La storia
Posto sulla destra del torrente Ombrone, il paese di Saturnana (Pistoia, ndr) ha origini molto antiche. Il toponimo “Saturnana” è presubimilmente di derivazione etrusca e alcuni reperti archeologici rinvenuti occasionalmente a Caroggio, località nei pressi di questo paese, indicano insediamenti di primitive popolazioni ligure che abitarono la zona nel II secolo a.C.
La
pieve di San Giovanni Battista a Saturnana è ricordata per la prima volta in
una pergamena del 989 con l’indicazione del santo titolare: plebs S.
Iohannis sita Satornana. Edificata sul lungo e tortuoso tracciato, aperto in
epoca longobarda, che attraverso la valle della Lima raggiungeva Modena, questa
pieve forse esisteva già nel secolo VIII e costituiva, come l’ospizio di
Fanano e la pieve di Lizzano, costruiti lungo la stessa via, una stazione di
sosta per i viandanti che percorrevano questa strada. Infatti le pievi
altomedievali non erano soltanto luoghi di culto dove si svolgevano compiti e
pratiche di carattere religioso, ma dovevano servire anche come rifugi
occasionali, e punti di riferimento per i lavori di manutenzione del sistema
viario svolti dalle popolazioni rurali per garantire le migliori condizioni
possibili di percorribilità delle vie che attraversano il loro plebato.
Successivamente
(secoli XVI-XVII) questo antico tracciato, o mulattiera, che, arrampicandosi
sulle catene collinari sovrastanti Pistoia, toccava, oltre a Saturnana, le
località delle Grazie, Le Panche, Campo Tizzoro, Bardatone,
San
Marcello e Mammiano, costituì un’importante via per il trasporto del ferro,
mediante condotte di muli, da Pistoia fino alle ferriere di Mammiano, dove il
minerale grezzo, con grande dispendiosi legname, veniva raffinato in lingotti e
distribuito nell’intero granducato.
La
pieve di Saturnana venne riconosciuta al vescovo di Pistoia con il diploma di
Ottone III del febbraio 998, il primo documento che permette di definire in
maniera attendibile l’assetto del territorio pistoiese sottoposto alla
giurisdizione del vescovo. Nello stesso diploma, inoltre, tra i possessi
ecclesiastici vi sono anche venti curtes, grosse aziende fondiarie di
probabile natura feudale, fra le quali appare anche Saturnana, designata, come
altre, con lo stesso toponimo della pieve. Nei secoli precedenti, dall’età
paleocristiana a quella carolingia, tali possessi fondiari erano stati concessi
al vescovo di Pistoia per edificare e provvedere di beni le pievi rurali e,
sotto questo aspetto, l’esistenza della curtis accanto alla pieve
costituirebbe per questa un segno di antichità.
Nel
secolo X la pieve di Saturnana aveva sotto la sua giurisdizione un vasto
territorio che comprendeva l’intera valle dell’Ombrone a monte di Pistoia e
l’alta valle del Reno. In epoca successiva (secolo XI) il nome del santo
titolare fu cambiato e in due documenti, del 1038 e 1040, la pieve assunse il
titolo di Sancti Petri, nome che in seguito non verrà però più usato.
All’inizio
del secolo XIII, dopo una lunga vertenza tra il vescovo e il Comune di Pistoia,
Saturnana passò sotto la giurisdizione di quest’ultimo e divenne un comune
rurale del districtus pistoiese. Il suo territorio corrispondeva a quello
delle attuali parrocchie di Saturnana e delle Grazie e, seppure amministrato da
un podestà che annualmente veniva nominato da Pistoia, gli uomini che qui vi
che qui vivevano erano sottoposti al vescovo con un giuramento di fedeltà. In
seguito Saturnana ebbe anche un proprio statuto che periodicamente veniva
aggiornato e revisionato e dal Quattrocento in poi il podestà venne sostituito
da un vicario che era eletto nella piazza antistante la pieve. Quest’ultima,
citata nei documenti ecclesiastici dal secolo XIII con il titolo di San
Giovanni, aveva quattro chiese indipendenti: San Felice, Batoni, Sammommè e
Piteccio, che successivamente conseguirono la dignità di pievi autonome.
La
forma attuale della chiesa di San Giovanni Battista a Saturnana risale ai secoli
XVIII-XIX, con il probabile riutilizzo di strutture più antiche, visibili
soltanto nella base dell’austera torre campanaria in bozze di arenaria, mentre
la parte superiore venne edificata in epoca più tarda. I rifacimenti tardo
ottocenteschi, che hanno interessato sia l’interno che l’esterno
dell’edificio hanno completamente cancellato o nascosto la struttura romanica
originaria.
La
facciata, a intonaco come il resto della chiesa, presenta una soprelevazione
della parte centrale con coronamento a capanna, tre finestre, di cui la centrale
datata 1708, e un portichetto su quattro pilastri. Sul lato destro sono stati
edificati in epoche diverse (secoli XIV-XVIII) vari corpi di fabbrica oggi
adibiti ad abitazioni. L’interno, recentemente restaurato in occasione della
ristrutturazione ottocentesca (1890), è a tre navate con copertura voltata a
botte, eccetto nella campata che precede la zona presbiteriale, dove è una
cupoletta emisferica decorata con affreschi raffiguranti la Colomba dello
Spirito Santo e Angeli e nei quattro pennacchi gli Evangelisti, dei
quali San Marco reca, nel cartiglio che tiene in mano, un’iscrizione con il
nome del parroco che fece restaurare gli affreschi nel 1866 (“Il
Reverendissimo Giosuè Rossi ordinò questo restauro 1866”). Sia l’altare
maggiore, datato 1680, che gli altari laterali, datati tra il 1706 e 1710, sono
elementi preesistenti alla ristrutturazione ottocentesca. Sull’altare maggiore
in pietra serena, edificato, come indica l’iscrizione posta sotto la mensa, da
“IOHANNES PETRUS ZOIUS PLEBANUS”, è collocato un crocefisso mentre sui due
altari laterali delle navate minori,datati 1706, vi sono, a destra, una tela con
San Francesco in Preghiera, e a sinistra un affresco molto rovinato
raffigurante la Madonna con il Bambino e due Santi, forse databile alla
seconda metà del Cinquecento, che per molto tempo è rimasto nascosto dietro
una tela settecentesca con Sant’Antonio da Padova.Nel piccolo quadro
con San Francesco, databile probabilmente al XVIII secolo, il santo, dal
volto emaciato e sofferente, è assorto in preghiera davanti al Crocefisso e ad
un teschio che vuole ricordare la morte. Questo soggetto iconografico fu
particolarmente rappresentato dagli artisti attivi fra la seconda metà del
Cinquecento e la prima metà del Seicento tra i quali, per citare i più noti, i
Carracci e il fiorentino Ludovico Cigoli; ed è proprio ad alcuni quadri di
quest’ultimo pittore, conservati nella Galleria Nazionale d’Arte Antica a
Roma e nella Galleria Palatina a Firenze, che sembra ispirarsi il pittore della
piccola tela di Saturnana, anche se non dobbiamo dimenticare che questo tema
ebbe larga diffusione attraverso la propria incisoria.
Nella
zona presbiteriale sono stati recentemente riscoperti alcuni frammenti di
affreschi, probabilmente databili al secolo XV, attualmente poco leggibili per
il cattivo stato di conservazione, tanto da non permettere di comprenderne il
soggetto iconografico. Soltanto una figura, San Giuliano, è identificata da
un’iscrizione che ne indica il nome.
Nella
navata di destra, accanto alla porta laterale della chiesa, vi è un grande
altare in stucco colorato, datato 1710, decorato da una serie di putti alati che
fanno da cornice ad un’immagine ad affresco con la Madonna e il Bambino del
primo Cinquecento e attribuibile al pistoiese Gerino Gerino (1480 – post 1529).
Probabilmente all’inizio del Settecento l’altare venne addossato ala parete
dove già si trovava il dipinto che, come indica il profilo del trono e i piedi
mancanti del Bambino, doveva completarsi nella parte sottostante. Seppure
l’affresco presenti delle ridipinture che ne alterano le qualità pittoriche,
esso mostra comunque evidenti analogie con i dipinti di Gerini e, in
particolare, con una grande pala d’altare, oggi conservata al Museo Civico di
Pistoia e databile al 1506-’07, in cui, come nell’opera di Saturnana, la
Madonna tiene sulle ginocchia il Bambino che, in piedi, si sorregge con una mano
alla sua veste, ed entrambi sono inseriti in un trono a nicchia con i braccioli
a volute. Sia nel quadro pistoiese che nell’affresco di Saturnana si
manifestano i caratteri perugineschi di Gerino Gerini, specialmente nella
dolcezza fisionomica delle figure e nelle pose equilibrate. Sotto la mensa
dell’altare vi è un’iscrizione che indica, oltre alla data di edificazione
anche il nome del committente, Sebastiano Cristoforo Bardini, il cui stemma è
posto sul piedistallo delle colonne.
Nella
navata di sinistra si trova un altro altare in pietra serena, datato anch’esso
1706, dedicato alla Vergine, come indicano la statua e l’iscrizione del
paliotto. L’arredo liturgico comprende anche due confessionali lignei tardo
seicenteschi di notevole fattura, intagliati e decorati con volute, motivi
vegetali, teste di cherubino e un antico fonte battesimale in arenaria, datato
1425, collocato a sinistra della porta principale della chiesa, composto da un
tozzo fusto che sostiene un’ampia tazza esagonale con coperchio ligneo di
forma piramidale. Nella nicchia posta sopra di esso è affrescato il Battesimo
di Cristo, opera ottocentesca in cattivo stato di conservazione. La chiesa,
oggi quasi sempre chiusa, avrebbe bisogno di interventi di restauro sia per la
struttura muraria, che per gli arredi e le pitture conservate all’interno, in
modo da favorire il recupero e il riutilizzo religioso di quest’antico
edificio.
(Tratto da “Pistoia e il suo Territorio” di Perla Cappellini e Laura Dominici. Ed. B&D Divisione Etruria Editrice 1992)