MARRUVIUM

 

Nel luogo dove oggi sorge San Benedetto dei Marsi, esisteva una città chiamata Marruvium: il popolo dei Marsi ebbe in essa la capitale (La sua origine è testimoniata anche da Virgilio nel settimo Libro dell'Eneide). Con il prosciugamento della parte del Lago di Fucino, sul quale si affacciava Marruvium, da parte dell'imperatore Claudio, si eliminò il pericolo delle inondazioni e la città crebbe di importanza. Essa ebbe edifici pubblici e privati: il Campidoglio, l'Anfiteatro, un Teatro, un Ginnasio con la palestra annessa, le Terme e una Piscina con bagno. Con il declino dell'Impero romano vennero a mancare i lavori di manutenzione dell'emissario di Claudio, causando l'ostruzione del cunicolo e una conseguente elevazione del livello delle acque del lago; l'inondazione che ne seguì provocò l'allagamento di vaste zone intorno ad esso. Marruvium, essendosi sviluppata nella zona prosciugata, rimase in parte allagata e le continue inondazioni ne causarono la decadenza. Con la caduta dell'Impero romano la città non conservò l'antico nome, ma fu chiamata alternativamente: Marsia, Civitas Marsorum e Valeria. 

Figli di Marte, che possono annoverare anche Marso, figlio della maga Circe, tra i padri della “magica”, stirpe infatti, i Marsi, consideravano Marruvium il principale dei loro municipi, dal titolo Marsi Marruvium (insieme ad Anxa ed Antinum). L’esatta ubicazione di questa città romana, è risultata essere la stessa del territorio sul quale sorge l’odierno paese di San Benedetto dei Marsi. Questa circostanza fa si che l’intero sottosuolo del paese racchiuda un immenso patrimonio archeologico di grande valore storico e artistico. San Benedetto dei Marsi, a m. 670 s.l.m., che sorge su un declivio coltivato al margine orientale dell’alveo del Fucino, in prossimità della Strada Provinciale Circonfucense e che chiude ad anello il letto del lago prosciugato, può vantare di essere stato quella città di provincia, più piccola di Pompei, ma che per la ricchezza ed eleganza di monumenti, pubblici e privati, si èmeritata l’appellativo di splenditissima, prodigato da antiche epigrafi e antichi scrittori. Prospiciente Lucus Angitiae, santuario principale dei Marsi, dedicato alla dea Angitia, divinità principale marsa, Marruvium nel 1 sec. a.C. è elevata a municipio della IV regione augustea, alla fine del Bellum Marsicum, conflitto che termina con la sconfitta dei Marsi, ma con il il sostanziale riconoscimento della cittadinanza romana, la cui figura fondamentale è il condottiero marso, Poppedius Silo, l’Annibale italico. Per tutta l’età imperiale Marruvium sarà il centro più importante, ma anche più romanizzato del territorio marso, con la sua notevole urbanizzazione a maglie regolari, confermata dai recenti scavi, realizzati all’interno del centro urbano, che hanno aggiunto molte informazioni, proprio, sull’insediamento romano del periodo Imperiale e precedente. Il nome del paese odierno è dovuto alla chiesa “San Benedetto nella città Marsicana” e designa un centro urbano che si è sviluppato e trasformato, in modo spontaneo e stratificato, sui resti dell’antica città, di cui abbiamo testimonianze visibili, in scarsa quantità, ma sufficienti a documentarne la passata magnificenza, iniziata con la riedificazione (dopo la distruzione durante la guerra sannitica) per ordine del console Marco Valerio Massimo. Poco si conosce invece del paese dopo la caduta dell’impero Romano, supponendo il suo spopolamento a causa delle invasioni barbariche e delle inondazioni provocate dall’abbandono della manutenzione degli emissari che regolavano le acque del Fucino. Successivamente, dal sec. X in poi, la storia del paese è legata a quella della contea di Celano. E’ tra il XII e il XIII sec. è ancora uno dei centri principali della Marsica con la chiesa di Santa Sabina come sede vescovile e la chiesa di San Benedetto con il monastero sorto sulla casa natale di Bonifacio IV. A causa del periodo angioino, disastroso per tutto l’Abruzzo, alla fine del ‘300 Pietro Berardi, conte di Celano, constatando l’abbandono in cui si trova San Benedetto, trasferisce la sede a Pescina (4 km. circa). Nei secoli dopo il paese è un piccolo borgo di pescatori e contadini infastiditi spesso dalle inondazioni, da cui furono liberati solo dal prosciugamento del lago, concluso nei 1875, dovuto all’impegno dei Principe Alessandro Torionia di cui è rimasta famosa la frase: “O io asciugo il Fucino o il Fucino asciuga me."Inizia quindi un’immigrazione di agricoltori . Ma:" ...t àbbela rase, imméce ‘na mantiene, éve l’immérne, i tridece gennare... ‘N dramme, ‘na traggédje, ‘na ruvine che ‘nn muménte, sénza bombe i spare. La Màrseche devendétte ‘na macere... •..Fu une d’ì più ggrosse tarramute!,.. •..La mòrte svulazzéve i ogni ttante scrivéve i mòrte, tutta strafutténte,... ...Quaccune ch’éve state fortunate jéve ggirénne sopre le macére pe rretruvà la casa sfrantumate, guardénne ‘ne segnale, ‘na rinchjére, na pòrte, ‘na finéstre ‘na facciate... "migliorano le condizioni economiche dell’intera area marsicana. San Benedetto si presenta, in questo periodo, ordinato tra via Valeria e via Romana, con strade lastricate, bei palazzi a più piani, decorati con portali in pietra, balconate in ferro battuto, cornici aggettanti, case unifamiliari ed edifici nobiliari. E giusto la facciata della chiesa di Santa Sabina col suo poderoso portale restò in piedi, insieme ai Morroni. Il terremoto del 1915 distrugge l’intero patrimonio edilizio del paese, ci furono 3700 morti su 4000 abitanti, e con essi va distrutto l’orgoglio di un villaggio che, forte della sua identità, si stava avviando verso un miglioramento sociale, culturale ed eco­nomico prima di essere spazzato via da un tragico, incontrollabiIe, imprevedibile evento, che tutto ha travolto con impeto furioso, “n’ subisse!” “Più bbrutte dell’Apocalisse”. Ma oggi, alle soglie del nuovo millennio, reperti archeologici, di diverso valore, ci parla­no della magnificenza della splenditissima Marruvium imperiale, così come testimonianze storiche, e mitiche di antichi autori. La conoscenza di Marruvium, dei suo “prima”, del suo “dopo” ci introduce, nel patrimonio culturale e tradizionale di quello che oggi è tornato ad essere uno dei centri principali della Marsica (sub-regione abruzzese, che nel centro dell’Appennino centrale, tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, la Valle Longa, i piani Palentini, e protetta dalle cime dei Parco Sirente Velino, controlla da sempre le arterie viarie ed economiche.

Dal testo: 

Sandro D'Amato "il primo prosciugamento del Fucino " Centro Studi Marsicani -Avezzano- 1980

 

Il problema del teatro e delle statue.

Il teatro di Marruvio e le statue che vi furono ritrovate più di duecento anni fa hanno costituito sempre, per me, una specie di mistero e di passione.
La prima volta che me ne sono occupato è stato undici anni fa, quando preparai il primo appello alle competenti Autorità Comune di S. Benedetto dei Marsi e Soprintendenza dì Chieti in data 13 settembre 1969 e a firma mia e di D'Arpizio, perché fossero impedite ulteriori distruzioni nella restante zona archeologica di Marruvio ancora coperta dai campi, posta a sud est dell'odierno abitato di S. Benedetto dei Marsi.
All'esposto allegai una cartina, con l'indicazione dei principali resti dell'antica città marsa. Ma per localizzarvi il teatro disponevo solo delle indicazioni contenute in una relazione sullo stato dei resti di Marruvio, redatta in data 15 maggio 1891 dall'avv. Francesco Lolli di Avezzano per la Commissione Conservatrice dei Monumenti di Antichità e Belle Arti di Aquila. Secondo tale relazione il teatro doveva stare nella parte bassa della città verso il Fucino, a ridosso delle mura; e a conforto di tale localizzazione c'era la presenza di alcuni locali di fattura antica, tuttora esistenti, tra Via Romana e Via dei Sacerdoti, dove il terreno offre una notevole scarpata. Quelle indicazioni non mi quadravano tanto, ma nemmeno avevo elementi diversi, per cui allora localizzai anch'io il teatro in quella zona. E mi sbagliai.
Infatti nell'estate del 1977, insieme agli amici professor Cesare Letta e Giuseppe Grossi, abbiamo fatto una attenta ricognizione in quella zona e ne abbiamo dovuto concludere che lì il teatro di Marruvio non ci poteva stare. Così, se prima la cosa non era del tutto chiara, adesso era buio completo.
A questo punto ritengo opportuno ripubblicare, nella fig. 29, la pianta dei resti di Marruvio, già pubblicata dal Colantoni e dall'Orlandi: in essa è chiaramente localizzato il « teatro ».


la linea A B (all'incirca le attuali Via Romana e Via Pagliarello).
Perimetro delle mura: la linea sottile indica il tracciato probabile delle mura, dove non c'erano resti visibili; le lettere a, b, c, d indicano tratti di mura ben visibili ed elevate rispetto al terreno, mentre le lettere e ed f indicano tratti di mura appena affioranti dal terreno.
Inoltre, la lettera g indica « un masso, che a guisa di macigno... è rotolato nel fosso, quasi rimpetto al punto segnato in pianta con N. 10 m (LOLLI), mentre la lettera h indica < tre cisterne servite per lavoratori, il cui fondo è del diametro di un metro e mezzo » (COLANTONI, p. 251).
Altri resti importanti:
I) « Anfiteatro chiuso da ruderi di due muri ellittici concentrici. Vi si vedono le cavee per le fiere >
2) «Campidoglio, ove fu rinvenuta la lapide che lo attestò. Oggi vi è da capo, per un quarto, la antica semidiruta monumentale chiesa di S. Sabina; e da piedi, pei restanti tre quarti, era l'antico Seminario de' Marsi ».
3) « Teatro, ove furono rinvenute, nel secolo scorso [XVIII] le dodici statue c; trasportate a Caserta ».
4) « Antico palazzo vescovile, oggi stalla, detta loco
5) « Ginnasio, con sedili di pietra tondeggiata, alti da terra mezzo metro, col portico interno, ove furono dissotterrati pezzi di colonne. Il ginnasio e portico sono lastricati i pietre scalpellate ».
6) « Pozzetto di acqua sorgiva, ove fu rinvenuta la testa di Scipione Africano in basalte, riconoscibile dalla cicatrice decussata e dal neo che porta. Ora que sta testa si possiede dal Notaio Cambise di Pescina ».
7) « Strada lastricata, che dal ginnasio va all'anfiteatro ».
8), 9) e 12) Probabili « porte » della città.
10) « Massi sepolcrali entro la città, alti metri quattro »; sarà stato, quasi sicuramente, un altro « morrone n.
11) Morroni attuali: « si vede solo l'ossatura, mentre il rivestimento ne è affatto scomparso, adibitesene per pietre, come si vuole, fin da circa il XVI secolo a ricoprire la facciata della cattedrale di Pescina » (LOLLI). C'era però legato strettamente al teatro un altro argomento che pure mi appassionava da tempo e mi faceva gola: tentare di rintracciare almeno una delle parecchie statue che, secondo varie fonti, furono ritrovate tra i resti del teatro di Marruvio nel 1752.
Una traccia precisa ce l'avevo: era la citazione di una lettera del 3 febbraio 1752 del chietino Romualdo di Sterlich, marchese di Carmignano, che conteneva la prima notizia dei ritrovamento di due statue. Passando per Firenze il 16 maggio 1972, andai tutto speranzoso alla Biblioteca Riccardiana. Vi trovai la lettera che cercavo; essa però diceva semplicemente così: « Vicino la Terra di S. Benedetto nella Provincia dell'Aquila, essendosi fatto uno scavo per ordine della nostra Corte, sono state trovate due statue di marmo, con le seguenti iscrizioni, se chi me l'ha mandate l'ha ben copiate
ANTONIA CLAVDI NERONIS CESARIS nell'altra
M. LIVIVS L.. VS CLAVDIA
Le statue sono giudicate di buon artefice, e credo che arderanno al Museo Reale ».
In quegli anni, infatti, il re di Napoli Carlo III si stava facendo costruire la famosa Reggia a Caserta e le statue di Marruvio sarebbero andate a finire parte a Caserta, appunto alla Reggia, e parte a Napoli, al Museo Archeologico.
Le ho cercate a Caserta. Un compaesano mi ha assicurato di aver visto sotto una statua una targhetta con l'indicazione « provenienza S. Benedetto dei Marsi ». Ci sono riandato apposta, ma non sono riuscito a rintracciare niente.
Né credo che siano quelle o, al massimo, soltanto qualcuna conservate all'interno del Giardino Inglese, In fondo al grande Parco della Reggia di Caserta, perché, stando a numerose indicazioni, una buona parte delle statue di Marruvio sarebbero andate al Museo Archeologico di Napoli.
Le ho cercate invano anche a Napoli. Lo stesso Soprintendente prof. Alfonso De Franciscis, a fine luglio del 1969, mi disse che lui il Museo lo conosceva tutto a menadito, ma che delle statue di Marruvio non sapeva niente.
Ne sono rimasto molto deluso, quasi mortificato. Ma mentre finora ero stato a Napoli e a Caserta quasi sempre occasionalmente, appena mi sarà possibile vi tornerò per farne ricerche accurate e metodiche, con la fiducia di venire a capo
di qualcosa di più concreto . Il giorno 23 febbraio u.s.. ho fatto un nuovo tentativo di rintracciare qualche statua di Marruvio al Museo Archeologico di Napoli. Come riferimento motivo di speranza avevo la statua di Agrippina presente a Caserta prima della fine del XVIII secolo (STILE, p. 36) e poi a Napoli a metà del secolo successivo (DE LUCA, p. 25) e i busti di alabastro di Adriano e di Sabina (ANONIMO, p. 7)
Per la statua di Agrippina ho trovato ben paco in più rispetto a quello che già sapeva. Comunque, ciò ha contribuito a far crescere in me la convinzione che essa deve essere una di quelle ritrovate nel Fucino, nella nuova zona archeologica di Marruvio; ne riparleremo tra poca. Per le altre statue, mi è stato detto che è una ricerca quasi senza speranze.
Invece per i busti di alabastro, al Museo di Napoli ce ne sono esposti solo due, entrambi femminili; ma i personaggi che si ravvisano in essi non sono né Sabina, né altra donna legata m qualche modo al Fucino
Comunque, ero a questo punto, quando nell'ottobre del 1978 mi è successo un fatto nuovo.
Impegnatomi ad approfondire lo studio delle vicende del primo prosciugamento del Fucino ad opera degli imperatori romani, per partecipare al Concorso Marsica 1978, mi è venuta in mente un'idea semplicissima, un vero uovo di Colombo. Infatti da qualche fonte sapevo del ritrovamento delle statue tra i restidel teatro di Marruvio nell'anno 1752 e che in quello stesso anno c'era stato un abbassamento eccezionale delle acque del lago.Ho collegato insieme le due notizie. « Allora ho pensato il teatro non poteva stare vicino le mura della città; doveva stare dentro il Fucino, in una zona normalmente coperta dalle acque c dal limo, osservabile solo quando il lago si ritirava in modo del tutto eccezionale. E se lì, nel Fucino, non doveva stare nemmeno tanto lontano dalla città e comunque nella fascia di terre prosciugate nel II secolo d.C. ».
Quest'idea lì per lì mi aveva quasi sorpreso per la sua semplicità, tanto da rendermi anche un po' diffidente; poi però mi ha convinto e affascinato. Perciò mi sono deciso a tentare una verifica, consultando le foto aeree di quel tratto di Fucino.
A metà febbraio del 1979, tramite un amico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dr. Catizzone, ho avuto la possibilità di esaminare le foto aeree di tutta zona che va da Villavallelonga al Bacinetto. Non erano le foto che mi interessavano. Ma prima di riconsegnarle, quasi per scrupolo, ho cercato di vedere quanto mancava per arrivare a S. Benedetto. E così, all'estremo angolo in alto a destra della foto n. 3356 ho visto l'inizio di Strada 22 e le prime case di S. Benedetto e, subito dopo la curva vicino alla « pesetta » per le barbabietole, un semicerchio piccolino ma ben distinto. È stato un lampo! Quello doveva essere il teatro di Marruvio!...

Notizie sul teatro. Per quanto abbondanti le notizie sulle statue, altrettanto scarse ed enigmatiche sono le indicazioni per il « teatro ».
Parlano del teatro gli stessi cinque autori che parlano delle dodici statue. Le loro indicazioni sono abbastanza generiche, anche se tre di essi Colantoni, Lolli, Orlandi ne precisano il sito nelle loro piantine dei resti di Marruvio, dentro la cinta delle mura dell'antica città;
Cinque autori, di per sé non sarebbero pochi. Però, se andiamo ad esaminare con occhio critico le loro posizioni, vediamo subito che l'Orlandi riporta quasi integralmente il testo della Relazione del Lolli; quest'ultimo, poi, si richiama al Colantoni, infine il Di Pietro e il Colantoni erano entrambi sacerdoti a Pescina e contemporanei, per cui nasce il sospetto che essi esprimano una stessa opinione comune. Così, questi quattro autori si possono forse considerare, tutto sommato, quasi come un'unica fonte.
Nel dubbio, è preferibile astenersi da qualunque denominazione ».
Con questa descrizione, più particolareggiata, concordano le espressioni sintetiche dell'architetto Stile («famosa statua ») e del De Luca (« tenuta a modello di scultura »).
Si distingue da essi il francese Fernique. Egli, infatti, pur riportando la tradizione secondo la quale « nel secolo XVIII furono trovati i resti di un teatro », sulla sua localizzazione, invece, dichiara semplicemente che “ ubi sittrm fuerit hoc theatrum non patet” cioè « dove fosse stato questo teatro, non è chiaro ».
Particolare attenzione merita, invece, quel che ne scrive l'inglese Hoare. Egli parla, infatti, di « un antico edificio, costruito in pietre e opus reticulatum », tra le cui rovine « furono estratti alcuni busti e statue », inviati poi a Caserta. Anche queste sono informazioni abbastanza generiche, che però concordano pienamente con quelle di altri autori che parlano del ritrovamento delle statue. L'Hoare, tuttavia, è l'unico che parla di questo « antico edificio, costruito in pietre e opus reticulaturn »: è un accenno o descrizione che ben si attaglierebbe anche a un teatro. Che poi questo antico edificio fosse proprio il teatro di Marruvio, né si. può affermare, né si può escludere. Comunque, tale edificio cioè il... possibile teatro doveva stare nel Fucino, perché anche 1'Hoare dice che da esso furono recuperate basii e statue, concordando in ciò con tutti gli altri autori che esplicitamente le dicono rinvenute all'interno del Fucino.

Nuova zona archeologica. Quest'altro argomento, trascurato da tutti gli studiosi e storici moderni di cose marsicane, ha invece numerose attestazioni nel passato.
Parlano esplicitamente di resti dell'antica città di Marruvio (o Valeria), affiorati in occasione dell'eccezionale abbassamento delle acque del lago nel 1752, ben credici autori diversi; sette di essi parlano anche di « preziose anticaglie» o altri « oggetti di valore» allora recuperati.

Una posizione particolare è quella dell'Hassert, secondo il quale il Fucino avrebbe dovuto avere nell'antichità una estensione molto minore di quella del secolo scorso; anzi, scrive, « la migliore idea della superficie che il lago allora occupava la dà, forse, l'estensione del 1752 », per cui ritiene che « l'antica capitale dei Marsi dovette evidentemente essere fondata quando le acque non avevano ancona invaso il suo suolo»; e infatti secondo l'Hassert Marruvio doveva stare nel Fucino, perché « le ruine di Marruvio... vennero in luce nel ritiro straordinario del 1752 ».
La nuova zona archeologica di Marruvio. 
Oggi noi conosciamo il perimetro quasi completo delle mura della città di Marruvio e quindi sappiamo benissimo dov'era la vera città di Marruvium, quella attestata dalle fonti antiche e da quelle epigrafiche e dai numerosissimi ritrovamenti archeologici.
Ma allora, i resti affiorati all'interno del Fucino in occasione dell'eccezionale abbassamento delle acque nel 1752, tali da far credere all'Hassert che quelli fossero « Marruvio », cosa erano in realtà?
Ecco un altro grosso problema riguardante Marruvio
Dopo quanto già sappiamo sul prosciugamento del Fucino da parte dei romani, non credo che ci voglia molta fantasia per supporre che quei resti, affiorati nel Fucino nel 1752 non lontano da S. Benedetto, siano i resti di una zona residenziale extra urbana di Marruvio, sorta dopo il prosciugamento del lago verso la metà del II secolo d.C. e « inghiottita » poi dalle acque del lago, quando il Fucino, forse nel VI secolo, tornò a rioccupare i suoi vecchi confini naturali.
Detta così, può sembrare un'affermazione gratuita. Ma, a ben rifletterci, non può essere diversamente: sono troppi gli indizi che ci portano a pensarlo.
Cerchiamo innanzitutto aiutandoci un po' con la fantasia, ma tenendo ben presenti le cognizioni certe che finora abbiamo acquisite di ricostruire le nuove condizioni createsi nella conca del Fucino intorno alla metà del II secolo d.C.
Era stata allora portata appena a compimento la grande impresa romana, liberando dalle acque un'ampia fascia periferica dell'alveo del lago, cd erano state ripartite le nuove terre tra i municipi di Alba e di Marruvio. Nella zona occidentale, compresa tra Paterno e Luco, dove il fondo del lago aveva una pendenza lievissima (e così pure verso Ortucchio), la fascia di terre sottratte alle acque del lago era larga sui quattro chilometri e mezza; invece nella zona Bifronte a S. Benedetto (e anche tra Trasacco e Arciprete), dove la pendenza era più accentuata, la fascia di terre prosciugate era notevolmente più rastrella, all'incirca di un chilometro.
Ora, nel II secolo d.C. in Italia regnava una pace generale c duratura, garantita dall'estensione immensa dell'impero romano, le cui frontiere erano lontane parecchie migliaia di chilometri; non c'era quindi più necessità e interesse ad abitare pigiati dentro la cerchia ristretta delle mura cittadine, che pure per Marruvio avevano uno sviluppo di quasi tre chilometri. Inoltre il benessere arrivato nella Marsica con le nuove fertilissime terre sottratte al lago e l'ampio spazio creato tra la città e la nuova spiaggia del lago, dovettero provocare senz'altro intorno a Marruvio una grande espansione edilizia, in prevalenza verso la nuova spiaggia del Fucino.
Poi però, come abbiamo già detto, qualche secolo più tardi, forse intorno alla metà del VI secolo o anche prima, l'emissario romano cessò di funzionare e il lago tornò ai suoi vecchi confini naturali, sommergendo e inghiottendo tanta vita sotto le sue acque. Così, lì dove per circa quattrocento anni c'era stato fervore di vita, giacciono ora, sotto una sottile coltre di terra, i resti di quella che fu una splendida zona residenziale di Marruvio, in una zona aperta e ariosa, piena di verde.
Sto fantasticando? Certo; ma gli elementi di appoggio a tali voli della fantasia sono parecchi e di notevole valore.
Innanzitutto le foto aeree; abbiamo in fig. 30, la porzione in basso a sinistra della stessa foto di fig. 3, un po' ingrandita per mettere più in evidenza la nuova zona archeologica di Marruvio, all'interno del Fucino. In questa figura si vedono, con notevole evidenza, tracce del nuovo quartiere di Marruvio verso la nuova spiaggia del lago, che mi piacerebbe chiamare il Lido di Marruvio.E forse, più che di un solo nucleo abitato, pare che si tratti di due o tre nuclei diversi, poco distanti tra loro. Se si potessero eseguire altre foto, con tecniche più adatte e ripetute in diverse condizioni di terreno, probabilmente avremmo un esempio magnifico di fotoricerca archeologica.
Ma, oltre alle foto aeree, abbiamo altre conferme, o almeno validi indizi, sul terreno stesso. In tutta quella zona del Fucino compresa tra S. Benedetto e la « piccola cinta », sulla sinistra di Strada 22 andando da S. Benedetto verso Avezzano ci sono numerosi tratti di terreno, a volte molto ampi e a volte ristretti e ben marcati, in cui i prodotti agricoli (patate, barbabietole, erba medica e simili) crescono stentati o non crescono affatto. Con termine locale, questi particolari tratti improduttivi di terreno sono detti « macréte ». Alcuni casi di questo fenomeno li ho visti anch'io, nell'estate scorsa, nei mesi di luglio e di agosto; ma le conferme da parte dei contadini, che hanno terreni nella zona, potrebbero essere numerosissime e localmente precise. Sono tratti di terreno sotto i quali sicuramente ci sono resti archeologici.
In questi ultimi tempi il fenomeno si è ridotto, a causa delle forti concimazioni e dell'irrigazione artificiale; ma in passato esso era molto più accentuato. Tant'è vero mi è stato confermato da più parti che all'epoca dell'assegnazione delle terre dopo la riforma agraria nel Fucino, e cioè intorno al 1952, i contadini non volevano l'assegnazione dei terreni in quella zona, perché sterili o comunque poco produttivi, proprio per la presenza delle macrete.
Ma ne abbiamo un'altra conferma in parecchie notizie del passato, ritenute finora sbagliate o inesatte o fantastiche, ma che invece oggi, alla luce della nuova scoperta fotografica, acquistano grande valore e sono di una esattezza e veridicità sorprendenti!
Eccone alcuni esempi.Ignazio Stile, riferendosi agli anni di Carlo III (intorno alla metà del '700): « In cotal tempo... si videro all'asciutto le ruine della antica Valerla presso S. Benedetto ». Margarita: « ... circa la metà del secolo XVIII il Fucino si restrinse tanto che apparvero le ruine dell'antica Valeria presso S. Benedetto ». Romanelli, parlando di Marruvio: « Famosa città de' Marsi alla riva del lago Fucino, ed ingoiata in parte dallo stesso lago ». Anonimo napoletano, riferendosi al « decrescimento che giunse al colmo nel 1752 »: « Apparvero allora gli avanzi della sommersa Marruvio presso S. Benedetto ». De Luca: « Sotto il regno di Carlo III... l'abbassamento del livello del Fucino superò tutti quelli che avvennero posteriormente. Si videro scoperte le ruine dell'antica Valeria presso il Comune [! ] di S. Benedetto ch'è sulla costa orientale... ». Hassert: « Le rovine di Marruvio che vennero in luce nel ritiro straordinario del 1752 ».
Addirittura l'architetto Stile, all'inizio della sua Relazione, parla di « Valeria, Archippe, ed altre città, le ruine delle quali veggonsi ora sotto l'acqua »! E la stessa straordinaria circostanza è confermata, oltre un quarto di secolo dopo, dall'ingegnere De Fazio: « Archippe Marruvio, Valeria e Penne mostrano le venerande loro rovine sotto le acque del lago». Si tratta qui di due testimonianze particolarmente significative e degne di attenzione, perché sia lo Stile che il De Fazio erano professionalmente ben qualificati ed erano stati inviati nel Fucino con incarichi ufficiali.
Qualche anno dopo (1822) anche Afan De Rivera che ebbe successivamente dal governo di Napoli l'incarico dello spurgo della galleria di Claudio scriveva che « le città di Valeria, Penne, Archippe ed altre... ora si trovano sotto il dominio delle acque ad una considerevole distanza dal lido ».
Ora, noi sappiamo che la vera Marruvio stava grosso modo dov'è ora S. Benedetto dei Marsi, fuori del Fucino, sopra la parie rialzata della costa del lago, dove quindi il lago non poteva esserci e da dove, di conseguenza, non poteva nemmeno ritirarsi. Perciò quelle notizie e affermazioni sulle rovine di Marruvio all'interno del lago Fucino, noi le consideravamo fantastiche o perlomeno inesatte; anzi più di qualcuno ha fatto in passato quasi dello spirito su Archippe « ingoiata » dal lago . Ed invece ora veniamo a sapere che la stessa Marruvio o più precisamente un suo quartiere extra urbano fu « ingoiata » veramente dal lago, fino a cancellarne oggi ogni traccia visibile; tracce ancora visibili, invece, sott'acqua verso la fine del secolo XVIII, all'epoca dello Stile, e anche dopo!
Ed ora vorrei far rilevare anche quanto erano esatte quelle indicazioni. Esse parlano tutte si noti bene di rovine di Marruvio (o Valeria) presso S. Benedetto, non a S. Benedetto o dentro S. Benedetto, come ci saremmo aspettati per la vera Marruvio. Quindi si tratta, evidentemente, di resti e di rovine ben distinte da quelle della Marruvio storica, che finora conoscevamo. Anche lo Sterlich, che è il primo a parlare dei ritrovamenti di stante, dice « vicino la Terra di S. Benedetto ».
Osserviamo anche una particolarità che emerge dalle espressioni usate da alcuni di quegli autori. Chi sapeva bene come il Romanelli e l'Afan de Rivera che Marruvio stava sulla costa e un po' in allo rispetto al livello del lago, si sarà trovato forse imbarazzato a dare una identità a quei resti emersi nel 1752 all'interno del Fucino, poco lontano dal sito di Marruvio; e si sono tratti dall'imbarazzo per il rotto della cuffia, con un po' d'astuzia salomonica. Il Romanelli, infatti, ha scritto: « famosa città... ingoiata in parte dallo stesso lago»; Afan de Rivera usa anch'egli un'espressione simile: ".. nel 1752 una porzione di essa venne fuori dalle acque". Anche il Lampani ha risolto 1o stesso problema allo stesso modo, ma con una leggera variante, scrivendo che quelli erano « gli avanzi della parte inferiore della città di Marruvio »! Solo l'Hassert identifica quei resti nel Fucino direttamente coi resti di Marruvio, ricorrendo però all'artificio di ipotizzare per la città due siti diversi: uno, originario, nel Fucino; l'altro, successivo, sulla costa, dove sta ora S. Benedetto.
Ecco, quindi, che avevamo molte indicazioni preziose, ma noi moderni e "presuntuosi" le ritenevamo almeno inesatte; non siamo sfati capaci, per tanto tempo, di comprenderne l'esattezza e apprezzare il loro grande valore!
Io provo, a questo punto, quasi un senso di colpa verso tanti benemeriti scrittori del passato, ai quali chiedo umilmente scuse per il presuntuoso giudizio di sufficienza che io, ed altri, abbiamo avuto finora, ingiustamente, nei loro confronti!
E riprendiamo ora il nostro discorso.
E chiediamoci in quali condizioni si potrebbero trovare oggi i resti del Lido di Marruvio e in particolare del suo « teatro ».
Pensando a questa domanda, mi è venuto spontaneo un accostamento a Pompei, perché qui nel Fucino noi abbiamo "si parva licet componere magnis" una nuova piccola Pompei. Ma in quanto diverse condizioni!
La Pompei famosa fu bloccata nel giro di poche ore, all'improvviso, e dei suoi edifici molti si sono conservati in ottime condizioni, perfino le pitture, perfino il pane! Invece al Lido di Marruvio la morte arrivò lentamente e gli abitanti ebbero il tempo di portarsi via tutto, prima di abbandonare alle acque le loro case. E poi le acque, con la loro azione disgregatrice, devono aver fatto crollare tutto, creando, col materiale sparso, ampie « macréte ».
Eppure, tra tante rovine, devono pur esserci tracce dell'impianto cittadino, devono essersi salvate le parti basse degli edifici migliori; le mura devono essere crollate, ma 1ì, a terra, devono esserci ancora elementi architettonici, iscrizioni, forse anche altre statue di altri personaggi, come quelle della famiglia Giulio Claudia, come i busti di Adriano e di Sabina! E sicuramente ci saranno altre « preziose anticaglie », come quelle recuperate nel 1752!...
L'esperienza amara del passato.
Ma vedo che di nuovo la fantasia mi riprende la mano: la fantasia e il sentimento sono più forti di me! Eppure so bene che la fantasia, alimentata dallo spirito di attaccamento alla propria terra natale e, in questo caso, anche da una certa euforia per la bella scoperta porta a pensare facilmente a cose che poi la realtà spesso smentisce. Anzi, nel caso specifico di Marruvio, la realtà e l'esperienza del passato sono fin troppo amare e inducono solo a cautela e pessimismo.
Infatti di Marruvio, la « città splendidissima » dei Marsi, resta oggi ben poco. La saccheggiarono i barbari, l'hanno squassata i terremoti, l'ha sommersa più d'una volta il Fucino. Ed oggi lo dico con profonda amarezza quelle altre poche cose che ogni tanto affiorano ancora, le continuano a distruggere e le lasciano distruggere i sambenedettesi.
Quando fu costruita la Garbatella , quel cantiere fu un vasto saccheggio. Nel 1969, durante i lavori per la rete idrica e fognante, fu scavato per un paio di metri di profondità tutto il corso principale, rompendo muri, spezzando grossi blocchi di pietre squadrate, frantumando impietosamente mosaici e intonaci dipinti e altra. Dopo il 1970 fu lottizzata un'ampia estensione di terreni nella zona archeologica, e lì nuove costruzioni private e pubbliche hanno provocato altre distruzioni.
Nel gennaio del .1974 feci salvare una diecina di pezzi di colonne e una grande iscrizione ,usciti da un ampio scavo per l'ampliamento dell'albergo « Ragno »; ma altro materiale, il più, era già andato a finire allo scarico e lì resta ancora sepolto. Un paio d'anni dopo, quello scavo fu ampliato ancora. Lì vicino, alcuni anni prima, erano usciti una base e un rocchio di grande colonna, della stessa fattura e dimensioni di quelle trovate nel '74. Quelli erano evidentemente tutti resti di uno stesso grande edificio, certamente un tempio grandioso, forse il Campidoglio.
Lì comunque doveva essere il cuore di Marruvio.
Ma la insensibilità delle autorità dell'epoca e la loro incapacità di vigilare e agire hanno contribuito, unitamente all'interesse privato, allo scempio più grave ai danni della città principale dei Marsi.
E nell'estate 1975, per compir l'opera, è stata ricoperta quasi del tutto anche l'area più sacra di S. Benedetto: il luogo dove la tradizione dice che fosse la casa paterna del papa S. Bonifacio IV, dove prima del terremoto del 1915 sorgeva la chiesa benedettina, le cui pietre, in gran parte vendute per quattro soldi molti anni fa, sono ora completamente disperse o sotterrate, insieme con una grande iscrizione!
In tanti altri paesi, una piccola cosa antica che trovano, la salvano e la custodiscono con cura, quasi amorevolmente. A S. Benedetto tutto si distrugge! .... E nessuno fiata, nessuno interviene di quelli che hanno il compito di tutelare certi beni.
Ma danni ai resti di Marruvio non li hanno fatti solo i sambenedettesi.
Nel settembre del 1971 cominciarono gli scavi dell'Anfiteatro, per conto della Soprintendenza. Ci fu subito un grande interesse nella popolazione, e venivano gente anche da fuori, anche da lontano; per sabato 17 marzo 1979 doveva venire anche una comitiva dell'Archeoclub di Roma. Poi però i lavori furono abbandonati per tre anni; ripresi nel 1974 e riabbandonati ancora.
Così quelle strutture, una volta coperte e protette dalla terra pietosa, adesso sono esposte alle intemperie e rischiano di crollare; così quello scavo, costato milioni al contribuente italiano, è ora una putrida fossa per rospi e sterpaglie. Sarebbe stato meglio che non l'avessero mai toccato l'anfiteatro, anziché ridurlo a quel modo...
E non parlo poi del modo gobbo e sgraziato con cui è stato ricoperto uno dei due “morroni”: una vera bruttura. Per fortuna, almeno l'altro se l'è scampata!...
Ed allora, se tanto mi dà tanto, anche per il « teatro » e per il resto vedo nero. Ma ripetere ora gli stessi errori e manchevolezze del passato, sarebbe cosa assolutamente imperdonabile.
Per fortuna, sono passati diversi anni: ci sono oggi uomini nuovi a certi posti di responsabilità, ci sono anche nuove competenze regionali. Ci sono quindi condizioni nuove, che lasciano sperare che almeno queste nuove insperate vestigia di Marruvio possano sfuggire alla misera sorte degli altri resti della città e che possano rivedere la luce del sole sotto migliori auspici.
Alle Autorità competenti statali, regionali, locali vorrei ripetere un invito pressante, affinché prendano subito i più opportuni provvedimenti per l'accertamento e la salvaguardia di questi nuovi importantissimi reperti di Marruvio.
Ai miei concittadini, una preghiera di cuore: non permettiamo che si distruggano anche queste ultime preziose testimonianze della vita dei nostri lontani antenati marruvini.

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