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IL MOMENTO DELLA CATECHESI: IO CREDO  39

 

LA RISPOSTA DI GESU’

 

Gesù si rifà alla concezione dell’Antico Testamento annunciando che Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cf. Mc. 12,6). Ma per i seguaci di Gesù è determinante, nel loro rapporto con la morte, il fatto che Egli è risuscitato da morte, ed è il vivente per sempre. Sulla risurrezione di Gesù si fonda la certezza della nostra risurrezione, come dice S. Paolo: “Se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, allora Colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm. 8,11). Siamo rimandati ancora una volta all’opera dello Spirito Santo che realizza e attualizza in noi ciò che un tempo si è compiuto in Gesù. Tutto è centrato lì. Già S. Paolo diceva: “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (1Cor. 15,14). Poiché Gesù è la “risurrezione e la vita” (Gv. 11,25) chi lo accoglie nella fede parteciperà del suo stesso destino di gloria, anzi, partecipa già fin d’ora. Lo sottolinea soprattutto S. Giovanni, il quale afferma che colui che accoglie la parola di Gesù “non sarà condannato: è già passato dalla morte alla vita” (Gv. 5,24), “colui che si ciba del pane Eucaristico, possiede già la vita eterna” (Gv. 6,54).

 

IL SIGNIFICATO CRISTIANO DELLA MORTE

 

Con un’espressione abbastanza felice si dice che la morte è la fine del nostro pellegrinaggio terreno. Ogni uomo è un viandante, un pellegrino in cammino verso una meta. La morte interrompe questo pellegrinaggio e ci pone di fronte alla meta. Vista dal punto finale, dalla meta appunto, il pellegrinaggio della vita diventa una cosa molto seria, perché in base all’amore di Dio che è sempre fedele e in base all’uso giusto che noi facciamo della libertà in questa vita, conseguiremo la meta. La morte conferisce serietà alla vita dell’uomo. Un motivo in più, dunque, per non reprimere la morte, per non ignorarla, come spesso ci invita a fare la nostra società attuale. Occorre guardarla realisticamente in faccia. Pensate che la Chiesa, e non certo per gusto di macabro o per instaurare un regime di paure, festeggia i Santi nel giorno della loro morte: tale giorno infatti è chiamato il “Dies natalis”, giorno della nascita vera, alla vita eterna, alla comunione piena e senza fine con Gesù Cristo. L’atteggiamento cristiano verso la morte non è quindi la paura, ma la serena preparazione alla morte stessa, che non sappiamo quando ci chiamerà. Nella preghiera delle litanie dei Santi si prega affinché il Signore ci liberi dalla morte improvvisa e inaspettata. Alcuni possono non essere d’accordo su questa richiesta e qualche volta si dice: “Beh, in fondo, beato lui che è morto senza accorgersene, così non ha sofferto!”. Questo è soprattutto perché è difficile accettare l’aspetto doloroso che accompagna la morte. Ma è anche vero che è meglio esservi preparati sempre. Ricordo quella citazione piena di significati per un cristiano: “Signore, fa’ che la morte mi trovi vivo!”. Certamente non è sempre facile accettare la morte specialmente quando ci tocca dolorosamente negli affetti più cari o quando giunge prematuramente. Ma la fede della Chiesa non idealizza affatto la morte, pur sapendo che essa è il passaggio obbligato verso la vera vita. La fede della Chiesa, afferma anzi, basandosi sulla testimonianza della Bibbia, che la morte è causata dal peccato (Rm. 5,12). Tuttavia la morte dell’uomo ha perso il suo carattere tragico e assurdo grazie ad un’altra morte di cui ci parla ancora la Bibbia: la morte di Cristo, nuovo Adamo, che facendosi obbediente al Padre sino a morire per amore, riporta la vittoria sulla morte stessa.Il seguace di Cristo può ora accettare la morte con lo stesso spirito con cui l’ha accettata e vissuta Gesù, in fedele obbedienza al Padre. Esprime questo molto bene una delle preghiere della Messa dei defunti dove si dice: “In Cristo rifulge per noi la speranza della beata risurrezione; e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, ci è preparata un’abitazione eterna nel cielo”.

 

LA RISURREZIONE DEI MORTI

 

Nel linguaggio cristiano la vita futura viene espressa, rifacendosi alla Bibbia, con i termini di “risurrezione dei corpi , “risurrezione della carne”. Questo modo di parlare sta ad indicare che la persona nella sua globalità (e non solo una parte di essa, quale potrebbe essere l’anima) è chiamata alla vita eterna. “Carne” e “corpo”, nel linguaggio biblico, indicano appunto la persona umana con tutte le sue proprietà e capacità di relazione con gli altri e con il mondo circostante. La risurrezione dei corpi va pertanto intesa nel senso che nella vita futura, la relazione con gli altri e con tutta la realtà sarà restaurata in modo nuovo e pieno. Tutto ciò che di bello e buono gli uomini avranno fatto, guidati dall’amore, resterà anche se non sappiamo come. Bisogna dunque evitare due posizioni estreme a proposito della risurrezione dei morti: la prima posizione consiste nell’attenersi ad un materialismo ingenuo e primitivo, secondo il quale saremo destinati ad assumere nuovamente la stessa materia, la stessa carne e le stesse ossa che abbiamo posseduto in questa vita. Già S. Paolo si opponeva a questa rozza concezione (vedi 1Cor. 15,50-55). L’altra posizione estrema consiste in uno spiritualismo disincarnato, senza mondo, senza le realizzazioni umane della nostra vita. Il catechismo degli adulti della conferenza episcopale tedesca dice: “Sappiamo solo che noi, il nostro mondo, la nostra storia, saranno i medesimi e tuttavia lo saranno in maniera totalmente diversa”. In sostanza è l’amore che rimane per sempre con la persona che l’ha vissuto.

L’amore, come dice S. Paolo, non verrà mai meno (1Cor. 13,8).

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