COME È POSSIBILE DEMOCRATIZZARE LA DEMOCRAZIA

intervento di Alberto Magnaghi

VORREI INNANZITUTTO presentare la "Carta del nuovo municipio", dando due informazioni. La Carta è promossa dalla rete di laboratori universitari di ricerca che io coordino e che lavora su esperienze di sviluppo locale e partecipazione in molte regioni italiane: in questi laboratori è nata l'idea di promuovere, per la scadenza di Porto Alegre, un documento che riassumesse un po' lo spirito delle esperienze che in questi campi che si vanno facendo in Italia, su un certo modo di intendere lo sviluppo locale, la partecipazione e così via.

Questo documento verrà discusso a Porto Alegre in un Forum, il cui titolo è "Lo sviluppo locale auto-sostenibile. Ruolo e compiti dei nuovi municipi e valorizzazione delle reti sociali di attori locali per una globalizzazione dal basso". Sono un po' tutte le parole chiave che nei nostri lavori ed esperienze affrontiamo. È una "ricerca-azione", perché il nostro lavoro è sia di riflessione sia di utilizzazione del lavoro di ricerca universitario come lavoro di intervento diretto sia a livello istituzionale, in piani e progetti, sia a livello locale, in esperienze dal basso o che si collocano a mezza strada tra le esperienze dal basso e le istituzioni locali.

Cosa vogliamo dire con questa Carta, che sta trovando parecchie adesioni, sia nei comuni di molte regioni [in Lombardia e Toscana ad esempio], sia tra presidenti di Parchi, che tra assessori e presidenti regionali, come quello della Toscana, Claudio Martini, e nelle Province, come il presidente della provincia di Torino, o presidenti di circondari, come quello di Empoli ecc.?

Queste adesioni tracciano una geografia di amministratori che cominciano ad essere sensibili a queste tematiche, e che quindi configurano un quadro potenzialmente interessante. Anche la partecipazione dei direttori di parchi mi sembra interessante: il Parco dell'Aspromonte o quello delle Cinque Terre o quello delle Colline Metallifere, dove sono in atto non tanto esperienze di parchi come parchi naturalistici, ma veri e propri esperimenti di modelli di sviluppo fondati sulla messa in valore delle risorse umane locali, territoriali, rilancio del ripopolamento agricolo, della qualità delle produzioni agricole, di un certo genere di turismo attento al patrimonio territoriale e ambientale, insomma parchi come laboratori dello sviluppo auto-sostenibile. Pensiamo alle Cinque Terre, in cui vi è un Parco del lavoro umano, del patrimonio dei terrazzamenti, del lavoro nella campagna, ecc. Dove la costruzione del Parco è la costruzione della difesa di un patrimonio, e, nella difesa, anche la costruzione della difesa di un futuro.

Il bilancio e molto altro

Cercheremo di fare in modo che queste adesioni siano verificate nel lavoro concreto di tutti i giorni, nelle proposte che faremo, anche perché la Carta propone nuove forme di democrazia diretta, come nel discorso sul bilancio partecipativo, ma estendendolo in generale: non si tratta cioè solo di rendere trasparenti o consultabili o modificabili le voci di bilancio; si tratta di mettere in moto un processo di partecipazione che non può che essere complesso. Nessuno di noi crede a scorciatoie "finanziarie", rendendo trasparente un bilancio che il più delle volte è predefinito, costretto entro i canali della spesa pubblica, e che quindi riguarda la spesa pubblica, non l'insieme dell'economia di un luogo. È chiaro che il bilancio è una tappa, uno strumento che in alcuni casi può essere il fattore scatenante, in altri può arrivare alla fine di un processo. Il problema vero è discutere di quali sono le forme più adatte per organizzare un processo che democratizzi la democrazia. Poi, dentro questo, ci sarà anche il problema del bilancio. Sovente il problema del bilancio può essere riduttivo. Giovanni Allegretti ha detto poco fa: "Il bilancio non produce nuovo reddito, distribuisce quello che c'è".

Nella nostra ipotesi di lavoro non c'è una partecipazione come quella tradizionale degli anni settanta, in cui la partecipazione riguardava nei quartieri il problema di alcuni servizi mancanti o un po' di verde in più o un trasporto mancante, cioè alcune questioni riguardanti la riproduzione della forza lavoro. Noi stiamo parlando di un'epoca in cui è cambiata profondamente la composizione sociale del lavoro, in cui ci troviamo di fronte ad un nuovo ruolo del territorio, delle risorse territoriali ambientali e del suo patrimonio umano.

Quando parliamo di partecipazione, in tutte le nostre esperienze, parliamo di progetti di futuro che riguardano la complessità della vita delle persone, cioè del loro destino produttivo e del loro destino nello spazio urbano, della vita e del lavoro insieme. Questo ci è facilitato, come scriviamo nel documento, anche dal fatto che sempre più il lavoro autonomo ha valenze potenziali di carattere etico ambientali, e in generale la composizione sociale del lavoro è una composizione sempre più molecolare, frammentata di micro-imprese, forme di auto-imprenditività che consente di rilanciare le forme artigiane del lavoro, di superare in molti casi la forma del lavoro salariato, e quindi presenta orizzonti di costituzione sociale diversa da quella che costringeva il lavoro salariato a una posizione puramente rivendicativa ed estranea ai fini della produzione.

Le società locali

Ci troviamo insomma in una situazione molto diversa da quella della società industriale, dove era assurdo chiedere ad un operaio alienato alla catena di montaggio che partecipasse alla costruzione dell'economia. A cosa poteva partecipare? Poteva solo rompere le macchine, o chiedere più soldi o meno lavoro o più salute o più trasporti. Era estraneo ad un processo produttivo in cui era mercificato come forza lavoro. Altra cosa è un sistema socio economico in cui la complessità dei produttori è altissima, in cui vi è sempre più auto-organizzazione del lavoro e in cui si può riavvicinare la finalità del lavoro ai mezzi di produzione.

Ciò ci consente di fare dei ragionamenti molto più complessi: un'agricoltura biologica non può esser fatta con sistemi industriali, deve rapportarsi a quelle specificità del territorio, deve esser fatta da imprenditori attenti alle qualità del luogo, alle sue culture, e necessariamente da micro imprese o da reti di piccole imprese. Così come la commercializzazione, la chiusura delle filiere e dei cicli, l'attenzione ai cicli dell'acqua, dei rifiuti, dell'alimentazione non possono esser fate da grandi macchine, devono tornare ad essere reti complesse, di micro-società. E anche nelle città, per esempio a Roma, questo discorso è da aprire, se vogliamo uscire dal "quartierismo", dalla sua dimensione puramente dei servizi, della qualità urbana, e legarlo alla produzione, ai cicli delle acque, dell'alimentazione, ai cicli dei mercati locali, alla cultura e a tutta quella rete di organizzazione del terziario avanzato che non è fatto di fabbriche, ma di tante reti accessibili ad un governo locale.

Quando parliamo di "partecipazione", nelle nostre ricerche-azioni, nelle conferenze d'area ecc., intendiamo parlare di come organizzare delle società locali, non di come organizzare i servizi decisi dal governo mondiale. Allora i nuovi sindaci, quelli che chiamiamo nuovi municipi, assumono nella nostra visione un'importanza nuova, una nuova collocazione nella catena del potere. Ovvero assumono la funzione di decidere, in questo contesto, nel proprio territorio, che cosa produrre, come produrre, quanto produrre, per chi, per che cosa. Mentre, prima, gli amministratori locali decidevano, nella società industriale, su scelte esogene, come organizzare la riproduzione, i servizi.

Oggi un sindaco ha acquisito la consapevolezza che il territorio è un patrimonio, che è un valore potenziale di costruzione di ricchezza futura, sociale, economica, di identità culturale.

Si potrebbe obiettare: "Roma è grande", ma io dico: rendiamola piccola! Io odio le masse, le masse sono un'invenzione, l'operaio massa è un'invenzione. Chi ha detto che dobbiamo stare in massa? Possiamo stare in tanti, essendo società comunitarie. Roma è scomponibile in identità che si auto-riconoscono, e i municipi saranno coloro che raccolgono queste identità. Io non credo che il municipio, con la dimensione che ha, sia un'identità locale. Penso ad unità molto più piccole. Devono essere gli abitanti, nel loro processo di auto-riconoscimento, a costruire queste identità. Quando noi ci poniamo il problema di forum partecipativi, l'elemento fondante di questo cambiamento è il passare da una partecipazione parziale a una fondazione sociale: quando i temi sollevati rispondono alla costruzione di uno scenario generale di futuro, in cui ciò che guida è quel che la comunità locale intende fare di se stessa, del proprio territorio e del proprio ambiente. Questo non è mai esistito nell'amministrazione locale, né nei piani cui partecipo. Perché i piani partono da attori forti, i proprietari di aree, le grandi imprese, che usano il territorio come puro strumento di costruzione di affari, di macchine da guerra, di macchine tecnologiche che non hanno nulla a che fare con l'interesse della popolazione.

Il primo atto non è il bilancio, ma la costruzione di un futuro condiviso, quello che noi chiamiamo statuto dei luoghi, cioè qualche cosa in cui attori sociali diversi, dagli attori economici, dagli attori culturali, ambientali, alla popolazione dei quartieri ecc., trova una sede in cui emerge un'idea di futuro. E questo credo che sia fondamentale per tutto quel che segue, cioè prima di iniziare il piano strutturale o economico o socio economico. Discutiamo di qual è il futuro di questo territorio, in base alle sue risorse, come lo pensa la gente. Naturalmente, di mezzo c'è il conflitto. Perché si alza uno e dice: "Per me il futuro è costruire ancora case".

È chiaro quindi che bisogna costruire maggioranze d'interessi. Io credo che l'individualismo esista nella gente perché è stata costruita così dai meccanismi mediatici, dagli incanalamenti dei desideri in certe forme. Poi, credo anche che si debbano creare occasioni di auto-riconoscimento, forme in cui comincia a prevalere il piacere dell'interesse collettivo, una vera piazza comunitaria dove gli interessi si confrontano, e alcuni interessi si rivelano nella loro miseria, al contrario di quando tanti individui isolati continuano a portare interessi, per così dire, berlusconiani, e c'è buon gioco, se non c'è una piazza, a dividere gli individui e a farli agire secondo un presunto interesse individuale, quello che poi nelle città, per esempio rispetto al traffico e allo smog e all'inquinamento, è un danno collettivo. Ma il disvelamento di questo danno non può avvenire convincendoli uno per uno, bensì attraverso la costruzione di tavoli decisionali, sul futuro, che consentano di accedere a tutte le parti.

Noi abbiamo fatto esperienze a diverso livello: di quartiere, di fiume, di valle, in Lombardia, in Piemonte, in Toscana. Ora, quello che è interessante, parlo ad esempio del caso della Val Bormida, dove abbiamo fatto le lotte per la chiusura dell'Acna, che è una fabbrica chimica in provincia di Savona, è che da queste lotte è uscita la consapevolezza che lo scambio tra "fabbrica di morte e salario" che avveniva fino agli anni ottanta, ad un certo punto si interrompe, perché tutti i giovani dei paesi della valle trovano diseconomico questo scambio.

Il caso della Val Bormida

Ma quello che è ulteriormente interessante è che è venuta fuori un'idea diversa di sviluppo, un "tavolo" con cui si è costruito, insieme ai sindaci, un progetto di sviluppo fondato sull'auto-riconoscimento della possibilità di farcela da soli, senza fabbriche, e infatti ho intitolato questo piano "Uno sviluppo senza ciminiere". Dove il riconoscimento dei valori potenziali del territorio consente un altro sguardo sul proprio patrimonio culturale e storico, e questo ha creato un patto territoriale molto interessante, in cui sono nate 140 imprese cooperative di giovani. È nato un mondo di proposte, di attività che erano strettamente correlate al tipo di futuro che si è intravisto, in quel caso fondato sulla eccellenza agro-alimentare, sul turismo di qualità e la valorizzazione delle risorse produttive locali nel campo dell'alimentazione, ecc. Voglio dire che si è passati da un'idea di società, quella industriale del lavoro dipendente, col territorio visto come pura appendice, luogo per dormire, ad un'idea di futuro completamente diversa, vivere nella propria terra con l'idea di metterla in valore.

La partecipazione, in quel caso diventa essenziale per auto-garantirsi questo futuro. Questo vale sia in una valle, che attorno ai fiumi dove si stanno affrontando politiche risanamento, dove il fatto di far emergere uno scenario da parte degli attori locali cambia gli obiettivi del futuro. Questo è il punto fondamentale. L'immaginario degli abitanti è spesso costretto nei binari predeterminati. Il compito principale della partecipazione è quello di sollevare un altro immaginario del proprio futuro, renderlo praticabile o almeno immaginabile.

E dall'auto-invenzione di un futuro nasce un diverso modo di leggere le risorse, l'ambiente, il territorio.

La mia impressione è che tutti gli interventi di stamani abbiano lanciato un avvertimento: attenzione alla moda del "bilancio partecipativo", e cioè guardiamo a Porto Alegre come a un'esperienza di partecipazione reale, ma affrontiamola nei termini complessi che questa richiede, che è il costruire società locali che avranno anche un loro bilancio partecipativo. L'altra questione che ho sollevato è che la funzione dei municipi - per questo l'abbiamo chiamato "nuovo municipio" - deve essere molto diversa da quella del municipio da cui arriviamo. Se questo ragionamento ha un senso, il futuro del municipio è quello di un luogo in cui la società locale può trovare un suo punto di incontro e di rappresentanza, poiché questo nuovo municipio deve occuparsi non solo di servizi e di asili, ma di decidere il futuro anche economico di un luogo, mettendone in valore tutte le risorse.

Quando il Nord impara dal Sud

In questo senso, possiamo provare a dirci anche in Italia che il nuovo municipio è in costruzione, sulla base delle tante esperienze che stiamo facendo, ma facendo attenzione alle esperienze "finte", in cui la partecipazione è una specie di orpello per far accettare decisioni già prese o in via di essere prese.

In questo documento, la Carta, noi invitiamo i sindaci, gli amministratori locali, alla sfida di istituire questi forum, i "nuovi istituti decisionali" che sono una via di mezzo tra la forma rappresentativa della democrazia elettiva e la democrazia diretta. Proponiamo ai sindaci di istituire in ogni comune istituti decisionali che potremo chiamare come vogliamo, e che comprendono una rappresentanza delle principali associazioni economiche delle categorie locali: artigiani, agricoltori, commercio, industria, turismo ecc., una rappresentanza delle associazioni con finalità culturali, sociali, di difesa dell'ambiente e una rappresentanza di comitati, di forum tematici, come i social forum, ad esempio, territoriali ed urbani.

La concertazione di cui conosciamo i casi più evidenti nei patti territoriali è sempre una concertazione tra alcuni attori del territorio e, principalmente, le associazioni di categoria economiche. Questo deforma la costruzione dello scenario, perché se parto dagli interessi di categoria lo scenario è di un tipo, se parto da come vuol vivere la gente, che cosa sogna sul proprio futuro, lo scenario cambia completamente. Il rapporto tra economia, cultura e territorio cambia, l'uso delle risorse cambia, il ruolo del tempo libero, del tempo sociale.

È molto importante che si lavori su queste rappresentanze. Spero che ci rincontreremo in convegni, seminari e confronti anche a livello nazionale. Anzi, noi proponiamo in primavera un seminario di lavoro dove, sulla base delle esperienze che abbiamo, ci si misuri su alcuni obiettivi, ad esempio su come si fanno questi nuovi istituti.

Concludo con una questione che mi ha colpito: abbiamo molto parlato di un rapporto, tra Nord e Sud, in cui il Nord arriva con la valigetta dello sviluppo o col tecnico della cooperazione. Ma ne è iniziato un altro, di rapporto, in cui è il Sud ad insegnarci alcune cose, e il caso della partecipazione è interessante.

Proviamo a riflettere sul fatto che a Roma, o a Parigi, città in cui fino all'altro ieri si elaboravano progetti sul terzo mondo, adesso noi stiamo discutendo di un progetto che arriva dal terzo mondo e rispetto al quale noi siamo indietro. È curioso. Mi è già capitato con i rappresentanti di un quartiere di Bogotà, che vennero al Quartiere Quattro, dove dei colleghi lavoravano per costruire quattro piccole città sull'Arno, ed era un lavoro partecipato con gli abitanti, con il consiglio di quartiere. Vennero questi rappresentanti di Bogotà e ci insegnarono come organizzare la democrazia partecipativa di un quartiere. Questo rovesciamento è esemplificativo di un rapporto di scambio solidale e non di dominio, quale fino ad ora abbiamo concepito, anche con le migliori intenzioni, con la cooperazione e il portare progetti. Qui, oggi, stiamo discutendo un progetto che si è proposto come guida rispetto al nostro sottosviluppo partecipativo.

Fonte: Carta 01/2002