"Vladyka." Una storia breve

Dopo il termine della Divina Liturgia, Vladyka Andronik ritornava alla propria casa in una stretta via dell'antica capitale imperiale di Kyoto. La sua figura familiare era ben nota agli abitanti del vicinato, una combinazione di piccoli negozi e case private con i loro tetti inclinati di tegole, pali di legno e paraventi di carta. Mentre camminava per la via principale del suo vicinato, i cortesi negozianti giapponesi si inchinavano con rispetto a "Vladyka-san," così come tutti chiamavano quest'uomo anziano di media corporatura, il cui portamento eretto rivelava la sua vita come ufficiale del Reggimento Preobrazhenskij delle Guardie. Il dignitoso capo di Vladyka Andronik, con le sue lunghe chiome grigie e gli occhi di un azzurro pallido, si chinava al riconoscere il saluto di questo o di quel mercante e obayun di passaggio. I giapponesi rispettavano gli uomini santi, anche questo gaijin con gli occhi azzurri, chiome lunghe e fluttuante ryasa nera e croce episcopale ingioiellata. Questo sant'uomo non era come i gaijin occidentali dal naso lungo. Era un Russki, e parlava una lingua strana, che era morbida e ricca di vocali e sibilanti. La gente del vicinato aveva preso a rispettare e amare questo monaco gaijin, che era vegetariano come i loro preti buddhisti. Per i giapponesi l'odore del corpo dei mangiatori di carne dal naso lungo era ripugnante, ma Vladyka-san non era così. Era come un sant'uomo giapponese, mangiava riso e oshinko. Non conosceva donna. Non beveva liquori forti e passava molte ore in preghiera. I vicini guardavano con approvazione il suo uso di quell'oggetto che egli aveva presentato loro come il suo "ciotki," la katana che Dio gli aveva dato, così diceva Vladyka.

"Vladyka-san! Vladyka-san!" urlò un gruppo di bambini vestiti in kimono di vari colori. I bimbi scoppiarono a ridere mentre spiavano il monaco vestito di nero che camminava verso la sua casa. Corsero da lui attaccandosi al suo ampio poyak, il simbolo della sua forza spirituale che i giapponesi chiamano ki. Vladyka Andronik voleva bene a questi bambini e di solito riempiva le profonde tasche della sua lunga ryasa con piccoli giocattoli e dolci di riso. Alzò le mani in alto come per arrendersi, provocando un altro coro di risate deliziate. Velocemente, una dozzina di mani perquisirono le tasche con avidità e tirarono fuori dolci di riso, rompicapo, bambole e altri giocattoli. "Arigato gozaimasu Vladyka-san!" dissero i bambini mentre si inchinavano a lui. Vladyka Andronik sorrise e li benedisse. Quindi essi si dispersero per tornare a casa per il pasto di mezzogiorno.

Entrando in casa, fu salutato dalla governante, Mitsuko, la figlia di un fattore del nord. Era una giovane donna simpatica di circa trentacinque anni, dalla voce soave e dal volto tondo. Aveva un figlio, Gorobei, che era un gran favorito di Vladyka Andronik. Il marito di Mitsuko era stato un soldato nella recente guerra in Manciuria, ed era stato ucciso a Port Arthur. La coppia era stata battezzata dal riverito Vescovo Nikolai, l'Apostolo del Giappone. Vladyka aveva celebrato il matrimonio di Mitsuko e Yoshie con i loro nomi cristiani di Maria e Yuri. Allo scoppio della guerra tra l'Impero russo e il Paese del Sol Levante, Sua Grazia Nikolai, nei suoi sermoni alla cattedrale di Tokyo esortò i cristiani giapponesi a servire e obbedire al loro Imperatore. Quindi si ritirò dal servizio pubblico per tutta la durata della guerra.

Quando il Dipartimento della Guerra inviò un messaggero a casa di Vladyka Andronik, tutti sapevano che era per qualcosa di brutto. Leggendo il messaggio che il solenne messaggero le offrì con le sue scuse, Mitsuko cadde a terra singhiozzando. Vladyka Andronik la sollevò e la lasciò sfogare la propria disperazione piangendo sulla sua spalla. C'era una certa qualità di stoicismo nello spirito giapponese, che Vladyka Andronik ammirava profondamente. Una volta che Mitsuko si asciugò le lacrime con il proprio fazzoletto di cotone rosso, iniziò a sorridere e si profuse in scuse a Vladyka per il suo scoppio di dolore, e iniziò velocemente a preparare il pasto serale in cucina. I giapponesi, scoprì Vladyka Andronik, erano tanto intensamente emotivi quanto i russi, ma erano molto più capaci di fare buon viso a cattiva sorte. Quanto più erano feriti, tanto più erano in grado di sorridere. Del tutto diverso era lo stile drammatico russo.

Mitsuko si inginocchiò e tolse gli stivali a Vladyka Andronik, offrendogli le sue pantofole. Uno dei tratti del popolo giapponese che il vescovo russo aveva preso ad apprezzare era la loro impressionante pulizia. I russi ordinari si facevano il bagno ogni sabato sera, ma in Giappone il bagno era quotidiano. Non era ammissibile la sporcizia in casa e tutti portavano pantofole e calze speciali chiamate tabi sui tappeti puliti detti tatami.

Vladyka Andronik aprì lo schermo (shoji) del soggiorno principale, ed entrò sulla veranda dal pavimento di legno. Qui i giapponesi sono soliti intrattenere i vicini e gli stranieri o sedersi a riflettere sulla natura e sull'universo. Si sedette sulla veranda secondo lo stile giapponese, e attese che Mitsuko gli portasse una bottiglia di sake caldo e una tazza. La ringraziò con gratitudine e sorseggiò il vino di riso mentre sedeva sulla veranda, a prendere la piacevole brezza di un giorno sereno di primavera a Kyoto.

Era il Giorno dei Ragazzi nell'Impero del Giappone. E Vladyka Andronik poteva vedere, tutto intorno alle case del vicinato, festoni di carta a forma di carpe, chiamati koinobori. In questa occasione venivano fatti fluttuare su aste di bandiera. Vladyka ammirava le carpe di carta increspata, dipinte di nero, di rosa e di blu, con scaglie bianche geometriche. Al passaggio del vento primaverile, udiva il suono teso dei festoni e dei nastri che sbattevano.vivacemente. Gli alberi di pesco erano in fiore. C'era una dolcezza nelle primavere giapponesi che faceva un contrasto severo con le primavere russe che aveva conosciuto a casa a San Pietroburgo.

In Giappone, la carpa era un simbolo speciale per i ragazzi perché rappresentava le virtù virili. La carpa era il più coraggioso dei pesci, che risaliva a nuoto le cascate. Quando veniva pescata e messa sul banco per essere tagliata, la leggenda giapponese diceva che la carpa non tremasse. Queste erano qualità che incarnavano lo Yamato Daimashi, lo spirito giapponese. Come missionario in mezzo a questo antico popolo orgoglioso, sofisticato e impeccabilmente educato, Vladyka Andronik aveva imparato dal suo mentore, Sua Grazia Nikolai, a rispettare sempre la loro cultura e dignità, che essi stimavano più della vita.

Prima che Dio lo chiamasse alla vita angelica, era stato un ufficiale nel reggimento Preobranzhenskij delle Guardie. Nel mondo era stato il Principe Vsevolod Andreevich Vorontsov. La sua famiglia lo aveva inviato all'estero, a Parigi e Berlino, per completare la sua istruzione. Quindi, dopo un giro del mondo, ritornò in Russia a ottenere la sua carica nel reggimento. Durante il suo giro del mondo, il giovane Principe Vsevolod aveva visitato per la prima volta il Giappone durante i primi turbolenti anni della Restaurazione Meiji. La nazione era letteralmente in guerra civile. Anche allora, pur non conoscendo nulla del linguaggio e della cultura che avrebbe padroneggiato in anni futuri, il Principe Vsevolod, come aristocratico russo e ufficiale delle guardie, istintivamente ammirava la puntuale cortesia, il freddo coraggio e la calma dignità dei samurai e dei signori feudali giapponesi. Un popolo disciplinato e pronto al sacrificio come i giapponesi, pensò tra sé, avrebbe potuto un giorno dominare il mondo.

Allo scoppio della Guerra turca, il Principe Vsevolod entrò immediatamente tra i volontari russi per aiutare i propri fratelli ortodossi a rovesciare il giogo turco. Durante una convalescenza per ferite a Yalta, incontrò una giovane baronessa proveniente dalla Curlandia, Irina Von Traubenberg. Si innamorarono, e si fidanzarono dopo un vorticoso corteggiamento. Ella gli diede una ciocca dei suoi capelli biondi e un suo ritratto, che portò sui campi di battaglia in Bulgaria. Alla fine della guerra, tornò a Yalta a reclamare la sua promessa sposa, solo per scoprire dai suoi genitori afflitti che era morta di febbre tifoidea. Lo sconvolgimento dovuto alla sua morte avrebbe preparato il Principe Vsevolod all'eternità. Devastato nell'animo, chiese una licenza dall'esercito e si recò a Optina Pustyn, dove viveva il santo Staretz Amvrosij. Una notte il Principe Vsevolod partecipò alla funzione di compieta dei monaci. Seguendo le forme scure e incurvate intorno alla chiesa per venerare le icone, sentì un forte desiderio di abbandonare il mondo delle spade e dei cannoni e di entrare al servizio di Dio, così come aveva un tempo desiderato essere il marito di Irina. Due notti dopo, lo Staretz ricevette il Principe Vsevolod nella sua cella, dove bevvero tè e si tuffarono in quella sorta di discussione da cuore a cuore, della quale i russi sono specialisti. Lo Staretz gli disse, "Volodya, se è la volontà di Dio, Egli ti farà crescere il desiderio per la vita angelica. Se no, puoi servirlo altrettanto bene nel mondo come laico. Ricorda, mio caro, c'è solo una vita che ci tocca vivere, sia che siamo vescovi o preti, monaci o laici, siamo chiamati a vivere la vita in Cristo."

E così lo Staretz Amvrosii diede al principe una benedizione per tornare a Optina come novizio (poslushnik). Il Principe Vsevolod rassegnò le dimissioni, che i suoi fratelli ufficiali furono restii ad accettare, poiché gli volevano bene per la sua buona natura. Alla sua festa di addio, gli ufficiali del suo reggimento gli chiesero: "Ricordati di accendere una candela per noi, Volodya!"

Con il passare del tempo, il monaco Vitali (questo fu il suo nome monastico) ricevette una benedizione per diventare missionario in quella terra che lo aveva affascinato nella sua gioventù. Si impegnò in un programma intensivo di lingua e cultura giapponese all'Università di San Pietroburgo, e quindi intraprese il lungo, laborioso percorso attraverso alle vaste distese della Santa Russia fino a Vladivostok. Da quell'accidentato porto di mare, si imbarcò per il Giappone, dove fu ricevuto dal santo Vescovo Nikolai.

Gli anni passarono nel ministero pastorale al popolo giapponese che egli prese ad amare. Il Santo Sinodo lo fece vescovo assistente del Vescovo Nikolai. Una volta ogni pochi anni riceveva una licenza per tornare in Russia a raccogliere fondi per la Chiesa giapponese. Teneva conferenze, pubblicava diversi libri, e visitava la famiglia e i vecchi amici. Ma per quanto amasse la Russia, trovava che ogni volta che ritornava alla sua patria (Rodina), questa gli sembrava sempre più estranea, come vecchi parenti che uno ama per abitudine e per legami antichi, ma con cui non c'è più molto da dire dopo il primo scambio iniziale di cortesie. Ritornava sempre in Giappone con molta gratitudine.

Il sole tramontava in Occidente. Boccioli fragranti di melo andavano alla deriva dagli alberi. Le casalinghe si affrettavano verso casa con le provviste per la cena che avrebbero cucinato sul focolare centrale, dove in un grande calderone nero il cibo bolliva in continuazione su un fuoco scoppiettante. E improvvisamente Vladyka Andronik capì perché amava tanto il popolo giapponese. Egli aveva condiviso il dolore di Mitsuko per la perdita del Servo di Dio Takimatsu "Yuri" Yoshie. Ma ora ricordava un'altra sera nel rigido inverno del 1905. Il console russo a Kyoto, un uomo dai baffi rossi e dai modi molto gentili, aveva bussato alla sua porta. Un servitore era venuto all'entrata ad accogliere il console nel cortile. L'aspetto tetro dell'uomo diceva tutto. Il console si diresse lentamente e deliberatamente verso la casa. Vladyka Andronik uscì in vesti episcopali e benedisse il console, che gli baciò la mano destra.

"Vladyka," disse il console lentamente. "Ho il dovere doloroso di informarla della morte in battaglia di suo nipote, il Conte Aleksandr Petrovich Bobrinskij. È morto valorosamente alla testa del suo reggimento il 24 Febbraio alla battaglia di Tsinketchen. Il Generale Rennenhampf lo ha elogiato con calore nei suoi dispacci. Voglia accettare a nome del nostro Sovrano le mie più profonde condoglianze per la sua perdita.."

Dopo che il console ebbe preso il tè e si fu ritirato, Vladyka Andronik si recò al suo luogo preferito sulla veranda e fissò la luna che brillava. Iniziò a recitare le preghiere per il suo nipote morto, e rimase in silenzio. Mitsuko e gli altri servitori si avvicinarono con cautela al loro signore. Si misero tutti in ginocchio e si piegarono a terra.

"Sumimasen Vladyka-san!" gridò la servitù all'unisono.

Vladyka Andronik fu tanto toccato dalla loro dichiarazione congiunta di rimorso, dalla loro offerta di scuse per la morte del suo erede nella guerra contro l'Impero del Giappone, che gli scesero lacrime dalle guance. Rapidamente, Vladyka Andronik si alzò in piedi, raggiunse i suoi sorpresi servitori e mise attorno a loro le braccia permettendo alle lacrime di scendere.

"Vladyka-saaaaaan! Vladyka-saaaan!"

Il ricordo di Vladyka Andronik venne interrotto. Egli vide il piccolo Gorobei, il Servo di Dio Grigorij (chiamato così da San Gregorio di Nazianzo), che stava accanto a un albero di pesco. Il suo kite, con un feroce samurai dipinto, si era impigliato tra i rami.

Il bimbo guardava con aria implorante il suo amato vescovo.

"Vladyka-saaaaan! Il mio kite si è impigliato tra i rami! Mi puoi aiutare?

Vladyka Andronik si asciugò una lacrima ribelle e sorrise alla sua maniera gentile. "Arrivo, Grisha! Vladyka salverà il tuo kite!"

Il vescovo dai capelli grigi si alzò e saltò giù dalla veranda come un giovane ufficiale delle guardie, e camminò allegramente in direzione del bambino.

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Ringraziamo Alphonse Vinh, di Washington D.C., che ci ha messo a disposizione la versione inglese di questo racconto

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