FIRMUM
E' difficile stabilire con
esattezza la data della fondazione di Fermo, ma è certa la sua origine
preromana, dimostrata dal ritrovamento di tombe appartenenti a necropoli Picene
e Villanoviane risalenti al IX sec. a. C., e da un passo dello storico latino
Velleio Patercolo che scrive dell'occupazione di Fermo da parte dei Romani
all'inizio della prima guerra punica (264 a.C.). Quindi Fermo esisteva prima del
264.
Nel IX secolo avanti Cristo gruppi di Sabini, popolazione
italica preromana, dal Lazio migrò verso la nostra regione stabilendosi
nell'area centro-meridionale. La leggenda narra che durante la migrazione
fossero guidati da un Picchio, da cui deriverebbe il nome "Piceni" (o
Picenti). Più recente e maggiormente credibile l'ipotesi che il nome Piceni
derivi da picea (ambra), che era abbondante in questa zona (ritrovata
in tutte le tombe picene), oppure da picem (pece) ampiamente utilizzata
dai piceni per la costruzione ed impermeabilizazione delle loro tombe (e quindi
presumibilmente anche le abitazioni).
Dall'uso della pece e/o dell'ambra, i Romani dovevano aver
attribuito a questi Sabini il soprannome di Piceni, o Picenti (Picentes).
Alcuni di questi Sabini si stabilirono sul colle chiamato Sàbulo (in latino sabulus
= sabbia, essendo di formazione sabbiosa, tufacea) dando origine a Fermo.
Occupata dai Romani nel 264 all'inizio della prima guerra
punica, sotto il loro dominio Firmum Picenum divenne una colonia importante,
mentre nel 90 a.C. passò al rango di Municipium; così i fermani
ottennero piena cittadinanza romana: Cicerone li chiama fratelli [...de
firmanis fratribus...] (Ep 8; Lib. IV ad Att.).
Si parla di Fermo - occupata da Giulio Cesare - anche nel
famoso De Bello Civili (lib I, cap XV).
L'importanza di Fermo romana è dimostrata anche da un'opera
grandiosa realizzata in epoca augustea: le Cisterne - o Piscine - Romane (foto a
destra), che servivano a raccogliere e conservare l'acqua piovana e sorgiva
destinata a rifornire la città e il navale che Fermo possedeva sul mare
Adriatico (il porto era distante 7 km, alla foce del fiume Ete).
Le cisterne sono costituite da trenta vaste sale sotterranee
che occupano una superificie di oltre duemila metri quadrati e 10.854 metri cubi
sotto il centro storico di Fermo, ancora oggi ben conservate e impermeabilizzate
(tant'è che hanno funzionato anche recentemente come serbatoi).
Di epoca augustea anche un teatro all'aperto (37 metri di
diametro, oltre duemila spettatori) i cui resti oggi sono visibili sul versante
nord sotto la Cattedrale e due cerchie di mura, una dell'epoca della prima
colonia latina e un'altra dell'epoca augustea, ancor oggi in parte visibili e -
forse - un grandioso anfiteatro della cui esistenza, però, non si è ancora
avuta prova certa (secondo le due ipotesi prevalenti avrebbe potuto essere
localizzato sopra le cisterne romane oppure nella parte nord dell'odierna di
piazza del popolo); avrebbe contenuto circa settemila spettatori.
A Fermo risiedette a lungo la famiglia dei Pompei che qui
possedevano terre e ville; tuttora una via nel centro storico e un palazzo sono
intitolati a Pompeo Strabone, (console romano, comandante della Legio
Firmana, padre del triunviro Gneo Pompeo Magno), in quanto nel 1739 proprio
nel sottosuolo di quel palazzo furono rinvenute lastre di verde antico
appartenenti ad un insigne edificio romano ritenuto l'abitazione di Pompeo; la
principale via che all'epoca collegava Fermo al porto era - ed è tuttora -
chiamata via Pompeiana.
Sulla scelta del nome Fermo (Firmum Picenum) si fanno solo
ipotesi: la radice indoeuropea "Fir" significa "vetta,
cima"; il nome sarebbe stato poi ripreso dai romani in Firmum per
per sottolineare la salda posizione in cima al colle, oppure la fedeltà della
nuova colonia: nello stemma della città (e del Comune tutt'oggi) c'è la
dicitura FIRMUM FIRMA FIDES ROMANORUM COLONIA, cioè "Fermo
colonia dei Romani dalla ferma fede".
Di non secondaria importanza anche la parte marittima
dell'abitato, alla foce del fiume Ete, dove sorgeva il porto-canale.
Probabilmente per la notevole diffusione di piante di palma lungo la costa, i
latini chiamavano la zona "ager palmensis", terminologia
conservata nel nome delle due odierne frazioni di Fermo site nelle vicinanze:
Torre di Palme e Marina Palmense.
A questo insediamento, che aveva funzione prevalentemente
mercantile, appartengono alcuni ritrovamenti durante i lavori di costruzione
dell'autostrada nel tratto tra S. Maria a Mare e Marina Palmense.
L'Acropoli
In cima al colle era l'acropoli, con tempio, edifici civili e fortificazioni. Le numerose vicende che hanno interessato la sommità della collina dopo il periodo romano (numerose ricostruzioni del Duomo, dei palazzi medievali dei Priori e dell'Episcopio, l'edificazione della rocca medievale e la sua totale distruzione due secoli dopo) hanno reso quasi illeggibile il quadro diacronico delle presenze antiche, romane e preromane, che sono in ogni caso testimoniate da numerosi rinvenimenti:
- due fosse a sud del Duomo;
- tombe del periodo italico (villanoviane) contenenti tanto di corredo funebre, individuate durante gli scavi nel sottosuolo del Duomo negli anni Quaranta e nel piazzale dei giardini durante i lavori di realizzazione dell'impianto di irrigazione negli anni Novanta;
- 17 vasi in terracotta scoperti nell'area della collina posta sopra la chiesa di San Rocco contenenti monete e altro;
- strutture romane messe in luce durante gli scavi della basilica paleocristiana, tradizionalmente attribuite ad un tempio, poste sotto al pavimento del Duomo;
- frammenti di statue colossali, rinvenuti sotto al Duomo;
- una cisterna rettangolare sotto ai giardini a sud del Duomo;
- un cunicolo accessibile da un pozzo aperto alla testa della navata destra della chiesa paleocristiana e preesistente a questa.
Il Foro
Nel 1877, nel corso di
lavori nei sotterranei di una casa privata (Giannini) posta dove oggi si trova
il palazzo della ex Banca Nazionale dell'Agricoltura (tra Largo Matteotti e via
Paccaroni, poco più in basso di Piazza del Popolo), sono stati rinvenuti resti
di un edificio e di un lastricato,di un pozzo profondo oltre 10 metri che
immetteva in un cunicolo praticabile, e di statue, pertinenti al foro. Le lastre
erano di finissimo marmo bianco, come quelle di un pavimento, legate fra loro da
cemento.
In precedenza, nei sotterranei di un edificio adiacente, era
stata rinvenuta una statua marmorea colossale di una persona togata, databile in
età claudia, acquistata dal Municipio, ora conservata nel Museo Archeologico di
Fermo.
Nel 1915, durante i lavori di sistemazione dello stesso
stabile, nel frattempo acquistato dal Consorzio Agrario Provinciale di Fermo
(che ne è stato proprietario fino agli anni Cinquanta, quando lo ha ceduto alla
Bna per trasferirsi nella nuova sede fuori Porta San Francesco), venne in luce
una statua iconica marmorea, di età giulio claudia, ora conservata ad Ancona
nel Museo Nazionale delle Marche (dopo una lunga vertenza che coinvolse Comune,
Consorzio Agrario, Ministero e anche i cittadini); successivamente vennero alla
luce anche grossi blocchi e un podio che sosteneva una serie di statue onorarie.
Sia gli ispettori locali che gli esperti del Ministero dei
Beni Culturali, convennero che per le loro caratteristiche le strutture e i
reperti erano da riferire al foro o ad un edificio pubblico eretto in vicinanza
di questo. A conferma di ciò c'è la quota dei rinvenimenti: il lastricato era
posto a quota 279 (a cui arrivavano gli scavi per le fondazioni del Consorzio
Agrario); la quota esterna della cisterna romana più grande, posta sotto al
foro, che costituiva un sostegno di parte dell'area forense, è di 279 metri sul
livello del mare.
Le statue appartenevano ad un ciclo onorario giulio - claudio
raffigurante membri della famiglia imperiale, collocate in un edificio pubblico
o religioso ubicato su un lato o in prossimità del foro.
Il Teatro
Il teatro fu costruito all'interno della città, addossato al pendio settentrionale della collina, tra le quote 309 (affioramento più elevato oggi visibile) e 287 s.l.m. (muro dietro alla scenam, oggi incorporato nei sotterranei della sede centrale della Cassa di Risparmio di Fermo. Fino al Cinque - Seicento il teatro era ancora "leggibile", come dimostrano alcune vedute della città.
Nel 1739, nei lavori di
ampliamento dell'ospedale di S. Maria Novella della Carità (nucleo originario
dietro all'odierno Monte di Pietà), furono rinvenute antiche lastre di marmo di
colore verde nonché resti di un edificio importante.
Attorno al 1780, durante i lavori per l'ampliamento dell'ex
ospedale, per ospitarvi il Conservatorio delle Projette (poi degli Esposti:
edificio che oggi ospita il Collegio Artigianelli), vennero alla luce resti di
edificio che portavano segnato il nome dell'Imperatore Antonino Pio nonché
moltissimi pezzi di marmo, iscrizioni epigrafiche e statue. I lavori però
portarono alla distruzione di buona parte delle restanti strutture del teatro,
soprattutto quelle concernenti l'area della scena; le altre furono inglobate.
Nel 1853, nel corso di scavi effettuati per restauri alla
chiesa del Carmine vennero alla luce un muro romano, elementi architettonici,
lucerne, monete.
Nel 1934, durante i lavori effettuati nei sotterranei della
sede centrale della Cassa di Risparmio di Fermo (ex Palazzo Matteucci) furono
messi in luce un muro romano con nicchie. Oggi restano visibili le strutture che
appartengono alla cavea (foto in alto), al corridoio anulare e all'area dietro
alla scena (queste ultime incorporate nei palazzi anzidetti o sottoterra),
mentre le strutture della scena vera e propria sono andate distrutte nei lavori
del 1780.
La struttura oggi più
evidente è il corridoio anulare esterno del teatro (foto qui a lato),
costituito da due muri che corrono paralleli a circa 3,5 metri di distanza l'uno
dall'altro, seguendo l'area perimetrale del teatro dal Duomo a Via Ognissanti;
in mezzo ai due muri passa una strada, oggi anche carrabile, detta del Teatro
Antico.
Il muro concentrico più interno costituisce oggi il muro
perimetrale esterno del cortile del Collegio Artigianelli. Parte di un terzo
muro, anch'esso concentrico ai precedenti, è visibile nella parte orientale del
cortile del Collegio Artigianelli, purtroppo incorportato nel muro perimetrale
di locali di servizio al Collegio, di recente costruzione. L'estremità della
parete ovest, coperta con volta a botte, è oggi conservata all'interno della
casa Vitali - Rosati (già Matteucci) nella quale venne incorporata nel 1949.
Appartenente invece all'estremità ovest è un corridoio
angolare, coperto con volta a botte, conservato in un vano del Collegio, che
aveva la funzione di accesso. Altri
resti sono conservati nel terrapieno sotto a Via Don Ernesto Ricci. Nel corso
dei già citati lavori del Settecento e Ottocento vennero alla luce una statua
di un Genio, una statua femminile priva di testa e braccia che forse
impersonificava la Tragedia o la Commedia, una testa in traverrtino e un
gorgoneion in marmo.
Appartengono al teatro i due capitelli e le due colonne, in
calcare e scaglia rosa dell'Appennino, oggi conservati, dal 1884, nel cortile
del Palazzo Vitali Rosati in Corso Cefalonia. Trattasi di capitelli e colonne
che risultano canonici nelle forme e nelle proporzioni, databili al III sec.
d.C. sulla base del confronto con capitelli Severiani.
I resti rinvenuti nel 1739 nei lavori di scavo nelle fondmenta
dell'Ospedale secondo la volontà del Borgia dovevano essere conservati a Fermo,
invece essi furono furtivamente venduti al mecenate Marefoschi, amico del
Vanvitelli, che li reimpiegò nella ricca decorazione policroma all'interno
della chiesa della Misericordia a Macerata. Nella ricostruzione assonometrica a
lato (tratta da "Firmum Picenum") il teatro visto da nord: in marrone
le sopravvivenze odierne, molte delle quali incorporate nelle superfetazioni
Medievali, Sei - Ottocentesche e, purtroppo, anche del Novecento. Il
teatro è databile al primo secolo dell'Impero (I sec. a.C.), quindi coevo della
cisterna più grande e di poco precedente alla ristrutturazione urbanistica
augustea dovuta alla deduzione della colonia di veterani.
L'edificio subì più interventi di restauro e di
arricchimento come dimostrano laterizi bollati Antonino Pio e una iscrizione
relativa a Marco Aurelio, quindi appartenenti al II sec., d.C., mentre i due
capitelli oggi conservati nel cortile del Palazzo Vitali Rosati appartengono al
III sec. d.C. Le monete rinvenute nei lavori Sette-Ottocenteschi sono databili
da Augusto (I sec. a.C.) a Gordiano Pio (III sec. d. C.). Rinvenute anche
tessere bronzee, aghi crinali in osso e avorio, lastre marmoree, elementi della
decorazione architettonica, anfore incomplete.
Le Cisterne
Il sistema di drenaggio del sottosuolo urbano e la rete di approvvigionamento e distribuzione idrica sono in parte noti grazie alla sopravvivenza di alcune componenti isolate.
Essi formano un complesso di notevole rilevanza monumentale e urbanistica, unico al mondo, consistente in pozzi, condotti sotterranei, fontane e soprattutto tre cisterne che sono il monumento più noto e menzionato di Fermo. |
Cisterna principale
La più
grande e famosa delle tre cisterne è conosciuta anche come "Piscine
epuratorie (o limarie)"; è ubicata sotto parte di via Paccarone, Vicolo
Chiuso I, Via degli Aceti e di Largo Maranesi e sotto gli edifici adiacenti, fra
cui il Convento di San Domenico e fu costruita con ampi tagli e riempimenti del
versante orientale della collina tra le quote 273 (pavimento) e 279 (volta
esterna) metri s.l.m..
È una grande vasca di tenuta a pianta rettangolare, delle
dimensioni di 65 x 29 metri (planimetria nell'immagine a lato). Il muro
perimetrale è in opus caementicium dello spessore da 1,5 a 1,65 metri con
paramenti in laterizio; all'interno: rivestimento impermeabilizzante in opus
signinum (così denominato forse perché prodotto a Segni, città del Lazio). L'opus
caementicium è costituito da ciottoli fluviali di piccole e medie dimensioni,
frammenti di calcare e malta in abbondanza.
L'interno è diviso da muri ortogonali in opus testaceum (di
mattoni) e impermeabilizzati con rivestimento in opus signinum che formano 30
camere intercomunicanti a pianta rettangolare disposte su tre file. Le camere
comunicano attraverso aperture di varie dimensioni sormontate dai tipici archi a
tutto sesto romani, realizzati utilizzando mattoni in laterizio uniti da
abbondanti strati di malta spessi fino a quasi 3 cm.
Il pavimento è in leggera pendenza verso NNE in modo da
assicurare il deflusso delle acque verso le aperture degli emissari e quindi ai
canali di distribuzione.
Le camere sono coperte da volte a botte di opus caementicium gettato su armature
di legno la cui impronta è ancora visibile. I blocchi di caementa sono
costituiti da materiale tufaceo, più leggero. Lo spessore della gettata arriva
fino a 57 cm.
Al centro di alcune volte si aprono pozzetti, molti dei quali
realizzati in età post romana per accedere alla cisterne dalle nuove abitazioni
sovrastanti che le utilizzavano come cantine. Un pozzetto porta direttamente
all'aperto, in Largo Maranesi (davanti a San Domenico). La cisterna poggia su
una robusta e spessa platea in opera cementizia formata da
conglomerato di malta e caementa di piccole dimensioni con superficie abbastanza
levigata; in alcune camere il pavimento è stato ricoperto con mattoni durante i
lavori di restauro e ripristino del complesso occorsi tra la fine dell'Ottocento
e il Novecento.
La cisterna era alimentata con acqua captata all'interno
della sovrastante collina dai numerosi pozzi e canali sotterranei: essi, a
diverse quote, captavano abbondante acqua potabile e la convogliavano verso la
nostra vasca di tenuta attraverso un grosso condotto che terminava all'interno
della cisterna con tanti piccoli tubuli.
L'esame delle malte, dei laterizi e della tecnica edilizia
porta a concludere che questa cisterna è contemporanea all'altra, posta tra Via
Mazzini e Viale Vittorio Veneto (sotto al Comune) e a gran parte della rete di
cunicoli e canali sotterranei, quindi fa parte di un vasto, organico e
contemporaneo intervento di sistemazione dell'apporvvigionamento idrico e di
altri aspetti dell'urbanistica cittadina. Un impegno pubblico così notevole è
ricollegabile solo ai grossi lavori di ristrutturazione urbanistica della città
che seguirono, in età augustea, la deduzione dei veterani ad opera di
Ottaviano, quindi la realizzione delle cisterne è databile verso la fine del I
sec. a.C.; datazione che non contrasta nemmeno con la tipologia dei laterizi:
nell'area picena l'uso del mattone cotto fu più precoce che in altre parti
dell'impero.
Da un
bollo IMP. ANTO. AUG. (diffuso anche a Ravenna, Rimini, Bologna, Ferrara,
Trieste e in Istria), presente all'interno della cisterna si può dedurre che
essa - a causa dell'usura derivante dalla sua stessa funzione - ebbe
bisogno di essere sottoposta a primi lavori di restauri già in un periodo
databile tra Antonino Pio e i Severi (150 - 300 d.C.).
Come già accennato, nel contesto urbanistico di Firmum, la
principale cisterna non ebbe solo la funzione di vasca di tenuta per l'acqua, ma
anche funzone di contenimento e sostruzione per parte dello spazio forense.
Verso la fine dell'Ottocento la cisterna fu svuotata dai notevoli detriti
accumulatisi nel corso dei secoli, fu restaurata, con l'eliminazione dei
numerosi strappi (realizzati, nelle volte e nei muri perimetrali, dai
proprietari delle abitazioni sovrastanti per utilizzare le sale della cisterna
come cantine) ed è stata in parte riutilizzata come vasca di tenuta dell'acquedoto
fermano fino al 1980 quando sono stati completati gli ultimi lavori di restauro
che rendono la cisterna oggi interamente visitabile e ammirabile nel suo
splendore.
Oggi vi si accede da un ingresso moderno aperto in Via degli
Aceti (foto a lato), l'unico praticabile dopo la chiusura di quelli antichi da
Vicolo Chiuso 1, da Largo Maranesi (ex Convento di San Domenico) e di quelli
medievali aperti da alcuni edifici privati sovrastanti.
Cisterna secondaria
La
seconda cisterna è stata costruita sul versante sud della collina, fra le quote
290 e 295, all'interno di un terrazzamento contenuto a sud da un muro in opus
quadratum oggi prospicente su Viale Vittorio Veneto. Sopra di essa nel XIV
sec. è stato costruito il convento dei Frati Apostoliti, edificio che oggi
ospita gli uffici comunali di Via Mazzini.
L'accesso alla cisterna (oggi utilizzata come Museo
Archeologico) è da Largo Calzecchi Onesti. L'interno è a pianta rettangolare
(28 x 12,6, planimetria nell'immagine a lato); la muratura perimetrale può
essere oggi osservata, nella facciavista e in sezione, in corrispondenza della
parete est, che oggi prospetta su Largo Calzecchi Onesti (capolinea degli
autobus, immagine sopra) e nella quale sono state aperte in epoca succesiva a
quella romana due porte e due finestre. Trattasi di opera cementizia con
ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni e piccoli e medi frammenti di
pietra misti a malta abbondante.
L'interno è suddiviso in sei settori rettangolari coperti
con volte a botte (altezza circa 4,75 metri) da pareti ortogonali nelle quali si
aprono passaggi con archi a tutto sesto e rivestito da laterizi tranne le volte
che sono in opera cementizia a vista, gettata in armature lignee di cui sono
visibili le impronte. Secondo il De Minicis (1841) l'interno era
impermeabilizzato da un rivestimento di uno spesso strato di opus signinum che
però deve essere stato asportato nel corso di lavori abusivi compiuti dopo
l'ultimo dopoguerra.
La cisterna poggia su una platea in opera cementizia; il
pavimento è in conglomerato di malta con pietre di piccole dimensioni. L'acqua
era immessa nelle camere da numerose bocchette; non ci sono più tracce di
emissari, ma l'acqua poteva essere attinta anche dai numerosi pozzetti aperti
sulle volte.
L'ingresso antico era posto sul lato ovest, nella parte superiore della parete
verso la volta, poi coperto in epoca medievale. Oggi vi si accede dal lato est (prospicente
su Largo T. C. Onesti) attraverso una apertura realizzata in epoca tardo
medievale, assieme alle due vicine finestre e ad un nuovo passaggio che la
metteva in comunicazione col palazzo sovrastante: in epoca post-romana la
cisterna è stata utilizzata per diversi scopi, il più importante, dal
Cinquecento all'Ottocento, quello di carcere, quando il palazzo sovrastante era
la sede del Governatore o della Prefettura.
Le caratteristiche strutturali e la tecnica edilizia del
complesso sono analoghe a quella della cisterna principale e inducono a datarla
nella prima età imperiale (I sec. a.C. - d.C.) se non addirittura ad un'epoca
precedente, tardo repubblicana; in questa seconda ipotesi la costruzione di
questa cisterna avrebbe preceduto l'altra e non sarebbe legata ai lavori di
ampliamento urbanistico conseguenti alla deduzione della colonia di veterani
effettuata in periodo augusteo. Dopo svariati usi e numerose modifiche subite
nel corso dei secoli (non da ultimo quella di essere diventata, dal XIV sec., le
fondamenta del convento degli Apostoliti che gli è stato costruito sopra:
odierno palazzo del Comune nella sola ala prospicente su Viale Vittorio Veneto),
la cisterna è destinata dal 1957 a raccogliere la raccolta archeologica del
Comune, già collocata nella Biblioteca e nel Palazzo dei Priori; ristrutturata
negli anni Sessanta e Settanta, oggi ospita l'Antiquarium, Museo Archeologico di
Fermo.
Terza cisterna
Nel
1927, durante i lavori per la costruzione di un serbatoio eseguiti sul Girfalco,
venne alla luce una piccola cisterna rivestita di un laterizio che aveva
caratteristiche affini a quelle della cisterna più importante. Essa è
costituita da quattro ambienti non comunicanti tra loro e coperti con volte a
botte; la larghezza totale della struttura (6,8 x 4,6) è compatibile con le
dimensioni tipiche di cisterne romane, non invece l'altezza, che è solo un
metro e mezzo (planimetria e sezione a lato).
È ubicata a 14 metri di distanza dall'estremità sud-est
della Chiesa Cattedrale alla profondità di 2 metri dall'attuale piano di
calpestio dei giardini, in corrispondenza del punto ove essi presentano una
sopraelevazione, volutamente non carrabile, utilizzata per bambinopoli. A
differenza delle altre due, dopo i rilievi del 1927 essa è stata di nuovo
interrata e oggi non è visibile.
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