MACCHÉ MONDO NUOVO SONO TESI VECCHIE

Scritto come manifesto per i no global, "Impero" rispolvera soltanto Lenin, Foucault e persino San Francesco. In puro stile anni Settanta

di Giuseppe Berta

A scorrere l'edizione italiana del celebrato "Impero" (Rizzoli) di Michael Hardt e Antonio Negri, c'è da nutrire più di un dubbio che si possa identificare in un saggio come questo il manifesto per i no global e i movimenti reduci da Porto Alegre. Sono 450 pagine dense di note e di citazioni per sostenere che la globalizzazione d'inizio 2000 non si può confondere con l'imperialismo dell'800 e del '900, incardinato sull'egemonia di singole nazioni. L'impero attuale avrebbe invece la peculiarità di essere acefalo, privo di centri riconoscibili, e tuttavia in grado di unificare il mercato mondiale in un continuum di dominio, modulato da tecniche di controllo raffinate e impersonali. Contro di esso l'antagonismo di una "moltitudine" eterogenea solo all'apparenza, ma unita dalla sua volontà soggettiva di opposizione.

Il lettore italiano che conservi qualche memoria del movimentismo anni '70 non mancherà tuttavia di riassaporare un clima intellettuale ben noto. Ecco Lenin e il programma bolscevico del '17, la "vecchia talpa" della rivoluzione pronta a passare il testimone al "serpente" delle lotte che si muovono sinuosamente sotto traccia, la "sussunzione" del lavoro vivo da parte del lavoro morto, l'operaio massa e l'operaio sociale teorizzati da Negri quando ancora stava a Padova. Insomma, ci si ritrova subito in un ambiente di famiglia: nella biblioteca di nonna Speranza, in un bric-à-brac che sembra rimediato da un rigattiere operaista. Di nuovo c'è poco o nulla: spicca semmai un accoppiamento un po' incongruo fra Marx e la postmodernità, mediato dai buoni uffici dei philosophes francesi. Derrida e Foucault, Deleuze e Guattari la fanno sempre da padroni, moschettieri del pensiero capaci di muovere affondi in ogni direzione. Siamo nel milieu tratteggiato di recente da Catherine Millet, in quell'atmosfera parigina di oltre vent'anni fa, piena di intellettualità, trasgressione e glamour.

Quanto all'interdisciplinarità rivendicata dai suoi autori, "Impero" non ne ha l'ombra. Quello di Hardt e Negri è un "conte philosophique" in cui le idee partoriscono altre idee, grazie a una catena infinita di figure retoriche e un gioco di ricerca linguistico che si compiace dei suoi virtuosismi. Nel loro libro, non c'è posto per scienziati o economisti: gli unici citati sono Galileo e Keynes. Per non parlare dei numeri che gli autori palesemente aborrono: in un tomo così vasto, per di più dedicato al mondo globalizzato, non ricorre una cifra nemmeno per sbaglio. D'altronde, nessuna delle tesi del libro è formulata in modo da poter essere verificata o confutata. Ma Hardt e Negri non fanno mistero di nutrire qualche propensione teologizzante, magari in stile New Age. Sicché non stupisce di incontrare alla fine del libro, dove si tenta di rinverdire il profilo antagonistico del militante, Francesco d'Assisi nel ruolo di archetipo del comunista. A questo punto, viene da chiudere "Impero" riecheggiando un motto che non stonerà alle orecchie di Hardt e Negri: sarà uno sbadiglio che vi seppellirà.

 

Fonte: L'Espresso

21.02.2002