BRIXIA

 

Le origini di Brescia sconfinano nella leggenda. C'è chi vuole sia stato Ercole a fondarla e a darle la prima cinta di mura, chi invece Troe, fuggito da Troia in fiamme. Con lui la città sarebbe stata Altilia, cioè l'altra Ilio, l'antico nome di Troia. C'è però chi tira in ballo persino Tiras, nipote di Noè, chi Cidno (o Cicno) il re dei Liguri. E, in effetti, il colle che sovrasta la città è il Cidneo: re Cidno lo avrebbe fortificato, nell'età del bronzo, dando il via all'antica città. Liguri, quindi, a Brescia, come primi abitanti? Forse, ma anche gli Etruschi non sono lontani, abitano la pianura padana, conoscono le miniere di ferro delle Prealpi...Di sicuro, nelle invasioni Galliche, sono i Cenomani a stanziarsi tra l'Adda e l'Adige. E, secondo lo storico romano Tito Livio, Brixia   (bric-montagna,  brig-fortezza,  da  etimologie celtico-liguri) ne diventa la capitale. I Cenomani, dal 225 al 222 avanti Cristo, eccoli a fianco dei romani contro i Galli. Poi cambiano bandiera:si alleano ai  Boi e agli  Insubri contro i Romani e il calcolo è sbagliato. Sbaragliati sul campo, sono inglobati. E' il 187. Un secolo più tardi Brixia ottiene il diritto latino e, nel 49 avanti Cristo, sotto Giulio Cesare, la piena cittadinanza romana. Seguono alcuni secoli di pace e di splendore poi, nel 476, con la dissoluzione dell'Impero Romano, Brescia subisce il flagello delle invasioni barbariche. Sulla città si avventano gli Eruli di Odoacre, gli Ostrogoti di Teodorico, i Bizantini di Narsete. Poi è la volta dei Longobardi di Alboino e la loro è la migrazione di un popolo. Dalla Pannonia, l'odierna Ungheria, centomila guerrieri più duecentomila persone, fra donne, vecchi e bambini, superano le Alpi. La città di Cividale diventa la loro capitale, il primo di 35 ducati (e Brescia sarà uno dei più importanti) sparsi per l'Italia. Paolo Diacono, lo storico per eccellenza, li descrive così: "Tosavano la loro chioma tutt'intorno fino alla nuca e lasciando cadere i capelli ai due lati fino alla bocca. I vestiti erano ampi, fatti di lino e intessuti di vari colori. Portavano calzari aperti con lacci di cuoio intrecciati e, montando a cavallo, indossavano calzoni e gambali di lana. Usavano inoltre spolverarsi i capelli d'oro in segno di autorità e di rosso vivo in segno d'ira e di coraggio, partendo per la battaglia". Alti ed energici, marcantoni violenti e un po' puzzolenti (non amavano assolutamente lavarsi), sono chiamati Longobardi perchè portano lunghe alabarde. O, secondo alcuni, lunghe barbe. Di loro a Brescia restano monumenti, documenti e gioielli artistici che parlano dei Longobardi come di un grande popolo, un popolo di cui non conosciamo la lingua. Come per gli etruschi, un mistero. E i Longobardi? Svaniti nel nulla. Ma, pur vinti dai Franchi di Carlo Magno, non vengono mai cacciati, come, per esempio Goti e Ostrogoti. Rimangono, diventano gli italiani del nord. E longobarde sono molte parole del nostro dizionario (baruffa, faida, federa, panca, schiaffo, stamberga, stucco...) insieme a tanti nomi di luoghi. Governano bene i Longobardi e, onestamente, non sono poi così barbari. Il loro dominio si estende fino al cuore dell'Italia. Il guaio è che hanno rapporti sempre più tesi con la Chiesa e, quando la frizione giunge al massimo, la lotta è di potere...Inutilmente re Desiderio cerca di stringere un'alleanza coi Franchi, pronti a scendere in armi dal nord della Francia a favore del Papa. Concede in sposa a Carlo Magno la figlia Ermengarda, ma non basta. La ragione di Stato ha il sopravvento. Ermengarda, ripudiata, si rifugia a Brescia, nel convento di San Salvatore, dove muore dal dolore. Carlo Magno scende in Italia nel 773 ed assedia Desiderio a Pavia e il figlio Adelchi a Verona. La lotta è impari. Verona cede quasi subito, Adelchi fugge a Costantinopoli e anche Pavia si arrende dopo ben dieci mesi di assedio: re Desiderio, prigioniero, finirà i suoi giorni in Francia, nel monastero di Corbie. Il dominio dei Franchi durerà un secolo, fino all'888.

 

Il Tempio Capitolino

Innalzato per volere dell'imperatore Vespasiano nel 73 dopo Cristo, spettacolare e imponente appare come per magia tra i palazzi della Brescia del Seicento ed è il grande ricordo della potente Brixia romana. Bisogna immaginarsi di sprofondare alcuni metri (alla sede stradale di circa due millenni fa) e di guardare, dal centro di una piazza del Foro di ben maggiori dimensioni, la maestosa facciata, al termine della scalinata, in marmo di Botticino, quello delle montagne verso il lago di Garda. Oltrepassata la soglia, il tempio è formato da alcune aule separate da intercapedini: vi si accede da porte poste agli angoli delle celle. Il tetto era probabilmente ligneo come il timpano esterno, ricostruito solo parzialmente (i marmi pregiati sono stati usati per secoli per ornare le dimore patrizie della città e del contado) e si può immaginare dipinto a colori vivaci. Sul tempio l'iscrizione rimanda a Vespasiano Augusto, un grande imperatore, uno degli ultimi grandi reggitori della romanità, passato per i più alla storia, purtroppo, solo per aver fatto costruire a Roma i famosi Vespasiani, i primi gabinetti pubblici. Tassandone l'uso, e utilizzandoli per ottenerne ammoniaca... E invece, energico e morigerato capostipite della famiglia dei Flavi, restaura l'Impero, assesta le finanze, riforma il Senato e l'ordine equestre, quello dei cavalieri, pacifica la Giudea e la Gallia, inizia la costruzione del Colosseo a Roma. All'interno del tempio, ben conservati sono i pavimenti della cella centrale e di sinistra.Gli scavi sono compiuti, agli inizi dell'800, dall'Ateneo di Brescia.  

 Il Teatro romano

A est del tempio Capitolino i resti dell'antico teatro romano, parzialmente portato alla luce tra le case attorno a via Musei. Iniziati nel 1913, gli scavi hanno rinvenuto l'area della cavea e delle gradinate di una tra le maggiori costruzioni romane dell'Italia settentrionale. E, calcolandosi potesse contenere sino a 15mila spettatori, da' un'idea di quanto fosse popolosa e vivace Brixia nell'età augustea. Poi, sin nel medioevo, il teatro viene usato per le riunioni del popolo bresciano. La storia da sapere è però questa. Dove ora sono in bella mostra questi spettacolari resti romani, un tempo, negli anni bui delle invasioni barbariche e del medioevo si verifica una imponente frana: la collina smotta ed enormi quantità di terriccio sommergono la base del colle Cidneo. Sepolti i monumenti, sulla grande frana rinascono gli alberi, vengono costruite casupole con tanto di orticello. Del Campidoglio romano d'un tempo si perde man mano la memoria, coi frammenti di colle e fregi marmorei che spuntano qua e là, con le piogge, dal terreno si costruiscono i muri dei palazzi signorili del Rinascimento. E vuole la leggenda che, ai primi dell'Ottocento, uno studioso di cose antiche visiti la città e, alla pausa di mezzogiorno, salga in collina a pranzare, in un'osteria. Fatto accomodare all'aperto, lo studioso nota che alcuni tavoli sono quantomeno insoliti. In marmo bianco di Botticino, abilmente scolpiti. Quello straniero rimane addirittura folgorato, nel vedere il tavolo che gli preparano: proprio il capitello di una gigantesca colonna. Convince l'oste a scavare subito alla base di quel marmo, che pare scendere al centro della terra, che pare non finire mai. Ebbene, quella colonna è la prima a sinistra guardando il foro, l'unica rimasta in piedi sotto la frana.

 

Resti della Brixia romana

Il Foro romano si stendeva tra il Decumanus Maximum, la via alla base del tempio e, a sud, la Basilica o Curia. Sui lati era delimitato da un porticato a doppio ordine di colonne, una zona di botteghe e attività commerciali. Di tutto questo rimane solo una colonna, tra le case, sulla destra guardando il tempio: monolitica, liscia e in marmo "cipollino", impreziosita da un capitello corinzio, segna il confine orientale del Foro. La Curia, una grande costruzione quadrata forse a due piani, sorgeva invece tra via Carlo Cattaneo e piazzetta Labus e nelle case (vedere al civico n°3) sono visibili tracce dei marmi romani, demoliti e utilizzati a man bassa fino alla fine dell'Ottocento. E' evidente che, a poter scavare nel sottosuolo cittadino, verrebbe alla luce una intera città, la conferma è venuta da alcuni scavi nell'area del vicino monastero di San Salvatore: i resti di alcune domus romane, ville e ricche abitazioni, lo stanno a dimostrare. Soprattutto gli stupendi pavimenti a mosaico della domus del Ninfeo e della domus dell'Ortaglia. E anche in cima al Castello, nel Mastio, la cittadella fortificata per l'estrema difesa sulla sommità del colle Cidneo, si sono trovati resti di un edificio romano, risalente al primo secolo dopo Cristo. Un tempio di cui sono rimasti solo frammenti di muro e sette gradini di una scalinata imponente.

 

 

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