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IL MOMENTO DELLA CATECHESI: IO CREDO   37

 

L’UNZIONE DEGLI INFERMI

 

Ci capita, nella vita, di ammalarci seriamente e tutti quanti, presto o tardi, dovremo fare i conti con la morte. Nella malattia l’uomo fa esperienza della propria impotenza, dei propri limiti, della propria finitezza. La malattia può condurre all’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può rendere anche la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per rivolgersi verso ciò che lo è. In tali momenti dolorosi, un altro sacramento, detto “Unzione degli Infermi”, ci viene offerto dalla Chiesa, memore della sollecitudine di Gesù verso i malati e della lettera di San Giacomo che invita l’ammalato a chiamare presso di sé i sacerdoti, affinché preghino per lui e lo ungano con olio. “E la preghiera fatta con fede. continua la Lettera. salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Gc. 5,14-15).

Molti continuano erroneamente a pensare che l'amministrazione di questo sacramento sia una specie di dichiarazione ufficiale dell’imminenza della morte. Per questo continuano a chiamarlo col nome di “Estrema Unzione” e, purtroppo, c’è chi non chiama il prete al capezzale dell’ammalato, o lo chiama quando quest’ultimo non è più in grado di capire per non “spaventarlo”!

Il Concilio Ecumenico Vaticano Il dice così: “L’Unzione degli infermi non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo si ha certamente già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia incomincia ad essere in pericolo di morte”. Se un malato che ha ricevuto l’Unzione riacquista la salute, può, in caso di un’altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della medesima malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un peggioramento. E’ anche opportuno ricevere l’Unzione degli Infermi prima di un intervento chirurgico rischioso. Quali sono gli effetti di questo sacramento? Prima di tutto, un dono particolare dello Spirito Santo che diventa conforto, pace, coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Poi unisce il malato alla passione di Cristo. Dà il perdono dei peccati. Aiuta nel recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale e prepara al passaggio alla vita eterna.

 

 

L’UOMO Dl OGGI DAVANTI ALLA SOFFERENZA E ALLA MORTE

 

Sembra che la nostra società produttivistica non abbia più tempo per osservare, commuoversi e curarsi del malato grave e cerchi di allontanare il pensiero della morte come un tabù da ghettizzare insieme al malato. Così, si muore sempre più soli, di morte nascosta al morente perché “per non spaventarlo è meglio che non sappia”, e di morte nascosta agli altri che vorrebbero rimuoverla il più possibile dai loro occhi. Gli enormi progressi della tecnologia medica, benché utilissimi, non sempre hanno contribuito alla umanizzazione della medicina. Tra le cause di questo possiamo enumerare carenze di valori nell’esercizio della medicina che tende a considerare il malato un oggetto e non un uomo malato, la burocratizzazione della medicina nel servizio Sociale Sanitario Nazionale, la convinzione che i dati di laboratorio offrano quasi sempre una sicura garanzia contro l’errore medico, una sorta di pigrizia mentale per cui si preferisce aggrapparsi a cifre e reperti strumentali piuttosto che affrontare le insidie del ragionamento clinico. Davanti a questo modo di intendere e di vivere la malattia e la morte, si comprende come possa apparire impopolare l’argomento dell’Unzione dei malati che quasi tutti continuano a chiamare Estrema Unzione da amministrare quando il malato è agli estremi appunto, se non addirittura dopo la sua totale perdita di conoscenza e persino dopo la sua morte: nulla di più errato! Fa meraviglia che oggi, a 30 anni dal Concilio Ecumenico, ‘chiamare il prete’ voglia ancora dire ‘sto per morire’, mentre tutta la tradizione della Chiesa sta a dimostrare che l’Unzione è un sacramento per la vita.

 

IL FONDAMENTO DELL’UNZIONE DEI MALATI NELLA BIBBIA

Quante volte Gesù liberò gli oppressi, i malati, gli indemoniati dalle catene che li immobilizzavano! Infatti “tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc. 6,19). Non solo Egli guarì molti malati, ma diede lo stesso potere agli Apostoli, inviandoli per le strade della Palestina (Mc. 6,12-13). La stessa missione venne conferita dopo l’Ascensione al cielo, da Gesù agli Apostoli ed ai loro successori. Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro alcun danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc. 16,15-18). Una chiara conferma del mandato di Gesù ci viene anche offerta dagli Atti degli Apostoli. Vediamoli. “Un giorno, Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio dalla nascita, e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta “Bella” a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualcosa. Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento ne oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo Nazareno, cammina!”. E presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l’elemosina presso la porta Bella del tempio, ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto” (Atti 3,1—10). “Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi, e tutti venivano guariti” (Atti 5,12-16). “Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo. E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono risanati. E vi fu grande gioia in quella città” (Atti 8,5-8). “E avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che dimoravano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio perché era paralitico. Pietro gli disse: “Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto”. E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore” (Atti 9,32-35).

 

 

L’UNZIONE DEGLI INFERMI 

Nel nostro riflettere, sul sacramento dell’Unzione degli infermi, dopo aver scoperto che questo è un sacramento per la guarigione e per la vita, abbiamo cercato nel Nuovo Testamento alcuni brani che ci illustrassero come nelle prime comunità venisse inteso il comando di Gesù di annunciare la buona notizia anche attraverso “l’imposizione delle mani”, la preghiera e le guarigioni. Continuiamo ancora con alcuni brani degli scritti apostolici. “A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità, nome che significa “Gazzella”, la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore. E poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: “Vieni subito da noi!” E Pietro subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e s’inginocchiò a pregare; poi, rivolto alla salma, disse: “Tabità, alzati!” Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove e la presentò loro viva. La cosa si riseppe in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore. Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni, presso un certo Simone conciatore” (Atti 9,36-43). Ancora una testimonianza dagli Atti: “Nelle vicinanze di quel luogo c’era un terreno appartenente al “primo” dell‘isola (di Malta) chiamato Publio: questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo lo andò a visitare e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Dopo questo fatto anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati; ci colmarono di onori e al momento della partenza ci fornirono di tutto il necessario” (Atti 28,7-10). Sono questi i fatti straordinari, attraverso cui il Signore vuoi mostrarci la sua misericordia, conferendo ai suoi successori il potere di guarire i malati. Ma in realtà è ancora sempre Lui stesso che continua a toccarci per guarirci nell'anima e talvolta nel corpo, portandoci la pace: “Non temete, sono lo!”. Anche quando non arriva la guarigione del corpo, non manca mai, attraverso l’Unzione ricevuta con fede, una grazia particolare, che aiuta il malato a sopportare serenamente le difficoltà della malattia: lo affermano molti sacerdoti che si sono interessati in modo particolare della pastorale della malattia. Purtroppo, nonostante le parole della Bibbia, la cultura dei cristiani stenta ancor oggi ad aggiornarsi sulle verità evangeliche. E’ più facile sentir dire: “Che bella morte ha fatto! Non s’è neppure accorto di morire.. .“, che non: “E’ morto con la coscienza di avere Gesù vicino che gli diceva: “Bene, servo buono e fedele... sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo Padrone!” (Mt. 25,21)”. Un altro forte richiamo biblico ci proviene da S. Giacomo: “Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa (i sacerdoti), e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Gc. 5,14-15). E’ chiarissimo il richiamo di S. Giacomo al fatto che debba essere il malato stesso a chiamare (o a far chiamare) il sacerdote; quindi è data per scontata la sua integrità mentale necessaria ad un normale approccio al Sacramento. Ho sottolineato pure le parole che ricordano l’efficacia della preghiera: “preghino su di lui”... “la preghiera fatta con fede salverà il malato”. Non pare che oggi si ripeta qualcosa di simile, almeno abitualmente, durante l’amministrazione dell’Unzione, ammesso che venga richiesta. Il verbo “salverà” può significare sia la guarigione dello spirito che quella del corpo. “Rialzerà” si riferirebbe più chiaramente alla guarigione corporea oppure all’atto di irrobustire il malato nella lotta contro la malattia. Si parla poi del perdono delle colpe: “e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”.

 

L’UNZIONE DEGLI INFERMI NELLA STORIA DELLA CHIESA

Le vicende storiche che hanno caratterizzato l’amministrazione dell’Olio Santo si possono suddividere in due periodi, che costituiscono quasi due versanti separati da uno spartiacque situato tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX secolo, cui segue un terzo, a partire dal Concilio Vaticano II. Nel primo periodo venne messa in maggior risalto la guarigione corporale, pur riconoscendo la grande importanza dell’effetto spirituale derivato dall’Unzione. Nel secondo periodo venne dato maggior rilievo agli effetti spirituali dell’Unzione avendo più di mira la visione della salvezza finale dell’uomo che non i vantaggi immediati sulla salute corporea. Le due culture non appaiono tuttavia inconciliabili, in quanto sia nell’una che nell’altra esistono, almeno in tracce, le valutazioni degli aspetti ora materiali ora spirituali. Con il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962—65) e la successiva Costituzione Apostolica sulla Santa Unzione degli Infermi (1972) questo sacramento viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto, dicendo una sola volta la formula del Rituale Romano. In altre parole, l’Unzione va amministrata “nel momento in cui il malato risulti affetto da malattia pericolosa”, e non quando è agli estremi. Non è l’Unzione, ma il Viatico che accompagna il morente alla vita eterna. Esiste dunque una nuova prospettiva per il Sacramento dell’Unzione che punta non soltanto alla preparazione alla morte, quanto al sollievo della malattia, non esclusa la guarigione, quando si preghi con fede. Questo non costituisce di certo una novità, anzi è un ritorno all’antico. Un altro aspetto rilevante è che l’Unzione non è più considerata come un momento strettamente privato. Essa riacquista la sua dimensione ecclesiale e sociale di altri tempi, venendo inserita nel contesto della pastorale dei malati, che coinvolge varie opere di assistenza effettuate dalla comunità familiare e parrocchiale siano esse di carattere morale, materiale o spirituale. Vengono pure aggiunte altre novità, di cui ricordo le più importanti. Le preghiere si diversificano a seconda che si tratti di un malato comune, di un vecchio, di un malato grave, oppure dì un agonizzante, mentre le relative formule vengono molto semplificate. L’Unzione, tra l’altro, può essere ricevuta prima di un’operazione chirurgica, richiesta da una malattia “quando motivo dell’operazione è un male pericoloso” (a tale proposito è bene ricordare che, a prescindere dalla pericolosità del male che si intende combattere, esiste pur sempre il pericolo, sebbene remoto ma innegabile, legato all’anestesia). L’Unzione può essere ricevuta più volte. E’ stato invertito l’ordine del precedente rituale, riponendo l’Unzione prima del Viatico. Si potrebbe dunque parlare di “Estrema Comunione” anziché di “Estrema Unzione”. Tanto è vero che nel caso di imminente pericolo di morte, si deve anteporre il Viatico all’Unzione, purché il malato sia in grado di riceverlo. Con questo rituale viene tolta all’Olio Santo una certa apparenza superstiziosa di “carisma magico”, meccanicamente dato e ricevuto, e viene restituito all’Unzione il suo vero significato sacramentale. Si tratta infatti del Sacramento della “salvezza di tutto l’uomo”, considerato nella sua globalità e nell’armonia tra la parte spirituale e corporea, come superamento della mentalità dualistica che metteva in contrapposizione spirito e materia. L’aspetto comunitario dell’Unzione viene realizzato soprattutto in chiesa, amministrando l’Unzione a più persone, anziane o malate, durante o fuori della Messa, oppure in casa, invitando qualche persona (parenti ed amici) ad assistere al rito. Questo aspetto comunitario potrebbe avere importanti riflessi anche dal punto di vista sociale, migliorando i rapporti tra l’ammalato e l’ambiente sociale circostante, tra cui quello sanitario, togliendo l’infermo da quell’isolamento che costituisce una minaccia sempre più reale a mano a mano che le sue condizioni vanno aggravandosi, e  pur­troppo a mano a mano che la tecnologia soffoca la partecipazione comunitaria all’evolversi della malattia. Nell’ambiente ospedaliero verrebbe favorita la comunicazione della verità al malato, nonché la sua partecipazione attiva al momento importante che egli sta vivendo, secondo quanto auspicano coloro che hanno a cuore l’umanizzazione della medicina. Per concludere e sintetizzare la nostra riflessione sull’Unzione degli Infermi, ecco alcune semplici e pratiche domande e risposte.

 

Quando si può ricevere l’Unzione degli Infermi?

Si può ricevere ogni volta che ci sia una malattia grave, o uno stato di inabilitazione come ad esempio l’anzianità, o un possibile pericolo grave per la propria salute, come ad esempio un intervento chirurgico.

 

Si può ricevere più volte?

Non deve diventare “una pia devozione”. L’Unzione si può ricevere ogni volta che insorgono nuovi problemi gravi riguardanti la salute.

 

Ricevendo l’Unzione possiamo chiedere il dono della guarigione?

Certamente! Dobbiamo chiederlo in quanto è un sacramento e una preghiera proprio per la guarigione del corpo e dell’anima. Noi chiediamo a Dio e ci disponiamo a vivere la sua volontà.

 

L’Unzione degli Infermi cancella tutti i peccati o occorre anche confessarsi?

Essendo un sacramento per la guarigione del corpo e dell’anima essa porta il perdono di Dio. Ma se uno è nella possibilità è bene anteporre all’Unzione la Confessione dei propri peccati.

 

Unzione e Viatico sono la stessa cosa?

No. L’Unzione è ricevere attraverso un segno della Chiesa la forza rinnovatrice dello Spirito per la guarigione e per vivere con fede il tempo della malattia. Il Viatico è la Comunione Eucaristica che accompagna un morente nel cammino verso l’eternità.

 

Quando è bene chiamare il prete per un ammalato grave?

E’ bene, per tempo, suscitare nell’ammalato la fede nel vivere il tempo della malattia come uno dei momenti di grazia della nostra vita. E’ bene presentare l’Unzione come un momento di preghiera in cui si invoca la guarigione e la forza di Dio per vivere il tempo della malattia. Se è possibile, bisogna cercare di fare scaturire dal malato stesso il desiderio della visita del sacerdote. In ogni caso è bene non aspettare gli ultimi momenti.

 

 

ALCUNI CONSIGLI A CHI VISITA UN MALATO:

SONO STATI SCRITTI DA UN SACERDOTE SORDOMUTO DI VALLADOLID.

 

1.    Quando visiti i malati o gli handicappati, non lasciarti impressionare dalla loro malattia o dalla loro infermità.    Non tenerne conto.

2.     L’handicappato ha lottato molto per uscire dalla strettoia in cui l’aveva gettato il suo handicap. Per carità, non ricordargli la sua malattia: lo faresti ritornare al punto di partenza.

3.    Ci vuole semplicità e una grande delicatezza. Ricorda che il dolore sviluppa la sensibilità.

4.    Quando si presenterà l’occasione, e si presenterà certamente se vuoi bene ai malati, essi ti racconteranno “la loro storia”. Perciò non far loro domande, ma sappi ascoltare.

5.    Non compiangerli mai. Non dimostrare mai compassione a loro riguardo. Può darsi che siano essi a compiangerti. Limitati a dimostrare che tu appartieni a loro senza riserve.

6.    Sarà utile, certe volte, dare qualcosa, ma è sempre necessario che tu dia te stesso.

7.    E’ possibile che il dolore unisca a Dio più che la gioia. Limitati a suggerirlo non con parole, immagini o sentimentalismi, ma con l’esempio.

8.    Dire che Dio li ama, è molto bello ed è certamente vero. Ma non è l’amore di Dio che tu devi mostrare loro in questo momento, è il tuo, e qui le parole non servono.

9.    Amali quanto potrai, non solamente per Dio, ma anche per loro stessi. Quelli che si occupano dei malati solo per Dio e con una certa freddezza nel modo di comportarsi, danno da pensare che i malati siano per loro soltanto uno strumento e un mezzo di santificazione personale.

10. Sii sempre ottimista, sempre allegro. Anche nei momenti più acuti della sofferenza ci sarà sempre una fessura che lasci passare la speranza e un solco per seminare la gioia.

11. Qualcuno mi chiedeva: “Che cosa debbo dir loro?”. Ma è così facile. Sorridete. Quale altro ponte più sicuro che l’accenno di un sorriso?

12. Quando vi sceglieranno per confidente delle “loro faccende”, interessatevi dei loro problemi e cercate di capirli, di farli vostri. Ed essi, con la loro finissima percezione, sentiranno che siete divenuti un’ “eco”. Forse sarete impotenti a toglier loro il fardello dalle spalle, ma vi assicuro che avrete molto alleggerito quel­lo del loro cuore.

 

 

ALCUNE RIFLESSIONI SUL TEMPO DELLA MALATTIA

 

1) Tutti, prima o poi, nel cammino della nostra vita facciamo l’esperienza della sofferenza, della malattia, della morte. I principali atteggiamenti dell’uomo davanti alla sofferenza possono riassumersi nel non accettarla, nel fatalismo, nel lottare contro di essa...

 

2) Anche i cristiani conoscono la portata del dolore e ne avvertono la complessità, ma illuminati e sorretti dalla fede hanno modo di penetrare più a fondo questo mistero. Sanno infatti dalle parole di Cristo quale sia il significato e il valore della sofferenza per la salvezza propria e del mondo, e come nella malattia Cristo stesso sia loro accanto e li ami.

 

3) Alcuni dati dalla Rivelazione.

La Bibbia che è profondamente sensibile alla sofferenza, per spiegarla non ricorre come altre religioni, alla lite fra diversi dei ma pone la sua origine, oltre che nella finitezza della creatura umana, nella corruzione introdotta nel mondo dal peccato; è quindi, per quanto possibile, da evitare, da curare con diligenza e da alleviare.

Anche la sofferenza però ha dei valori: essa può purificare, può avere un valore educativo, diventa prova per l’uomo ed ha anche senso (se glielo si dà) di intercessione e di redenzione.

- Gesù non può essere testimone di una sofferenza senza esserne profondamente commosso (Mt. 9,36; 14,14...).

- Gesù dà senso alla sofferenza, non la sopprime (Eb. 3,14; Mt. 5,5).

- Gesù evita di stabilire un nesso sistematico tra malattia, incidenti ed il peccato (Lc. 13,2; Gv. 9,3).

- Gesù fa sua la sofferenza: soffre per la folla incredula e cattiva (Mt. 17,17), soffre di essere rigettato dai suoi (Gv. 11,1), soffre prevedendo la Passione (Gv. 12,27), nella sua Passione concentra tutta la sofferenza umana possibile, dal tradimento fino all’abbandono di Dio (Mt. 27,46), identifica in se stesso tutti quelli che soffrono (Mt. 25,35—40)

- Al discepolo tocca fare proprio l’insegnamento del maestro e condividerlo (Gal. 2,20; 2 Cor. 1,5) non solo per quanto riguarda la sua personale sofferenza ma anche nel farsi solidale con ogni sofferenza umana.

 

ALCUNI SUGGERIMENTI PER VIVERE IL TEMPO DELLA MALATTIA.

 

Prendere atto della malattia con lucidità.

Non ci si deve rassegnare, ma accettare la malattia come un fatto, un incidente che non deve schiacciare ma deve essere superato e per questo misurarne la portata. Più si è a conoscenza dell’ostacolo, più si acquista serenità e più facilmente si supera. Il malato dovrà dirsi sovente, che ne ha passate altre nella vita, che è riuscito a superare difficoltà d’ogni genere. E questo può essere un buon stimolante.

 

Avere la volontà di lottare.

La medicina è una guerra continua, sia nei laboratori, che nelle sale operatorie, che nei congressi, che nella camera del malato. Il medico non può combattere da solo, il paziente deve armarsi con lui e voler lottare per guarire. Questo suo dovere deve compierlo per sé, per i suoi e per fare la volontà di Dio. D’altra parte i limiti della resistenza umana sono imprevedibili e stringendo i denti si può sopportare di più che non si creda.

 

Collaborare lealmente con il medico e chi cura.

Il malato è il primo responsabile della sua salute. Egli assume tale responsabilità essendo franco ed aperto con chi lo cura. in più questa posizione può essere per i malati l’occasione di un rapporto umano, psicologico, spirituale, professionale verso gli altri malati.

 

Combattere lo scoraggiamento.

Tutti possono avere dei momenti di abbattimento. Quando questo stato avviene, il malato deve farsi un esame come di laboratorio: quali origini ha il momento di scoraggiamento (e deve cercarne le cause):

— forse aggrava la situazione più del vero?

— è un momento passeggero?

— o si è montata la testa?

Senza speciali motivi il malato deve accusare il suo stato morale, gli astanti. potrebbero forse aiutarlo a superare questo momento. Piangere qualche volta può essere uno sfogo che libera. Non deve però il malato fare continue lamentele che possono anche irritare chi gli sta accanto. Pensando alle tante miserie umane e vedendosi amorevolmente curato, il malato si lamenta meno.

 

Saper vedere una “scuola” di vita.

Saper dimenticare il proprio stato, lottare per la salute, accettare lucidamente gli inconvenienti della malattia, può essere un’esperienza di arricchimento per chi lo vuole. La malattia che insorge nella sua carne può rendere il malato più maturo, la sua volontà più resistente, il suo esempio più splendente. Quando si è malati si ha il tempo per riflettere, per sognare, per pregare, per pensare all’avvenire, per imparare a conoscere meglio gli altri e se stessi. Con la guarigione se ne avranno meno occasioni.

 

Rimanere attivi.

Quando la febbre è cessata, che ci si può occupare, si deve procurare di fare qualcosa, non soltanto per non annoiarsi, ma per non perdere il gusto dell’azione, la pigrizia tenta il malato. il tempo di malattia può anche servire ad ampliare la propria cultura, allargare il campo delle proprie conoscenze e della propria sensibilità. Ci sono molte cose interessanti da leggere o da fare. E rendersi utile in qualche modo al prossimo è pure consigliabile.

 

Non credersi esiliati e inutili.

Si deve rimanere il più possibile interessati alla vita esterna. Lasciare le finestre aperte per sentire il chiasso delle vie. Siano benedetti i vari mezzi di comunicazione: radio, telefono, televisione.

 

Pensare alle preoccupazioni degli altri.

Il malato esercita una funzione buona o cattiva sul suo enturage a seconda che sa comportarsi serenamente o pretende l’impossibile. Certi malati pensano solo a loro stessi, altri invece si preoccupano dei dolori degli altri, specie nelle associazioni di fraternità dei malati.

 

Non approfittare degli altri.

Il malato deve procurare di non pesare troppo sugli altri.

 

Essere indulgenti.

La comprensione tra malati e sani deve essere reciproca onde evitare reazioni sgradevoli da parte di essi.

 

Saper dire grazie.

Nessuno resta insensibile ad un segno di gratitudine. Un grazie detto col cuore e il più grande incoraggiamento per chi cura il malato.

         
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