PISAURUM

 

Pisaurum è sorta sulla costa adriatica, nel settore morfologicamente più rilevato della piana di foce compreso fra gli sbocchi a mare del fiume Pisaurus, l’attuale Foglia, e del torrente Genica. L’abitato romano è stato preceduto da un insediamento piceno e il suo inserimento in età altomedievale nella Pentapoli bizantina ne ha favorito la continuità di vita fino ai nostri giorni, a differenza di quanto avvenuto per molti altri centri romani di fondovalle delle Marche che furono abbandonati proprio in seguito ai disastrosi avvenimenti della guerra greco-gotica (535-553 d.C.). Dell’abitato piceno gli scavi archeologici hanno messo in luce parte di due abitazioni: si tratta di semplici capanne con fondazioni in ciottoli fluviali, alzato in materiale deperibile (argilla e legno) e tetto in laterizi. I reperti attestano un’occupazione del sito dalla fine del VI secolo a.C. fino agli inizi del IV secolo a.C. e numerosi frammenti di ceramica attica evidenziano importanti rapporti commerciali con il mondo greco. Un incendio ha posto fine alla vita di queste due abitazioni e alcuni studiosi hanno visto in questo evento un legame con l’arrivo dei Galli Senoni, una tesi che è stata accolta anche con riserve. Comunque sia, è certo che agli inizi del IV secolo a.C. i Senoni occuparono le Marche settentrionali, spingendosi anche oltre il fiume Esino che lo storico latino Tito Livio (III, 35) indica come il confine meridionale del loro territorio. L’abitato protostorico di Pesaro è nato in corrispondenza dell’alta scarpata incisa dal Foglia, in un luogo difeso naturalmente, ma che offriva anche il vantaggio di poter sfruttare la foce fluviale come approdo. Quel che rimane delle fondazioni delle capanne picene è ancora oggi visibile nelle immediate vicinanze della Scuola “G. Picciola”, all’angolo tra via Galligarie e via Mazza. Le strutture abitative sono protette da una tettoia e si trovano internamente allo spazio delimitato dal vertice nord-occidentale della cinta muraria di età romana, che qui presenta i resti più imponenti fra quelli conservati. La prima data certa sulla Pesaro romana è il 184 a.C.: sempre Livio (XXXIX, 44, 10) ricorda che in quell’anno furono dedotte due colonie: Potentia nel Picenum e Pisaurum nell’ager Gallicus. Pesaro, dunque, sorge nel territorio confiscato ai Galli Senoni dopo la loro definitiva sconfitta militare. Le fonti non ci dicono quanti furono i coloni, ma il confronto con il successivo sviluppo urbano di altre colonie di diritto romano fondate in altre zone della Penisola in questo stesso periodo, e per le quali è noto anche il numero del contingente originario, porta a una stima di circa 2000 capifamiglia. È opinione condivisa dagli studiosi che la colonia del 184 a.C. sia stata preceduta da un piccolo aggregato, quello che nei numerosi studi che si sono occupati della storia della città è tradizionalmente definito come conciliabulum civium Romanorum. Anche in questo caso non si hanno ancora dall’area urbana dati archeologici certi, ma quest’ipotesi appare più che fondata se si tiene conto che l’apertura della via Flaminia nel 220 a.C., destinata a diventare l’asse generatore dell’impianto urbanistico e impostata su una pista già frequentata in età protostorica, deve aver rafforzato le potenzialità commerciali di questa zona di sbocco vallivo. Vi è poi l’eccezionale documentazione archeologica restituita dal santuario rurale situato sulla collina di Santa Veneranda, circa 2 km a sud-ovest di Pesaro: gli studi più recenti hanno tolto ogni dubbio in merito alla cronologia, dimostrando che la nascita del lucus Pisaurensis va posta negli ultimi decenni del III secolo a.C.. Risulta quindi logico vedere in esso l’espressione religiosa degli abitanti del conciliabulum sorto alla foce del Pisaurus e dei primi coloni venuti a popolare questa fertile vallata. Proprio la conferma di una cronologia alta lascia aperta l’ipotesi che la nascita del lucus e del conciliabulum possano collegarsi direttamente anche alle assegnazioni viritane promosse nel 232 a.C. e che quindi anche qui, come nei territori di Forum Sempronii e di Suasa, l’inizio della colonizzazione romana sia da mettere in relazione con i dettami della Lex Flaminia de agro Gallico et Piceno viritim dividundo, anche se poi ha avuto sviluppi diversi perché al posto della solita evoluzione della praefectura in municipium, qui ha fatto seguito una deduzione coloniaria vera e propria. Dieci anni dopo la deduzione della colonia, Tito Livio inserisce Pisaurum in un gruppo di città nelle quali il censore Fulvio Flacco promosse la realizzazione di numerose opere pubbliche. Il passo è mutilo e di incerta interpretazione, ma appare certa l’edificazione di un tempio dedicato a Giove, di cui null’altro sappiamo, e la lastricatura di una strada che molti studiosi hanno identificato con la Flaminia, anche se appare strano che questa non fosse già stata pavimentata nel 220 a.C., anno della sua costruzione. Incerta invece rimane la realizzazione delle mura, delle fogne e del foro circondato da portici e tabernae, dato che il testo potrebbe riferirsi solo alle altre città ricordate da Livio. Non si hanno elementi per sapere se le riforme graccane del 132 a.C. abbiano in un qualche modo interessato anche la valle del Pisaurus, come invece avvenne di certo nella vicina valle del Mataurus nei territori di Fanum Fortunae e Forum Sempronii. Di certo Pisaurum fu coinvolta nelle diverse guerre civili che coinvolsero l’Impero e l’Italia nel I secolo a.C.. Nel 41 a.C. la città viene rifondata dai triumviri: lo scrittore greco Plutarco (Ant., 60, 2) la definisce una “colonia di Antonio”, il celebre generale luogotenente di Cesare. La presenza di una enclave territoriale pisaurense nella media valle del Cesano, ai confini con il territorio del municipium di Suasa, è stata messa in relazione con confische effettuate a danno dell’ager di quest’ultima città proprio per sistemare una parte dei veterani. Dopo la vittoria su Antonio nella battaglia di Azio (31 a.C.), anche Ottaviano provvide ad una sua rifondazione della città, inviando veterani a lui fedeli che potessero in qualche modo equilibrare il peso politico di quelli della colonia antoniana. La titolatura ufficiale di Colonia Iulia Felix Pisaurum attestata in due epigrafi evidenzia che la rifondazione di Ottaviano avvenne prima del 27 a.C., anno in cui esso assunse il titolo di Augustus; se fosse avvenuta dopo tale data la città avrebbe avuto l’attributo di Augusta e non di Iulia. Il secondo attributo, Felix, in molti studi è stato spiegato con l’aver Augusto posto fine alle lotte civili che avevano sconvolto la Penisola e toccato anche Pisaurum, nonché agli eventi infausti di varia natura che gravavano sulla città. In realtà esso non è altro che un epiteto di buon augurio, dato pensando al presente e al futuro della colonia, secondo un uso assai diffuso a cominciare dalla vicina Fanum Fortunae. La ricca documentazione archeologica, se poco ci dice sull’assetto urbanistico della città, trattandosi in prevalenza di ritrovamenti di mosaici pavimentali e di epigrafi fuori contesto, ci indica nel periodo compreso fra gli ultimi decenni del I secolo a.C. e la fine del II secolo d.C. il momento di maggior splendore architettonico ed economico. Già nel III secolo a.C. cominciano comunque a manifestarsi in piena evidenza i segni della crisi socio-economica che a livello generale coinvolse l’intera Penisola. Un momento di grave pericolo per Pisaurum come per le vicine Fanum Fortunae e Forum Sempronii è rappresentato dalla calata degli Jutungi nel 270. Due iscrizioni ci ricordano la presenza di un addetto militare (praepositus muris) addetto proprio a mantenere efficiente la cinta muraria. Il sollievo per lo scampato pericolo, dopo la sconfitta degli Jutungi presso il Metauro, è attestato da due epigrafi in cui si celebrano Ercole definito consorte dell’imperatore Aureliano e la Victoria aeterna da questi riportata. A partire da questo momento la città si avviò ad un lento e inarrestabile declino, che trova riscontro anche nella sempre più pressante intromissione del potere centrale nella vita ammistrativa. Nella prima metà del VI secolo d.C. la città fu più volte al centro dello scontro fra Goti e Bizantini. Procopio narra delle distruzioni apportate dai Goti di Vitige, che diede ordine di incendiare le case e di abbattere la cinta muraria per metà della sua altezza, e della astuta riconquista da parte del generale bizantino Belisario, grazie a un intelligente stratagemma. In questo momento si verifica una seconda ristrutturazione della cinta perimetrale, effettuata con materiale spogliato da quel che rimaneva degli edifici della città romana e dalle sue necropoli. Tuttavia, se realmente vi fu un effettivo abbandono di Pisaurum come alcuni storici ritengono, bisogna pensare che questo fu solo temporaneo e in concomitanza con questo momento di gravissima crisi. La riconquista bizantina e l’inserimento della città nella Pentapoli marittima ne consentirono la continuità di vita fino ai nostri giorni. Di certo in questo momento l’aspetto urbano e architettonico della città romana doveva risultare stravolto e in gran parte irriconoscibile, se confrontato con la realtà originaria. Una conferma in tal senso si è avuta anche in tempi recenti, dal ritrovamento di sepolture a inumazione scavate in pavimenti un tempo appartenuti ad ambienti di domus. Per quanto riguarda l’amministrazione della città le informazioni fornite dalle numerosi epigrafi si riferiscono tutte alle rifondazioni di Antonio e di Ottaviano e rispecchiano quanto previsto per il suo status di colonia, con ai vertici la coppia dei magistrati supremi (i duoviri) e subito dopo la coppia di aediles, ai quali competeva il controllo dei mercati, dell’ordine pubblico, dei giochi (ludi), dell’approvvigionamento del grano e della manutenzione degli immobli. Più sotto ancora troviamo la carica di quaestor al quale spettava la cura e l’amministrazione delle finanze pubbliche. Naturalmente un ruolo di rilievo aveva anche il senato locale composto dai decuriones. Come nelle altre città romane ben rappresentate sono le cariche di sevir, di sevir augustalis, di augustalis e importante, anche per le considerazioni urbanistiche a cui ha dato adito, è quella di magister vici. Si tratta di cariche quasi sempre appannaggio di personaggi di condizione libertina e prevalentemente indirizzate al culto imperiale, anche se non disgiunte da funzioni ammistrative secondarie come la realizzazione di qualche opera pubblica. Di rilievo per la vita socio-economica erano le numerose corporazioni professionali (collegia), come quella dei navicularii, che attestano il forte legame fra la città con le attività marinare e con il suo scalo fluviale, dei fabri, lavoratori del legno e di metalli di vario genere, dei dendrophori, artigiani e commercianti di legname, e dei centonarii, raccoglitori di indumenti usati e confezionatori di stoffe grossolane (centones). I membri degli ultimi tre collegia avevano anche compiti di pubblica utilità, come lo spegnimento degli incendi. 

L’ASSETTO URBANISTICO DELLA CITTÀ ROMANA 

La nostra conoscenza urbanistico-architettonica della Pisaurum romana è alquanto scarna, se rapportata alla grande quantità di testimonianze archeologiche che la città ha restituito nel corso del tempo. In realtà a ben vedere se il dato è numericamente rilevante, il fatto che in prevalenza si tratti di ritrovamenti avvenuti nei secoli passati, che parte di questi sia andata perduta e che comunque si abbia una generalizzata assenza di informazioni oltre alla semplice notizia del ritrovamento, ne limita notevolmente l’utilità in sede di ricostruzione storica. Basti pensare che l’area del foro è tradizionalmente posta in corrispondenza di piazza del Popolo perché qui si incontrano i due principali assi viari urbani, ma tale ipotesi non ha mai avuto un sicuro riscontro archeologico. Al riguardo va precisato che si preferisce considerare come decumano massimo il tratto urbano della via Flaminia (corso XI Settembre - via S. Francesco), piuttosto che l’allineamento di via Branca - via Rossini (che pertanto va identificato come cardine massimo) come invece generalmente proposto negli studi sull’urbanistica di Pisaurum. Infatti, l’orientamento delle strade della Pesaro romana non è di tipo astronomico, ma è stato impostato tenendo conto della realtà morfologica, secondo le modalità che nel campo delle divisioni agrarie gli agrimensori definivano “secundum naturam loci”. La sfasatura rispetto ai punti cardinali è di circa 45° e determina orientamenti nord-ovest/sud-est e nord-est/sud-ovest, praticamente equidistanti rispetto all’asse est-ovest. Per questo si preferisce identificare il principale asse urbano nella Flaminia, considerata l’importanza che questa strada ha avuto nella storia e nello sviluppo urbanistico della città. Tornando alla documentazione archeologica nota, va rilevato che il gusto antiquario degli eruditi del XVII-XIX secolo ha fatto sì che si affermasse una sorta di selezione dei ritrovamenti e che l’attenzione si concentrasse soprattutto sul recupero di epigrafi, statue e mosaici, cioè su quel materiale che aveva una forte connotazione artistica o culturale. In particolare Pesaro si potrebbe definire “una città di mosaici” non solo per gli splendidi mosaici della Cattedrale, ma proprio per la ricca documentazione disponibile per l’età romana. Solo alcuni di questi sono ancora oggi visibili in posto, essendo la maggior parte stata reinterrata subito dopo il ritrovamento, o staccata per confluire in collezioni private o in raccolte museali pubbliche. Al riguardo è sufficiente ricordare il celebre mosaico raffigurante Leda con le Stagioni, che pavimentava il tablinum di una domus parzialmente messa in luce nel 1932 lungo l’attuale viale Gramsci e che fu staccato e portato nel Museo Nazionale delle Marche in Ancona. Tuttavia, alcune importanti indagini archeologiche condotte in tempi recenti in diversi settori della città e ancora in fase di studio stanno restituendo utili indicazioni per una più esauriente comprensione della città romana, non priva di novità rispetto a quanto fino ad ora proposto. Ad esempio la ripartizione dell’area urbana in 25 isolati, la maggior parte dei quali con dimensione di 2x3 actus (circa m 70x100) e asse maggiore posto nel senso dei cardini, deve essere riveduta alla luce dei nuovi tratti di decumani messi in luce nell’isolato compreso fra via dell’Abbondanza e via Mazzolari e nei recenti scavi di piazzale Matteotti. Questi ritrovamenti, posti in settori dove l’assetto stradale antico non si è perpetuato nel tempo, fanno supporre che la distanza fra i decumani non fosse di 3 ma di 2 actus per cui gli isolati paiono avere una estensione minore di quanto finora proposto. Analogamente i ritrovamenti di piazzale Matteotti evidenziano una collocazione della cortina muraria meridionale più esterna rispetto a quanto generalmente supposto. Nel momento di massimo splendore l’area urbana si è estesa anche al di fuori del perimetro murario. In particolare la carica di magister vici rivestita da alcuni personaggi ricordati in quattro epigrafi è stata più volte, e anche di recente, considerata un forte indizio a favore dell’esistenza di un quartiere (vicus) extramuraneo nella zona del porto fluviale. Ora, pur non dubitando della presenza di tale sobborgo, che avrà senz’altro avuto una forte connotazione in senso artigianale e commerciale, va rilevato che una conferma in tal senso non può venire dalla menzione dei magistri vici. Questi infatti erano presenti in ogni quartiere in cui era stata suddivisa la città e il loro compito primario era quello di presiedere al culto dei Lares Augusti (le divinità protettrici dell’imperatore) e del Genius (lo spirito) dell’imperatore stesso. Per quanto riguarda gli edifici di carattere o di uso pubblico, abbiamo iscrizioni che comprovano in maniera indiretta la presenza di un teatro e di un anfiteatro e di uno o più complessi termali, ma anche in questo caso non abbiamo dati archeologici o notizie d’archivio che ce ne consentano una collocazione topografica certa. Le mura Le mura cittadine costituiscono ancora oggi una fra le testimonianze più significative della città romana. Nel corso del tempo ne sono stati riconosciuti diversi tratti in più punti della città, inseriti in strutture murarie di edifici più recenti o messi occasionalmente in luce nel corso di interventi edilizi. I resti di maggior evidenza sono quelli già ricordati di via Galligarie, all’incrocio con via Mazza e posti a ridosso delle capanne picene. Si tratta di due lunghi tratti di cortina che collegandosi tra loro formavano l’angolo di nord-ovest della cinta muraria; nel punto di intersezione si trovava una torre a pianta quadrangolare e aggettante verso l’esterno, di cui non rimane traccia in elevato ma solo alcuni blocchi di raccordo con il resto delle strutture difensive. In alcuni punti le mura sono conservate fino a un’altezza di quasi 7 m e presentano differenti tecniche edilizie: la parte inferiore è in opera quadrata con grossi blocchi di pietra e corrisponde alla fase più antica, coeva alla fondazione della colonia (184 a.C.) o di poco posteriore. La parte soprastante in mattoni è tradizionalmente riferita alla ristrutturazione operata in occasione della minaccia degli Jutungi, nel 270 d.C., ma in assenza di dati certi non si può escludere l’ipotesi di una risistemazione precedente, attuata ai tempi delle rifondazioni di Antonio o di Ottaviano. Altri resti della cinta urbana sono visibili in uno scantinato di Palazzo Barignani (ingresso da via Barignani n. 40), dove risultano inglobate in strutture murarie medievali. L’edilizia privata: i mosaici I mosaici pavimentali ancora visibili in posto sono una minima parte della ricchissima documentazione restituita dalla città. In genere non conosciamo il contesto originario di appartenenza, in quanto l’indagine archeologica non ha potuto estendersi all’intero edificio o ad una parte sufficientemente ampia di questo, così da consentirne l’interpretazione. Tuttavia è probabile che nella maggior parte dei casi si tratti di singole abitazioni. In un locale sotterraneo agli uffici della Banca delle Marche (ingresso da via Fratelli Benelli n. 5) è conservato parte di un bel mosaico policromo dei primi decenni del II secolo d.C., noto in letteratura come “mosaico di via Perticari”. Di questo si conserva circa la metà del riquadro centrale che presenta un articolato motivo decorativo. Un’ampia ed elaborata cornice delimita un riquadro centrale in cui è iscritto un cerchio campito con lo schema geometrico di esagoni “a nido d’ape”. I motivi decorativi sono in prevalenza di tipo vegetale: fiori all’interno degli esagoni e girali d’edera nell’unico angolo di risulta ora visibile fra il cerchio e la cornice del riquadro centrale. Un mosaico tardorepubblicano (I secolo a.C.) con motivo decorativo molto più semplice, costituito da tessere bianche disposte su un tappeto di tessere nere delimitato da doppia cornice bianca, è stato scoperto nel 1991 nelle cantine dell’Antica Osteria La Guercia (via Baviera n. 33) ed è stato mantenuto in vista grazie a un accurato intervento di risistemazione del locale. All’età imperiale. risalgono i mosaici messi in luce nel 1936 durante la costruzione di un’autorimessa, all’interno del complesso dell’Amministrazione Provinciale in viale Gramsci. I lavori hanno intercettato a una profondità di ben m 2,80 dal piano stradale attuale un’area pavimentata a mosaico che non è stato messo in luce per intero ma solo in parte, per un’estensione di m 3,90x4. Su fondo a tessere nere con ordito in obliquo, si ha una fascia bianca scandita in riquadri profilati di nero che separa due tappeti con differenti decorazioni a disegno geometrico. Nella fascia, dopo un rettangolo vuoto, si succedono riquadri con al centro un motivo decorativo che è ancora ben leggibile solo nei primi due: si tratta rispettivamente di un’infiorescenza a calice entro un girale, il tutto a tessere nere, e di una rosetta policroma a otto petali. In genere queste fasce sottoli neano la presenza di una soglia, ma in questo caso essa non sembra riferibile a una articolazione in due distinti vani, ma solo costituire un semplice elemento divisorio fra due zone, forse aventi funzioni diverse, di un unico ambiente. Nel tappeto maggiormente visibile si ha un motivo decorativo a cerchi allacciati che si intersecano su quattro punti della circonferenza. In ogni cerchio la parte intersecata è bianca, mentre quella interna è a tessere nere, a forma di stella con quattro punte e lati concavi, ed è decorata al centro da sei tessere bianche disposte a squadra. Del tappeto opposto, a fondo bianco, si vede un’ampia fascia esterna marginata in nero e caratterizzata da una decorazione a girali con al centro un’alternanza ripetuta di stelle a quattro punte, calici di diverso tipo e rosette a quattro petali. La fascia, tutta a tessere nere, delimita un disegno geometrico anch’esso a tessere nere e costituito da rettangoli contenenti losanghe. Pare che ad ogni losanga trasversale ne corrispondano altre due disposte in senso ortogonale. I motivi decorativi di questo mosaico sono diffusi e ben noti in area marchigiana e nella stessa Pisaurum nel corso dei primi due secoli dell’età imperiale romana, ma in questo caso considerazioni di carattere stilistico e l’esame della tecnica esecutiva portano a una datazione di fine I secolo d.C.-inizio II secolo d.C.. La domus di piazzale Matteotti Nel 1999-2000 i lavori di demolizione della vecchia stazione delle autocorriere in piazzale Matteotti hanno offerto l’occasione per effettuare un’indagine archeologica preventiva, prima della costruzione di un edificio più moderno e fuzionale. L’area era infatti già nota da tempo per diversi ritrovamenti archeologici di varia natura, uno dei quali avvenuto proprio in occasione della costruzione della vecchia stazione nel 1947, quando gli scavi misero in luce, alla profondità di m 2, parte di un mosaico pavimentale a tessere nere con un piccolo tappeto centrale, di cui rimaneva solo parte della cornice esterna. Non va poi dimenticato che considerazione di carattere storico e topografico ubicavano in questa zona anche la cortina meridionale delle mura, per le quali comunque non si avevano attestazioni archeologiche. Lo scavo ha messo in luce i resti di una strada basolata perfettamente conservata e parallela alla Flaminia dalla quale dista 2 actus (circa 70 m). Si tratta di un decumano minore, con sottostante collettore fognario, che non è stato perpetuato da alcun asse stradale moderno, per cui costituisce un elemento di novità nella ricostruzione dell’impianto urbanistico di età romana. La mancanza di solchi di usura per il passaggio di carri fa ritenere che la via fosse solo pedonale e che essa, come pure gli edifici che su di essa prospettano, si trovasse ancora all’interno della cinta antica. Su entrambi i lati la strada è fiancheggiata da marciapiedi di larghezza e struttura diversa: il più ampio, posto a est è anch’esso basolato, mentre quello opposto è in terra battuta e su di esso è stata appoggiata una fistula in piombo che doveva servire all’approvvigionamento idrico degli edifici posti lungo questa via. Su entrambi i fronti stradali si trovano ambienti di natura residenziale. Lo scavo ha consentito di indagare in modo estensivo solo quelli posti a ovest del decumano, attribuendoli per lo più a una grande domus frequentata fra il I e il IV secolo d.C.. I vari ambienti, tra cui si può riconoscere in quello parzialmente messo in luce nel 1947 una grande sala tricliniare, si dispongono attorno ad un atrio tetrastilo con vasca centrale per la raccolta dell’acqua piovana pavimentata in opus spicatum. La casa aveva sul lato orientale un ingresso che dall’atrio dava direttamente sulla strada basolata. Doveva trattarsi di un ingresso secondario dato che in una fase tarda è stato completamente chiuso con un muro in laterizio. L’accesso principale forse si trovava sul lato sud, dove però non è stato possibile avanzare lo scavo fino alla facciata dell’edificio: in fregio all’atrio si nota una serie di tre ambienti, uno più ampio al centro e due più piccoli ai lati e tutti pavimentati in cocciopesto, che sembra riproporre lo schema canonico delle fauces con piccoli cubicula laterali. Sicuramente appartenente alla domus è anche l’area scoperta, con pozzo al centro e colonnato su alcuni dei lati, posta a ovest del triclinio. Di fronte a questo giardino si trovavano alcuni ambienti pavimentati con cocciopesto e mosaico a motivi geometrici in tessere nere su fondo bianco, il cui rapporto con gli altri ambienti della domus non è ancora chiaro. Potrebbe infatti trattarsi di vani riferibili a un’altra unità abitativa. L’isolato fra via dell’Abbondanza e via Mazzolari Nel corso degli ultimi anni due scavi hanno interessato l’area compresa fra via dell’Abbondanza e via Mazzolari. Il primo scavo si svolse nel 1995, in occasione della costruzione di un’autorimessa, e si scoprirono a circa m 3 di profondità una tomba alla cappuccina senza corredo, un tratto di basolato, un fognolo e alcuni muri degli edifici a margine della strada: da un lato un edificio porticato, dall’altro quattro ambienti contigui, probabilmente delle botteghe. La strada basolata era larga m 3 (10 piedi) ed era uno degli assi urbani che correvano paralleli alla via Flaminia (l’attuale corso XI Settembre). Tra il 1999 e il 2000 gli scavi sono ripresi nella zona adiacente alle botteghe e hanno messo in luce alcuni ambienti, probabilmente di funzione produttiva, su cui si sviluppò in età tardoantica e altomedievale una necropoli. Per rendere possibile una fruizione delle strutture archeologiche, si sono create delle finestre nei pavimenti dei garage sulle parti più significative delle strutture murarie: per il resto si è provveduto a ricoprire l’area per proteggere i resti murari dal cemento. Attualmente la costruzione dell’edificio è totalmente terminata, e sono visibili, dal centro del cortile di via dell’Abbondanza n.29, i resti della strada romana, molto ben leggibili e conservati.

 

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