A PORTO ALEGRE, PER UNA GLOBALIZZAZIONE DIVERSA
Mentre la catastrofica situazione dell'Argentina conferma il fallimento delle ricette liberiste, governi e istituzioni finanziarie internazionali continuano a promuoverle, come hanno fatto alla conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) di Doha. Ma un vasto movimento contesta questa globalizzazione al servizio delle multinazionali e degli interessi finanziari. Il secondo Forum sociale mondiale di Porto Alegre sarà un'ulteriore occasione per risvegliare menti annichilite dalla grancassa ideologica dei "leninisti di mercato".
GILLES LUNEAU
Gennaio 2001. Nell'imminenza del temporale tropicale la Guaiba si veste di tinte tempestose, dal blu acciaio al marrone. La laguna rivierasca di Porto Alegre funge da barometro per migliaia di visitatori atipici. All'improvviso il cielo scarica tiepidi scrosci sulla capitale dello Stato di Rio Grande do Sul, senza per questo distrarre i 4.702 delegati ufficialmente registrati (più di 13mila persone con i loro parenti), venuti da 117 paesi per partecipare ai dibattiti del primo Forum sociale mondiale (Fsm). Diventato il simbolo del movimento internazionale di resistenza alla globalizzazione liberista, il Fsm è nato come risposta al Forum economico mondiale (Wef) di Davos dove da trent'anni, nel mese di gennaio, si riunisce per una settimana un cenacolo di potenti, di dirigenti d'imprese "globali".
Il movimento antiglobalizzazione aveva trovato grande eco nei media poco più di un anno prima, nel novembre 1999, a Seattle, in occasione del summit dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Da allora manifestazioni e forum d'informazione fanno da contraltare alle principali riunioni delle istituzioni multilaterali. Si tratta ogni volta di mobilitazioni consistenti, che servono a segnalare al mondo intero chi decide (e dove) le linee guida che pesano sulla vita quotidiana, quali siano i meccanismi che incatenano i parlamentari, quali le forze e gli interessi che agiscono al di sopra delle leggi e degli stati.
Alcuni giorni dopo Davos 2000, due responsabili di associazioni brasiliane e il presidente di Attac Francia si incontrano a Parigi per discutere la creazione di un contro-forum economico mondiale. La loro idea non è tanto quella di creare un ulteriore sede in cui criticare la globalizzazione liberista, quanto di proporre un appuntamento per scambiare esperienze e formulare proposte alternative che provengano da ambiti sociali, sia del Nord che del Sud del mondo. Decidono di chiamarlo Forum sociale mondiale e di organizzarlo per l'anno seguente, esattamente negli stessi giorni di quello svizzero (1).
Dopo aver passato brevemente in rassegna varie opzioni possibili, per gennaio 2001 si sceglie un paese, il Brasile, e una città: Porto Alegre. La capitale dello stato "gaucho" (1.300.000 abitanti) ha un valore simbolico perché i sindaci del Partito dei lavoratori (Pt), che la governano da dodici anni (in successione Olivio Dutra, Tarso Genro e Raul Pont), vi hanno sviluppato un'originale forma di democrazia: il bilancio partecipativo. E quello stesso stato ha appena eletto governatore Olivio Dutra che, tra le prime decisioni, ha decretato la proibizione delle colture di Organismi geneticamente modificati (Ogm).
Il Fsm di Porto Alegre non nasce dal niente: è stato preceduto da un anno di manifestazioni "globali" sulla scia di Seattle (Bangkok, Washington, Ginevra, Bologna, Millau, Praga, Bangalore, Melbourne, Seul, Nizza). Alla mercificazione del mondo, vi sono cittadini che rispondono inventando la manifestazione mondiale per procura. Il principio è semplice: ogni obiettivo istituzionale - in primo luogo il Fondo monetario internazionale (Fmi), il Wto, la Banca mondiale e poi, ultimo arrivato, il Consiglio d'Europa - diventa bersaglio di mobilitazioni regionali arricchite da delegazioni straniere. In occasione di ciascun summit ufficiale i contestatori regionali si fanno portavoce delle rivendicazioni degli altri continenti in incontri, dibattiti e forum, come pure nei loro slogan, striscioni e cartelli.
Al di là della loro apparente disomogeneità - vi si trovano infatti associazioni di ogni tipo: sindacati, movimenti femministi, ecologisti, di difesa delle libertà, ecc. - , i partecipanti concordano sui punti essenziali: sbarrare la strada alla deregulation liberista, alla speculazione finanziaria, agli attacchi ai diritti umani e all'ambiente.
Le rivendicazioni non si fanno concorrenza, ma c'è tra loro piuttosto una sinergia che porta in primo piano il debito dei paesi in via di sviluppo, il rifiuto della privatizzazione del vivente, la difesa dei servizi pubblici, la protezione delle risorse naturali.
Le manifestazioni che si svolgono nel 2001 (Città del Messico, Buenos Aires, Quebec City, Göteborg, Genova, Beirut, Bruxelles) seguono le orme di Porto Alegre: approfondiscono la riflessione sulle soluzioni, globalizzano la speranza che "un altro mondo sia possibile".
A Città del Messico, nel marzo 2001, alcuni degli esponenti più noti del Fsm sono accanto al subcomandante "zapatista" Marcos, alla vigilia dell'ingresso nella capitale messicana della Marcia per la dignità.
L'incontro con Marcos è prima di tutto un omaggio reso a coloro che, insorgendo il 1° gennaio 1994, giorno dell'entrata in vigore dell'Accordo di libero scambio nordamericano (Nafta), avevano aperto la strada alla resistenza contro la globalizzazione liberista.
Nel Vecchio continente, i sostenitori dell'ordine economico di stampo liberista cominciano a rendersi conto che il movimento è ormai solidamente presente e che è in grado di proporre soluzioni alternative. Si sviluppa allora - a Göteborg, a Barcellona e soprattutto a Genova - una strategia che criminalizza coloro che i media ormai definiscono gli "anti-globalizzazione".
Il 15 giugno, a Göteborg, nel corso dell'ultimo Consiglio europeo a presidenza svedese, la polizia apre il fuoco sui manifestanti.
Bilancio: un ferito gravissimo (per fortuna poi ristabilitosi) e diversi feriti meno gravi. Un mese più tardi, a Genova, in occasione della riunione del G8, gli oltre 200mila manifestanti convocati dal Genoa social forum (Gsf) subiscono le provocazioni e le violenze della polizia: un morto e centinaia di feriti.
Simbolo del movimento antiglobalizzazione, con le sue bandiere rosse e bianche presenti a tutti i raduni, l'associazione Attac, fondata in Francia nel giugno 1998, ha ormai una diffusione internazionale: strutture Attac sono presenti in trentacinque paesi, di cui diciassette europei.
Attac Svezia, nata nel gennaio 2001, in dicembre contava già 6.000 membri. I finlandesi sono 3.000, gli svizzeri e i belgi quasi 5.000! Attac Germania, il cui congresso di fondazione si è tenuto nell'ottobre 2001, da allora accoglie centinaia di nuovi iscritti ogni mese. Il movimento si sviluppa anche in Polonia, in Russia, fino ad arrivare in Giappone. Nel continente americano, si trovano gruppi Attac in Quebec, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Paraguay e Uruguay.
In Africa, nonostante difficoltà di ogni tipo che ostacolano la vita associativa, si assiste allo stesso fenomeno nel Maghreb, in Burkina Faso e in Senegal. Ogni movimento nazionale Attac è indipendente, ma s'impegna a rispettare la piattaforma internazionale elaborata nel dicembre 1998.
Per François Dufour, uno dei due vicepresidenti francesi, questo successo è dovuto "alla capacità di Attac di riunire persone di diversa sensibilità per combattere l'infernale macchina liberista, nonché alla sua coerenza nel costruire una riflessione decentrata e un'azione".
Per Raffaele Laudani, uno dei responsabili di Attac Italia, "da noi Attac copre un vuoto politico: è un'associazione capace di legare dimensione internazionale e radicamento nel territorio e nelle città.
Attac è pensata come luogo di scambio tra gente organizzata altrove e che, senza Attac, non lavorerebbe insieme. La vera novità è la sua dimensione di movimento di educazione popolare rivolto all'azione".
In Francia, 27mila membri, regolarmente iscritti alla fine del 2001, e circa 230 comitati locali costituiscono un fenomeno sociale che suscita già molte ricerche universitari, libri e articoli. A livello istituzionale, a seconda dei casi, lo si osserva con preoccupazione o con simpatia. Per esempio, il 19 novembre 2001, un centinaio di deputati francesi, membri o simpatizzanti dell'associazione e riuniti nel Coordinamento dei deputati membri di Attac all'Assemblea nazionale ha fatto adottare, in un emendamento alla legge finanziaria, il principio della tassa Tobin.
Cofondatrice del Coordinamento, Chantal Robin-Rodrigo, deputata radicale di sinistra,vede in questo successo "una vittoria per il momento simbolica, dato che il prelievo entrerà in vigore solo se gli altri paesi dell'Unione europea adotteranno un identico provvedimento.
È però la dimostrazione di quanta strada sia stata percorsa in tre anni". Comunque, l'associazione difende il suo statuto di movimento di educazione popolare e dunque la sua indipendenza nei confronti dei partiti: non ci sarà alcun candidato presentato o sostenuto da Attac alle elezioni francesi del 2002.
All'indomani degli attentati dell'11 settembre, il tentativo di alcuni liberisti di presentare gli oppositori come alleati oggettivi di bin Laden, con il sillogismo che "essere antiglobalizzazione significa essere antiamericani, dunque complici dei terroristi", non ha fatto presa sull'opinione pubblica. Il che non significa che il movimento non debba affrontare problemi seri. Uno dei quali è la violenza, argomento principe degli avversari per screditarlo.
Genova, a questo riguardo, ha costituito un punto di svolta, in quanto si è visto che la polizia italiana aveva infiltrato alcuni elementi del movimento anarchico o "autonomo" (il Black Bloc) per tentare di sabotare e criminalizzare una manifestazione gigantesca e pacifica.
All'interno del movimento, le voci che tendevano ad accettare questi gruppi come compagni di strada, anche se dai metodi controproducenti, non trovano più spazio. La stragrande maggioranza condanna ormai con forza l'uso della violenza e si dissocia da chi la pratica. Senza farne però un avversario: di chi è la colpa, se la società liberista produce simili gruppi? Durante le manifestazioni di Bruxelles del 13 dicembre (su iniziativa della Confederazione europea dei sindacati) e del 14 dicembre (organizzata solo da associazioni - tra cui Attac Belgio - , sindacati e partiti vicini al "movimento") e che hanno radunato rispettivamente 80mila e 25mila persone, gli atti di violenza sono stati pressoché inesistenti.
Il dopo 11 settembre pone altre difficoltà. Anche se le politiche neoliberiste continuano a produrre effetti catastrofici, come si constata, tra l'altro, in Argentina, rimane il fatto che la "lotta contro il terrorismo" ha in parte modificato il quadro. Il governo americano, che a Doha aveva già arruolato il Wto nella crociata "antiterrorismo", vuole aumentare il suo vantaggio in tutti i campi. Come sottolinea José Bové, "globalizzazione militare ed economica vanno di pari passo dopo la caduta del muro di Berlino e la guerra del Golfo. È importante capire che l'una serve all'altra". D'altra parte, anche se le priorità dei media sono cambiate, le organizzazioni multilaterali non si fanno eccessive illusioni: ben sapendo di quale rifiuto sono oggetto le loro politiche liberiste, cercano di "dialogare" con gli oppositori della globalizzazione, e possibilmente di blandirli. Senza successo, finora.
In questo complesso scenario, il secondo Forum sociale mondiale di Porto Alegre diventa ancora più importante. Non sarà solo l'incontro di migliaia di rappresentanti sindacali, di associazioni o di parlamentari per definire quali siano i beni comuni dell'umanità e per conformare ad essi l'attività economica e la formulazione di politiche alternative.
Sarà anche l'occasione, a quasi cinque mesi dall'11 settembre, per rivendicare un mondo non sottomesso alla legge del più forte.
note:
(1) Per la genesi del Fsm, si legga Bernard Cassen, "Uma virada politica e cultural", in Forum social mundial. A construçao de um mundo melhor (a cura di Antonio David Cattani), coedito da sei istituzioni (tra cui l'università federale del Rio Grande do Sul), Porto Alegre, 2001.
(Traduzione di G. P.)
Fonte: Monde Diplomatique 01/2002