PITINUM MERGENS
L’antico municipium di Pitinum Mergens sorgeva nella media valle del Candigliano, affluente del Metauro. La città, ascritta alla tribù Clustumina, faceva parte della regio VI ed è citata da antichi autori, quali Plinio (Nat. Hist. II, 229; III, 114) e Tolomeo (Geogr. III, 1, 46). Il territorio del municipium si estendeva nelle vallate del Candigliano e del Burano, in un’area già intensamente popolata e frequentata prima della romanizzazione, come ci attestano i numerosi rinvenimenti di età preistorica e protostorica, tra cui spicca la necropoli dei Galli Senoni messa in luce a Piobbico. L’esatta ubicazione della città, di non facile individuazione, è stata oggetto di un aperto dibattito fra gli studiosi, che dopo attente analisi concordano nel situarla in località Pole, presso Pian di Valeria, dove si è avuto un cospicuo rinvenimento di strutture e soprattutto materiali archeologici e di epigrafi che menzionano un municipium, cioè una città autonoma che aveva il controllo amministrativo del territorio circostante. La presenza di materiali di età romana reimpiegati nelle case coloniche dei dintorni e nell’Abbazia di San Vincenzo al Furlo non fanno che avvalorare tale interpretazione, rafforzata dalla presenza del poleonimo Pitinum Mergens in due iscrizioni, relative a due personaggi che rivestirono cariche di prestigio nel municipio in questione e nella vicina Forum Sempronii. Incerta è l’origine del vocabolo Pitinum, mentre il participio latino Mergens (“che si immerge”), potrebbe richiamare la confluenza fra i fiumi Burano e Candigliano, presso Acqualagna. Si può aggiungere che il poleonimo Pitinum, ricorre altre volte nella toponomastica latina ed è legato a località situate presso corsi d’acqua: ad esempio lo ritroviamo anche nel nome di un altro municipium del Pesarese, Pitinum Pisaurense, ubicato presso la Pieve di San Cassiano a Macerata Feltria. Riguardo all’organizzazione politica del municipio si possono citare numerose iscrizioni in cui vengono ricordate alcune cariche pubbliche come quella dei decuriones, membri del senato cittadino, dei quattuorviri, magistrati locali in carica per cinque anni, che si occupano dell’amministrazione della giustizia e dell’economia, del patronus municipii, un ricco personaggio che compie a sue spese opere pubbliche e di vari pontifices e seviri augustales. Sempre da epigrafi sappiamo che la città era dotata di un mercato o di un mattatoio, mai localizzati. L’origine di questo insediamento non è stata chiarita, ma è probabile che vada collocata nel periodo delle assegnazioni viritane, dovute alla Lex Flaminia de agro Gallico et Piceno viritim dividundo del 232 a.C., e in relazione alla nascita della Flaminia, costruita intorno al 220 a. C.. Un altro provvedimento, che molto probabilmente interessò l’area in questione, oltre all’intera vallata del Metauro, fu la Lex Sempronia agraria del 132 a.C., che prevedeva la ridistribuzione delle terre ai piccoli coloni-coltivatori, i cui possedimenti erano stati abusivamente occupati dai grandi proprietari terrieri. Il passaggio a municipium dovrebbe seguire la guerra sociale del 91-89 a.C.. La distruzione dell’abitato può essere ricollegata alla guerra grecogotica, che durante il VI secolo determinò la fine di molti centri urbani delle Marche. Successivamente il territorio municipale dell’antica Pitinum Mergens venne amministrato dall’Abbazia benedettina di San Silvestro in Iscleto.
VISITA ALL’AREA ARCHEOLOGICA
Il centro romano, già identificato nel Cinquecento, era ubicato su un terrazzo fluviale leggermente digradante e delimitato a sud dal Candigliano. I rinvenimenti archeologici attestano che la città si estendeva su una superficie di alcuni ettari, lungo il percorso della strada che si staccava dalla Flaminia, a breve distanza dalla Gola del Furlo, e proseguiva verso il passo appenninico di Bocca Serriola. Va subito premesso che oggi quasi nulla di Pitinum Mergens è visibile sul terreno, trattandosi sostanzialmente di vecchi ritrovamenti a volte sporadici o, nel caso di strutture archittettoniche, di resti poi reinterrati a fini conservativi o ricoperti dalla vegetazione naturale. Tuttavia la zona merita senz’altro una visita per la bellezza del paesaggio naturale e la possibilità di apprezzare il legame tra geografia fisica, potenzialità itinerarie e scelte insediative, che è stata una costante nel processo di romanizzazione della regione. Nell’area dell’antica città sono stati riconosciuti due brevi tratti delle mura urbiche, non contigui fra loro: uno, posto verso il fiume, era realizzato in opera quadrata, l’altro era costituito da un doppio paramento di opus vittatum. Le due diverse tecniche edilizie sono probabilmente indizio di due diverse fasi costruttive, avvenute in due epoche diverse. In località Pole in più occasioni si sono messi in luce strutture murarie, un tratto dell’acquedotto e a sud-ovest della dismessa stazione ferroviaria, presso la strada che porta a Piobbico, i resti di un teatro. L’edificio è stato costruito in una zona di leggero pendio, sfruttata per l’appoggio delle gradinate che accoglievano gli spettatori. Il teatro aveva la scena disposta parallelamente alla strada con due ambulacri concentrici di sostruzione alla cavea; il suo diametro massimo è stato stimato in circa 70 m. Altri ritrovamenti sono noti da diversi siti posti nelle vicinanze di Pitinum Mergens. In località Capiano sono stati rintracciati pavimenti a mosaico, strutture murarie con resti di affreschi e frammenti architettonici, mentre in località Catirano sono stati individuati altri tratti dell’acquedotto. In località Valeriana si segnalano resti murari, iscrizioni, frammenti architettonici e scultori. Presso il cosiddetto “Mulino dei Galeotti” sono state scoperte le fondazioni di un ponte. Infine, lungo la strada, subito dopo Acqualagna, nei pressi dello svincolo di collegamento alla Strada Statale 3 Variante Flaminia, sono stati individuati tratti di un basolato stradale e muri di sostegno. Frutto di un intervento di età augustea, le sostruzioni sono state realizzate in pietra a secco come opera di difesa della carreggiata, minacciata dalle piene del Candigliano.
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