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Il ragazzo senza nome

Questa storia mi e’ stata

raccontata durante una vacanza in Provenza, un luglio di parecchio tempo

fa…….

Quell’anno faceva davvero molto

caldo, così,  nelle giornate più

torride, avevo preso l’abitudine di rifugiarmi all’ombra di un grande olmo, che dominava il prato di fronte alla mia casa. Lì mi capitava spesso di incontrare un vecchio signore dal cipiglio

severo. Costui si  sedeva sull’erba tranquillo e si soffermava  per

delle ore  fumando una pipa un po’

insolita,  fatta a testa di lupo. Io

ero molto incuriosita dal mio compagno d’ombra, ma non mi azzardavo a

rivolgergli la parola, perché quella sua aria così risoluta mi ispirava molta

soggezione. Così mi dedicavo al mio passatempo preferito, che era quello di creare piccole ghirlande con i fiorellini che spuntavano alle pendici

del maestoso olmo. Intrecciare gli esili steli era un lavoro minuzioso che

richiedeva grandi dosi di pazienza, ma alla fine, ogni coroncina ben riuscita o

no, veniva da me lasciata lì in bella mostra. Mi piaceva pensare che queste mie

creazioni floreali potessero essere interpretate come un mio leggiadro omaggio

agli  spiriti che, si dice, aleggino nei boschi. Con i quali noi umani, ormai troppo terreni e

materiali, non riusciamo più  ad

avere nessun contatto.  Per una

bambina che ama le fiabe, è naturale credere in queste leggende. Devo ammettere

che tuttora  mi piace molto poter

pensare che tanti esserini invisibili ci possano spiare dietro un cespuglio di

more o di rose selvatiche. Che ci fissino con il loro occhietti furbi, sempre

pronti a stuzzicarci. O a vendicarsi, aiutati magari da qualche vespa agguerrita

nel caso in cui  il nostro

comportamento risultasse pericoloso per il bosco. Ero appunto immersa in tutte queste riflessioni quando il vecchio

signore, tra una boccata di fumo e l’altra, iniziò a raccontarmi una antica

storia. I suoi nonni e i nonni dei suoi nonni la chiamavano “La leggenda del Ragazzo senza nome” ed ora io la racconterò a voi....

 “Era

l’alba di un fresco mattino di primavera, il sole nascente sembrava una

gigante moneta d’oro zecchino e, mentre gruppi di braccianti si apprestavano a

raggiungere i campi, improvvisamente il grido di un neonato riecheggiò

nell’aria.  In una casa di

contadini era nato  un bel bambino

roseo e cicciottello,  ma

soprattutto dotato di così tanto fiato nei polmoni che diede da sé

l’annuncio del proprio arrivo a tutto il villaggio. Tant’è  che  il vicinato

al completo accorse a salutare il bimbo ed a felicitarsi con mamma e papà. Si

raccolsero intorno ai novelli genitori per sciorinare detti, elencare le cose

che si devono o non si devono fare per attirare la sventura, per regalare oggetti di buon augurio e così via.

Questo bambino pare che sia stato così bello e paffuto che nessun nome

ipotizzato prima della sua nascita o proposto da parenti ed amici dopo la sua

nascita, fosse ritenuto all’altezza di tanta perfezione. Cosicché  si diceva spesso: “a trovargli un nome c’è sempre tempo,

l’importante è che cresca sano e forte come la grande quercia del

convento!”. Il tempo passava,  ed

il povero piccolo veniva da tutti chiamato con un ‘’ ehi tu!’’. Ormai

nessuno ci faceva più caso, nemmeno lui.  ‘’Tu’’

era diventato il suo nome ufficiale.  Forse a  dispetto di un

nomignolo così anonimo e privo di significato, Tu si faceva sempre più grande

e robusto ed era giunto il momento di frequentare la scuola. Doveva imparare a

leggere e scrivere appena quel poco che serviva per tenere di conto e per

leggere le Sacre Scritture. Ad ogni membro adulto della comunità, spettava,

prima o poi, il compito di leggere il Vangelo durante le funzioni religiose. Ed

i genitori di Tu, ci tenevano che il figlio facesse bella figura! La scuola era stata allestita nell’area dove un tempo sorgeva un

vecchio granaio abbandonato, l’unico spazio in grado di contenere tutti i

bambini del villaggio.  Un cupo

mattino di settembre, mentre i bambini erano radunati nel vecchio granaio a cantare filastrocche ed i genitori erano

intenti a lavorare nei campi, si alzò un forte vento, ma così forte che di

colpo tutto iniziò a volare via.  Quel

bambino di qua’ quell’altro di la’, il maestro fu accartocciato sopra una

trave e lì rimase avvinghiato tutto tremante. La campana della cappella iniziò

a suonare freneticamente una delirante melodia, un carro carico di letame collegato ad un paio di muli iniziò a roteare

impazzito con grande sgomento dei muli, che parteciparono inermi alla folle

girandola.  Come loro, anche un paio

di buoi, aratro compreso, si fece sballottolare dalla violenza del tifone.

Insomma tutto era immerso nel caos più completo, tranne i genitori di Tu, che

ignari di quanto  stava accadendo

erano impegnati nel podere di un ricco signore della contea vicina.  Inutile dire che a sera, quando tornarono nel villaggio non

trovarono né il villaggio né la loro casa, ma cosa ancora peggiore non trovarono neanche l’adorato Tu; il quale, mi ero dimenticata di dire, anche lui era stato sbalzato violentemente

fuori dal granaio ed era andato dritto dritto ad infilarsi nella tana di un

tasso fuggito chissà dove. Lì era rimasto al riparo e si era addormentato

stordito e disorientato. Si risvegliò diverse ore dopo con nelle orecchie il

rosicchiare invadente e petulante di uno scoiattolo che si era rannicchiato proprio sopra la sua testa arruffata, per lui un comodo giaciglio. Uno

scrollare, un’alzarsi di scatto ed il noioso scoiattolo fuggì via veloce come

il vento! Ah già il vento! Quel vento forte che aveva distrutto tutto. Ora Tu

iniziava a ricordarsi e più si ricordava e più piangeva. Solo, in quel luogo

sconosciuto chissà quanto lontano dalla sua famiglia, cosa avrebbe fatto? Prese una direzione qualsiasi ed incominciò a camminare, camminare,

finché si fece notte e nonostante avesse sbocconcellato soltanto qualche mela

selvatica e qualche bacca, si addormentò come un sasso dopo aver trovato riparo

dentro il tronco cavo di un grande faggio. Si  svegliò al mattino con

il cinguettio di un melodioso uccellino che abitava sui rami bassi

dell’albero. Era un bel canto e per un attimo dimenticò tutto quello che gli

era capitato e sorrise.  Ma ahimè,

non sapeva il tenero Tu di essere finito nelle terre abitate dalla gente più

rissosa ed iraconda che si conoscesse, quella definita ‘’Il popolo dei

Giganti con la mosca al naso’’. Proprio mentre Tu era con il naso rivolto

all’insù ad osservare il delizioso uccellino canterino, stava sopraggiungendo un grande e rubicondo omaccione conosciuto con il nome di Dorinello, famoso per il suo caratteraccio e per la sua fenomenale mole. Tanta permalosità gli derivava dal fatto che spesso i suoi compagni si

divertivano a prenderlo in giro per quel nome frivolo che suonava ridicolo

addosso ad un tipaccio come lui. Il corpulento Dorinello stava svolgendo un giro

di perlustrazione per controllare se qualche faina o qualche volpe erano cadute

nelle trappole usate per proteggersi dalle continue razzie che queste bestiacce

compivano nel suo pollaio. Ma niente di niente, quelle maledette si erano fatte

furbe ed evitavano quei trabocchetti ormai da tempo. A nulla serviva inventarne

di nuove! Mentre era assorto in tali pensieri Dorinello  scorse Tu sotto il faggio. IL SUO FAGGIO! Ed urlò ‘’Come osi mettere piede nelle mie terre?’’ ‘’Signore io mi

sono perso’’ piagnucolò spaventatissimo Tu. ‘’ Ti dovevi perdere

proprio qui?’’ ribatté infuriato Dorinello, ‘’ A proposito come ti chiami ragazzo?’’  ‘’Tu’’ rispose Tu,   ‘’Che

strano nomignolo hai! Sei combinato peggio di me. Beh, se non vuoi passare dei guai è meglio che tu sparisca subito, altrimenti

chiamerò i miei compagni e di te ne faremo polpette!’’  A questo punto Tu, offeso per i modi sgarbati del gigante, prese un

grosso sasso e, cercando di prendere la mira come meglio poteva, lo tirò con

tutta la sua forza colpendo Dorinello su un fianco. ‘’Ignobile mostriciattolo, ora ti prendo e ti riduco in

poltiglia!’’  Sbraitò

l’enorme bersaglio e, mentre si stava lanciando sul ragazzino, fu bloccato

dalla voce dell’amico Gerione che era nei paraggi ‘’Con chi ce l’hai   da urlare tanto?’’  ‘’ Con Tu!’’ rispose  Dorinello  ‘’Con me? Ma io ti rompo la zucca brutto bestione che non sei

altro!’’ inveì Gerione ignorando il terribile equivoco. Bastò poco, una

scintilla e tra i due giganti nacque una lotta furibonda. Fu allora che Tu pensò

di svignarsela a gambe levate, Via! Lontano dai terribili pugni che schioccavano

a destra e a manca. La sua corsa terminò quando raggiunse le sponde di un

grande corso d’acqua. Sulle rive sorgeva una casa di legno verniciata

d’azzurro e bianco quasi a ricordare lo spumeggiare delle acque che poco più

in là si rincorrevano in frettolose rapide. Sulla soglia di casa c’era un

signore intento a rammendare le sue reti  e,

poco più avanti, sul greto  del

fiume, una donna era china su un mucchio di biancheria e batteva ora un lenzuolo, ora una tovaglia sui sassi levigati con grande vigore. La sua

dinamicità era in netto  contrasto con l’immagine di grande pacatezza che infondeva

il pescatore alle prese con le reti. Dovevano essere sicuramente marito e

moglie, c’era un senso di familiarità tra i due e Tu aveva bisogno di una

famiglia che lo accogliesse ora che  aveva

perso ogni traccia della sua!  Tu

non si era reso conto di quanto tempo fosse stato ad osservare Fosco e Margherita (questi erano i nomi del pescatore e della massaia), di certo un bel pò  perché entrambi, dopo un’occhiata d’intesa, decisero di avvicinarsi a quel

ragazzino dallo sguardo triste ed avvilito che già da parecchie ore stava

accoccolato su di un masso senza neanche muoversi, giocare o sguazzare

nell’acqua. Cose naturali per un bambino della sua età. Cautamente si

avvicinarono al piccolo Tu per chiedergli chi fosse e da dove venisse ed in quel

momento, quel ragazzino che pareva impietrito come il macigno su cui era seduto,

si sciolse in un pianto sfrenato descrivendo tra i singhiozzi tutto ciò che gli

era capitato a partire dal ciclone fino ad arrivare all’incontro con i due giganti.  Fosco e

Margherita commossi dalla disperazione di Tu decisero di occuparsene fino a

quando fossero riusciti a restituire il ragazzino alla propria famiglia e lo

introdussero nella loro semplice casa di legno. Anche loro  avevano una

figliola della stessa età di Tu,  Violetta.

La piccola aveva una figura esile, esaltata da una grande chioma bruna ribelle,

due occhioni profondi come il verde intenso del muschio silvestre ed un gran

sorriso che ti apriva il cuore. Fu  così

che Tu la vide per la prima volta e questa visione gli tolse ogni dubbio, era

stato fortunato, aveva trovato una nuova famiglia, poteva stare tranquillo! Trascorsero molti anni, Tu cresceva vigoroso e forte e con

lui cresceva anche Violetta,  delicata

e gentile come il fiore da cui prendeva il nome. Tra i due si era instaurato un

affetto profondo più che fraterno, ma Fosco e Margherita avrebbero giurato che

in realtà tra i due stava sbocciando un sentimento più tenero e intenso e per

questo pregavano spesso il cielo che mai nulla al mondo li potesse separare. In

tutto quel tempo, dieci anni per la precisione, tutte le ricerche che erano

state eseguite per ritrovare i genitori di Tu non avevano dato alcun esito anche

perché il villaggio, era stato completamente distrutto ed i pochi abitanti

rimasti  si erano rifugiati un pò da tutte le parti. Dei molti dispersi nulla più si era saputo. Per questo motivo Fosco e Margherita si erano arresi ad una dolente

rassegnazione. A Tu non era stato mai fatto mancare nulla, aveva imparato un

buon mestiere, diventando artigiano del legno ed aveva anche ricevuto una

discreta educazione culturale grazie ai numerosi libri che Margherita conservava

nella cassapanca di pino russo. Ora Tu non sapeva se avesse letteralmente

divorato quei libri per amore di sapere o per il delicato profumo di resina che

emanavano durante la lettura. Certo era che aveva acquisito un bel bagaglio di

nozioni e di questo i suoi genitori adottivi ne andavano veramente fieri.

L’unico neo di Tu era la totale mancanza di un nome vero e proprio, Fosco e

Margherita, consapevoli che la scelta di un nome è cosa davvero importante, un segno che ti porti dietro tutta la vita e nel quale si riflette tutta

la storia della tua famiglia, non se l’erano sentita di battezzarlo con un

nome scelto da loro, sostituendosi a quei poveri genitori che erano stati

privati di una così grande gioia. Fu così che con grande delicatezza ed amore Fosco e Margherita decisero tenere sempre vivo il ricordo che Tu conservava del

proprio passato, perché l’amore non ha confini ed anche nella memoria

possiamo ricongiungerci ai nostri cari e pensare a loro al di là di spazio e

tempo. Questi erano gli insegnamenti che aiutarono Tu a diventare un giovanotto

onesto e giudizioso, che la sera prima di coricarsi dedicava sempre qualche

minuto alle preghiere, tra di esse c’era sempre la stessa da dieci anni.

L’inverno si preannunciava freddo e piovoso, per questo nell’aria vagava una

strana elettricità che Tu avvertiva e che da un pò non lo faceva dormire.

Nella mente un solo pensiero: doveva assolutamente trovare un nome ufficiale se

voleva sposare Violetta. Non riteneva dignitoso proporsi ad una così dolce

compagna con un epiteto simile! Tanto più che da un pò di giorni in paese si

vociferava di una coppia di anziani coniugi che lavoravano al servizio di Crispo

Dragon de’ Schiacciabuzzoli,  uno

strano tipo. Stregone per taluni, ciarlatano per altri, questi viveva confinato

in un castello mezzo diroccato, situato sulle alture prospicienti il villaggio

di pescatori. Questi due domestici, alla ricerca di un loro figliolo disperso

anni orsono durante un uragano e per molto tempo creduto morto, erano animati dalla speranza di ritrovarlo in seguito ad una serie di

sogni ricorrenti in cui lo vedevano sulle rive di un lago ormai uomo. Di questo

fatto arcano ne avevano parlato anche con il loro padrone, il quale, dopo aver esaminato un indescrivibile miscuglio, studiato il volo dei

pipistrelli ed interpretato il canto dei rospi, dichiarò che il ragazzo si

sarebbe presentato o in spirito o in persona al loro cospetto. Eccitati dall’oracolo, i due, senza avvisare il mago, avevano preso

carrozza e cavalli ed erano fuggiti per

raccontare la loro storia ai valligiani. Ma, stranamente, non avevano comunicato

a nessuno il nome di questo loro figliolo. Chissà, forse perché essendo un nome comunissimo, non rivestiva alcun valore ai fini della ricerca o

forse nessuno dei paesani se lo ricordava. Sta di fatto che le chiacchiere erano

circolate a dovere fino al fiume,  tanto

che anche Tu sapeva per filo e per segno tutta la storia e quelle poche e

frammentarie notizie che era riuscito a raccogliere gli turbinavano nella mente

come un mulinello di foglie secche impazzito. In una di quelle notti trascorse

insonni, Tu prese  una grande

decisione, raccolse poche cose, il classico fagotto e fuggì su per il bosco

verso i monti in direzione del castello di Crispo Dragon de’ Schiacciabuzzoli.

Nel frattempo una guardia inviata dal mago, aveva ritrovato i due domestici

fuggitivi e li aveva ricondotti al loro infuriato padrone. Per vendetta il mago

usò le sue arti magiche per punirli e li trasformò in due fredde lastre di

alabastro unite da un lato,  sulle

quali fece incidere queste parole:

INGRATI

FUMMO CON IL GRANDE SIGNORE DI OGNI POTERE PERCHE'

DA LUI FUGGIMMO PER RITROVARE IL NOSTRO PIU' GRANDE PIACERE QUEL FRUTTO ADORATO

CHE UN VENTO CRUDELE VIA CI PORTO' E CON IL CUORE SANGUINANTE DI DOLORE CI

LASCIO' VIANDANTE CHE LEGGI PENSACI SU E SAPPI CHE SALVARCI PUOI PIANGENDO TU

                     

Decise che le due lapidi fossero deposte ai piedi di un grande salice piangente proprio fuori le mura del castello

esposte a chi (davvero pochi) si fosse avventurato in quei paraggi.

Dall’epigrafe si intravedeva la possibilità di liberare questi due sciagurati

dal crudele incantesimo. Difatti Crispo Dragon de’ Schiacciabuzzoli non aveva

voluto essere eccessivamente perfido ed aveva previsto che per ridare la

preziosa libertà agli sciocchi servitori, bastava versare qualche lacrima di

vera commozione sulle lapidi e l’incubo sarebbe svanito. Facile no? Direte

voi.  Macché, la generosità non contraddistingueva certo quel tipaccio dedito alle peggiori stregonerie, perché

il pianto doveva essere versato da quel famoso figlio che era sparito nel nulla

più assoluto e che lui non ipotizzava certo in vena di passeggiate in quelle

terre inospitali!  Ma il destino è

beffardo ed imprevedibile e su di esso, il mago, non aveva alcun potere. Difatti

Tu si stava avvicinando sempre più al suo castello, spinto da non si sa quale

coraggio, benché quel posto fosse davvero spaventoso. Pieno zeppo di orridi,

rocce aguzze, irto di ginepri spinosi e fitti rovi. Un inferno ! Aveva camminato tutto il giorno per quei ripidi sentieri, la stanchezza si faceva sentire. Così Tu iniziò a cercare un posto dove

riposare e trascorrere la notte. Nelle grotte non era il caso, alcune erano

invase da colonie di pipistrelli giganti, altre erano occupate da cinghiali,

lupi e gatti selvatici. Perciò decise che la migliore soluzione era quella di

rifugiarsi in un gran tronco cavo proprio come quello in cui riposò

all’inizio della sua storia. Mentre cercava una pianta abbastanza grande per

ospitarlo,  restò incantato alla

vista di un enorme salice piangente ai cui piedi troneggiavano due insolite e

lucide lapidi di marmo pregiato. Sembravano scolpite nell’ambra tanto erano

perfette e trasparenti. Si avvicinò pensando che si trattasse di due sepolture,

per poter recitare una preghiera e si mise a leggere le frasi scolpite. Più che

un epitaffio aveva l’impressione di trovarsi di fronte ad un misterioso

enigma. Disteso sotto la coltre di rami fluenti del salice, iniziò a ripetere

quei versi innumerevoli volte durante la notte. Le parole gli ronzavano in mente come uno sciame d’api dietro la loro regina. E finalmente, quando la luna stava svanendo per lasciare posto ad un timido

sole, gli arrivò chiaro il messaggio, ma soprattutto gli restò impressa

l’ultima parola ‘’TU’’.   Si

alzò di scatto dal suo giaciglio, ma nel fare ciò, restò impigliato nei folti rami dell’albero, infastidendo, oltretutto,

uno sciame di moscerini. Improvvisamente una nugolo di piccolissimi insetti, lo

colpì in pieno viso. Quel minuscolo esercito volante non lo mollava e tanto era

duro l’attacco, che lo sciagurato Tu non riusciva a venirne fuori. Provò

soltanto a strofinarsi le palpebre ed a sputare quei malcapitati guerrieri che

centravano la sua bocca per attaccare forse le sue tonsille. Dopo tutto quello stropicciarsi, gli occhi, ormai gonfi, iniziarono a

lagrimargli e,  potenza del destino, quando qualcuna di queste lacrime scivolò sulle due pietre, accadde una

cosa incredibile : improvvisamente quel materiale cosi duro e freddo iniziò a

sciogliersi come neve al sole. E magicamente, da quel fluido, presero forma un

uomo ed una donna di età indefinibile ma entrambi piuttosto rotondi e

dall’aspetto rustico. Questi,  piangendo

e strillando, abbracciarono il loro salvatore ricoprendolo di baci.  Non c’era bisogno di parole, tutto si spiegava da sé. Ora

finalmente questa sciagurata famiglia si era ricomposta. Ai tre sembrava  un sogno e così iniziarono tutti a pizzicarsi come

forsennati, ma no era tutto vero, non sognava nessuno! La storia termina qui con

un “e vissero tutti felici e contenti”, ma dimenticavo la cosa più importante :Tu non restò più tale, i suoi

genitori  scelsero per lui  un nome vero : Arialdo  e perciò posso concludere che  Arialdo

con Violetta, Fosco con Margherita e Rigaldo con Celeste trascorsero la loro vita insieme con gioia e serenità!”

Terminato il racconto il signore

con la pipa mi indicò un punto ben definito in fondo al prato, dove si intravedeva ancora tra l’edera un vecchio tronco ormai

rinsecchito. Quel blocco informe e pietrificato dal tempo era, in realtà, il

grande salice piangente della leggenda. Quando mi alzai per lasciare l’ombra

del grande olmo e tornarmene a casa, mi voltai per osservare ancora le mie

ghirlandine di fiori di campo, ma non c’erano più. Al loro posto brillava un

sassolino strano, quasi trasparente,  perfettamente

levigato, che presi con me e che tuttora conservo in un cassetto insieme ad un

ciuffo profumato di lavanda di Provenza.

 Fine

Arthemisia

 

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