la sconfitta di Ario, la cui dottrina sulla Trinità era stata condannata. Ciò, tuttavia, non aveva posto fine alle dispute. Per comporre il contrasto, nel 359 l'imperatore Costanzo II convoca a Rimini un nuovo concilio, a cui partecipano oltre quattrocento vescovi provenienti da tutte le province occidentali (quelli d'Oriente si riuniscono a Seleucia). Appoggiati dall'imperatore, i seguaci di Ario riescono a raccogliere la stragrande maggioranza dei vescovi su una mozione di compromesso che, di fatto, annulla i deliberati di Nicea. Solo un'esigua minoranza di ortodossi si oppone alle conclusioni del concilio di Rimini. Tra questi irriducibili - appena diciotto - è annoverato il vescovo di Rimini Gaudenzio. Arrestato dal preside dell'imperatore per la sua aperta predicazione antiariana, il 14 ottobre del 360 è linciato da un gruppo di fanatici partigiani di Ario. Va precisato che l'esistenza storica del santo, patrono di Rimini, è ignorata dalle fonti coeve. Primario nodo stradale, e perciò luogo di passaggio quasi obbligato, Rimini deve sopportare a più riprese l'urto delle invasioni barbariche. Nel 409 vi si accampa il visigoto Alarico, che poi metterà a sacco Roma. Nel 452 Rimini scampa miracolosamente alle orde unne, contro cui schiera - stando a una tradizione non molto solida - tremila uomini. Nel 476 passa per Rimini Odoacre, re degli Eruli, che giunto a Roma deporrà l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augustolo. Nel 490 il goto Teodorico scende in Italia e sconfigge Odoacre, che ripara a Ravenna; Teodorico salpa dal porto di Rimini e sbarca a sei miglia da Ravenna: la città, affamata e priva di soccorsi, deve arrendersi. è l'anno 493. Teodorico si proclama re d'Italia e stabilisce a Ravenna la sua corte.

 

Torna alle Città Italiche