NEAPOLIS

 

 

 

Sulle Tracce della CITTA' ANTICA

 

L'itinerario ha inizio in prossimità del Museo Archeologico Nazionale e termina in piazza del Gesù Nuovo. Si costeggia inizialmente l'acropoli della città antica, osservando diversi settori della cinta muraria greca. I primi suoi resti sono in piazza Cavour [1] , dalla quale rapidamente si risale verso largo Sant'Aniello a Caponapoli [2] per giungere poi, attraversando via Sapienza, in via Costantinopoli e quindi in piazza Bellini [3]. Attraversata idealmente l'antica porta urbica, si prosegue per via Tribunali, la plateia mediana della città greca. Primo elemento da osservare è il campanile della Pietrasanta [4], testimonianza rilevante per la presenza di numerosi frammenti antichi riutilizzati. Questi, presenti anche all'interno di altre costruzioni, caratterizzeranno i paramenti murari degli edifici ubicati lungo il percorso. Si raggiunge poi piazza San Gaetano, sito dell'agorà greca, poi forum romano, e si accede al complesso di San Lorenzo Maggiore [5], che con la sua parte sotterranea rappresenta il fulcro dell'itinerario. Sulla piazza, inoltre, prospetta la chiesa di San Paolo Maggiore [6], che in facciata presenta elementi del tempio dei Dioscuri. Volgendo a destra, per via San Paolo si giunge alla plateia superiore, attraversando la zona dei teatri [7]. 



 1  piazza Cavour
 2  Sant'Aniello a Caponapoli
 3  piazza Bellini
 4  largo della Pietrasanta
 5  San Lorenzo Maggiore
 6  San Paolo Maggiore
 7  via San Paolo
 8  Duomo
 9  Vico I Carminiello ai Mannesi
10  largo Corpo di Napoli
11  palazzo Corigliano
12  Santa Chiara

Imboccata via dell'Anticaglia, si passa al di sotto degli arconi del teatro romano e si arriva in via Duomo, dove, all'interno della cattedrale, si visita un'altra area archeologica sotterranea [8]. Si imbocca poi vico I° Carminiello ai Mannesi, dove si scorgono gli imponenti resti di un edificio romano [9]. Ritornando su via Duomo, ci si immette in via San Biagio dei Librai, la plateia inferiore, e si raggiunge la statua del Nilo [10] e, subito dopo, piazza San Domenico Maggiore: qui, al di sotto del cortile di palazzo Corigliano, sono visibili strutture antiche [11]. Ultima tappa del percorso è lo scavo posto all'interno del complesso di Santa Chiara [12]. La visita si conclude in piazza del Gesù Nuovo, dove, immaginando di aver oltrepassato un'altra porta della città antica - la porta Cumana - si esce da Neapolis.

 

Piazza Cavour: Mura Greche
Sant'Aniello a Caponapoli: Acropoli
Piazza Bellini: Mura Greche
Largo della Pietrasanta: Campanile
San Lorenzo: Complesso Archeologico
San Paolo: Tempio dei Dioscuri
Via San Paolo: Teatri
Duomo: Complesso Archeologico
Carminiello ai Mannesi: Edificio di età imperiale
Largo Corpo di Napoli: Statua del Nilo
Palazzo Corigliano: Complesso Archeologico
Santa Chiara: Complesso Termale

 


 

Piazza Cavour: mura greche

Le mura visibili in piazza Cavour sono state portate alla luce negli anni '50 nel corso dei lavori per la costruzione dell'istituto scolastico Salvator Rosa e della retrostante rampa Maria Longo, che oggi in parte sovrasta lo scavo. Nel corso di tali lavori, che comportarono anche la demolizione delle mura aragonesi, rimaste intatte fino ad allora in aderenza al tracciato di quelle più antiche, fu distrutta anche una buona parte delle sottostanti strutture greche, come peraltro documentato da recenti saggi effettuati nella zona. Posto ai piedi dell'acropoli, tale tratto di mura difendeva un'area già naturalmente protetta attraverso bruschi dislivelli, dei quali questo ricalcato dalla fortificazione è attualmente il più chiaramente percepibile. La porzione di mura risparmiata dai lavori appartiene quasi interamente alla fase di IV secolo a.C. delle fortificazioni, ad eccezione di un piccolo tratto relativo alla cerchia di V secolo a.C., rinvenuto nel corso di recenti scavi. I blocchi, contrassegnati dai marchi di cava (lettere dell'alfabeto greco incise nella pietra al momento della estrazione), costituiscono un lungo muraglione, conservato per un'altezza di oltre 9 metri: il muro, leggermente inclinato verso la collina retrostante, la sovrasta con una sua estremità lasciando a vista la struttura interna della fortificazione conservata per una altezza inferiore. 

Questa era costituita da due cortine parallele di blocchi collegate da briglie trasversali: la cortina interna, del V secolo a.C., della quale non rimane a vista che un solo blocco, era realizzata in ortostati (ovvero con blocchi posti a coltello) e doveva foderare il ciglio della collina; ammorsata o semplicemente appoggiata ad essa con le briglie di collegamento, la cortina esterna, di IV secolo, realizzata in assise piane, raddoppiava, potenziandola, la cerchia muraria.

 


 

S. Aniello a Caponapoli: acropoli

Salendo per la rampa Maria Longo si raggiunge la sommità della collina di Caponapoli, l'antica acropoli. La città greca trovava nella movimentata orografia della zona una roccaforte naturale, difesa da profondi valloni (via Foria a nord e via Santa Maria di Costantinopoli a ovest) che la separavano dalle colline di Capodimonte e del Vomero. Nonostante ciò, un imponente sistema di mura proteggeva questa parte della città, più esposta agli attacchi dalle zone interne. Purtroppo le numerose testimonianze archeologiche, rinvenute a partire dagli anni '50, rimangono quasi completamente nascoste e frazionate tra la chiesa di Sant'Aniello, il largo antistante e le vicine strutture ospedaliere. Negli anni '80, in largo Sant'Aniello e sotto l'adiacente Villa Chiara, sono stati portati alla luce strutture della cinta di V secolo a.C. e del potenziamento di IV secolo, tratti della fortificazione angioina e una cisterna del XVII secolo. In via Sant'Aniello, tra Villa Chiara e la clinica di Semeiotica Medica, negli anni '60, durante l'abbattimento dell'ex convento di San Gaudioso, era stato già rinvenuto un muro a doppia cortina con all'interno una scaletta che portava probabilmente al cammino di ronda. Oltre largo Sant'Aniello, poi, la fortificazione prosegue all'interno della omonima chiesa, costruita nel tardo '500 inglobando la cappella di S. Maria Intercede (VI secolo d.C.). L'indagine archeologica del 1979 ha consentito di identificare un muro a doppia cortina allineato con le fortificazioni di V e IV secolo rinvenute all'esterno. Altre esplorazioni lungo la navata della chiesa hanno portato alla luce un secondo muro a doppia cortina ed un'ulteriore cortina di blocchi, databile forse al III secolo a.C. Da questa zona, poi, le mura proseguivano in direzione di via S. Maria di Costantinopoli. Lo scavo recente di S. Aniello a Caponapoli ha portato alla luce una serie di reperti, forse pertinenti a un sacello rurale, databili all'ultimo quarto del VI secolo a.C., che fanno pensare ad uno sfruttamento della zona per uso agricolo da parte dei coloni di Partenope, in un momento precedente dalla fondazione di Neapolis. 

L'area di Sant'Aniello a Caponapoli, abbandonata in tarda età imperiale e rioccupata in età angioina, tornerà ad assumere, alla fine del XV secolo, una funzione religiosa, che conserverà fino agli inizi del '900, quando all'interno di alcuni edifici conventuali verranno collocate le cliniche universitarie.

 


 

Piazza Bellini: mura greche

 

Il tratto di mura in piazza Bellini è stato portato alla luce nel 1954 a seguito di lavori per l'installazione di una cabina elettrica. Nel 1984, poi, nuovi lavori nella piazza hanno portato alla luce un'altra porzione di fortificazione, oggi reinterrata. Queste mura sono state di recente datate IV secolo a.C. a prova del potenziamento dell'insediamento urbano di Neapolis che si rendeva necessario per una migliore difesa da possibili attacchi delle popolazioni sannitiche dell'entroterra. Lo scavo si sviluppa a cielo aperto per una lunghezza di circa dieci metri, ad una profondità di circa tre dall'attuale livello stradale. La conformazione del terreno in questa zona è stata profondamente modificata: nel IV secolo il piano antico era sottoposto di circa dieci metri rispetto a quello attuale, e questo tratto di mura correva lungo il ciglio di una collina, ora completamente spianata, e alla sommità di un vallone, oggi colmato e coincidente con l'asse via S. Maria di Costantinopoli-via S. Sebastiano. La fortificazione era costituita da due cortine di blocchi di tufo, una in ortostati l'altra in assise piane, poste ad una distanza di circa due metri e mezzo, e presentava briglie di collegamento tra esse e tra quella interna e il declivio della retrostante collina. La cortina esterna presenta poi una struttura sporgente, nella parte meridionale, che fa ipotizzare una deviazione della cerchia muraria, forse corrispondente ad una porta (Porta Domini Ursitate, nel medioevo Porta Donnorso) in prossimità della zona compresa tra il monastero di S. Pietro a Majella e Port'Alba. 

L'appartenenza di questo tratto di fortificazione alla fase di IV secolo sembra essere stata confermata da nuove indagini sulla base della datazione dei materiali rinvenuti. Le differenti tecniche costruttive delle due cortine fanno tuttavia ritenere ad alcuni studiosi che ci si trovi di fronte ad una fase di V secolo a.C. rafforzata nel corso della seconda metà del IV secolo.

 


Largo della Pietrasanta: campanile

 

Il complesso monumentale di Santa Maria Maggiore, detto della Pietrasanta, presenta una notevole stratificazione: al di sotto del largo, infatti, sono presenti strutture del III secolo a.C., oggi non visibili; ulteriori reperti sono inclusi nella chiesa seicentesca, costruita su di una precedente basilica paleocristiana; inoltre, molteplici elementi di spoglio sono utilizzati nel campanile di età ducale (VI secolo d.C.), che può così considerarsi un esempio emblematico del fenomeno del reimpiego di materiale antico a Napoli. Infatti, se l'impianto urbano della città greca è rimasto sostanzialmente inalterato, non altrettanto può dirsi per le sue architetture, ormai scomparse perché mascherate o distrutte dal nuovo che ha via via sostituito l'antico. Tutta la città è disseminata di elementi greci e romani inseriti nelle nuove costruzioni a scopo strutturale o decorativo: dal caso emblematico della cappella di Santa Restituta al Duomo, a quello della basilica di San Giovanni Maggiore, nella cui abside sono incorporati pilastri di età flavia, al campanile della quattrocentesca cappella Pappacoda, che documenta il primo caso di reimpiego a scopo non solo strutturale ma decorativo. A differenza del campanile della cappella Pappacoda, quello della Pietrasanta fu quasi interamente realizzato con materiale di spoglio: i mattoni e le parti lapidee, infatti, sono tutti frammenti provenienti da edifici smantellati; nella parte basamentale l'inserimento di elementi antichi, quali colonne, sarcofagi, basi e fregi marmorei, ha funzione prevalentemente strutturale; nella sommità, invece, l'uso può dirsi prevalentemente decorativo, come nel caso della bifora occidentale. L'importanza del sito della Pietrasanta sta però anche nelle informazioni topografiche che l'analisi dell'area può darci: gli scavi compiuti nel sagrato della chiesa negli anni '80, infatti, hanno rivelato l'originaria larghezza della plateia mediana (via Tribunali). 

Le insulae antiche sono risultate più arretrate rispetto alla strada odierna, a testimoniare che la plateia, in epoca antica, era assai più larga di oggi; il campanile, che con il muro dell'arcata rivolto verso la chiesa si imposta su uno dei muri di un edificio di età imperiale, individua al di sotto di essa la larghezza originaria della strada, calcolabile in circa 15 metri

 


San Lorenzo: complesso archeologico

 

L'invaso irregolare di piazza San Gaetano è ciò che resta di un più vasto spazio aperto corrispondente al centro civile e religioso della città antica: quest'area è stata infatti da sempre riconosciuta come il forum di età romana, coincidente a sua volta con l'agorà della città greca. Le indagini archeologiche hanno evidenziato che la sistemazione di epoca romana, databile al I sec. d.C., ricalcava un'organizzazione più antica: già dal V secolo a.C., era stata disegnata al centro dell'abitato una piazza che, sfruttando il pendio della collina, si era distribuita su due livelli, a monte ed a valle di via Tribunali, con la necessaria edificazione di strutture murarie di contenimento e di una gradinata che collegava la zona inferiore, destinata alle attività commerciali, con la parte alta, riservata a funzioni politiche. Una vera e propria zona archeologica si estende oggi sotto la chiesa di San Lorenzo Maggiore. All'interno del chiostro settecentesco è visibile parte del macellum, il mercato romano databile alla seconda metà del I secolo d.C.: era costituito da uno spazio porticato rettangolare su cui si aprivano botteghe, e da una zona interna scoperta e pavimentata a mosaico, al centro della quale era collocata una tholos, un edificio circolare destinato alla vendita degli alimenti. Sono però i livelli inferiori dello scavo a chiarire la complessa strutturazione dell'intera zona. All'età greca rimanda il tracciato di una strada, uno stenopos di Neapolis messo in luce al di sotto del transetto, ricoperta da un lastricato del V secolo d.C.; la strada, correva lungo il lato orientale di un complesso edificio romano che, articolandosi in tre ali, risultava essere il sostegno artificiale della terrazza sulla quale era posizionato poi il mercato, contribuendo nello stesso tempo a definire la porzione inferiore del foro. La costruzione si componeva di piccoli ambienti, aperti sulla strada e voltati a botte, identificati come tabernae: facevano eccezione solo tre di essi, che probabilmente costituivano l'erario cittadino. 

Tale organizzazione rimase in luce fino agli ultimi anni del V secolo d.C., quando, colmata la zona da strati di natura alluvionale, si dette il via alle successive trasformazioni culminate nel XIII secolo con la costruzione del convento e della basilica gotica, che comportarono la definitiva scomparsa di tutte le strutture precedenti.

 


San Paolo: tempio dei Dioscuri

 

Il tempio, che era nel luogo dove oggi sorge la chiesa di San Paolo Maggiore, fu edificato in età tiberiana (I sec. d.C.), ma alcuni resti rimandano ad un precedente edificio di epoca greca, verosimilmente danneggiato in seguito agli eventi sismici del 62 d.C. Dedicato ai gemelli Castore e Polluce, divinità patrie di Neapolis insieme ad Apollo e Demetra, il tempio dominava il forum dalla sommità di un alto basamento, così come oggi la chiesa domina piazza San Gaetano. "La più bella e antica macchina", come la definì il Celano, era arricchita all'ingresso da un pronao su colonne corinzie, sei in facciata e due laterali arretrate; la facciata si completava con un frontone, decorato nel timpano con figure ad altorilievo.

 

 Dell'antico tempio oggi rimangono, oltre a due delle otto colonne della facciata, solo un frammento dell'iscrizione dedicatoria presente sull'architrave, riutilizzato come lastra tombale nella certosa di San Martino, ed i due torsi dei Dioscuri, ora conservati al Museo Archeologico. La costruzione rimase intatta per lunghi secoli, fino a quando, tra il finire dell'VIII ed i primi anni del IX secolo, non sorse su di essa una chiesa cristiana, già dedicata a San Paolo, che conservò per molto tempo l'impostazione planimetrica ed il grandioso prospetto.

 A partire dal XVI secolo, l'edificio fu però sottoposto a radicali cambiamenti da parte dei padri teatini, per volontà del fondatore dell'ordine, San Gaetano da Thiene: a più riprese, essi intervennero sull'edificio per trasformarlo (1538-1576) ed ampliarlo (1581-1603). 

Furono proprio questi interventi, ed ancor più quelli che coinvolsero anche l'originaria facciata, rimasta inalterata fino al 1671, a determinare la completa trasformazione dell'antica macchina, che purtroppo non resse agli urti dei terremoti del 1686 e del 1688. Nei successivi restauri (1712-1773), abbandonata l'idea di ricostruire il tutto, oltre ai torsi dei Dioscuri inseriti in due nicchie sotto le statue di San Pietro e San Paolo, dalle quali furono rimossi nel 1972, solo due delle sei colonne dell'antico fronte furono destinate ad arricchire la nuova facciata della chiesa.

 


Via San Paolo: teatri

 

Ai piedi dell'acropoli si trovano i resti di un teatro scoperto e di un odeion (teatro coperto) d'eta' romana. La presenza delle strutture antiche, quasi completamente inglobate nelle costruzioni moderne, è denunciata in modo visibile dall'andamento curvilineo di via dell'Anticaglia e di via Pisanelli, che altera il regolare tracciato viario greco. Le fonti storiche documentano ampiamente la fortuna dei due teatri napoletani, frequentati dagli imperatori durante i loro soggiorni napoletani. In seguito l'importanza dei teatri si ridusse progressivamente, finché‚ non si giunse al loro abbandono ed al riuso delle strutture in successive costruzioni. Verso la fine del XVII secolo il teatro scoperto fu danneggiato da un forte terremoto, che provocò il crollo di alcune sue parti e portò all'apertura di vico Cinquesanti, lungo il quale è tuttora possibile scorgere le strutture del theatrum nudum. Di esso sono state individuate tre fasi distinte: quella augustea, riscontrabile essenzialmente nelle fondazioni e nelle sostruzioni della cavea; quella della tarda età flavia, che riguarda la gran parte dell'elevato e della scena; e quella della fine del II secolo d.C., consistente prevalentemente in opere di consolidamento. Solo di recente, durante i lavori in via San Paolo successivi al sisma del 1980, sono state portate alla luce (e documentate) alcune strutture antiche del theatrum tectum, che ha la sua traccia più evidente nella curva di via Pisanelli. L'analisi di tali strutture, tutte site ai piani cantinati degli edifici di via San Paolo (sei vani paralleli), ha permesso di individuare diverse fasi costruttive. 

La meglio documentata è l'ultima, risalente all'età flavia, alla quale sono riferibili alcuni frammenti di stucco e di lastre marmoree che testimoniano della ricca decorazione dell'edificio. Ma forse l'elemento più significativo è un muro in blocchi di tufo che, incorporato nelle strutture, fa pensare all'esistenza di una più antica costruzione nella zona, secondo alcuni il teatro greco di Neapolis.

 


Duomo: complesso archeologico

 

Il complesso formato dal Duomo e dalla Curia arcivescovile occupa, della Napoli greca, l'estrema porzione orientale, che, fin dalla fondazione, fu preferibilmente destinata ad usi religiosi, come lascerebbe intendere la tradizione antiquaria che descrive un edificio sacro dedicato in età romana, ad Apollo. Nel periodo repubblicano tale zona fu sicuramente interessata da un'intensa urbanizzazione, seguita, in epoca imperiale, da una serie di ristrutturazioni a completamento del quartiere urbano, indicato allora come Regio Herculanensis. L'avvento del cristianesimo fece sorgere nell'area numerosi edifici religiosi: la basilica di Santa Restituta, il battistero di San Giovanni in Fonte (IV secolo) e la basilica del Salvatore, detta Stefanìa dal nome del fondatore, il vescovo Stefano (inizi VI secolo). A questi, molti altri se ne aggiunsero nei secoli a venire, per essere poi trasformati o addirittura distrutti nel XIII secolo, quando fu costruita la nuova cattedrale. Alla fine degli anni '60, i lavori di restauro del Duomo hanno portato alla luce un vasto complesso archeologico, distribuito su un ampio arco cronologico esteso dal periodo greco al Medioevo. In un'area esterna alla basilica è stato rinvenuto un ampio tratto di pavimentazione stradale con grossi blocchi di tufo, ancora segnati da solchi prodotti dal passaggio dei carri, attribuito ad epoca greca. In prossimità dell'ingresso alla zona archeologica si estende invece una serie di ambienti di età imperiale, realizzati in opus reticulatum e con volte in conglomerato cementizio. E presso la strada greca è rintracciabile un altro interessante elemento di età romana: una tubazione in piombo che porta ben chiaro il sigillo Aurelie Utician

Al termine del percorso archeologico, ad un livello sottoposto al cortile della Curia, restano infine un vasto spazio con resti di alcune basi di colonne di tufo intonacate e dipinte, ampi tratti di pavimento a mosaico ed altri elementi che fanno pensare all'esistenza, in questo luogo, di una ricca abitazione patrizia. Numerosi sono anche gli elementi antichi, rintracciabili all'interno della basilica di Santa Restituta, e non meno interessante è la struttura ottagonale del battistero di San Giovanni in Fonte. 

 Dell'antica basilica della Stefanìa, purtroppo, oltre ad elementi come colonne, capitelli ed archi ogivali, rimane ben poco.


Carminiello ai Mannesi: edificio di età imperiale

 

Delle numerose testimonianze archeologiche rinvenute nella zona orientale della città, oltre alla complessa stratigrafia al di sotto della Cattedrale, sono imponenti le strutture di un edificio romano in vico I° Carminiello ai Mannesi, a est di via Duomo ed all'interno dell'insula delimitata a nord da via Tribunali ed a sud da via San Biagio dei Librai. Il complesso archeologico messo in luce dai bombardamenti del 1943, che distrussero la Chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi e gli edifici adiacenti, documenta parte di un'insula della città antica occupata anche da un piccolo edificio termale. Si tratta di una costruzione a più livelli, abbastanza articolata, databile nelle sue strutture principali alla fine del I sec. d.C., ma che presenta elementi attribuibili a fasi diverse. I più antichi finora individuati appartengono all'età repubblicana. Tra questi, di particolare interesse è un ambiente absidato rettangolare del livello inferiore con pavimento a tessere bianche e nere forse facente parte di un'abitazione. Inglobata, in età imperiale, nelle fondazioni di un grande edificio con ambienti voltati, la struttura si sviluppava almeno su due piani: il piano inferiore, illuminato a lucernari, era occupato da ambienti di servizio; il piano superiore ospitava il complesso termale, del quale si sono identificate parte delle condutture idrauliche ed una serie di ambienti con vasche in marmo posti nell'ala meridionale dell'edificio. 

Tra i successivi rimaneggiamenti vanno segnalati, per l'età tardo-imperiale, la probabile realizzazione di un porticato lungo la facciata occidentale e l'adattamento a Mitreo di due tra gli ambienti del piano inferiore, provato dalla presenza di un rilievo in stucco raffigurante il dio Mitra nell'atto di sacrificare il toro. Tali trasformazioni, più profonde a partire dal V secolo, culminarono, in età medioevale, nell'inglobamento delle strutture romane entro l'edificio religioso poi distrutto.

 


Largo Corpo di Napoli: statua del Nilo

 

La storia di Napoli è riccamente intessuta di vicende più o meno significative collegate alla presenza in città di forti comunità straniere, qui stabilitesi per motivazioni economico-commerciali. Nel quartiere che si sviluppava presso l'estremità occidentale della plateia inferiore di Neapolis pare si fosse stabilita fin dalla prima età imperiale, in prossimità della porta urbica, una comunità di mercanti e marinai proveniente da Alessandria d'Egitto. Tale comunità, come confermato dalla toponomastica medievale (oltre che dalla tradizione umanistica e da quella antiquaria) pose la sua residenza nell'area della città greca che a lungo fu poi ricordata come Regio Nilensis. Ancora oggi lo slargo che si apre ad oriente di piazza San Domenico Maggiore prende il nome dal Nilo, fiume caro alle popolazioni in questione e divinità da esse venerata. Nel largo, all'incrocio tra via San Biagio dei Librai e via Nilo - indicata quest'ultima fino a tutto il Medioevo come vico degli Alessandrini - fu collocata già nel XVII secolo la statua del Nilo: la divinità fluviale è raffigurata secondo la consueta immagine del vecchio sdraiato ed appoggiato su una roccia dalla quale sgorga acqua; coperto da un mantello nella parte inferiore, il dio-fiume è attorniato da diversi putti e da una sfinge, a simboleggiare rispettivamente i rami del fiume ed il legame con l'Egitto. La statua, della quale si ha notizia già nel XIV secolo, è databile al II secolo d.C., seppure complessivamente essa risulta alterata dai diversi restauri. In particolare, la testa, moderna, fu aggiunta solo nel 1657, quando la statua fu restaurata e collocata presso il Sedile del Nilo: la statua fu infatti ritrovata acefala (da cui probabilmente l'appellativo popolare di "Corpo di Napoli"). 

Il basamento su cui oggi è posizionata la statua del Nilo risale al XVIII secolo, quando, nel primo anno di regno di Carlo di Borbone, essa fu nuovamente restaurata, come attesta l'epigrafe che nello stesso anno (1734) fu apposta sul basamento stesso. Dopo anni di abbandono, solo recentemente, alla statua è stato dedicato un accorto intervento di restauro.

 


Palazzo Corigliano: complesso archeologico

 

Questa zona, fin dall'origine parte integrante della città greca, era prossima al tratto occidentale di mura che da Caponapoli proseguiva fino alla spiaggia; ma lo stesso andamento della murazione, la sua strutturazione e l'ubicazione delle porte non sono sicuri. Circa la presenza di resti archeologici nella zona si accenna negli scritti del Summonte e del Celano (XVII secolo) ma la conferma della loro presenza si è avuta solo con i ritrovamenti dell'ultimo secolo verificatisi a seguito dei bombardamenti, e quindi in occasione degli scavi più recenti che hanno finalmente fornito una serie di dati molto utili per una rilettura della topografia del settore sud-occidentale di Neapolis. Al periodo greco, oltre a materiali sporadici databili dalla fine del V secolo a.C., appartiene solo una serie di pozzi di scarico, sicuramente precedenti alla sistemazione dell'area e di probabile pertinenza di un quartiere artigianale posto nella periferia della città greca. Il palazzo occupa quindi uno spazio originariamente collocato a ridosso delle mura e che, negli esempi a noi noti di città a pianta ortogonale, coincide con il pomerio, fascia di rispetto tra impianto urbano e fortificazioni. Di particolare interesse sono un ambiente a pianta rettangolare di cui si conservano le fondazioni e parte di un rifacimento dell'elevato ad una quota più bassa; una canaletta, realizzata con grossi blocchi di tufo e posta parallelamente alla facciata del suddetto ambiente, ed i resti di una massicciata stradale, tutti elementi databili tra la fine del III e l'inizio del II secolo a.C. L'effettiva urbanizzazione dell'area cominciò solo quando la città era ormai sotto l'influenza romana, in epoca ellenistica, con la costruzione di una strada, allineata all'incirca con l'attuale via del Sole, e con il posizionalmento, al di sotto di questa, dell'impianto fognario. Quest'ultimo è realizzato con blocchi tufacei forse provenienti dalle mura cittadine. 

Lo scavo ha messo in luce pochi indizi relativi ad una ricca abitazione del I secolo d.C., la cui distruzione è da collegarsi agli effetti del disastroso terremoto del 62 d.C.; l'unico dato sicuro in nostro possesso è relativo alla destinazione di questa zona in età imperiale a ricco quartiere residenziale, lo stesso che, cresciuto a dismisura oltre gli antichi confino, fu inglobato nella nuova cinta muraria eretta da Valentiniano III a difesa dalle scorrerie barbariche.

 


Santa Chiara: complesso termale

 

Il complesso termale di Santa Chiara, compreso all'interno del trecentesco convento, è sito in un'area che ricadeva al di fuori della cinta muraria greca, ad ovest della porta urbica. La scoperta dell'edificio termale e l'analisi di vecchi e nuovi rinvenimenti archeologici, hanno chiarito come il luogo, già dal I secolo d.C., sia divenuto, per esserlo almeno fino al IV, un quartiere residenziale con edifici a carattere pubblico. Inglobato nella cinta muraria a seguito dell'ampliamento del 440 d.C., il complesso termale di Santa Chiara conservò la sua funzione sino all'età tardoantica, quando se ne affrontò una consistente ristrutturazione. L'area comprende una serie di ambienti termali e rappresenta tuttora il più completo esempio di therma documentato per Neapolis. L'impianto, che si estende per una superficie di oltre 900 mq può collocarsi cronologicamente fra la metà e la fine del I sec. d.C., presentava verosimilmente il principale accesso sull'asse stradale antico ricalcato dall'attuale via Benedetto Croce, articolandosi in due settori paralleli: quello della piscina, prospiciente probabilmente un'area con funzione di palestra, e quello degli ambienti termali veri e propri. Dell'antica palestra sono oggi visibili solo alcune tracce del muro perimetrale della zona porticata ed un corridoio che divideva la palestra stessa dalla piscina; di quest'ultima, originariamente coperta, si conservano, invece, resti della banchina e delle scale di accesso. Sul lato meridionale dello scavo, una vasca ottagonale, di età posteriore, è su un'ambiente che probabilmente in origine costituiva l'accesso della piscina. Su tutto il lato occidentale è inoltre un condotto idrico, forse parte di una più grande conduttura derivata dall'acquedotto del Serino. 

Gli ambienti termali veri e propri, si dispongono su due livelli, di cui uno ipogeo. Nell'ambiente centrale del pianoterra, il laconicum (per i bagni di aria calda e secca), collegato ai tepidaria (per i bagni a temperatura mediamente calda), dove sono evidenti tracce di canalizzazione: i tubuli, per il passaggio dell'aria calda, ed alcune colonnine cave (suspensurae), che reggevano il pavimento sospeso sull'ipocausto. 

 Nell'area settentrionale dello scavo si trova, trasformata successivamente in cisterna, una sala che, per il suo orientamento verso nord, farebbe pensare ad un frigidarium o ad un ninfeo. Alle spalle della parete sud della sala è infine un vestibolo, dal quale si accede al livello ipogeo.


 

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