ASCULUM

 

Le popolazioni più antiche che hanno abitato Ascoli Piceno hanno lasciato tracce della loro presenza risalenti fino all'età paleolitica. Solo più tardi, dal neolitico e dall'età dei metalli, le testimonianze diventano più probanti ed attestano insediamenti stabili ad economia agricola e pastorale. Stando ad antiche leggende, raccolte da Silio Italico, Ascoli sarebbe stata fondata dal re pelasgo Aesis . Verosimile è anche che la città derivi il proprio nome dalla radice egeo-anatolica as, significante insediamento urbano, reperibile in molte altre antiche città dell'area mediterranea. Secondo Festo, invece, il Piceno deve il suo nome ai Sabini, che, emigrando verso l'odierna Ascoli per celebrare la primavera sacra, una festività pagana, levano come loro emblema il picchio, uccello sacro a Marte. Forte della sua posizione geografica quale posto di blocco tra due fiumi, il Tronto ed il Castellano, ed un torrente, il Chiaro, Ascoli va via via assumendo una forte importanza. Se nel 268 a. C., il Piceno entra nella zona d'influenza di Roma, Ascoli riesce a conservare la sua indipendenza, pur costretta ad accettare la condizione di civitas foederata. Deve essere già un grande centro commerciale se Strabone la definisce ora colonia Asculum Picenum nobilissima ora domiti hic Picentes et caput gentis Asculum.


All'inizio del 91 a.C. scoppia la guerra sociale, combattuta dalle genti italiche contro la supremazia di Roma. Ascoli ha un ruolo tanto importante da segnarne addirittura l'avvio. Rivendica in nome delle popolazioni italiche - socii - la cittadinanza romana per compartecipare alla amministrazione ed alla direzione dell'impero in condizione di parità.
L'uccisione del proconsole Quinto Caio Servilio, del legato Fonteio e di tutti i cittadini romani entrati nel recinto della città per rimproverare gli Ascolani, rei di tramare qualcosa contro l'aristocrazia romana, segna l'inizio delle ostilità tra Roma ed Ascoli. La tradizione vuole che siano stati trucidati nel teatro romano durante uno spettacolo. Questo tragico fatto di sangue scatena la reazione di Roma. Dalla capitale parte Pompeo Strabone con un forte esercito per ridurre Ascoli all'obbedienza. Viene inizialmente battuto più volte dai locali, posti in una posizione militare imprendibile per natura e per arte.
Ma, dopo un lungo assedio durato due anni e mezzo, la città deve cedere alla fortuna delle armi nemiche, succube soprattutto della disparità di forze favorevoli a Roma. Guida la difesa della città Caio Vidacilio, che, una volta sconfitto, preferisce finire i suoi giorni assieme alla perduta libertà (89 a.C.).
Del lungo assedio sono testimonianza, ancora oggi, le ghiande missili di piombo che è possibile trovare nei campi più vicini alla città e specialmente lungo il letto del Castellano, spinti dalle piogge.
Tanti Ascolani danno prova di sublime valore e di ingegno militare. Ventidio Basso, figlio di un generale ascolano portato a Roma assieme alla mamma dietro il carro trionfale di Strabone, raggiungerà gli alti gradi di pretore e pontefice. Tito Vetuzio Barro diventerà pure celebre a Roma. Ma i Romani vincitori non hanno pietà dei vinti. I capi vengono trucidati, molti abitanti mandati in esilio, come testimoniano gli storici dell'epoca. Floro scrive che l'intera città viene distrutta, ma probabilmente è una esagerazione se si fa fede a Cicerone, che poco dopo definisce Ascoli municipalis honestissimi ac nobilissimi generis. Cesare ha fretta di impadronirsi della città, allorché passa il Rubicone, mettendo in fuga Lentulo Spintere che prima aveva occupato Ascoli con dieci coorti. Plinio parla di Ascoli come di colonia di notevole importanza. Antiche iscrizioni ne attestano la ragguardevole posizione raggiunta.


Negli Itineraria romani, descrizioni schematiche di tipo logistico delle vie del tempo, si parla di Ascoli sita sulla Salaria, la quale parte da Roma, a Porta Collina, passa lungo il Velino ed il Tronto, raggiunge Asculum a 120 miglia circa per poi arrivare a Castrum Truentinum, alla foce del Tronto sulla costa adriatica.
Sotto Roma imperiale, Ascoli risorge più splendida che mai. Molti sono i monumenti romani, ben conservati e giunti sino ai nostri giorni: Porta Gemina, Ponte di Cecco, Ponte Augusteo sul Tronto, i resti del Teatro e dell'Anfiteatro, due antichi templi - uno di ordine corinzio, l'altro probabilmente ionico - ora inglobati nelle Chiese di San Gregorio e di San Venanzio. Non mancano neppure esempi di edilizia abitativa, venuti alla luce durante lavori di ristrutturazione al Palazzo di Giustizia ed al Palazzo dei Capitani. Famoso il rinvenimento dell'emblematico mosaico policromo con maschera centrale, ora conservato nel Museo Archeologico Statale. Ascoli viene citata con onore nella divisione delle province fatta da Augusto e poi da Antonino Pio nel 152 d.C.. Sotto quest'ultimo imperatore, Asculum conosce la prima persecuzione cristiana con tanti martiri, tra cui Santa Venera e Sant'Antimo.
Nel 301 la città è sede del governatore del Picenum Suburbicarium in contrapposizione al Picenun Annonarium, facente capo ad Ancona. Nello stesso anno arriva il primo vescovo residenziale, Sant'Emidio, il quale, designato per decisa volontà di Papa Marcellino, malgrado il suo timorato rifiuto, riesce in breve tempo ad infondere una nuova vita alla comunità cristiana picena ed a conquistarsi una indiscussa autorità spirituale. Con la calata dei barbari, Ascoli conosce una sensibile decadenza economica ed intellettuale. La miseria diffusa e crescente non sono né stimolo né conforto a nuove costruzioni. La vita si riduce ad una economia di sussistenza, rifugiata nel grembo delle chiese e delle pievanie.
Ascoli riesce a difendersi dai Visigoti di Alarico e di Ataulfo, i quali, impressionati dalla cinta muraria e dall'invalicabile fossato naturale costituito dal Tronto e dal Castellano, si allontanano dalla città senza prenderla. Rifocillano i propri uomini e cavalli nella campagna circostante, razziando ed uccidendo dove possono. La situazione strategica della città li consiglia a rivolgere altrove le loro mire.


Riesce nell'intento, invece, il gotico Totila, il quale, dopo aver occupato tutti i castelli della campagna, cinge d'assedio la città. Questa deve cedere, complice non solo la fame, ma anche la peste. Paolo Diacono ricorda Asculum come il centro principale del Picenum.
Nel 553, dopo la sconfitta e l'uccisione di Totila e di Treia, la città passa all'esarcato di Ravenna e dentro le sue mura si stabiliscono molti Greci. Il potere, di nome, viene esercitato da un Archonte o Dux, ma di fatto da un vescovo, il quale va accentuando, sempre più, la propria autorità. Dopo aver ridotto i forti di Castel Trosino e di Murro in sepolcri dei Greci, il longobardo Faroaldo assedia Ascoli da più parti e la saccheggia nel 578. Strozza cittadini, dirocca torri, distrugge chiese e palazzi, smantella cinta murarie. Tra gli uomini votati alla difesa estrema della città si distingue l'eremita Agostino, il quale, lasciato l'eremo di San Marco, predica la necessità di combattere e resistere fino all'ultimo uomo contro la marea longobarda, ma lui e i suoi uomini laceri, scalzi ed affamati devono alla fine soccombere. Secondo orride costumanze barbariche, Agostino viene trascinato per le strade legato a coda di cavallo, assieme ai suoi tre figli. Finiscono, poi, trafitti con le picche ed innalzati sulle case bruciate, quali trofei di guerra. L'abitato viene dato alle fiamme per la seconda volta, dopo quella del romano Strabone.
Solo nel 593, la regina Teodolinda consente la ricostruzione della città e dei castelli, nonché il rientro dei fuggiaschi, e Ascoli passa a far parte del territorio del Duca di Spoleto per oltre due secoli, pur senza seguirne sempre i destini e le volontà.
L'opera di Gregorio Magno che, grazie a Teodolinda, riesce a convertire al cattolicesimo tutta la corte longobarda, ottiene grossi risultati, attenuando non solo il contrasto, ma anche l'avversione degli Ascolani verso i Longobardi. Con la fine del VII secolo, la cronistoria dei vescovi ascolani prende sempre maggiore rilevanza, non solo religiosa, ma anche politica. La loro ingerenza nel governo della diocesi si allarga notevolmente, in virtù anche di ottimi vescovi quali Felice ed Euclere, quest'ultimo addirittura longobardo.


Nel 774, il Duca di Spoleto, Ildeprando, si assoggetta alla Chiesa e si rade la barba in segno di sottomissione, secondo la consuetudine romana. In segno di riconoscenza per tale gesto, malgrado la sconfitta longobarda da parte dei Franchi, Papa Adriano reintegra il Duca nella sua carica alla condizione che si metta alle dipendenze di Carlo Magno. Prende, così, forma il disfacimento dei poteri dei duchi di Spoleto, i quali vanno diventando sempre più nient'altro che semplici funzionari della dinastia carolingia.
Tale processo storico si completa nel 789, allorché il franco Guinigiso segna la fine della dominazione longobarda e della sua influenza sulla città di Ascoli, fino a quella data legata alle vicissitudini del Ducato di Spoleto. Ascoli diventa, così, una contea sotto la protezione del pontefice, con un conte laico a capo, coadiuvato, nell'esercizio del potere, dalla nobiltà locale. Assurge al rango di capoluogo di contea del Sacro Romano Impero, alle dipendenze di Carlo Magno, che le riserva una condizione giuridica particolare, dovuta alla singolare posizione strategica. Da Ascoli Carlo, infatti, può facilmente raggiungere Roma per rivendicazioni di ogni tipo, passando per la Salaria o per il Ducato di Benevento, di là dal Tronto.

 

Teatro Romano

 

Addossato al fianco del colle Pelasgico, vicino alla piazza Cecco d'Ascoli, è datato tra il I secolo a.C. ed il I secolo d. C., periodo degli ultimi ampliamenti.

La presenza del teatro è significativa dell'alto livello culturale raggiunto dalla città all¹epoca romana ed attesta l'alto potere sul territorio circostante. Il diametro massimo della cavea era di m. 95. 

Scavi eseguiti negli anni Trenta e Cinquanta hanno portato alla luce i radiali della cavea in opus reticulatum, l'orchestra corrispondente alla nostra platea, la praecinctio o corridoio semianulare tra le gradinate e la summa cavea, vale a dire la parte alta delle gradinate. Accanto al pulpitum si notano discreti resti di un vano abside, avente probabilmente funzione complementare di servizio.

 

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