CARATTERISTICHE AMBIENTALI

       Le tre Salinelle, disposte a raggiera rispetto al vulcanetto di Paternò, risultano accomunate solo dalla sorgente magmatica, causa principale del fenomeno che le caratterizza. Tutti gli altri aspetti (intensità dei fenomeni in atto o verificatisi nel passato, densità dei fanghi eruttati, entità e tipologia dei depositi superficiali, morfologia dei conetti eruttivi) sono differenti per le tre aree. Passiamo ad una sintetica rassegna delle caratteristiche salienti delle tre Salinelle. 
Il settore in cui sono localizzate le Salinelle di Paternò  appartiene al versante occidentale dell’Etna che rispetto a quello orientale presenta morfologie più blande (< 10% fino ai 1000 m s.l.m. - Cristofolini et al., 1981). Localmente l’ampio areale argilloso dà luogo a morfologie dolci interrotte, in alcuni punti, dalla presenza di spuntoni di roccia basaltica probabili resti di un’antica industria litica (Mannoia, 1999). In superficie, l’aspetto dei terreni argillosi varia in funzione della stagione: nel periodo estivo si presentano essiccate e caratterizzate da una fitta rete di fessure poligonali (mud cracks) a causa della rapida contrazione conseguente all’evaporazione, mentre nel periodo invernale sono quasi costantemente sature d’acqua. L’elevata salinità delle acque che risalgono in superficie si riflette nell’assenza di vegetazione e nella presenza di incrostazioni biancastre dovute alla precipitazione dei sali (sopratutto sodio e magnesio) contenuti nelle soluzioni che fuoriescono dagli orifizi. L’emissione di fango ricco di sali e gas che nel tempo tende ad accumularsi attorno al punto di emissione porta ad un mutamento morfologico della zona creando conetti di notevoli dimensioni con altezze che possono anche essere superiori al metro. Dai crateri dei vulcanetti, dove talora il gorgogliare delle acque dovuto all’emissione del gas è accompagnato da un caratteristico ronzio, possono diramarsi colate di fango molto fluide che creano singolari tracciati, segni evidenti dell’attività esplicatasi. Il percorso del fluido si arresta, più avanti, in corrispondenza di alti argini eretti a difesa delle colture agrumicole per le quali, la presenza di fanghi salini sarebbe deleteria. Nel complesso l’attività dei vulcanetti sembra apparentemente riflettere quella del vulcano Etna; a fasi parossistiche con spettacolari colate di fango seguono periodi di quiescenza durante i quali, spesso, i vulcanetti tendono a sprofondare entro se stessi creando piccoli stagni dove ancora più suggestivo diviene il ribollire delle acque. 
Dei principali parossismi eruttivi che, nel tempo, hanno interessato le Salinelle di Paternò se ne riportano in maniera schematica le caratteristiche salienti (da R. Lo Cicero, 1968):

 attività del Gennaio 1866 – improvvisa emissione di enormi quantità di acque termali fangose con dei vapori che trasformarono rapidamente il bacino in un lago di fango fumante e, straripando, invasero i terreni circostanti. I gas e l’acqua fangosa uscivano con violenza da sei crateri del diametro di 1,5-2 m formando delle colonne alte da 1,6 ad 1,8 m e del diametro di mezzo metro. La temperatura dell’acqua raggiunse i 46 gradi, contemporaneamente altri craterini davano gas ed acqua fangosa a temperatura normale;

attività del Maggio 1956 – durante questa attività si formò un vero e proprio conetto di fango alto 3 m circa, sormontato da una cavità craterica imbutiforme nel fondo della quale erano localizzate le sorgenti più attive. Queste presentavano un’attività consistente in efflusso d’acqua fangosa simultanea a gorgoglio di gas, la cui fuoriuscita provocava spruzzi di fango da 10 a 30 cm d’altezza. Sull’acqua si notavano tracce oleose di idrocarburi. La cavità crateriforme, i cui bordi andavano lentamente innalzandosi per il continuo apporto di nuovo fango che ivi veniva proiettato dagli spruzzi più forti, era colma della stessa acqua fangosa che si scaricava al di fuori attraverso un’apertura dall’orlo; da questa si originava un vero e proprio canale di emissione rivolto verso la parte alta della regione, dove le colate fangose si espandevano per decine di m2.   L’ultima fase parossistica ha avuto inizio nell’estate 1999; si riporta la dettagliata descrizione dell’attività, resa possibile dalla diretta osservazione delle fenomenologie che hanno interessato l’area per circa otto mesi:

attività del Luglio 1999-Febbraio 2000 -  Fino alla fine del mese di Giugno 1999 l’attività dei vulcanetti si è mantenuta pressoché quiescente con piccoli apparati di qualche cm di diametro interessati da normale effusione di gas e fango. Dal successivo periodo in poi si è iniziata a manifestare un’attività più intensa localizzata nella parte centrale delle Salinelle dove si  è generato un conetto le cui dimensioni diametrali sono passate, nel giro di due mesi, da qualche decina di cm a 4 m. L’incremento della concentrazione dei gas, manifestatasi in un unico punto dell’area, potrebbe essere collegata ai terremoti di natura tettonica che frequentemente interessano le faglie profonde attraverso cui si ha la canalizzazione dei fluidi che risalgono verso l’alto. L’attività sismica, infatti, può incidere sul fenomeno in atto aprendo nuove vie di fuga per i gas o allargando quelle preesistenti. L’alta emissione dei volatili che in superficie si è manifestata con un intenso ribollire delle soluzioni emesse ha provocato un’aumento della turbolenza delle acque in risalita che, quindi, con maggiore efficacia hanno potuto erodere le argille che costituiscono l’orlo craterico da cui si dipartono le colate fangose. L’erosione del cratere è stata favorita dalle pessime caratteristiche meccaniche delle argille risedimentate che costituiscono il suolo delle Salinelle. Il mantenimento della forma originaria (ellissoidale) dell’orlo nel tempo, indica che l’ampliamento è da relazionare all’azione delle acque e dei gas presenti, i quali esercitando in ogni punto del cratere una eguale pressione hanno determinato un arretramento uniforme delle diverse parti della voragine. Dalla fine del mese di Settembre 1999, a circa 5 metri dal vulcanetto generatosi all’inizio dell’estate, si è aperto un nuovo apparato caratterizzato da notevole turbolenza delle acque, le cui dimensioni massime hanno raggiunto un diametro di circa due metri. Le caratteristiche morfologiche di quest’ultimo erano abbastanza similari a quelle precedenti: il canale di scolo era rivolto nella stessa direzione e si anastomizzava, dopo qualche metro, con l’incisione del precedente sistema non più attivo. La nuova attività potrebbe essere dovuta ad una delle cause di seguito elencate:  
- essendosi manifestata in coincidenza di un sostanziale decremento dell’attività relativa al vulcanetto del  Luglio 1999, essa potrebbe essere relazionata ad una parziale occlusione del condotto dello stesso. Questo fattore restringendo la sezione di deflusso avrebbe impedito ai fluidi una libera risalita verso l’alto; le elevate pressioni esercitate dai gas lungo le pareti del condotto avrebbero creato un percorso alternativo verso la superficie affiorante a pochi metri da quello principale;
 
- la seconda ipotesi che sembra comunque meno probabile è la presenza di un condotto indipendente da quello principale direttamente collegato con la sorgente profonda.
 
Dopo quest’ultimo periodo di attività le Salinelle di Paternò non hanno più presentato alcun fenomeno parossistico; attualmente sono in fase di emissione tranquilla di CO2, poca acqua salata e fanghiglia.  
    
Per avere un’idea dei fluidi emessi dagli orifizi sono riportati (diagramma circolare e tabella dei gas)  il diagramma e le analisi chimiche compiute dai precedenti autori che hanno studiato le Salinelle di Paternò.  
Oltre all’aspetto naturalistico bisogna considerare anche quello prettamente scientifico: alcuni ricercatori (Badalamenti et al., 1994) misurando i flussi di CO2 prima dell’eruzione del 1991 hanno constatato che il monitoraggio del degassamento dei suoli lungo i fianchi dell’Etna può essere utile per rilevare le prime fasi di ripresa dell’attività vulcanica. Recentemente si è anche tentato di correlare l’incremento delle degassazione con l’approssimarsi di eventi sismici generati da sforzi tettonici. 
 
Ad un paio di chilometri di distanza, in linea d’aria, entro la valle del fiume Simeto, nascoste in una verdeggiante distesa di agrumeti che fa da contraltare al paesaggio brullo del versante opposto su una rupe basaltica preservata dall’erosione fluviale, si sviluppano le Salinelle del Fiume, così denominate per la loro vicinanza con il corso d’acqua adiacente. Diversamente dal caso precedente l’estensione dell’area interessata dal fenomeno naturale è molto limitata: la presenza di pochi vulcanetti di diametro molto esiguo è indice di un’attività generalmente poco intensa che si esplica con la formazione di apparati “temporanei” che nascono e si estinguono, a volte anche soltanto dopo qualche giorno. Anche in questo caso sono presenti croste saline che, in alcuni punti passano lateralmente alle argille risedimentate sovrapposte a sedimenti più recenti. Un’estesa coltre di depositi rossastri (ossidi di Ferro), indica la presenza di un’acqua notevolmente ricca in Ferro. Spostandosi più a Nord, quasi in prossimità dello spartiacque che separa il territorio di Belpasso da quello di Paternò, sorgono le Salinelle di S. Biagio; in esse a differenza delle Salinelle di Paternò, è assente il degrado ambientale. In questa parte di territorio, infatti, l’urbanizzazione non sembra aver intaccato l’originario rapporto uomo-ambiente basato sul rispetto verso la natura e le manifestazioni ad essa connesse. Nello scenario “idilliaco” che si presenta agli occhi del visitatore, le emissioni fangose accompagnate da un caratteristico ronzio, conferiscono al paesaggio un’aspetto quasi surreale, in cui la natura sembra essersi ritagliata una sua dimensione incontaminata. In questo contesto un grande vulcanetto, su cui si sono impostati apparati secondari attualmente in attività, si erge per qualche metro sul substrato alluvionale, dominando la valle antistante. La morfologia acclive del conetto principale, può essere dovuta ad un insieme di fattori concatenati:

-   il punto di emissione potrebbe essersi impostato, originariamente, su un substrato mammellonare, quindi la morfologia acclive sarebbe in parte “ereditata”;

-   la densità delle emissioni è molto più elevata rispetto ai casi precedenti, fattore che comporterebbe un più difficile allontanamento dei fanghi dal punto di emissione che, in analogia ai processi di formazione dei vulcani, porterebbe a delle forme coniche più acclivi.

A causa della notevole pendenza dei versanti le colate che si dipartono dai punti d’emissione tendono ad incidere con più vigore i fianchi, creando dei canali di scolo all’interno dei quali le colate fangose scorrono molto velocemente fino ad incanalarsi lungo l’alveo del torrente Salato, proseguendo poi per qualche centinaio di metri all’interno di questi percorsi naturali generati dalle acque torrentizie. Ciò che colpisce, rispetto ai casi precedenti, è l’assenza di croste salate e di ossidi di Ferro. Questa lacuna può essere spiegata con un minor tenore salino delle acque collegato all’assenza nel sottosuolo dei termini solubili appartenenti alla Serie Gessoso-Solfifera (carbonati, gessi, sali) che forniscono la “materia prima” per la formazione di questi depositi.        

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