KOSOVO E METOHIJA: LA TRAGEDIA CONTINUA

 

Monastero di Decani (pron. "Dèciani")

24 novembre 2003

 

Si è appena conclusa la festa patronale di uno dei più grandi e famosi monasteri storici della Chiesa Ortodossa Serba. Erano presenti oltre 600 pellegrini, giunti non solo da ogni parte di Serbia e Montenegro, ma anche da luoghi lontani come Cipro, e perfino Gerusalemme. Si sente ancora l'atmosfera di una bella celebrazione, e non di un giorno di ordinaria follia in questa terra martoriata che ha nome Kosovo. O per essere precisi, "Kosovo e Metohija". Ma il nome "Metohija" (dal greco metòchio, ovvero dipendenza di un monastero), qui non è "politicamente corretto", e viene convenientemente "epurato".

Finora il clima della festa non mi ha concesso di pensare troppo a lungo a cose tristi. Quasi non mi viene da credere che questa mattina ero uno dei preti concelebranti alla Liturgia patronale, dove sono stato invitato a intonare preghiere in italiano (gradite tanto dai monaci locali quanto dai nostri soldati della KFOR). E cosa ancora più incredibile, poco dopo ero a un tavolo di riunione con vescovi, generali ed esponenti politici di rilievo. "Ma che ci fa, tra loro, un semplice parroco ortodosso italiano?" - chiedevo, e la risposta di uno dei monaci è stata, "qui, chiunque fa più di 1000 chilometri per venirci a trovare è un VIP".

Questo giorno manda un tenue raggio di speranza che i cristiani ortodossi serbi possano, prima o poi, tornare a vivere una vita normale in una terra che è stata la culla della loro fede e della loro civiltà, e che fa tuttora parte (fino a prova contraria) della loro stessa nazione. Ma incombe sempre su di loro l'ombra della persecuzione. Credo che perfino la gioia di questa festa sia costata fatica, in tal senso. Nelle parole di un vescovo ortodosso locale, "sorridiamo per nascondere le nostre lacrime". Di fronte a questa attitudine non posso non provare ammirazione, sia come ortodosso, che come italiano.

Più passa il tempo, più ci dimentichiamo del Kosovo. Sappiamo ancora - nei rari intervalli di memoria - che qualche migliaio dei nostri soldati è ancora lì, intento a fare sforzi da ernia per garantire il basilare diritto alla sopravvivenza dei serbi della Metohija. Arrivati con l'idea, gonfiata dai media, di dovere proteggere gli albanesi dai "serbi cattivi", si sono resi presto conto di essere stati inviati, ufficialmente, a proteggere il gatto dal topo. A loro eterno merito, il fatto di essersi accorti di un più importante lavoro di protezione da compiere, e di averlo compiuto egregiamente.

Ancor meno ci ricordiamo dell'entità della strage che sta falcidiando i serbi del Kosovo. Da quando nel 1999 è "scoppiata la pace", è stato ucciso in media un serbo al giorno, e nessuno è mai stato arrestato per questi delitti. Di recente, abbiamo sentito spesso parlare di "stati canaglia", ma non è facile che ci venga da chiederci se sia in corso la costituzione di uno di questi proprio a qualche centinaio di chilometri dall'Italia.

Meno di tutto, se siamo cristiani, ricordiamo che la tragedia del Kosovo sta allontanando la Chiesa Ortodossa dalla fiducia nella solidarietà delle altre confessioni cristiane a una velocità superiore a quella di tutti i migliori sforzi di dialogo e di riconciliazione. Di fronte alla distruzione sistematica di chiese e monasteri (alcuni dei quali gioielli di arte e di cultura), e alla profanazione dei cimiteri ortodossi, il minimo che si sarebbe potuto richiedere era una forte voce di fratellanza cristiana. Invece colpiscono due forme di reazione:

1- Il vescovo cattolico romano del Kosovo, l'albanese Mons. Marko Sopi, afferma pubblicamente (cfr. "Guerre etniche: una fatalità?" pubblicato nel 2001 a cura della Caritas di Vicenza) che le chiese storiche del Kosovo sono antichi luoghi di culto cristiani preesistenti all'arrivo dei serbi nella regione (nel VII secolo). Quest'affermazione - tanto ardita quanto peculiarmente sgombra da qualsiasi reale prova storica, archeologica o etnografica - è un buon esempio di riscrittura della storia, utile a creare una "mistica illirico-albanese" e a risolvere le proprie crisi di identità, ma più che sconsiderata in un quasi-stato in cui spadroneggiano estremisti sanguinari. Le parole di Mons. Sopi, nel Kosovo di oggi, rivelano un'irresponsabilità di livello potenzialmente criminale: sono in pratica un invito aperto ai terroristi a distruggere luoghi identificati come "avamposti di invasori". E purtroppo, il continuo rifiuto del presule cattolico di commentare le sue stesse parole, o di venire a un incontro chiarificatore con i cristiani ortodossi (a fronte dei suoi abbracci pubblici con il leader musulmano locale) non lascia presagire un cambio di tendenza.

2 - I missionari protestanti del Kosovo - in gran parte americani - non si sono spinti a tale livello, ma salvo alcuni appelli per i diritti umani dei propri convertiti albanesi di famiglia musulmana, sostengono che le condizioni dei cristiani del Kosovo nel nuovo regime sono addirittura migliorate, e mantengono una grande indifferenza per la sorte dei cristiani ortodossi.

In questa situazione, si capisce quanto sia difficile parlare di rapporti ecumenici. Anzi, credo che parlarne, qui, non sia neppure educato. Se in altri paesi la parola ecumenismo sembra stanca, o persino "bruciata" (si pensi che la Chiesa Ortodossa Russa non la usa più nei suoi documenti ufficiali, limitandosi a parlare di relazioni tra cristiani), a dire "ecumenismo" qui in Kosovo si ha l'impressione di aver nominato una parola sporca.

Visto che l'impegno ecumenico generalmente si accompagna a quello del dialogo interreligioso, mi sembra importante ricordare come l'attuale etnocidio in Kosovo sia anche il frutto di una storia di islamizzazione. Le sue fasi sono troppo lunghe da elencare qui, ma vorrei che ne fosse consapevole chi parla di rispetto nel dialogo, coesistenza nella tolleranza, reciproco riconoscimento di valori, e così via.

Tra poco (e per ragioni di sicurezza locale legate alle scorte armate, non posso anticipare nemmeno a me stesso la data e l'ora esatta) lascerò questa provincia lacerata, nella quale i pochi serbi ortodossi rimasti (in condizioni che mi fanno venire i brividi) vivono in enclavi a rischio di estinzione, simili a riserve indiane di triste memoria; il loro governo non può aiutarli più di tanto, perché è povero (e la comunità internazionale, bisogna ammetterlo, ha fatto di tutto per impoverirlo); la Chiesa Ortodossa in tutto il mondo (che spesso non è molto più ricca o influente di quella di queste parti) aspetta un segno da parte degli altri cristiani. Ma come e quando potrà arrivare un segno credibile?

 

Ieromonaco Ambrogio

Chiesa Ortodossa Russa - Torino

 

Per saperne di più:

 

UN LIBRO DA LEGGERE

Marilina Veca, Il Kosovo perduto, Roma: Edizioni interculturali, 2003, € 10,00

Le cronache di viaggio e le sconvolgenti scoperte di una giornalista italiana che non ha avuto paura di dire la verità su ciò che ha visto in Kosovo

 

UN SITO DA VISITARE

http://digilander.libero.it/kosovocrocifisso

“Kosovo Crocifisso” riprende e traduce in italiano alcune delle pagine più importanti del sito del Monastero di Decani, www.kosovo.com, che è una delle fonti più informative e aggiornate sul Kosovo

 

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