Massimo Almagioni | "Introduzione" |
Alba Rossi Dell'Acqua | "Esperienza nei convitti" |
Rosanna Sdraiati | "Da allieva a insegnante" |
Iliano Geminiani | "Verso la scuola pubblica" |
Fabrizio Pasquali | "Dai Convitti alla scuola pubblica" |
Maria Luisa Bargero | "Rinascita oggi" |
Silvia Scoppini | "Continuità ed evoluzione di Rinascita" |
Piero D'Alfonso | "La vocazione sperimentale di Rinascita" |
Guido Petter | "Continuità e attualità della sperimentazione pedagogica" |
Angelo Formenti | "Prospettive per Rinascita" |
"Oratorio per Amleto Livi" |
Scuola Media Statale "Rinascita - A. Livi" Via R. Carriera 12/14 - 20148 MILANO Tel. 428324
MASSIMO ALMAGIONI
Oggi - La società italiana, e anche la scuola,
sono come sospese tra passato e futuro. Il passato, non granché;
il futuro, pieno di incognite.
1945 - Non erano ancora svaniti gli echi della
guerra, e per di più di una guerra fratricida, e da quello stesso
terreno nascevano i Convitti Rinascita: una scuola, uno strumento di pace
per costruire una nuova società.
1975 - Trent'anni dopo, da questi Convitti è
nata “Rinascita - A.Livi”, una scuola pubblica, una scuola media sperimentale,
che ha portato avanti in questi vent'anni un lavoro - con le sue luci e
le sue ombre - di sperimentazione delle modalità attraverso le quali
insegnare ai giovani alcuni elementi del sapere, ma anche alcuni elementi
del vivere, del convivere in una società civile.
1975-1995 - Pur mantenendo buoni legami con il
territorio cittadino che lo circondava e pur contribuendo con l’esperienza
e la viva partecipazione di molti suoi insegnanti al dibattito educativo
e pedagogico, Rinascita non ha mai potuto sviluppare appieno le sue potenzialità
di scuola sperimentale.
Non lo ha potuto, in primo luogo perché
non si è voluto che lo facesse. La politica scolastica italiana,
il Ministero della Pubblica Istruzione (con i suoi organi sia centrali
che decentrati) si sono ben guardati dal chiederle reali apporti - che
avrebbero dovuto essere i logici ritorni delle risorse investite nella
sperimentazione - e dal prendere in considerazione quelli che comunque
essa trasmetteva.
Durante i cinquant'anni di governi che si sono
succeduti nel paese dal ‘45 a ieri le potenzialità che esistevano
nella Scuola Pubblica Italiana - e Rinascita era parte di una di esse -
sono state volutamente prima mortificate e poi quasi ridotte al silenzio.
Oggi - In una situazione così sospesa,
e a rischio, il guardare al passato (alla nascita Convitti, ma anche allo
svolgersi degli ultimi cinquant'anni di governo della cosa pubblica e della
scuola, ed alle potenzialità sperperate) può forse servire
per pensare nuovi comportamenti sia singoli sia collettivi e costruire
nuovi ambiti di confronto e di lavoro.
Ambiti dove idee diverse della società,
idee diverse della scuola si confrontano sul merito dei temi, si verificano
sulla valutazione dei risultati.
Questo è il significato, ed in ultima analisi
il vero obiettivo, della nostra associazione “Rinascita per il 2000”.
Questo è il significato di quest’incontro.
Questa è la speranza che possiamo ancora
coltivare.
Dice Eraclito, un sapiente che, prima che il sapere diventasse strumento di potere, ha guardato nel cuore dell’uomo occidentale (di ieri e di oggi):
“Se non speri l’insperabile, non lo raggiungerai,
non vi è strada non ricerca che vi conduca”
MASSIMO ALMAGIONI, ingegnere urbanista, tre figli
a Rinascita tra il 1975 e il 1982.
Attualmente è presente nell’ambito della
vita e del coordinamento di Associazione di Comitati democratici milanesi,
per quel che riguarda il territorio, la cultura e i problemi sociali.
ALBA ROSSI DELL'ACQUA
Io sono stata partigiana in Val Sesia, nel Cusio
e nell’Ossola e certi problemi mi si sono affacciati durante il periodo
del rastrellamento: era proprio nel momento del rastrellamento, quando
i partigiani dovevano nascondersi e spesse volte per parecchi giorni, era
in questi momenti che si sentiva il bisogno di parlare. Naturalmente, essendo
noi giovani di provenienza diversa, di culture diverse, di scolarizzazione
diversa, è stato fatale che a un certo punto nascesse l’esigenza
di approfondire determinati discorsi perché, come potete ben capire,
molti ragazzi avevano scelto la via del partigianato partiti da un impulso
di ricerca di sé stessi, di ricerca della libertà, di “decidere”
finalmente, di dire “siamo noi che decidiamo di noi stessi”, però
avevano bisogno di razionalizzare la loro esperienza. Per razionalizzare
la loro esperienza, bisognava parlare con loro, e soprattutto, dico una
parola un po’ pomposa perché non me ne viene un’altra, era necessario
fare qualche lezione di storia.
Io non sono una storica però mi ero sempre
interessata di storia e quindi mi è stato abbastanza facile
portare il discorso oltre quella che era stata la spinta immediata che
aveva motivato questi giovani.
Ci sono state poi esperienze di altro tipo.
Un’esperienza particolarmente legata alla nascita
del Convitto è intervenuta in un campo di internamento svizzero.
Dopo la caduta della Libera Repubblica dell’Ossola, molti partigiani, oltre
a molta parte della popolazione civile, hanno dovuto andare in Svizzera
Il governo svizzero aveva deciso di creare un
campo destinato ai partigiani che avevano il fazzoletto rosso e quindi
avevano internato questi “Garibaldini” in un campo del canton Friburgo.
Qui c’erano circa seicento Garibaldini e nel campo d’internamento questi
ragazzi, praticamente senza nessun contatto con l’esterno, non sapevano
come passare la giornata. C’è stato qualcuno e poi ne dirò
il nome, che ha avuto l’idea di approfittare di quest’occasione per portare
il discorso sulla culturizzazione, sulla formazione, sui problemi importanti
per un giovane che sono da un lato la formazione professionale e
dall’altro la formazione di cittadino.
La persona che soprattutto si è assunto
questo incarico è stato il Prof. Luciano Raimondi, il noto professore
di storia e filosofia e partigiano naturalmente, conosciuto col nome di
Nicola; quando dico Nicola mi riferisco proprio a lui ed è
un peccato che non sia qui a raccontare questa esperienza perché
molto ammalato.
Nel campo, con Nicola, con due medici e
qualche altro partigiano, è nata quest’idea: non basta fare dei
corsi qui ma bisogna pensare a qualcosa, in modo da sfruttare l’esperienza
e le capacità di questi ragazzi, di quelli che non hanno potuto
avere una scolarità di un certo livello. Creare una risorsa per
questi ragazzi e creare una risorsa per la società.
Finita la guerra è nato un comitato promotore
proprio per iniziativa di Nicola e di altri che devo certamente nominare:
il Prof. Angelo Peroni che è qui presente, il Prof. Guido Petter
che era anche lui un partigiano in quelle zone, il Prof. Antonio Banfi,
il filosofo, e la Prof.ssa Claudia Mattioli di filosofia. Questo comitato,
cominciando dal niente, posso dire proprio quasi niente, con piccole cose
che sono rimaste dopo la smobilitazione partigiana, ha fatto nascere il
primo Convitto.
In quel primo Convitto naturalmente io ho accettato
subito d’insegnare la disciplina che è di mia competenza e l’ho
fatto, devo dire, con molto entusiasmo. Per questo Convitto si sono stabilite
subito delle regole. C’era uno statuto e si sono organizzati i corsi. Io
credo che il Prof. Petter vi parlerà delle regole fondamentali che
regolavano i Convitti. Io preferisco limitarmi alla storia.
Come insegnante ero in una situazione privilegiata
perché i convittori erano per la maggior parte ragazzi che avevano
fatto il partigiano con me o con persone che io conoscevo benissimo: eravamo
tutte persone che avevano condiviso questo tipo di esperienza e quindi
c’era un rapporto un po’ particolare. Mi sono quindi trovata avvantaggiata,
dal punto di vista didattico, da questo rapporto perché non ero
insegnante, eravamo dei compagni, lavoravamo insieme, ciascuno con le sue
competenze. Io avevo una competenza per una certa disciplina e loro avevano
una loro competenza che era poi il risultato di certe loro capacità.
Devo quindi dire che io di problemi non ne ho avuti.
Vorrei però citare, dato che siamo in una
scuola, certi successi che abbiamo avuto. Per esempio, io ho avuto con
me, in qualità di studenti, dei giovani di ventiquattro, venticinque
anni, qualcuno con la sola licenza di quinta elementare. Ebbene, qualcuno
di questi giovani nel giro di un anno è stato portato alla licenza
media presso una scuola statale e poi magari in due, tre anni a una maturità
classica o scientifica. Quindi mi sono resa conto attraverso questa
esperienza che la scuola può dare molto ai ragazzi ma può
dare anche molto agli insegnanti solo che sappiano, attraverso le pieghe
dei programmi, valorizzare, scegliere ciò che veramente può
dar valore all’insegnamento. Dopo un po’ di tempo, un periodo abbastanza
breve, si è pensato che il Convitto di Milano non fosse sufficiente
e quindi che occorresse estendere l’esperienza anche ad altre zone. Sono
così nati altri Convitti basati su un criterio che secondo
me oggi andrebbe ripreso : una scuola profondamente legata alla situazione
locale . Per esempio i Periti Agrari a Reggio Emilia, i Geometri
a Torino. Si doveva scegliere il tipo di scuola in base alle esigenze della
zona : era questo un elemento allora molto importante perché si
trattava di ricostruire il paese ed era anche utile che ci fosse uno stretto
legame tra il tipo di scuola e le necessità della zona. Sono così
sorti dieci Convitti-Scuole.
Nel momento in cui ci pareva di aver creato un’organizzazione
forte, un’organizzazione che potesse tenere , è cominciata la lotta
contro i Convitti . Scarseggiavano i mezzi, anche se, dopo la fondazione
dei Convitti, erano stati fatti degli accordi col Ministero dell’Assistenza
post-bellica prima e poi col Ministero dell’Istruzione Pubblica e col Ministero
del Lavoro , accordi via via non rispettati.
Ad un certo punto mancavano i fondi per gli insegnanti
cui era stato dato il comando: io infatti insegnavo al Convitto perché
avevo avuto il comando. E’ stato quindi tolto il comando agli insegnanti
che così sono dovuti tornare alle loro scuole di origine ed è
cominciata la lotta contro i Convitti . Qualche Convitto ha chiuso prima,
qualche Convitto ha resistito. Quello di Milano è quello che ha
resistito più a lungo.
Io vorrei sottolineare un aspetto caratteristico
del nostro paese: c’è stata la Resistenza ; il 25 Aprile credevamo
di avere conquistato la libertà e la democrazia e non ci siamo accorti
subito, almeno io non me ne sono accorta subito, o forse era la speranza
che mi muoveva, non mi sono accorta subito che le forze reazionarie avrebbero
certamente ostacolato questo instaurarsi di una democrazia vera, di una
democrazia vera e propria. Purtroppo, ed è questo che vorrei sottolineare,
a me sembra che nella storia del nostro paese appena si fa una conquista
ci si trova subito davanti a qualcuno che la erode, che cerca di
eroderla. Subito c’è questo “contro”. E’ successo a Garibaldi e
ai suoi volontari e a un certo punto, poveretto, è dovuto andare
a Caprera e i suoi volontari sono stati considerati come mezzi banditi
. E’ successo anche ai partigiani e questo purtroppo è successo
anche ai comunisti. Io sono molto contenta che ci sia la scuola Rinascita
che è un po’ l’ultimo baluardo della nostra storia che praticamente
è durata cinquant'anni. Sono molto contenta perché si è
contenti tutte le volte che si è davanti a una situazione che dà
un motivo di speranza.
Con questo chiudo, facendo i miei più cari,
affettuosi auguri perché la scuola Rinascita possa continuare
e resistere soprattutto perché mi sembra di aver capito che qualche
difficoltà viene creata e quindi resistete, resistete.
ALBA ROSSI DELL'ACQUA, Partigiana. Oltre ad insegnare
nel Convitto-Scuola Rinascita. è stata docente di matematica e fisica
al liceo scientifico “Leonardo da Vinci”.
Ha pubblicato testi scolastici per diversi editori
e ha fatto conoscere in Italia il progetto inglese Nuffield di insegnamento
della matematica.
ROSANNA SDRAIATI
Sono stata allieva del Convitto Rinascita Ruggeri-Livi-Pintor
negli anni dal 1961 al 1963 e da quest’anno insegno alla Scuola Media Rinascita
A. Livi.
Mi à stato chiesto di parlare della mia
esperienza come studente del Convitto Rinascita, ma in realtà oggi
vi devo raccontare un pezzo importante della storia della mia vita.
Pertanto il mio contributo sarà sì
forse parziale, ma sicuramente personale.
A determinare la scelta del Convitto da parte
dei miei genitori fu, prioritariamente, la possibilità di ottenere
una borsa di studio; perché Rinascita era anche questo, la possibilità
di continuare gli studi senza gravare sul bilancio di una famiglia operaia,
infatti mio padre era un operaio delle Ferrovie dello Stato e mia madre
era una casalinga.
In merito a questa scelta, io non ero stata consultata,
del resto allora non si usava; capivo però che era importante.
Il mio primo incontro con Rinascita avviene proprio
in questa occasione, cioè nel momento in cui devo affrontare l’esame
per ottenere la borsa di studio; avevo superato la prova scritta e dovevo
sostenere anche un colloquio: vi andai preparata, avendo ripassato tutto
il programma delle elementari alla sera con mio padre.
Quando tornai a casa da questo colloquio ero convinta
di non aver superato la prova.
Il colloquio si era svolto in modo garbato e cordiale,
ma io ero molto delusa perché non mi erano state fatte le domande
che mi aspettavo.
A Rinascita non sembravano molto interessati alla
mia erudizione scolastica, sembravano molto più interessati a me:
mi avevano fatto parlare di me, di come si si svolgeva la mia vita, delle
letture che facevo, di come passavo il mio tempo libero.
Avevo descritto la mia casa, i miei amici, i miei
conoscenti. Ora, come insegnante, leggo in quel colloquio, l’interesse
da parte degli adulti, verso la mia capacità di osservare il mondo
che mi circondava, quali aspetti ne sapevo cogliere, come li valutavo e
come sapevo raccontarli.
Era un’attenzione nei confronti dell’alunno come
soggetto, un concetto, questo, che nella scuola italiana arriverà
molto più tardi: c’era allora proprio questa immagine dell’alunno
inteso come vaso vuoto che l’insegnante doveva riempire di contenuti, eravamo
quindi considerati più come oggetti che come soggetti.
Quindi io, a dieci anni, basandomi sulla mia esperienza
scolastica precedente, avevo concluso che le prove scritte del mio esame
erano andate così male che non si era ritenuto necessario infierire
sondando ulteriormente la mia preparazione scolastica, evidentemente molto
scarsa.
Quando seppi di aver ottenuto la borsa di studio,
non fui affatto contenta: prima di tutto mi chiedevo cosa avessi fatto
per ottenerla, visto che non mi sembrava di aver sostenuto un vero e proprio
esame e poi avevo davanti una scuola che mi prometteva un orario scolastico
che andava dalle 8.30 del mattino alle 18.30 del pomeriggio. Capivo benissimo
che ciò significava passare tutta la mia vita a scuola.
Inoltre c’era il naturale disagio di dover affrontare
un ambiente nuovo e sconosciuto e, infine, aspetto molto importante, la
mia insegnante della scuola elementare era letteralmente inorridita alla
notizia che avrei frequentato il Convitto Rinascita. Cominciavo la scuola
con un atteggiamento molto prevenuto e diffidente.
L’inserimento, invece, fu molto naturale, privo
di traumi o difficoltà visto che non ricordo nulla di particolare
dei miei primi giorni di scuola; in tutta la mia storia scolastica, tutto
il triennio che ho trascorso a Rinascita, emerge come uno dei periodi più
intensi e più felici, un continuum di vita completamente diverso
dalla scuola precedente e da quello che vivrò nella scuola successiva.
La scuola del mattino non era molto diversa da
come me la aspettavo, ci andavo volentieri e studiavo con profitto, perché
a Rinascita ci veniva richiesto di studiare seriamente, di essere corretti
e responsabili e ci veniva richiesto con un certo rigore, ma, al tempo
stesso, ci erano lasciati spazi di libertà più coinvolgenti
e più interessanti al pomeriggio.
Dopo la mensa avevamo un’ora circa di gioco libero:
la scuola offriva molti spazi diversificati in cui potevamo scegliere dal
ping-pong, agli scacchi, al calcio, alla pallavolo, alla sala di lettura.
Io la ricordo come una scuola grande, molto “movimentata”.
Poi c’erano le attività organizzate: costruzione di burattini, danza
popolare, coro.
Attività che adesso molte scuole mettono
in atto, ma allora erano sicuramente diverse e straordinarie.
Ma io non vivevo Rinascita come scuola “diversa”,
per me era normale: quella era la scuola e contemporaneamente la mia vita,
le due cose erano strettamente collegate. Quello era il posto in cui vivevo,
un posto in cui stavo bene così come ora a Rinascita si cerca di
attuare lo stesso obbiettivo “stare bene a scuola”.
Il Convitto Rinascita però non era solo
una scuola, era una scuola dell’ANPI e la Resistenza era sempre presente
nella nostra vita.
Ci fu un anno in cui i ragazzi più grandi
avevano realizzato delle monografie sulle città medaglia d’oro della
Resistenza, in quella occasione tutta la scuola andò a consegnare
i loro lavori ai sindaci di quelle città e tutti noi ragazzi fummo
ospiti per il fine settimana in casa di partigiani.
Sono stati questi incontri diretti e personali,
con i protagonisti della lotta partigiana, che mi hanno fatto conoscere
la Resistenza al di fuori dei miti e delle celebrazioni.
Io ho della Resistenza un’immagine molto viva
e presente di uomini e donne che hanno lottato e combattuto nel passato,
ma che non hanno mai smesso di perseguire, anche dopo la liberazione, gli
stessi valori e gli stessi ideali.
E’ un’immagine che non si ferma alla celebrazione
del 25 Aprile, ma continua nel ricordo di questi incontri, di racconti
fatti a tavola, di fotografie commentate sugli album di famiglia, di canzoni
imparate mentre vado in bicicletta con un partigiano lungo i viali di Reggio
Emilia.
E’ una memoria, la mia, di domande di adolescente
a volte intelligenti, a volte ingenue, che proprio in questi incontri diretti
e personali avevano sempre risposte serie e credibili. Potete, quindi,
capire quanto mi abbia emozionato rivedere oggi, la stessa attenzione e
lo stesso coinvolgimento emotivo che io avevo allora, nei miei alunni di
III A mentre lavoravo alla mostra sulla Resistenza. Mostra che hanno progettato
facendo la stessa scelta: consultare i testi, i documenti storici, ma recuperando
anche le testimonianze dirette: oggetti, lettere, fotografie, racconti
diretti della generazione che però, ormai, non è più
dei padri, ma dei nonni.
Scrivono i miei alunni nella presentazione della
mostra:”... questa generazione, purtroppo, va scomparendo, c’è quindi
la necessità di conservare il ricordo, nel modo più vivo
possibile”.
E’ una chiara indicazione di lavoro e di impegno,
che la scuola italiana tutta dovrebbe portare avanti, ma, comunque c’è
una scuola che lo sta facendo e questa non poteva che essere la Scuola
Media Statale Rinascita A. Livi.
ROSANNA SDRAIATI è attualmente insegnante di educazione musicale a Rinascita
ILIANO GEMINIANI
Ho svolto le funzioni di Preside, con l'incarico
dell'insegnamento di matematica-scienze, negli ultimi due anni della Scuola
Rinascita, quando la scuola era ancora legalmente riconosciuta: '72 -'73,
'73 -'74.
Per la presidenza della scuola mi aveva indicato
il Direttore del Convitto Rinascita, Emilio Fietta, in ragione del fatto
che ero stato convittore dal 1955 al 1966 e che continuavo ad essere legato
a Rinascita come insegnante di chimica nei corsi serali per lavoratori
gestiti dal Convitto.
Accettai la proposta con grandi timori: si trattava
di dare continuità al lavoro di una piccola comunità di docenti
che negli anni avevano avuto dei Presidi di grande valore come Petter,
Mosconi, Sironi. Nello stesso tempo accettai con gratitudine perché
il nuovo impegno mi consentiva di restituire in parte il molto ricevuto
come convittore.
Il mio incarico doveva aiutare a trovare una soluzione
politica al dibattito allora in corso sul destino della scuola, che era
ormai posto in termini molto netti: la chiusura della scuola o la sua trasformazione
da legalmente riconosciuta a statale;
C'erano ragioni economiche e ragioni di opportunità
politica: la piccola Rinascita di allora non era più tanto diversa
dalla scuola pubblica, che nel frattempo era stata trasformata. La nostra
era una scuola che rispettava tutti i regolamenti della scuola pubblica
e nello stesso tempo attuava innovazioni nel campo della didattica e delle
strutture; ma era una scuola che costava ai lavoratori; agli utenti chiedeva
di corrispondere delle rette che coprivano il 50% dei costi; questo comportava
un'impegnativa e sofferta ricerca di fondi; al finanziamento della scuola
provvedeva in modo determinante la cooperativa di falegnameria posta nel
fabbricato di Rinascita. Tuttavia alla fine di ogni mese era problematico
corrispondere gli stipendi alle/ai docenti.
Nonostante le ristrettezze economiche, noi volevamo
una Rinascita ricca di materiali e di strutture, per offrire una proposta
di scuola di alta qualità ed essere un punto di riferimento sul
territorio.
Il tipo di organizzazione scolastica (gruppi interclasse),
la qualità del rapporto con gli allievi (discussioni di gruppo,
assemblee), l'operatività delle discipline caratterizzavano Rinascita
come scuola aperta, in ricerca. Il tempo pieno di Rinascita era un tempo
a dimensione dell'allievo: non si curava soltanto il cognitivo, ma ampio
spazio avevano le manifestazioni amicali, le attività espressive,
motorie; il canto, il teatro, le danze popolari erano parte del curricolo.
Quella Rinascita andava salvata, valorizzata.
Come?
Progettando la sua trasformazione in scuola statale,
chiedendo allo stato di riconoscerla come scuola sperimentale. Volevamo
un futuro della nostra scuola al servizio del sistema scolastico nazionale,
come laboratorio per la sperimentazione e la ricerca didattico-pedagogica.
Ricordo che andai a Roma col progetto insieme
ad altri. Ci ricevettero alla Direzione Generale e mi sembrava che ci fosse
la consapevolezza di ricevere rappresentanti di una scuola che aveva una
grande tradizione alle sue spalle. La statalizzazione avvenne.
Il progetto fu accolto. Per Rinascita fu un balzo
in avanti: da scuola con un solo corso, in poco tempo passò a cinque
corsi. Era una scuola-testimonianza, diventò una scuola con maggiore
possibilità di incidere sul sistema scolastico. Una scuola utile
non solo agli allievi ma anche ai docenti, che in Rinascita avevano ed
hanno una grande opportunità di formazione.
Gli insegnanti che erano dentro la scuola ottennero
il riconoscimento d'incarico a tempo indeterminato. La trasformazione aveva
due elementi guida per noi fondamentali. Il primo legare la scuola al territori,
esigenza che sentivamo moltissimo. Noi avevamo già dei ragazzi che
venivano da tutte le parti di Milano e ora avevamo bisogno di mettere radici
sul territorio; il secondo costruire la scuola Rinascita come un laboratorio
di ricerca pedagogica. Abbiamo lavorato nell’ultima parte della presentazione
del progetto proprio per legare la scuola media Rinascita all’istituto
universitario. Il tentativo venne fatto nei confronti dell’istituto di
pedagogia di Bologna dove allora c’era Giovanni Maria Bertin. E’ un pedagogista
di forte impostazione laica , era stato allievo di Banfi. Per le cose che
aveva scritto ci sembrava di trovare una specie di sintonia con Giovanni
Maria Bertin. Egli trovò interessante la nostra proposta ma era
anche avanti con gli anni e non se la sentì d’impegnarsi in un’impresa
del genere che voleva dire venire sovente a Milano per seguire il lavoro.
Io credo che l’ipotesi di legare la scuola al territorio e di essere laboratorio
per la scuola in generale abbia tuttora una ragione d’essere. E mi sembra
anche che quando leggo i progetti di autonomia ci sia nella legge complessiva
questa ipotesi di avere delle scuole-laboratorio in certi punti del nostro
paese.
Ho letto il vostro titolo “A scuola di storia,
la storia della scuola”. A proposito di storia. Noi sabato ci siamo trovati:
c’era Petter, c’era Alba, Pizzigoni. Ci siamo trovati ad Affori per scoprire
una targa che ricorda che quello è stato il primo insediamento dei
Convitti Rinascita, dicendo le ragioni di questo insediamento che erano
ragioni di libertà, di democrazia. Io credo che sarebbe opportuno
avere anche qui in questa scuola una targa. Una targa che dia ragione di
questa scuola. Sono poche le scuole che hanno delle storie. Anzi le scuole
non hanno storie, spesso, ed è un guaio per loro perché si
aprono e si chiudono in base all’andamento dei flussi demografici. Ma voi
avete una storia che voi ancora dovete scavare.
ILIANO GEMINIANI è attualmente preside della scuola media di Buccinasco.. Formatore IRRSAE, è impegnato a vari livelli nella riforma del sistema scolastico.
FABRIZIO PASQUALI
Ho avuto l'opportunità di condividere l'esperienza di Rinascita,
e quindi esserne testimone, nel primo periodo in cui questa scuola
è divenuta statale.
Di quell' esperienza, che per certi versi vive ancora oggi, vorrei
ricordare quattro aspetti.
Il primo si riferisce a quando Rinascita da sperimentale divenne statale.
Come collegio docenti, prima con Giminiani e poi con Samek, ci ritrovammo
infatti ad affrontare un aspetto della scuola che a quel tempo era abbastanza
cruciale per chi si definiva insegnante progressista.
Intendevamo cioè svolgere un'attività di formazione e
di preparazione che garantisse la professionalità agli insegnanti,
poiché il panorama di allora, come peraltro di oggi anche
se in misura inferiore, era caratterizzato da un servizio pubblico burocratizzato,
con una qualità abbastanza scadente e scarsa produttività.
La scuola quindi decise di puntare alla formazione della professionalità
degli insegnanti; sembrava importante che si divenisse capaci, tutti, di
assumersi le proprie responsabilità.
La scommessa fu non solo quella di insegnare ad apprendere,
ma anche di insegnare ad insegnare. In quest'ottica la scuola diventava
luogo privilegiato, e per certi versi anche obbligato, della ricerca educativa
non di tipo accademico, e della riqualificazione professionale sul campo:
la scuola aveva a cuore e garantiva un'alta professionalità
agli insegnanti.
Il secondo aspetto fu quello della partecipazione reale. Al tempo dell'inaugurazione
dei Decreti Delegati c'era una forte motivazione da parte delle forze
sociali a partecipare alla gestione della scuola, a condividere in termini
democratici la gestione del progetto che si andava a costruire.
Da questo punto di vista Rinascita pose una serie di problemi sia
ai consigli di zona, sia ai sindacati ed ai partiti, cioè alle realtà
del territorio. Volevamo che le realtà del territorio verificassero
insieme a noi se la scuola poteva e doveva essere luogo concreto dove il
diritto allo studio, alla salute, alla ricerca, alla partecipazione
consapevole, potessero concretamente affermarsi.
Si cercava non tanto la solidarietà, pur necessaria, delle forze
del territorio, quanto la costruzione comune delle regole per gestire e
raggiungere gli obiettivi della scuola e la condivisione di percorsi
pratici per attuarli.
Un obiettivo che ci si era posti con forza era quello di generalizzare
il tempo pieno. Proprio perchè la scuola a tempo pieno è
strutturalmente un fattore di selezione, diventava un'occasione insolita
nel panorama scolastico, accogliendo anche bambini provenienti da zone
lontane. Allora ci sembrava che in prospettiva il tempo pieno dovesse essere
generalizzato o quanto meno si pensava che, in una prima fase, si potesse
arrivare alla definizione di circoscrizioni scolastiche (allora non
esisteva ancora il distretto) all'interno delle quali i bambini avessero
l'opportunità di trovare la loro scuola naturale a tempo pieno.
Capimmo, sostanzialmente, che bisognava costruire una scuola meno...scolastica.
Ci eravamo infatti accorti che alcuni ragazzi che non esercitavano tutta
una serie di abilità nella scuola, in realtà le esercitavano
nella vita privata. In qualche modo volevamo che nella scuola potesse esprimersi
maggiormente la realtà sociale.
Una scuola 'meno scolastica', dunque, non tanto perchè non si
riteneva fondamentale la riflessione seria, costante e anche la fatica
del fare-scuola, ma nel senso di realizzare una scuola che aprisse
le porte alla società per farla entrare.
Il terzo aspetto che ritengo interessante di quest'esperienza
e che quindi vorrei richiamare, si riferisce al fatto che come gruppo di
adulti, come operatori scolastici, avevamo deciso di prendere a cuore la
comunicazione come elemento fondamentale di un sistema di relazioni.
Si fece un seminario, col contributo determinante di De Mauro, nell'autunno
del 75, proprio sul problema della comunicazione. L'ipotesi di allora era
che lo sviluppo nei ragazzi delle abilità linguistiche dovesse riguardare
tutti gli operatori scolastici. In quest'ottica si fece un lavoro di programmazione
sugli obiettivi specifici di ogni materia per individuare quelli generali
e coincidenti (allora non si chiamavano ancora obiettivi trasversali),
sorretti dall' ipotesi che fosse compito di tutte le discipline contribuire
alla formazione di abilità comunicative, attraverso lo sviluppo
concomitante di competenze logico-linguistiche. Avevamo alunni con una
loro ricchezza lessicale che ci offrivano spunti interessanti anche dal
punto di vista stilistico, però erano poco esercitati a
manovrare consapevolmente pensieri e discorsi. Si pensò che tutte
le materie potevano e dovevano aiutare a mettere a punto e a esercitare
costrutti mentali e verbali gradualmente sempre più complessi. Per
fare un esempio l'insegnante di attività tecniche insieme agli insegnanti
di altre attività andava a verificare quanto ogni ragazzo
possedesse e praticasse la relazione logica 'se allora'. Da questa
relazione partivano poi percorsi differenziati che rispettavano i diversi
approcci al conoscere dei ragazzi.
Conseguentemente anche la struttura della scuola, e questo è
il quarto aspetto, andò nella direzione di curriculi relativamente
individualizzati, dove però i traguardi erano ben definiti. Pensammo
addirittura di ipotizzare una modalità di percorso diverso rispetto
ai tre livelli classici: prima, seconda e terza media, cui accedere
attraverso una promozione generalizzata. Poi si decise, per non favorire
l'equivoco di una scuola "facile" di mantenere la scansione ufficiale,
ma di impegnare alcune discipline nei progetti che si sviluppavano nell'arco
di due mesi. A questi progetti si accedeva per scelta di interesse da parte
dell'alunno. Un ragazzo di prima, ad esempio, operava la adesione
a aree di progetti come 'energia' 'evoluzione' 'rapporto uomo- ambiente'
e così via non legate alla classe che frequentava. Il fatto che
un alunno dovesse fare delle scelte, ci aveva portato fin d'allora a impostare
un'attività di tutor per aiutare gli alunni sia a riconoscere e
organizzare i propri interessi e a definire il proprio curricolo,
sia a affrontare problemi di apprendimento o di rapporti interpersonali.
Forse allora come gruppo di docenti eravamo troppo giovani o avevamo troppe
ambizioni e troppa carne al fuoco: parte delle utopie, parte delle avventure
che iniziammo allora si stanno concretizzando solo ora, dopo vent'anni.
Questo è un segnale molto interessante per capire come a volte sia
lungo e tortuoso il cammino per continuare a costruire una scuola.
FABRIZIO PASQUALI è attualmente insegnante di Educazione Tecnica e referente dell'Equipe 221 a Rinascita
Credo che questo convegno, una celebrazione, una situazione ufficiale
sia in realtà un incontro tra amici in cui venga agito il tasto
delle emozioni. Perciò, pur avendo pensato di fare un discorso ufficiale,
burocratico-formale, stile preside, racconterò invece delle cose,
della mia esperienza a Rinascita, della mia storia qua dentro, della storia
di questa scuola che é anche, in parte, storia mia e della mia famiglia
perché anche uno dei miei figli ha frequentato la scuola media Rinascita
dal 1976 al 1978 e nell’anno successivo sono arrivata qui a fare la preside.
Se vogliamo vedere un filo di continuità tra quello che c’era prima
-i Convitti- e quello che c’é adesso, che c’é appena stato
e che ci sarà, ritengo che il filo più importante sia rappresentato
dal fatto che qui tutti impariamo insieme, bambini, genitori, insegnanti
e presidi e che la mia crescita umana e professionale é avvenuta
qui dentro. Ma come filo di continuità ancora rispetto alla storia
dei Convitti, voglio raccontare due delle cose che faccio: ha ricordato
la professoressa Sdraiati che una volta si facevano i “colloqui d’ingresso”.
Ebbene, anch’io faccio questi colloquii. Sono 17 anni che ho quest’esperienza
straordinaria di incontrare le vite degli altri in un momento che dedico,
quando ci sono le iscrizioni, a incontrare genitori e bambini che verranno
a Rinascita l’anno dopo e questo mi permette veramente di entrare nelle
vite delle persone e di ri-costruire con loro delle storie che riguardano
quello che é stato il loro percorso e il percorso del loro bambino
nelle elementari, ma anche di fare già dei progetti per i futuri
tre anni perché cerco di raccogliere le loro aspettative, i desideri,
le fantasie, i sogni rispetto a questa scuola e che sono diversi -ne sono
sicurissima- da quelli che si fanno per le altre scuole.
L’altra dimensione che voglio raccontare é quella dei delegati
di classe: mi sono inventata incontri quindicinali o mensili, a seconda
dei casi, con 15 bambini che sono delegati dai compagni con una vera e
propria elezione, anche se non formale. Li incontro per discutere con loro
dei piccoli o grandi problemi che cerco di ricondurre ai problemi più
generali della scuola, a volte facendo con loro delle esperienze straordinarie
come é stata quella di quest’anno di raccogliere i fondi per la
scuola di S.Stefano Belbo che aveva perduto tutto durante l’alluvione del
Piemonte. Questa esperienza con i bambini mi é carissima perché
evidentemente non avendo più direttamente come preside un contatto
così stretto con i ragazzi, come del resto non l’ho più con
i miei figli che vivono in giro per il mondo, mi sembra quasi di ricostruire
momenti in cui imparo dai bambini e loro imparano da me tutta una serie
di cose rispetto al come si vive insieme, e anche a quali e quante sono
le difficoltà del vivere insieme.
E poi vorrei raccontare del futuro: forse uno dei motivi per cui Rinascita
dà tanto fastidio -diceva Alba Rossi Dell’Acqua che c’é stata
una forte lotta contro i Convitti- é che cerca di fare scuola in
modo diverso. Penso che la lotta non sia mai finita perché in tutti
questi anni siamo sempre stati sull’orlo di un vulcano, non sapendo mai
quello che succederà di noi l’anno dopo. Un anno e mezzo fa in un
incontro col Provveditore a cui erano presenti insegnanti e genitori siamo
persino stati “accusati” di avere un partigiano nel nostro comitato tecnico
scientifico! E questa è storia del 1994 non é storia di tanti
anni fa e quindi é vero che bisogna sempre comunque ricordarsi a
quale storia apparteniamo, in quale storia vogliamo essere, in quale storia
siamo.
Adesso abbiamo problemi con Roma ma nonostante i problemi siamo riusciti
a costruire un nuovo progetto di sperimentazione. Il progetto di sperimentazione
anche alla luce di quanto é stato detto qui da chi mi ha preceduto,
ha come asse portante -me ne sto convincendo sempre più- il discorso
che riguarda le Educazioni. Forse quello che facciamo in altri campi può
darsi che lo facciano in anche le altre scuole, vale a dire insegnare,
dare competenze e conoscenze, ma incidere sui valori, sui comportamenti
e sugli atteggiamenti dei bambini in modo che imparino cos’é la
pace, la mondialità, l’intercultura, perché debbano imparare
a convivere con gli altri, accettare i diversi, questo é veramente
una parte importante della storia di Rinascita, quella che rimane di più
nei cuori delle persone quando se ne vanno, perché questa scuola
ha anche la caratteristica di generare una forte appartenenza.
Ho già celebrato un decennale qui dentro, ora celebro il ventennale,
non credo che celebrerò il trentennale perché, vivaddio,
nonostante questa scuola sia la mia vita, ci sono anche altri pezzi della
mia vita altrove. Ma tuttavia credo che noi dobbiamo ancora dirci questa
cosa: quando siamo in una scuola -e la scuola, come dice il ministro Lombardi,
é una risorsa per l’intero paese- dobbiamo darle parti di noi, non
soltanto della nostra professionalità, giocarci tutti interi come
persone e qui dentro io mi gioco come persona tutti i giorni. Credo proprio
che, in particolare a Rinascita, la vita di un preside sia da una parte
meravigliosa perché appunto si vivono esperienze straordinarie,
si impara moltissimo, dall’altra sia una vita molto difficile perché
é sempre tutto da ricominciare e riconquistare e forse proprio in
questo consiste la nostra forza anche perché, essendo sempre in
trincea, sull’orlo di un vulcano, non ci é permessa la routine quotidiana,
il lavoro tranquillo delle altre scuole.
Il progetto nuovo, quindi: abbiamo naturalmente dei timori vista la
nostra situazione, vista la nostra storia. Tuttavia penso anche che in
questo momento dobbiamo cercare di vedere più in là, oltre
l’approvazione del progetto. Sperare - e non so se dire “sperare”, visto
che speriamo da troppi anni - che cambi qualcosa anche fuori; forse é
il momento giusto perché Rinascita diventi una risorsa per tutta
la scuola italiana, com’é da sempre nel suo destino. Sono stata
a Roma l’ultima volta giovedì scorso, e con una delle mie collaboratrici
ho incontrato il sottosegretario Corradini e il direttore generale dell’istruzione
secondaria di primo grado, il dott. Capo e queste persone hanno riconosciuto
tutte e due la qualità della nostra scuola: allora ho cercato di
farmi dare un mandato e nonostante i discorsi fossero su due piani diversi,
noi e corradini che parlavamo dell’ottimo lavoro della scuola, della qualità
della sua ricerca, e invece la direzione generale che parlava dei tagli
di spesa, della necessità di ridurre l’organico, -”Sì, site
bravi, però ...”, c’era sempre questo però in fondo- tuttavia
credo che qualche ascolto diverso ci sia stato. Il direttore generale ha
promesso -e ci é stato detto che mantiene le promesse- di pensa
a un mandato per la scuola l’anno prossimo e ci ha anche promesso che si
farà a Rinascita una dei seminari Nazionali della scuola Media.
Forse é poco per sperare che le cose cambino veramente, forse é
poco per avere fiducia, ma voglio sperare lo stesso che il progetto venga
approvato, e che finalmente le cose -magari a partire da qui- possano seriamente
cambiare.
MARIA LUISA BARGERO Preside della Scuola “Rinascita” dal 1978.
SILVIA SCOPPINI
Almeno due volte quest'anno mi sono trovata di fronte alla domanda:
cos'è Rinascita oggi?
Innanzi tutto in occasione di una ricerca proposta dai ragazzi di prima,
che dopo un paio di mesi dall'inizio dell'anno scolastico, quando ormai
si erano inseriti nel nuovo ambiente ed avevano cominciato a praticare
diverse attività, volevano conoscere il passato di Rinascita. Volevano
capire quale fosse l'eredità, per così dire, che loro si
trovavano a portare avanti con un certo orgoglio di appartenenza.
Assieme abbiamo letto testimonianze, fatto interviste e ne è
uscito un giornalino che si porta il nome non casuale di "Amleto", di Amleto
Livi il giovane partigiano di cui la scuola porta il nome.
Nel chiederci cos'è Rinascita oggi, si è cercato di rintracciare
un filo di continuità tra il passato e il presente. E' interessante
scoprire, leggendo quelle testimonianze, che elementi di continuità
persistono nel tempo, anche se in diversa misura, e costituiscono la continuità
storica di questa esperienza.
Il quando e il come sono cambiati necessariamente, perché cambiati
sono i soggetti, gli attori; ma, allora come oggi, troviamo a ogni livello:
la partecipazione alla vita della scuola (allora nei Convitti, oggi
tra queste mura),
il sentire la scuola come propria, quindi percepire un preciso senso
di appartenenza alla sua storia,
il confronto con un pluralismo di idee, di posizioni e anche di scelte,
l'apertura all'esterno,
l'adesione a valori sociali e culturali, quali l'uguaglianza, la solidarietà,
la pace.
Allora come oggi questa scuola è un progetto sia culturale che
sociale. Non si tratta di un progetto semplicemente scritto, ma vissuto,
partecipato, con luci e ombre, un progetto sofferto perché tiene
aperta la dialettica, intesa come confronto dinamico di opinioni tra persone
che "guardano avanti".
La scuola intesa come progetto mette in gioco vari aspetti del rapporto
col sapere, del rapporto con sé e con gli altri.
Forse è proprio in questa connotazione progettuale della scuola
che troviamo la risposta alla domanda perché Rinascita è
ancora in piedi, malgrado abbia dovuto superare continui ostacoli
e subire pressioni molteplici per "adeguarsi", per conformarsi al modello
generale.
Bisogna chiedersi come mai questa scuola, che è sempre stata
di frontiera, che ha dovuto lottare per esistere, per affermarsi, per trovare
sempre nuove ragioni d'essere, sia tuttora in piedi con un proprio progetto,
ancora abbia qualcosa da dire alla scuola italiana e al mondo della formazione.
La verità sta forse nel fatto che questa realtà progettuale,
che richiede adesioni dinamiche, è una realtà sempre nuova.
Siamo un punto di riferimento sia per la scuola pubblica che privata, oltre
che per tante istituzioni formative e scolastiche che si rivolgono a noi
per capire come abbiamo dato, o cercato di dare, risposta ai problemi che
i cambiamenti sociali hanno imposto.
"Che cos'è Rinascita oggi ?" è la domanda che mi sono
posta assieme ai miei colleghi quando si è trattato di dire, di
fronte alla scadenza del rinnovo triennale del progetto, chi siamo,
che cosa stiamo sperimentando, ha ancora Rinascita una ragione per esistere?
poiché costiamo, a che cosa Rinascita deve servire? deve continuare
ad essere sperimentale?
La cosa strana, che ci fa sorridere ed è paradossale, è
che questi interrogativi non ce li ha posti il nostro committente, ma ce
li siamo posti e ce li poniamo noi.
Il committente, il pagatore, non ci pone degli obiettivi e non
ci dà strumenti se non le semplici risorse; non ci chiede
un rendiconto che sia valutato e sulla cui base si rilanci un progetto.
Siamo noi che ci dobbiamo interrogare, facendo un'autoanalisi, cercando
di essere critici in modo sufficiente per poter riprogettare e rilanciare
la sperimentazione, questa nostra realtà progettuale.
Tutto ciò richiede sicuramente una coerenza intellettuale, un
confronto continuo con la realtà sociale e culturale, chiede di
mettere in discussione noi e quello che abbiamo fatto. Chiede di programmare
percorsi, programmare viaggi futuri nel territorio vasto e complesso dell'educazione
formativa.
La scuola deve essere più di una semplice istituzione che garantisca
un efficace intervento educativo, ed i ragazzi ce ne hanno dato conferma:
deve essere un corpo vivo, un'esperienza che mette in moto sentimenti per
una crescita che non è mai a senso unico.
Qualcuno prima ha detto che in questa scuola si insegna per imparare,
si impara ad insegnare, si impara ad apprendere...e qui ci siamo dentro
tutti. In questo sta un'altra specificità della scuola Rinascita.
Forse il suo segreto.
Io non voglio parlare solo come insegnante; avendo lavorato qui tanti
anni e conosciuto tante persone con cui ho condiviso momenti più
o meno difficili, posso dire che tutte le componenti della scuola hanno
dato un contributo alla crescita del progetto, proprio perchè lo
hanno inteso come l'occasione particolare per un'esperienza di crescita,
pur nella fatica di interrogarsi, di confrontarsi, di modificarsi. Per
questi presupposti una realtà come Rinascita, oggi consente
di dare indicazioni rispetto ai problemi che il cambiamento della scuola
e le nuove esigenze formative impongono.
Non è cosa da poco.
L'essere qui da tanti anni non mi ha fatto invecchiare, da un certo
punto di vista, perchè mi sento sempre messa in gioco e in discussione,
alla ricerca con tutti gli altri colleghi delle risposte più efficaci
e adeguate ai problemi e ai bisogni che si manifestano di continuo.
Se si parla di nuova organizzazione del lavoro, di nuovi profili professionali,
se si vuole assegnare un ruolo più pertinente ed efficace alla scuola
come segmento e parte di un processo più ampio di formazione, se
si vuole pensare alla scuola come modello di società dove ci si
relaziona, si condividono valori, dove anche ci si diverte e si sta bene
nella diversità delle idee, dei temperamenti, di comportamenti,
mi sembra che qui l'esperienza ce la siamo giocata e ce la giochiamo continuamente.
Possiamo dire che se si riesce a realizzare una realtà come
la nostra, si può pensare che altre analoghe esperienze si possano
sviluppare.
Ecco che allora se Rinascita si vuole rilanciare deve diventare un
laboratorio di ricerca e noi in questo momento dobbiamo cercare e stanare
nuovi interlocutori.
Oggi abbiamo però anche l'associazione "Rinascita per il 2000"
che può aiutarci in questa direzione, per porci domande, fornirci
stimoli per aiutarci a creare e diventare sempre più una scuola
che vive nel territorio e vive il territorio con le sue esigenze e le sue
richieste formative come la sua fondamentale ragione di esistere.
SILVIA SCOPPINI insegna lettere dal 1974 nella scuola media Rinascita
A.Livi, si occupa di formazione degli adulti, collabora con diverse case
editrici nel campo dell'educazione linguistica.
Ama gli sport, la natura e gli amici.
PIERO D'ALFONSO
Io non sono mai stato insegnante di Rinascita, quindi non ho un rapporto
di conoscenza "interno" ma ho un forte rapporto di conoscenza "esterno".
Ho avuto, infatti, molti contatti con gli insegnanti di questa scuola proprio
perché l'istituto da cui provengo, l'IRRSAE della Lombardia, ha
come compito quello di lavorare per la formazione dei docenti, per la ricerca,
per la sperimentazione nella scuola ed è quindi in diretto contatto
con loro. Vorrei dare al mio intervento il sapore di una lettera letta
a viva voce, nell'emozione del momento, ma come se fossi lontano. I miei
destinatari sono principalmente i docenti della scuola anche se questo
uditorio è più ampio. Spero come "esterno", ma con scambi
all'interno, di poter aprire un confronto utile.
Che cos'è per me, e forse anche per l'istituzione che sono chiamato
a rappresentare, l'oggi di Rinascita?
Mi porrò il problema di chi siete per una situazione complessa
quale è quella di un paese come l'Italia.
Io direi che i due elementi che ho chiari davanti a me sono: da una
parte la continuità con il vostro passato e dall'altra il "profondamente
nuovo". Sentendo la Prof.ssa Dell'Acqua, in questa vostra storia dall'inizio
fino a oggi, c'è una continuità profonda. Essa giustifica
volerla tenere in vita. Una scuola come questa è la più direttamente
legittimata a sperimentare proprio per avere avuto dall'origine mentalità
sperimentale. Una scuola come questa ha ragioni per sperimentare
che provengono dalla sua storia e che possono valere anche oggi.
Sperimentare per un paese moderno è determinante. Non si può
non avere, in un paese moderno, qualche luogo, qualche sede, qualche scuola
dove si sperimenti. E non riesco a vedere un luogo che possa avere più
potenzialità di sperimentazione di una scuola come questa: per la
sua grande matrice, per il suo forte radicamento nella storia del
paese.
Questo elemento della continuità mi dà un certo
coraggio anche nei confronti di alcuni sintomi, che mi sembra di avvertire,
di regressione, di fatica per la scuola, di regressione da parte dell'amministrazione
centrale.
Qualunque sia il destino di questa scuola, non riesco a darne una definizione
che non sia inserita nella continuità, una continuità che
si proietta sull'intero paese; voi infatti mettete questa sperimentalità
al servizio di molti altri. Ecco però che questo aspetto così
importante della continuità si innesta, oggi, su un altro aspetto
che ha i connotati del "profondamente nuovo". Si tratta di una novità
che riguarda i curriculi che io ho visto sperimentare da alcuni di voi
e che qui val la pena di citare come esempio del contributo che una scuola
come questa offre in risposta ai bisogni di questo paese.
In questa scuola c'è un'attenzione ai valori e a tutto ciò
che è didattica dei valori molto più pronta che in di altre
scuole. E' importante sottolineare come questi studi confluiti in un vero
e proprio curricolo sui valori, oggi, siano fortemente presenti grazie
all'ieri, al "cos'era" di Rinascita e alla sua storia. Il "profondamente
nuovo", così, contiene anche elementi di continuità.
Io ho la sensazione che il tipo di uomo che state progettando, perché
progettare scuola è immaginare un uomo, non abbia tanto le caratteristiche
dell'"Amleto" ma quelle dell'Ulisse.
E' un Ulisse che non ha bisogno di viaggiare. Io ho sempre considerato
come un modello la figura di Ulisse così pronta a nuove esperienze.
Ma mi ha sempre fatto soffrire il fatto che, perché potesse esprimersi
questa sua esigenza, ci fosse la necessità di un altrove. Ho la
sensazione, invece, che l'Ulisse che può nascere da un sistema di
pensiero e da una pratica educativa quali qui pian pianino stanno nascendo,
sia un Ulisse che riesce ad "abitare" ed in particolare riesce ad "abitare"
la propria vita.
Voi sapete quanto altrove si stia sperimentando nelle scuole la dimensione
"azienda". Qui invece non ho la sensazione che si stia sperimentando qualcosa
di analogo all'azienda; ho la sensazione che sia un altro modello quello
che sta venendo fuori: mi sembra che sia un Ulisse che porta con sé
il bagaglio della propria esperienza, che ricerca sempre nuovi saperi.
Perché m'interessa tanto questa didattica per concetti e tutto
il lavoro che voi state facendo sul pensiero quotidiano, sul pensiero che
è patrimonio di ogni vostro singolo alunno? Perché io vi
trovo la possibilità di formare una persona che non avrà
bisogno, nel momento del possibile insuccesso, di andare a trovare
il sostegno in qualche cosa d'altro se non in quello che si porta dietro.
Che cosa possa concretizzare fino in fondo questa prospettiva che io leggo
in voi, non è ancora chiaro del tutto, però se riusciremo
veramente a trovare una strada per realizzare questo "Ulisse", essa sarà
la strada per il duemila.
PIERO D'ALFONSO, architetto, già insegnante di Educazione tecnica è attualmente formatore dell'IRRSAE
GUIDO PETTER
Permettetemi, anzitutto, di esprimere la commozione che mi ha colto
quando ho ascoltato l'Oratorio dedicato ad Amleto Livi. Ho conosciuto
personalmente Amleto: eravamo nello stesso reparto partigiano, abbiamo
passato molti giorni sotto la stessa tenda assieme ad altri compagni, in
una pineta. Lui era molto amante della musica, la sua aspirazione
era di diventare musicista. Alla sera, con la sua armonica da bocca, prima
che ci addormentassimo, ci suonava sempre il silenzio. Io sono stato tra
gli ultimi a vederlo. La sera prima della sua morte ci siamo salutati dicendoci:
"Ci vediamo domani". E all'indomani l'ho visto morto assieme ad altri dieci
nostri compagni caduti quel giorno nei pressi di Invorio e raccolti sui
banchi di una chiesetta. Ricordo che il padre di Amleto venne poi da Milano
per sapere com'era morto il figlio, e decise, lui operaio dell'Isotta Fraschini,
e già operante nella Resistenza, di rimanere con noi nella Brigata,
e poi anche in seguito, al momento della fondazione del primo Convitto
Rinascita. Restò con noi per vari anni, nella conduzione del Convitto
di Milano, e poi di quello di Venezia.
La mia commozione è stata grande anche nel sentire "Bella ciao",
che ha aperto l'Oratorio e si è poi riproposta più volte,
accompagnando le altre canzoni. Questo motivo, che noi partigiani dell'Ossola
non cantavamo a quel tempo, io l'avevo sentito per la prima volta da un
ragazzo di quattordici anni che veniva dalla pianura novarese. Aveva portato
a noi questo canto, che un tempo era stato delle mondine, e aveva
già parole molto simili a quelle attuali. Quel giovanissimo partigiano
aveva scelto come nome di battaglia "Topolino"; e pochi giorni dopo essere
arrivato tra noi cadde in combattimento, accanto a me, sul Mottarone, nei
giorni della Liberazione. Intitolammo a suo nome il Convitto di Novara.
Mi è anche tornato in mente, ascoltando l'Oratorio, il "Coro
parlato" che, al tempo in cui io ero insegnante e preside in questa scuola
Rinascita, nei primi anni cinquanta, avevamo introdotto per commemorare
il 25 aprile. In quella occasione, davanti ai genitori invitati alla festa
della scuola, i ragazzi cantavano i canti della libertà, a partire
dalla Marsigliese sino a quelli della Resistenza, e i canti del lavoro,
e certi canti "antimilitaristici" della prima guerra mondiale. Prima di
ogni canzone c'era sempre un ragazzo che raccontava come e quando essa
era nata e di che cosa parlava. Il nostro coro era però assai
più modesto di quello che abbiamo sentito oggi; basti dire che ne
ero io il direttore...
Vorrei aggiungere che sono stato piacevolmente sorpreso, già
nei giorni scorsi, per due cose. Anzitutto, per il fatto che si sia costituito
un gruppo, l'Associazione Rinascita per il 2000, formato da chi, più
giovane di noi, ha riconosciuto chiaramente le proprie origini, raccogliendo
da noi alcune "novità", e "dandoci il cambio". E poi mi è
piaciuto questo giornale, "Amleto", che ho letto attentamente: narra di
come il primo Convitto è nato dall'esperienza resistenziale nell'Ossola,
di come si viveva nei convitti di Milano e in quelli sorti in altre città
d'Italia. Vi ho ritrovato motivi di continuità tra il nostro tempo
e il vostro; ad esempio: noi spalavamo le macerie di Milano, la domenica
mattina, voi avete raccolto soldi per gli alluvionati del Piemonte. E ascoltando
oggi la testimonianza dell'ex allieva Sdraiati, poi del Prof. Giminiani,
del Prof. Pasquali, della Preside, dell'insegnante che ha preparato l'Oratorio,
e dei ragazzi, ho potuto avere meglio il senso di come si sono sviluppate
le cose, nel corso degli anni e dei legami che esistono fra la nostra esperienza
di allora e la vostra di questi ultimi anni.
Mi è stato chiesto di parlare del problema della continuità
della sperimentazione educativa e delle prospettive per il futuro. Io credo
che l'esperienza di oggi si possa organicamente collegare con il passato,
e che si possa mettere a fuoco alcuni temi che erano stati affrontati già
da noi a quel tempo e sono stati poi portati avanti negli anni successivi
ma rimangono ancora in parte aperti, e giustificano che si continui in
questa esperienza. Vorrei dunque richiamare la vostra attenzione
su alcuni punti cruciali, cinque punti, più uno, che li riassume
tutti.
Il primo è il problema della democrazia scolastica, ovvero della
creazione di un'atmosfera educativa democratica. Noi l'abbiamo affrontato
subito, fin dal primo momento. E fu anche abbastanza facile, dato che una
tale esperienza di autogoverno la compivamo come giovani adulti che avevano
già alle spalle un'esperienza di autogoverno, di disciplina, quella
compiuta durante la lotta partigiana; siamo dunque rapidamente giunti a
elaborare un primo regolamento, a stabilire degli organismi (il Comitato
direttivo, le Commissioni di lavoro, ecc.), a individuare nell'assemblea
il luogo di discussione e di decisione, in una situazione che non era "protetta"
come è quella delle scuole di oggi, perché se noi non ci
davamo personalmente da fare quella scuola non avrebbe potuto vivere.
Oggi non è proprio così, là dove i nostri ragazzi
fanno esperienze di democrazia scolastica. Se essi decidono, a un certo
punto, di non partecipare più, di non portare un contributo personale
alla vita della comunità scolastica, questa continua tuttavia a
svolgere le proprie funzioni, ad avere una propria vita, anche se quest'ultima
risulta certo impoverita di motivi formativi, non rischia la chiusura,
come la nostra scuola a quel tempo. E oggi, su questo terreno, essendo
i ragazzi più giovani e non avendo alle spalle una consolidata esperienza
di democrazia partecipata, le cose sono certo più difficili per
insegnanti che vogliano creare nella loro scuola un'atmosfera democratica,
e sollecitare la partecipazione di tutti alla vita della comunità
scolastica. Infatti, i preadolescenti hanno generalmente una forte
aspirazione all'indipendenza, vogliono fare da soli, senza la supervisione
degli adulti, e spesso si contrappongono agli adulti, nella famiglia e
anche nella scuola. Bisogna allora cercare di creare un'atmosfera per cui
allievi e adulti collaborino nella discussione dei problemi e nella ricerca
delle soluzioni, in una situazione di reciproco rispetto, e di valorizzazione
delle risorse dei ragazzi. E' necessario che l'insegnante assuma, nei confronti
dei propri allievi, un atteggiamento di ascolto, e si impegni a realizzare
con essi un rapporto democratico in cui la sua capacità di ascolto
si combini con la funzione di guida che la sua maggiore competenza e la
sua maggiore esperienza, e il prestigio che ha saputo conquistarsi, gli
permettono di svolgere. Ed è necessario che ai ragazzi vengano garantiti
spazi reali di discussione e di decisione, così come la possibilità
di assumersi delle responsabilità individuali o di gruppo, e gli
strumenti necessari per affrontare gli obbiettivi che essi di volta in
volta si pongono. Io ritengo, per queste ragioni, che il problema
della democrazia scolastica sia oggi più difficile e complesso oggi
di quanto lo fosse per noi, e che sia dunque un terreno in cui è
molto importante proseguire nella sperimentazione.
Un secondo punto riguarda la necessità di rendere gli alunni
protagonisti della loro formazione, di renderli interlocutori attivi e
non passivi. Abbiamo sentito la testimonianza dell'ex alunna Sdraiati,
divenuta poi docente, che ci raccontava come, alla sua entrata nella scuola
Rinascita, avesse l'impressione che i ragazzi non venissero considerati
come dei contenitori vuoti da riempire, bensì come personalità
da mettere subito in gioco. Questo appunto era stato, a suo tempo, uno
dei nostri obiettivi: ciascuno veniva chiamato ad agire in prima persona,
a portare le sue esperienze, a lavorare per la propria autorealizzazione,
come poi, del resto, è stato recepito anche in quell'articolo della
Costituzione ove si sottolinea che la Repubblica (e pertanto anche la scuola,
come istituzione dello stato repubblicano) deve rimuovere tutti gli ostacoli
che possono impedire il pieno sviluppo della persona umana. La scuola
italiana è andata, sì, negli ultimi anni, in questa direzione;
per esempio, nei nuovi Programmi della scuola elementare è affermata
con forza l'esigenza che il bambino non si limiti a studiare la storia,
o le scienze, o la lingua, ma diventi egli stesso, con l'aiuto dell'insegnante,
un piccolo storico, un piccolo scienziato, un piccolo linguista, ripercorrendo
egli stesso, in qualche misura, il percorso compiuto dallo storico per
acquisire conoscenze storiche (per esempio, attraverso le interviste a
persone anziane, l'analisi di documenti e la loro valutazione attraverso
una discussione di gruppo), o il percorso compiuto dallo scienziato (per
esempio, affrontando delle ricerche col metodo dell'osservazione sistematica
o con quello della sperimentazione), o il percorso seguito dal linguista,
ma anche dallo scrittore, o dal poeta, e così via. Tutto questo
però sta scritto nei programmi, ma non è ancora una realtà
concreta in tutte le classi.
Questo era un altro degli obiettivi che noi ci ponemmo (per esempio:
il nostro "Giornale murale" era un luogo in cui le produzioni personali
di ciascuno potevano trovare settimanalmente espressione); e anche
voi, a quanto ho sentito, vi siete mossi in questa direzione: il prof.
Pasquali parlava di una programmazione con curricoli differenziati, e anche
la partecipazione dei ragazzi all'Oratorio che abbiamo ascoltato è,
da questo punto di vista, significativa.
Il terzo punto è l'idea che in una scuola vi debba essere sperimentazione
permanente. Attualmente la sperimentazione è in atto solo
in alcune scuole, mentre dovrebbe essere, in qualche misura, presente in
tutte. Ogni insegnante dovrebbe concepire il proprio lavoro come una sperimentazione
continua, nel corso della quale egli formula delle ipotesi, elabora dei
programmi e dei progetti, e poi li attua, e infine analizza con metodi
adeguati i risultati ottenuti, e apporta per l'anno successivo le modifiche
e le integrazioni che risultano necessarie, prima di affrontare una nuova
fase del suo lavoro. E anche la scuola nel suo insieme dovrebbe sperimentare
via via nuove forme organizzative, nuove metodologie didattiche.
Anche noi ci eravamo mossi in questa direzione. Ho già parlato
dei nostri Comitati direttivi: sperimentammo, per un certo tempo, il "direttore
di giornata", poi passammo al "direttore settimanale", e più tardi
a ruoli direttivi di durata assai maggiore, proprio in seguito ad un bilancio
degli aspetti positivi e negativi delle esperienze compiute. Sul piano
didattico, ricordo che nell'anno scolastico '47-'48 io sperimentai
un nuovo modo di insegnare il latino che era stato ideato dai professori
Pellegatta e Raimondi. Ricordo che la storia la si insegnava con riferimento
anche ai documenti, come si chiede oggi di fare. Per quel che riguarda
la geografia, portavamo gli allievi al Planetario. Ricordo anche che una
volta, quando già eravamo in via Zecca Vecchia, per fare in
modo che i miei allievi (che allora erano tutti convittori) potessero vedere
certe costellazioni che non erano visibili alla sera, proposi loro di svegliarci
tutti alle tre del mattino per andare sulle terrazze a vedere le stelle,
per poi tornare a letto ad osservazione compiuta. Queste erano forme di
sperimentazione. Cose analoghe si facevano in altre direzioni (per esempio,
il Giornale Murale di cui prima ho detto, non era allora usato in nessuna
scuola), o dando avvio a corsi nuovi, come fu quello di grafica, che non
esisteva altrove. Ho l'impressione che su questa via abbiate camminato
anche voi, perché il giornale di scuola che ho letto, "Amleto",
è fatto molto bene, e vede la collaborazione di insegnanti ed allievi.
E anche nel campo della musica, ed in altri settori, state attuando, mi
pare, una sorta di sperimentazione, che va continuata, dato che costituisce
una condizione essenziale perché la scuola si rinnovi continuamente
e progredisca.
Un quarto punto riguarda il rilievo che, in una scuola di questo tipo,
dovrebbe venire dato allo studio della storia. La storia ha un alto
valore formativo nel senso che, intesa essenzialmente come storia della
civilizzazione, permette anzitutto di vedere che gli uomini hanno sempre
dovuto fronteggiare problemi che sono perenni (procurarsi il cibo, viaggiare,
comunicare a distanza, difendersi dalle intemperie, organizzarsi socialmente,
ecc.), ma hanno dato ad essi soluzioni diverse in rapporto al quadro di
civiltà in cui muovevano. Essa permette però anche di cogliere
le modalità con cui i grandi valori si sono faticosamente
affermati, o sono stati negati e poi riconquistati, al tempo della la civiltà
greca, o col diffondersi del Cristianesimo, o durante il Rinascimento,
o con l'affermarsi dello spirito scientifico galileiano, con le grandi
rivoluzioni americana e francese, col Risorgimento, con la rivoluzione
industriale, e soprattutto nel periodo più vicino a noi caratterizzato
dal fascismo e dal nazismo, dalla seconda guerra mondiale e dalla Resistenza.
Studiare la storia della civilizzazione (che non esclude lo studio anche
di quegli eventi politici o militari che hanno segnato il passaggio da
un quadro di civiltà ad un altro) significa anche capire da dove
veniamo, e dove andiamo, e porsi in grado di prendere parte consapevolmente
e attivamente a quel processo di trasformazione attraverso il quale si
costruisce il nostro futuro. Talvolta si sente dire che i nostri giovani
non hanno interesse per eventi ormai lontani, come la guerra mondiale o
la Resistenza; io penso invece che proprio il tempo trascorso permette
di vederne tutta l'importanza e il significato, un po' come accade quando,
scendendo dall'Ossola verso la pianura novarese, ci si pone in grado di
vedere sempre meglio il Monte Rosa, che prima (quando gli eravamo più
vicini) ci era nascosto da altri monti più bassi, ma che più
tardi ci appare in tutta la sua imponenza, domina l'intero paesaggio.
Nei primi anni del Convitto Rinascita noi eravamo molto interessati
a uno studio della storia che ci permettesse di capire in tutta la sua
ricchezza ed anche in tutte le sue contraddizioni e tensioni, il mondo
in cui vivevamo. Indici di questo interesse furono, ad esempio, il
progetto di raccogliere le testimonianze degli allievi che erano stati
partigiani o internati nei campi di concentramento, o il tentativo di allestire,
in un appartamento che ci era stato messo a disposizione in viale Porpora
proprio per questo scopo, un "centro di studi storici", con una biblioteca
e un programma di incontri, tentativo che le difficoltà in cui venne
a trovarsi il Convitto interruppero prematuramente. Anche il "coro parlato"
di cui prima ho detto costituisce un indice del permanere di questo interesse
negli anni successivi, quelli in cui venne aperta la Scuola media Rinascita.
Come insegnante di lettere in quella scuola, nella prima metà degli
anni cinquanta, io ho sempre cercato di dare allo studio della storia,
inteso nel senso prima veduto, un particolare rilievo. E credo che questo
orientamento abbia continuato ad essere presente anche in seguito, e che
debba e possa costituire un aspetto caratterizzante di una scuola che si
proponga di formare cittadini capaci di partecipare attivamente e creativamente
alla vita della comunità in cui vivono.
Un quinto punto riguarda la costante apertura della scuola al mondo
esterno, sia nel senso della conoscenza dei grandi eventi che accadono
nel territorio o più generalmente nel mondo (e, in qualche misura,
quando sia possibile, anche della compartecipazione a tali eventi), sia
nel senso della ricerca di un collegamento con altre scuole che siano impegnate
in attività di sperimentazione. Nel periodo immediatamente
successivo alla fondazione del Convitto Rinascita di Milano, noi, pur essendo
duramente impegnati nello studio e nel lavoro necessario per garantire
la sopravvivenza dell'istituzione, abbiamo partecipato attivamente alle
lotte che hanno portato alla proclamazione della Repubblica, così
come alle fasi iniziali della ricostruzione, nelle forme che ci erano concesse:
per esempio, la domenica mattina andavamo a spalare le macerie dell'Ospedale
maggiore (nell'area in cui oggi sorge l'Università statale), proprio
come durante l'estate del '47 andammo a spalare quelle di Varsavia, partecipando
all'attività delle brigate di lavoro giovanili internazionali che
operarono in occasione del primo festival mondiale della gioventù,
svoltosi a Praga. Nei primi anni cinquanta, quando venne aperta la
scuola media Rinascita, furono frequenti i nostri rapporti con il Villaggio
Sandro Cagnola della Rasa, presso Varese, ove si compivano, come da noi,
esperienze nel campo della didattica e dell'organizzazione in senso democratico
della comunità scolastica. Mi sembra che anche nella
vostra scuola questa attenzione a quanto avviene nel mondo esterno
sia ben presente; ne è testimonianza l'iniziativa che avete assunto
in occasione dell'alluvione in Piemonte.
Vi sono dunque, mi pare, molti elementi di continuità fra la
nostra esperienza di tanti anni fa e quella che voi avete compiuto in tempi
recenti o state tuttora compiendo. E vengo ora dunque all'ultimo punto,
che è forse il più importante, e in certo senso riassume
e dà unità a quelli precedenti. Tale punto riguarda
l'idea di scuola che dobbiamo avere in mente, e che può guidarci
nel nostro lavoro educativo quotidiano e nei nostri tentativi di sperimentazione.
Qui il discorso è del tutto aperto; ed esiste, qui, una differenza
fra la nostra posizione di allora e la vostra, a tutto vostro favore.
Noi avevamo portato nel Convitto la concezione austera della vita che aveva
caratterizzato la Resistenza; le nostre assemblee, e tutta la nostra vita
interna, erano dominate dal rigore, dall'idea che lo studio fosse anzitutto
un dovere e un duro lavoro. Questa concezione si riflette, per esempio,
nei titoli che sono stati dati a libri che rievocano quella esperienza:
"A scuola come in fabbrica" (oggi riterrei più appropriata,
anche se non adatta per un titolo, un'espressione "come in una bottega
artigiana"), "Diritto allo studio, dovere di studiare" (oggi riterrei più
appropriata l'espressione "piacere di studiare").
Le concezioni di scuola che si confrontano sono qui quelle di scuola
come lavoro, come impegno gravoso, e scuola come gioco, come un grande
gioco, coinvolgente in ogni suo momento. Ecco, io oggi sono per quest'ultimo
tipo di scuola: una scuola che garantisca ai bambini, ai ragazzi, ogni
giorno, frequenti momenti di felicità, quella felicità non
passiva ma attiva che deriva dal senso di crescere, dal fatto apprendere
cose nuove e importanti, di trovare risposte a problemi coinvolgenti, di
ascoltare racconti affascinanti, di discutere con gli insegnanti e di veder
prese in seria considerazione le proprie opinioni, e dal fatto di poter
lavorare in gruppo alla realizzazione di un progetto (una recita, ad esempio)
o allo svolgimento di una ricerca, stabilendo nuove amicizie, e sentendosi
ogni volta valorizzati per quel tanto o poco di positivo che si riesce
a fare. Si tratta di una felicità particolare, che non esclude
certo lo sforzo ma lo rende motivato ed accettabile. Credo che voi
oggi siate proprio su questa linea: "una scuola dove stare bene", ho sentito
in uno degli interventi, "una scuola non scolastica" (cioè non noiosa,
né rattristante, come sono ancora, molte scuole tradizionali), una
scuola dove il tempo pieno non pesa perché è popolato di
attività varie e affascinanti e lascia ampi spazi di libertà,
una scuola dove si va volentieri, e che non è solo "un mezzo" per
imparare, ma é essa stessa un fine (come lo sono il gioco, la lettura,
l'arte). Una scuola dove l'insegnante viene ogni giorno in classe
portando con sé, per usare una metafora, una sorta di "valigetta
delle sorprese", ovvero un insieme di proposte e di attività che
sono in grado di stupire, di coinvolgere, di appassionare i suoi allievi.
Per concludere: mi sembra che ci siano molti motivi di continuità
fra il nostro passato e il vostro presente, ma anche che per certi aspetti
voi siate andati più avanti, soprattutto per quanto riguarda l'"idea
di scuola". Nei primi anni del dopoguerra la scuola italiana era
molto arretrata, sia per l'impostazione educativa generale (la quale che
era ancora di tipo largamente autoritario e non lasciava molto spazio ai
processi di comprensione e alla sollecitazione di uno spirito critico e
di un atteggiamento attivo, di intraprendenza), sia per gli aspetti strutturali
(edifici e attrezzature), sia infine per la preparazione degli insegnanti.
Con relativa facilità, dunque, noi ci trovammo ad essere più
avanti degli altri.
In questi cinquant'anni la scuola pubblica è certamente assai
migliorata: sono stati rinnovati i programmi, si sono modificati gli ordinamenti,
gli insegnanti sono più preparati (anche se resta carente la loro
competenza psicologica), tutti i ragazzi studiano almeno sino ai 14 anni,
sono migliorate le strutture architettoniche e le attrezzature, si sono
affermate le "scienze dell'educazione", si sono meglio articolati i rapporti
fra le famiglie e la scuola. E anche i movimenti giovanili del '68 hanno
lasciato un segno. Ma molto, molto resta ancora da fare. E
per questo, dunque, servono alcuni principi-guida saldi, chiari; e servono
le sperimentazioni, servono le avanguardie attive, coraggiose, dotate di
fantasia, non troppo condizionate dalle abitudini e dalla tradizione.
Credo, da quanto oggi ho visto e sentito, che voi, e l'associazione che
avete costituito, possiate svolgere con successo queste importanti funzioni,
e possiate rendere un servizio utile non solo ai vostri allievi e ai vostri
figli, ma a tutta la scuola italiana.
GUIDO PETTER, docente di Psicologia dell'età evolutiva presso l'Università di Padova, è stato insegnante e preside della scuola Rinascita, nei primi anni cinquanta.
ANGELO FORMENTI
Il convegno di oggi ci ha visto impegnati in una celebrazione, attenti
alle esperienze ed ai ricordi del passato, a quanto ha costituito l'asse
portante della vita dei Convitti e successivamente della Scuola media statale
Rinascita - Livi.
La relazione che mi ha preceduto ha però leggermente spostato
il tiro, inquadrando le prospettive di uno sviluppo pedagogico oggi nel
segno di allora.
Ed è di questo che anch'io intendo parlare.
Il DPR del 74, istitutivo della SMS Rinascita - Livi, ci ha accompagnato
nel bene e nel male per 20 anni. In questi 4 lustri la scuola si è
sviluppata, ma ha vissuto anche le sue crisi ed i suoi tagli: l'ultimo
è di pochi giorni fa. (Ci si riferisce al taglio della sperimentazione musicale, predisposto
dal Ministero P.I.)
A partire dal 1974 l'identità sperimentale della Scuola
è risultata ben evidente ed in questa luce Rinascita è andata
maturando il proprio patrimonio di esperienza didattica, pedagogica e formativa.
Poco importa, oggi, che la sperimentazione codificata 20 anni fa non
sia andata incontro ad espansione verso l'esterno, solo perché i
vari Ministri della P.I. succedutisi in tutti questi anni non hanno voluto
utilizzarla nell'orientamento e nell'ordinamento della Scuola media nel
suo complesso, nonostante le relazioni annuali, consuntive e preventive,
circa la sperimentazione in atto, che da qui partivano puntualmente per
Roma.
Poco importa, perchè questa oggettiva debolezza è al
tempo stesso la nostra forza, perchè i risultati di tutte le sperimentazioni
condotte a Rinascita in questi anni sono qui, davanti a tutti, sostanziati
dalle migliaia di curricoli dei ragazzi che hanno frequentato la scuola,
dalle decine e decine di docenti formatisi al fianco e con i docenti di
Rinascita, dalle centinaia di pubblicazioni scientifiche, di
seminari, convegni, corsi di aggiornamento,
incontri per
docenti, alunni, genitori. Tutto questo testimonia la vita della scuola
e riassume cosa abbia voluto dire per noi, da sempre, sperimentazione.
La nostra forza è qui: nello sperimentare, nelle nostre idee,
negli sforzi, nella nostra tensione ideale a difendere e sviluppare giorno
dopo giorno, sul campo e nell'elaborazione teorica, il patrimonio della
storia di Rinascita.
La società civile ha bisogno di scuole e di gente che
costruiscano isole, piattaforme, roccheforti di democrazia e di professionalità,
di serietà e di rigore, di idee, di cultura.
Certo, Rinascita ha cambiato nel corso dei decenni non solo la sua
utenza, ma anche il suo ordinamento, la sua stessa ragione sociale.
Ed ancora è in atto un cambiamento: questo forse è l'unico
modo di salvaguardare il patrimonio di Rinascita. Non vogliamo sopravvivere,
vogliamo invece svilupparci e, se possibile, “clonarci” in realtà
simili alla nostra.
Mi sembra infatti che la logica dei tempi ed anche i recenti colloqui
al M.P.I. facciano intendere che il tempo della sperimentazione,
intesa alla vecchia maniera, è finito.
E' allora il momento più opportuno, credo, per rivolgere al
Ministro la formale richiesta di ridiscutere il nostro ordinamento speciale.
Col DPR del 1974 Rinascita diventò una Scuola media statale
con carattere sperimentale, oggi dobbiamo proporre un ordinamento nuovo
e completamente originale che qualifichi la nostra scuola come un polo
formativo, culturale e di ricerca, una scuola-laboratorio come ne esistono
in altri paesi europei.
Ciò significa che potremmo essere luogo privilegiato per
la formazione iniziale ed in itinere degli insegnanti ( stages, tirocini,
tutoraggio per docenti immessi in ruolo).
Per questo offriamo al Ministro le risorse della nostra specificità
e chiediamo che ci venga affidata la ricerca e la sperimentazione di aspetti
didattici, pedagogici e organizzativi secondo un piano elaborato da e con
il Ministero, anche in vista di quel progetto di Autonomia che è
in attesa, sulle soglie della scuola italiana.
Avere un "compito di realtà" su cui misurarsi sarebbe fortemente
motivante per tutte le componenti di Rinascita, primi fra tutti i docenti.
Sarebbe, questa, anche la migliore delle motivazioni per tenere in vita
e sviluppare l'attività di una scuola così ricca di iniziative
e attività che si possono generalizzare.
Parallelamente a tutto ciò, penso sia maturato il momento per
un ripensamento che coinvolga gli organi collegiali: i D.D. sono ormai
lontani e l'esperienza in questi anni ha dimostrato, a mio avviso, molte
cose: prima fra tutte l'inutilità di un organo elettivo che rappresenta
tutte le componenti della scuola, nella pratica chiamato a discutere e
ratificare l'acquisto di cancelleria o la manutenzione di un computer.
Il discorso dell'Autonomia passa invece soprattutto da qui: il CdI,
inteso come motore della scuola, da un lato esprime il nucleo educativo
scuola-famiglia, dall'altro traduce in pratica il diritto all'autonomia,
intesa come possibilità, per la scuola, di elaborazione e di applicazione
di un proprio progetto pedagogico-educativo.
In altri termini, è ora che i genitori, espressione della società
civile fuori da queste mura, siano chiamati ad una maggiore responsabilità, coinvolti in
prima persona e nelle forme opportune, nell'elaborazione teorica del progetto
didattico e pedagogico della scuola.
Quello che credo si debba perseguire è il confronto e la confluenza
di esperienze, vissuti e patrimoni di sapere fino ad oggi puramente paralleli
(scuola e docenti da una parte, genitori e famiglie dall'altra), ma da
domani intercomunicanti e sovrapposti.
E' solo un CdI inteso in modo diverso che può difendere a pieno
titolo le scelte della scuola, non solo quelle amministrative, ma anche
quelle teoriche, che si può far garante di progetti e di sperimentazione,
come di programmi formativi e di aggiornamento, che può appoggiare
le scelte didattiche e pedagogiche che diventano, allora, di tutti, genitori
e insegnanti.
E' per sostenere tutte queste idee, in tutte le istanze e con tutti
i mezzi disponibili che da Rinascita e per Rinascita è nata l'associazione
Rinascita per il 2000, che ha organizzato il convegno di oggi.
Nell'associazione docenti ed ex docenti, ex alunni, genitori di oggi
e di ieri possono confrontarsi, discutere e lavorare perché non
solo Rinascita sia difesa e fiancheggiata, ma perché i fermenti,
le idee, le esperienze di Rinascita si affermino anche fuori di qui.
E' per questo che torno a chiedere un confronto col Ministro per ripensare
e riscrivere lo statuto di Rinascita, a vent'anni dal primo.
A questo confronto noi portiamo le nostre esperienze e le nostre proposte,
che in un nuovo ordinamento scolastico il Ministro potrà utilizzare.
Riassumendo, ciò che da subito, da oggi, possiamo offrire al
Ministro Lombardi sono delle modellizzazioni verificate al nostro
interno nel corso degli anni su:
1 Formazione delle classi con particolare riferimento alle interviste
con i nuovi iscritti
2 Modelli organizzativo-funzionali sperimentati per l'Autonomia
3 Modelli per l'aggiornamento e l'autoaggiornamento dei Collegi (seminari
di verifica e attività di formazione in servizio)
4 Analisi delle figure professionali nuove ed attuali (preside, docenti,
coordinatori di corso e di classe) sia per la formazione in servizio, sia
in prospettiva di una scuola che, professionalmente, sia davvero un servizio
formativo
5 Modelli di attuazione dei DD per il coinvolgimento attivo e partecipato
dei genitori nelle scelte e nei progetti didattici e formativi della scuola
6 Realizzazione della figura del tutor
7 Progetti di sperimentazione didattica pluriennali quale espressione
di un programma formativo e di crescita non solo per i ragazzi, ma anche
per docenti e genitori.
Su questi progetti, ma direi su queste esigenze, il convegno di oggi
si chiude, ma non con un punto fermo: ci sono migliaia di fogli bianchi
da riempire a partire da domani, da subito.
ANGELO FORMENTI è medico specialista in chirurgia cervico-cefalica, docente in corsi e convegni di perfezionamento post-universitario. Autore di numerose pubblicazioni, non solo inerenti alla sua specialità, si è sempre interessato di psico-pedagogia e di bio-etica. Presidente del CdI della SMS Rinascita-Livi per 5 anni, è tra i fondatori dell'Associazione Rinascita per il 2000.
Come parte integrante del convegno è stato eseguito l'"Oratorio
per Amleto Livi" ideato per l'occasione e diretto dal maestro DANIELE LENTI
con la collaborazione di alcuni allievi ed insegnanti della Scuola Rinascita.
Ne riportiamo di seguito il testo in versione integrale.
S.M.S. Rinascita - A. Livi
corso B
Partitura:
"Amleto Livi"
ORATORIO PER AMLETO LIVI
L'Oratorio è una forma musicale di carattere religioso su testo
latino o volgare per certi aspetti analogo all'opera, ma che non richiede
rappresentazione scenica.
Il fatto che costituisce l'argomento dell'oratorio viene narrato dallo
"storico" al quale si alternano i protagonisti (i solisti) e il popolo
(il coro); il tutto con accompagnamento di orchestra.
Abbiamo scelto questo tipo di rappresentazione per celebrare il cinquantesimo
anniversario della Resistenza e della fondazione dei Convitti della Rinascita,
in occasione del Convegno organizzato dall'Associazione Rinascita per il
2000.
Vogliamo ricordare alcuni episodi della Resistenza, in modo particolare
quelli che riguardano la nostra Scuola e il quartiere Giambellino.
Durante le ore di "corso" con gli insegnanti Daniele Lenti, Giovanna
Barilli e Adriana Redaelli abbiamo esaminato documenti, canzoni, testimonianze,
poesie, lettere e ne abbiamo scelti alcuni che vi presentiamo:
€ alcuni cenni della biografia di Amleto Livi, il partigiano quattordicenne
a cui è dedicata la nostra Scuola;
€ la lettera di un condannato a morte della Resistenza;
€ il racconto di un episodio della Resistenza accaduto in Via
Giambellino nr. 46;
€ una canzone con testo di Italo Calvino e musica di Sergio Liberovici
dedicata ai giovani che non hanno vissuto la Resistenza, perché
continuino a ricordare;
€ la lapide scritta da Piero Calamandrei per la città di
Cuneo, in risposta a Kesserling, comandante delle truppe tedesche in Italia,
che quando se ne andò disse agli italiani che avrebbero dovuto fargli
un monumento per ciò che lui aveva fatto per loro.
Lo spettacolo dura circa mezz'ora, con schema
A B A C A D A E A
TESTI RECITATI
A. Biografia di Amleto Livi
B. "Lettera di un Condannato a Morte della Resistenza"
C. "I Tre Martiri del Giambellino", cronaca
D. "Oltre il Ponte" di Italo Calvino e Sergio Liberovici
E. "La Lapide" di Piero Calamandrei
Ringraziamo per la collaborazione tutti gli insegnanti del corso B.
ESECUTORI
VOCE RECITANTE Andrea Borgonovo III B | |
Fabrizio Anastasio I B
|
Lorenzo Crociani II B Flauto
|
TECNICO DEL SUONO Rita Bertoni III B
TECNICO DELLE LUCI Claudia Finardi III B ORGANIZZAZIONE Alessandro Crotta III B |
TESTI UTILIZZATI
"Vita di Amleto Livi = a
"Lettera di un Condannato a Morte della Resistenza" = b
"I Tre Martiri del Giambellino" = c
"Oltre il Ponte" = d
"Kesserling" = e
DISPOSIZIONE
CORO
ORCHESTRA
LEGNETTI PERCUSSIONI
VIOLINI CLARINETTI PIANOFORTE
CHITARRE FLAUTI CHITARRE
DIRETTORE
STRUTTURA
Introduzione - a b a c a d a e a
2' 20" 7' 20" 5' 20" 7' 20" 5' 20"
Introduzione Base registrata
2 minuti
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
a Amleto Livi cadde in un'imboscata ed era ......
20"
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
b LETTERA DI UN PARTIGIANO
7 minuti
Sono calmo, estremamente calmo
non avrei mai creduto che si potesse guardare
la morte con tanta calma,
non indifferenza,
e anzi mi dispiace molto morire
ma ripeto, sono tranquillo.
Io che non sono credente
io che non credo nella vita dell'aldilà
mi dispiace morire, ma non ho paura
di morire!
Son forse per questo un eroe?
Niente affatto, sono tranquillo e
calmo per una semplice ragione
che tu comprendiamo sono tranquillo
perché ho la coscienza pulita.
Ciò è piuttosto banale perché
la coscienza pulita l'ha anche colui
che non ha fatto del male;
ma io non solo non ho fatto del male
ma durante tutta la mia vita breve
ho la coscienza di aver fatto del bene
non solo nella forma ristretta di
aiutare il prossimo
ma dando tutto me stesso,
tutte le mie forze, benché modeste
lottando senza tregua
per la grande santa causa
della liberazione dell'umanità
oppressa.
a A 14 anni si arruolò in una formazione ......
20"
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
c I TRE MARTIRI DEL GIAMBELLINO
5 minuti
Nella sera del 7 Aprile 1945 hanno disarmato
in via Giambellino
un
sottoufficiale dei brigatisti fascisti.
Il disarmato avvisò i suoi
camerati
i quali accorsero in forze
per procedere al rastrellamento
con l'intento di catturare
i tre giovani partigiani.
coro Vennero trovati e catturati dai fascisti.
Furono portati
nella loro caserma
e qui non si seppe mai cosa dovettero subire.
Si sa solo che nella notte
del 7/8 Aprile vennero trasferiti
sul luogo dove avevano
proceduto al disarmo del milite nazi-fascista e
qui vennero fucilati senza
processo.
TRE CADAVERI IN VIA GIAMBELLINO
Da alcuni passanti sono stati rinvenuti,
ieri mattina, all'alba, in via Giambellino,
all'altezza del numero 50, i corpi di tre giovani uccisi
da colpi d'arma da fuoco alla testa.
Essi sono stati identificati per
Francesco Migliavacca di Giuseppe, di 20 anni;
Giuseppe Frazza di Luigi, di 19 anni;
Luciano Paretrini di Mauro, di 18 anni;
i primi due abitanti in via Ludovico il Moro 135,
il terzo nella stessa via al n. 185.
Il Corriere della Sera.
7 APRILE '45
"In via Giambellino, 3 sappisti della 113^ bis, tentano il disarmo
a domicilio di un pericoloso rastrellatore,
ma una spia telefona alla Resega
che riesce a bloccarli.
I nostri sappisti tentano di reagire,
ma vengono immobilizzati e portati al presidio
dove per tutta la notte li sottoponevano
alle più tremende sevizie.
non essendo riusciti a sapere ciò che speravano,
li ricondussero sul posto dell'avvenuta cattura
e barbaramente li trucidavano."
a Catturato dai fascisti in Germania ......
20"
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d OLTRE IL PONTE
7 minuti
O ragazza dalle guance di pesca,
o ragazza dalle guance d'aurora,
attacco e io spero che a narrarti riesca
lettura sincrona la mia vita all'età che tu hai ora.
Coprifuoco: la truppa tedesca
la città dominava. Siam pronti.
Chi non vuol chinar la testa
con noi prende la strada dei monti.
Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte che è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita,
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
A/B/C/D tutto il male avevamo di fronte,
tutto il bene avevamo nel cuore,
a vent'anni la vita è oltre il ponte,
oltre il fuoco comincia l'amore.
Silenziosa sugli aghi di pino,
su spinosi ricci di castagna,
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
ad assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l'armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent'anni e oltre il ponte ......
Non è detto che fossimo santi,
l'eroismo non è sovrumano,
corri, abbassati,dai, balza avanti,
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano,
dietro il tronco, il cespuglio, il canneto,
l'avvenire di un mondo più umano
e più giusto, più libero e lieto.
Avevamo vent'anni e oltre il ponte ......
# Ormai tutti han famiglia, hanno figli,
che non sanno la storia di ieri.
Io son solo e passeggio tra i tigli
con te, cara, che allora non c'eri.
E vorrei che quei nostri pensieri,
quelle nostre speranze d'allora,
rivivessero in quel che tu speri,
o ragazza color dell'aurora.
A/B/C/D - Finale
a Catturato dai fascisti in Germania ......
20"
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e KESSERLING
5 minuti
----> Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietre si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
----> Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi, straziati dal tuo sterminio.
----> Non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità.
----> Non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono.
----> Non colla primavera di queste valli
che ti vide fuggire.
----> Ma soltanto col silenzio dei torturati;
più duro di ogni macigno,
soltanto con la roccia di questo patto
giurato tra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità, non per odio,
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
----> Su queste strade, se vorrai tornare
ai nostri posti ci troverai,
morti e vivi, collo stesso impegno,
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.