In periodo romano, la città
di Cagliari si estendeva lungo l'arco del golfo ed era formata da vari centri
forse staccati tra loro, con relative necropoli, nel colle di Tuvixeddu, nel
colle di Bonaria e nella zona della Basilica di S. Saturno; Il poeta Claudiano
la definì infatti "Tenditur in longum" (estesa in lunghezza)
ed anche il nome al plurale Carales indicava quella caratteristica.
Gli edifici e gli spazi pubblici erano ubicati nella odierna Piazza del Carmine
mentre la "Suburra" non doveva essere lontana dal porto, forse nell'area
dell'attuale quartiere Marina.
I ricchi, che per loro natura vogliono stare lontani dalla povera gente, presero
le distanze dalle zone popolari e si stanziarono sulle pendici del colle di
Castello, dove potevano godere di un invidiabile panorama e della tranquillità
che andavano cercando.
Lo storico canonico Spano agli inizi del secolo scorso, conoscendo l'esistenza
del musico e poeta cantante sardo Tigellio, che Cicerone citò in alcune
lettere e che il poeta Orazio descrisse come avvezzo ai lussi e alla vita sfarzosa
e sfrenata, cercò in quella zona con grande tenacia il luogo dove quel
personaggio ipotetico visse.
Dopo numerosi tentativi, nel 1826, lo studioso portò alla luce dei resti
di una domus, risalente forse al II sec. d.C., che non esitò ad attribuire
a Tigellio senza avere nessuna prova né alcun riscontro oggettivo; anche
il termine "Villa", con cui chiamò quei ruderi, è improprio
ma è entrato ormai nell'uso comune per definire quel sito.
La casa che il canonico scoprì, è chiamata dagli addetti ai lavori
"degli stucchi" per le decorazioni superbe ritrovate ed era dotata
del peristilio, classico di ogni residenza signorile romana, di cui rimangono
alcune residue colonne.
Nella casa si identifica "l'Atrium" vero e proprio cortile coperto
dove il tetto spiovente(impluvium) convogliava le acque piovane su una vasca
chiamata "compluvium"; l'edificio mostra segni evidenti di modifiche
e ristrutturazioni e colpisce il muro " a telaio", tipico dell'edilizia
punica, che si è conservato discretamente e dimostra che la tecnica cartaginese
persisteva ancora dopo quattro secoli di dominio romano.
Scavi posteriori, effettuati nel
nostro secolo, hanno consentito di identificare altre due case adiacenti alla
prima, che data la tipologia possono risalire ad un periodo compreso tra il
I sec. a.C. ed il II sec. d.C.
La seconda casa, confinante e con un muro in comune con quella di Tigellio,
viene chiamata del "Tablino dipinto" dalle pitture alle pareti ritrovate
nella stanza (tablinium) adibita al ricevimento degli ospiti ed a studio del
proprietario; la terza presenta solo alcune tracce di muri.
Quelle tre case non dovevano certo essere isolate, ma facevano parte di una
zona residenziale che copriva, probabilmente, tutta la contrada di "Palabanda"
che forse in antichità era coperta da una lussureggiante vegetazione.
Queste residenze patrizie romane, non avevano nessuna finestra all'esterno e
le camere prendevano luce e aria solo da cortili interni, permettendo un "voluto"
isolamento ai residenti che trascorrevano il loro tempo tra ozi, abbondanti
libagioni, spettacoli, senza vedere le miserie della plebe che viveva in vani
talmente piccoli che venivano chiamati " Ergastula", vocabolo che
rende l'idea della loro precarietà.
Pagina realizzata
da Federica Puddu
22/07/2001
- S2K - Via Castiglione