Caratteristiche geologiche ed ambientali

del massiccio della Maiella e del Morrone

Vincenzo Salvitti

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La Maiella è, immediatamente dopo il Gran Sasso, il più elevato gruppo emergente dell'Appennino,  isolato come una tozza cupola nella vasta area compresa fra le valli della Pescara, la fossa tettonica di Caramànico, l’intera valle del fiume Orta, i guadi di S.Leonardo e di Forchetta Palena e le alture ondulate del Subappennino Frentano. Anche a prima vista, le differenze con il Gran Sasso sono estremamente marcate.  Se quello appare come una doppia catena calcarea dominata in alto da creste aeree, da picchi tricuspidali, da erte pareti rocciose, contrapposti verso sud a una serie di bacini chiusi, la Maiella si presenta invece come un'enorme gobba anticlinale quasi inaccessibile, allungata da nord a sud e tagliata nettamente ad ovest da una gigantesca faglia di i6oo m. di dislivello e che sovrasta il centro abitato di S.Eufemia a Maiella. La parte culminale è  formata da vette che superano i 2.500 m. di altitudine: il Monte Amaro, il più elevato (m. 2.793), i Tre Portoni (m. 2.653), il Pesco Falcone (m. 2.657) e, più ad est, il Monte Acquaviva (m. 2.737).  A nord la cresta principale si mantiene elevata e compatta fino alla Maielletta (m.  I995), dove perde quota rapidamente, diramandosi in vari speroni secondari; mancano o sono molto disagevoli i valichi, come la Sella Acquaviva che è poco più di un semplice intaglio a 2050 m. fra il Monte Cavallo e il Blockhaus.  Verso sud la montagna si fa meno complessa, allungandosi in una doppia dorsale che delimita il suggestivo  vallone di Femmina Morta e degradando poi con la Tavola Rotonda (m. 2.403) fino al Guado di Coccia (m. 1.652) per rialzarsi nell'erto Monte Porrara (m. 2.136). La Maiella è formata in gran parte da terreni terziari, essendo la massa principale costituita da calcari  nummolitici dell'Eocene che poggiano su un basamento fortemente fagliato di calcari del Cretacico.  Le ultime pendici a nord, verso la Pescara, hanno vaste impregnazioni asfaltiche, in prevalenza nel calcari miocenici, ma anche in quelli eocenici (Miniera di Santo Spirito) e perfino nei calcari concrezionati quaternari (Cusano).

L'impregnazione che ha interessato, sebbene con importanza diversa, i vari livelli, si ritiene avvenuta ad opera di idrocarburi provenienti attraverso fratture da sedi profonde.

Gli studi del geologo svizzero Bally e del Demangeot inquadrano chiaramente il massiccio dal punto di vista morfologico. Si tratta di una superficie d'erosione complessa costituita da gradini ciclici incastrati l'uno nell'altro. Il grande numero di faglie incrociate ha fatto di essa un mosaico di poliedri indipendenti sui quali si sono ripercosse con effetto diverso le numerose spinte orogeniche succedutesi  dall'Oligocene ad oggi.

Ad onta del suo aspetto d'insieme alquanto monotono, la Maiella è dunque un complesso organismo policiclico nel quale si possono distinguersi quattro diverse zone. La principale è la regione centrale, compresa fra il Monte Amaro e la Maielletta, esposta più a lungo delle altre all'erosione perché emersa per prima durante l'Oligocene inferiore. Qui si nota una morfologia più evoluta, dovuta alla perdita dell'inviluppo eocenico e alla marcata erosione dei torrenti. Dalle sommità tondeggianti, grigie e squallide per le aride pietraie, si giunge attraverso pendii ripidi e scabri ai fianchi squarciati da grandi canyons profondi talvolta quasi un migliaio di metri. Sono questi i due elementi morfologici più tipici del massiccio, che l'Ortolani descrive mettendo in contrapposizione Gran Sasso e Maiella, dei quali tende a giustificare le diversità morfologiche con il differente risultato erosivo sulle due facies calcaree, secondaria nel primo, eocenica nella seconda. (Al morbido fondo erboso di Campo Imperatore (Gran Sasso) si contrappone lo sfasciume di breccia che riempie e ingombra la valle di Femmina Morta. Questo manto di brecciame e di materiale detritico si estende del resto a quasi tutta l'area sommitale dell'alta Maiella, che tende così ad assumere l'aspetto d'una immensa rovina, ove anche le cupole emergenti sembrano affogare». I profondi valloni diramantisi a ventaglio dalla zona centrale hanno una incisione molto profonda e le creste d'intersezione dei versanti sono talvolta ridotte a sottili lame arcuate che fanno prevedere, sotto l'azione dell'erosione regrediente, future fratture. Ancora più netta è questa impressione quando ci troviamo a contatto, su ambedue i versanti, con circhi glaciali sovrastanti spesso brevi truogoli sospesi che piombano improvvisamente nelle profonde incisioni dei canyons: tipiche, a questo riguardo, le insellature dei Tre Portoni, alla testata dell'Orfento. Altro elemento molto caratteristico è il restringersi dei valloni allo sbocco inferiore in intagli a V molto acuto, come a Bocca di Valle, presso Guardiagrele. A proposito di questi valloni, l'ipotesi di erosione carsica associata a quella normale, e quindi di una genesi per risucchio carsico e successivo crollo di volta, non riscuote molto credito. Meglio concordare con la tesi dell'erosione subaerea, per la quale il Demangeot porta inequivocabili argomenti. Il paesaggio è selvaggio e affascinante, dominato da enormi pareti verticali; particolarmente grandiosi sono il Vallone di Santo Spirito, che sbocca presso Fara San Martino, il Vallone di Pennapiedimonte e la Macchia di Caramanico, sul versante opposto. In generale il reticolo idrografico è solo parzialmente condizionato dalle faglie, considerando l'avanzata evoluzione del ciclo erosivo. Tuttavia talvolta si notano singolari esempi di aderenza agli schemi tettonici, come è il caso dell'Orfento, costretto da due faglie a trascurare la via più breve.  

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Il versante occidentale, che divalla nella Fossa di Caramànico e che sovrasta Sant’Eufemia, è molto differente, estendendosi come una muraglia compatta e pressoché rettilinea, priva di gole e di rientranze, enorme specchio tettonico recente solcato da ripidissimi impluvi e bordato alla base da una spessa coltre di detriti. Una vegetazione arborea particolare ed unica degli Appennini ( Pino Mugo) si è insediata su questi ripidi pendii a quote variabili fra i 2200-2500 m. 

Per la crescita orizzontale e poco sollevata dal suolo, con i nodosi e contorti tronchi adagiati al suolo, il Pino Mugo costituisce una naturale difesa contro le valanghe e le slavine che durante i mesi invernali abbondano sul versante Sud-Ovest della Maiella. Famosi sono i depositi quaternari, sia fluviali che lacustri, della Valle Giumentina, non lontana da Caramanico, entro i quali è stato trovato abbondante materiale preistorico. Su questo versante sono localizzate alcune grotte, meno famose di quelle solitamente indicate sulle mappe planimetriche, ma non meno interessanti per le incisioni rupestri che vi si possono rilevare ed altre possibilità di studio che offrono; sono situate nel territorio di S.Eufemia a Maiella (Grotta Grivano al cui finestrone di accesso si arriva lungo un ripido pendio che costeggia una parete rocciosa verticale; Grotta delle Femmine a quota 1500 m si arriva attraverso una fitta boscaglia alla base del costone della Rava Sfonda; e il Piccolo Forno a quota 2300 m. con numerosi frammenti di stalattiti e stagmiti).

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Alla base del Ravone del Ferro, (un vertiginoso canalone roccioso che scende a precipizio dalla cima di Pesco Falcone), sono localizzate alcune cave di marmo rosso, poco compatto e poco pregiato, che costituiscono una anomalia rispetto alle strutture morfologiche della zona.  

Il versante meridionale, tra il Monte Amaro e il Monte Porrara, conserva l'idrografia impostata sul reticolo delle faglie appenniniche (Valle di Lettopalena, Vallone di lzzo, Valle di Femmina Morta) ma quasi del tutto carsifìcata. D'una desolazione grandiosa, il territorio è solcato da valli asciutte e forato da doline e inghiottitoi, come nella valle e nel fondo di Femmina Morta. I fianchi scendono ripidi sull'Aventino, affluente del Sangro, con le stratificazioni a franapoggio così inclinate che presso Lettopalena si può ammirare un enorme piastrone calcareo (circa 1 kmq.) slittato fino al fondovalle.

Il versante settentrionale ha un particolare interesse per i ripiani a varia altitudine, indubbiamente ciclici, che testimoniano successive fasi di emersione orogenica dovute a spinte multiple; ad ogni periodo di riposo corrisponderebbe uno spianamento marginale più o meno esteso, mentre ad ogni spinta si sarebbe manifestata una ripresa dell'erosione (abrasione marina) e un altro tronco di pendio. Il carsismo, come del resto nel Gran Sasso, è ad uno stadio ben poco avanzato; oltre a tutto, lo sfasciume che ricopre le cavità e le non ripide aree sommitali non favorisce certo il manifestarsi in superficie di tali fenomeni, mentre le pendici erte e solcate dai valloni ne rimangono naturalmente esenti.  Ciò nonostante si possono notare in varie plaghe, come sugli alti ripiani ondulati fra il Monte Amaro e i Tre Portoni, numerose piccole doline che crivellano il lieve pendio risparmiato dal detriti, oltre ad una di più vaste dimensioni, quasi al limite dei circhi che coronano la testata della Valle Cannella. Ma il versante più generalmente carsificato è di gran lunga quello meridionale. 

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La Valle di Femmina Morta è l'esempio più tipico di depressione d'origine tettonica, carsificata e indubbiamente anche riplasmata dai ghiacciai. Il fondo di questa valle, chiuso da un arcuato cordone interpretato dal Suter come morenico, è una vasta dolina a tinozza con il fondo crivellato da piccole doline e inghiottitoi. Su questo versante si trovano numerose grotte testimoni di un antichissimo scorrimento ipogeo, attualmente disorganizzato dai ripetuti recenti sollevamenti.  La più celebre e la più esplorata è la Grotta del Cavallone, chiamata anche «della Figlia di Iorio» per il fatto che Gabriele d'Annunzio vi ambientò parte del suo noto dramma.  Essa si apre nel Vallone di Tarànta Peligna, a 1465 m. di altitudine sulla scoscesa parete sinistra di calcari dell'Elveziano, con un grandioso finestrone al quale si giunge per una ardita via d'accesso tagliata in parte nella viva roccia. Consta essenzialmente di uno spazioso corridoio che discende leggermente, per uno sviluppo totale di 1360 m., all'interno della montagna seguendo la pendenza degli strati, con alcune ampie «sale» e frequenti concrezioni stalagmitiche. Per il Segre, che si è a lungo interessato del carsismo abruzzese, si tratta di una cavità pre-wúrmiana «il cui riempimento avanzato, avvenuto con fasi alterne di franamenti e di incrostazioni stalagmitiche, si palesa ovunque con accumuli e pendii di blocchi concrezionati di mole talora cospicua».

 Un particolare interesse ha la «Galleria della Devastazione», nella quale si trovano molteplici fessure nella roccia e numerose stalagmiti abbattute e parzialmente ricementate, particolari che hanno fatto pensare all'effetto di uno dei tanti terremoti che si sono violentemente manifestati nella zona. Altre cavità si aprono nel calcari del Vallone di Tarànta: poco distante dalla precedente si trova la Grotta del Bove, ancora parzialmente inesplorata, che presenta scarsità di concrezioni e una notevole coltre di detriti sul fondo. Si possono citare inoltre la Grotta Nera, sita a 1360 m. sulla Montagna d'Ugno, sopra Pennapiedimonte, e la Grotta Canosa, semplice sgrottamento che si apre a 2604 m. ad est della testata della Valle di Femmina Morta.

Le forme Glaciali non sono molto evidenti: la prossimità dell'Adriatico e quindi l'esposizione a masse d'aria anticicloniche scarsamente umide e la minore altezza del massiccio, inferiore nel Pleistocene di 2-300 m., sono le ragioni generali di una  glaciazione alquanto attenuata. Inoltre dobbiamo pensare che la struttura cupoliforme con pendii molto ripidi mal si adatta a tale modellamento, mentre l'abbondanza delle brecce pleistoceniche e la facile alterabilità dei calcari eocenici non permettono spesso di distinguere agevolmente gli effetti dell'erosione carsica da quella glaciale e da quella recente dovuta al ruscellamento. E’ quindi più che altro difficile poter individuare gli avanzi morenici, mentre evidenti sono i bei circhi sotto il Monte Amaro, ai Tre Portoni e sul versante nord del Gran Pilastro.

Il Guado San Leonardo (m. 1282) divide la Maiella dalla Montagna del Morrone (m.2061), lunga impervia dorsale che a sud del profondo squarcio delle gole di Pòpoli prosegue l'asse orografico dell'ultima appendice meridionale del Gran Sasso, dominando la conca di Sulmona e l’intera valle del fiume Orta.

Ambedue i versanti sono estremamente ripidi, a muraglia, solcati da numerosi impluvi rettilinei e sormontati da una regolare cresta che si aggira sui 1700-1900 m. di altitudine A metà circa del suo sviluppo longitudinale, in prossimità di Roccacaramanico, in seguito frane tettoniche si è creata una profonda fessura  detta Ravone dell’Inferno e che divide il monte in Morrone di Pacentro dal Morrone di Caramanico. Il gigantesco specchio di faglia che si affaccia sulla valle dell’Orta ha molte affinità con il fianco occidentale della Maiella, mentre la superficie terminale, che appare aspra veduta dal basso, ci presenta un paesaggio a gobbe carsificate disposte caoticamente. E’ indubbio quindi che il Morrone richiama morfologicamente l'aspetto della Maiella piuttosto che quello del Gran Sasso, del quale è la naturale continuazione. Fra il Morrone e la Maiella scorre il fiume Orta, uno dei principali affluenti del Pescara e che da il nome alla omonima valle che si estende da Nord verso Sud. Il fiume Orta produce notevoli fenomeni erosivi generando frane e calanchi modificando rapidamente la morfologia e la topografia della intera valle.

Recentemente il complesso della Maiella è divenuto Parco Nazionale con positive ripercussioni sulla sua flora e fauna. Tale parco costituisce la continuazione naturale del parco più importante d’Abruzzo al quale è collegato tramite i monti Pizzalto, Rotella e Fratello. 

Altri parchi sono stati costituiti in questi ultimi anni: il Gran Sasso-Laga ,  Sirente-Velino, e il Parco interregionale dei Simbruini; contigui a queste aree sono, a nord il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e a sud il Parco interregionale del Matese. Il grande Parco Nazionale degli Abruzzi si sta ora adoperando per costituire dei solidi “corridoi biologici” che uniscano tutte le varie aree destinate a parchi consentendo così alle specie animali  di circolare su un vastissimo territorio sotto tutele di circa 600 mila ettari di territorio. Esse rappresentano una delle aree protette più ampie, ricche e  interessanti d’Europa che racchiudono un patrimonio naturale, storico e culturale che l’Abruzzo ha conservato con cura e sensibilità ponendolo a disposizione delle attuali e future generazioni.  

foto Maiella e Morrone