Torna a Scelta Profili Santi

GIOVANNI B O S C O

 

Santo, Sacerdote fondatore dei Salesiani memoria liturgica al 31 Gennaio

 

Scrivere in breve due note sulla vita di S. Giovanni Bosco, a Torino, può sembrare quasi assurdo: un po’ tutti siamo venuti a contatto specialmente in questa città con le opere di Don Bosco e quindi con questa figura imponente che con altri santi contemporanei ha mutato il corso e lo spirito di questa nostra città. Le note che seguono sono quindi modesti tentativi, presi da diverse biografie del nostro santo del quale sono apparse e continuano ad apparire storie e memorie. Giovanni Bosco venne da una poverissima famiglia di origine contadina. Nacque il 16 Agosto 1815 ai Becchi, un piccolo villaggio vicino a Murialdo. Margherita Occhiena, madre di Don Bosco, nata nel 1788 a Capriglio, aveva vissuto gli orrori e le miserie del tempo napoleonico. A ventiquattro anni Margherita andò sposa a Francesco Bosco, vedovo con un figlio di dieci anni, di nome Antonio. Il primo figlio di Margherita, Giuseppe, nacque nel 1813 ed il secondo, Giovanni, nel 1815. Francesco Bosco morì due anni dopo e la tremenda responsabilità di provvedere ad Antonio, a Giuseppe ed a Giovanni cadde sulle spalle della povera Margherita. Ella non poteva mantenere tutta la famiglia con il piccolo podere che avevano a Becchi in Piemonte. Inoltre Antonio, il. figliastro di Margherita, cominciò a sentirsi trattato meno bene di Giuseppe e di Giovanni dalla loro madre. Le difficili condizioni della famiglia Bosco, gli stenti dei figli crebbero nella loro prima infanzia, ma il duro lavoro che vi era da fare a casa e nel podere fece crescere Giovanni robusto nel fisico e nello spirito. Inoltre la madre di Giovanni era quasi analfabeta e tuttavia, sulle sue ginocchia, egli apprese le più grandi lezioni su Dio e sulla religione. Margherita aveva una mirabile tecnica per educare i figli senza ricorrere a punizioni ed a castighi. Soleva dire: “Badate ragazzi, Iddio vi guarda sempre anche quando io non ci sono. lo posso non esserci, ma Lui c’è sempre... Ragazzi, ringraziamo Iddio che è così buono con noi! Egli è veramente un Padre, il nostro Padre, che è in Paradiso. Ricordatevi che Egli vede anche i nostri più segreti pensieri”.

 

Giovanni cresceva in bontà.

A nove anni fece un sogno che gli svelò la sua missione futura: si vide una notte sul prato che si stendeva dietro casa sua, in mezzo a fanciulli che gesticolavano, bestemmiavano ed urlavano, abbandonandosi a monellerie di ogni sorta; per dare loro, come si dice, una lezione, ed impedire l’offesa di Dio, si avventò su quei monelli menando pugni in tutte le direzioni. Ma ecco ad un tratto, un uomo venerando, nobilmente vestito, con una faccia luminosa al punto da non poterne sostenere la vista, gli comparve improvvisamente e gli disse: “Non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a dare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”. Giovanni, sempre più meravigliato, osò chiedere chi fosse colui che gli comandava cose per lui impossibili. Quegli gli rispose che avrebbe potuto renderle possibili con l’obbedienza e con l’acquisto della scienza. Aggiunse poi: “lo sono il Figlio di Colei che tua madre ti ammaestrò di salutare tre volte al giorno”.

“In quel momento — lasciò poi scritto Giovanni nelle sue Memorie — vidi accanto a me una Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie domande e risposte mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presomi, con bontà, per mano: — Guarda! — mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di parecchi altri animali.

— Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare —continuò a dire quella Signora — Renditi umile, forte, robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei.

“Volsi allora lo sguardo, ed ecco, invece di animali feroci, apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando, correvano attorno belando, come per far festa a quell’Uomo e a quella Signora. A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quella Donna a parlare in modo da farsi capire, perciocché io non sapevo quale cosa si volesse significare. Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: <<a suo tempo comprenderai >>. Ciò detto, un rumore mi svegliò, ed ogni cosa disparve”

Giovanni cominciò fin da piccolo ad attirare attorno a sé gli altri ragazzi. Aveva imparato alcuni giochi acrobatici e si esibiva per la gioia degli altri, ma prima e dopo lo spettacolo invitava i suoi amici a pregare. A dieci anni ebbe la sua Prima Comunione e fu ad undici anni che il primo raggio di vocazione divina risplendette in lui. Fino ad allora aveva avuto ben poca educazione, salvo quell’istruzione ricevuta nella scuola vicina a Castelnuovo per prepararsi alla Prima Comunione. Antonio, il fratellastro, aveva sempre contraddetto il desiderio di Giovanni di studiare dicendo che doveva lavorare nel campo e “non sprecare il tempo nello studio”! La mamma che era invece favorevole al suo desiderio di studiare, non aveva mezzi per mandare il figlio a scuola. In queste contrastanti situazioni Giovanni incontrò Don Calosso, del vicino villaggio di Murialdo. Questo incontro fu provvidenziale perché preparò la strada di Giovanni al sacerdozio.

Una sera Don Calosso, tornando da una missione di predicazione, che andava conducendo per la preparazione della gente al Giubileo concesso da Leone XIII, vide Giovanni, ragazzo dagli occhi azzurri, e spinto da curiosità, gli chiese se avesse capito qualcosa dei suoi due ultimi sermoni. Il ragazzo rispose: “Ho capito tutto”. Don Calosso un po’ scettico dell’assicurazione di Giovanni, gli chiese di dirgli tutti i pensieri che gli erano venuti in mente. Con sorpresa del prete, l’undicenne Giovanni ripetè l’intero sermone, punto per punto, anche se non parola per parola.

Don Calosso si rese, subito conto che Giovanni era un ragazzo eccezionale, se non altro con una memoria prodigiosa. La loro conversazione puntò sul tema della vocazione, cui Giovanni sempre pensava; egli voleva continuare gli studi “per diventare un Prete”. Fu subito concordato con Margherita di mandare Giovanni da don Calosso a studiare il latino ed egli ne cominciò lo studio nell’autunno di quell’anno.

Antonio, fratellastro di Giovanni ed ora capo della famiglia, cresceva acido all’idea che Giovanni andasse a scuola dal Prete per studiare latino. Insisteva perché lavorasse nei campi. Queste discussioni domestiche continuarono per anni a causa sia della intransigenza di Antonio, sia delle magre risorse finanziarie di casa. Quando Giovanni ebbe quindici anni, Antonio decise la spartizione del podere paterno. Ma la quota di Giovanni fu così piccola da non poter bastare neppure alla sua educazione. Allora il vecchio Prete don Calosso, andò di nuovo a salvarlo aiutandolo a trovare denaro per i suoi studi. Presto, però il prete mori.

La provvidente mano di Dio indusse lo zio di Giovanni, Michele Occhiena, ad andare in suo aiuto. Era un facoltoso proprietario di terre che aveva sempre amato Giovanni e fu pronto a pagare le spese per lui alla scuola di Castelnuovo. il ragazzo doveva far tre miglia per l’andata e tre miglia per il ritorno. Per risparmiare le scarpe di cuoio, Giovanni faceva tutti i giorni sei miglia a piedi scalzi. A sera, se era troppo tardi per tornare a casa, dormiva in un sottoscala cortesemente datogli da un sarto. Da ultimo andando e tornando quotidianamente, Giovanni  prese alloggio presso il sarto pagandogli una piccola somma.

Ma alla fine dell’anno Giovanni dovette lasciar la scuola e tornare al suo podere dopo avere appreso più dal suo sarto che non dai maestri della scuola frequentata.

Che cosa fare? Lo aiutò sua madre. Non essendo. riuscita a fargli continuare gli studi a Castelnuovo, Margherita Bosco decise di mandarlo al Liceo Francescano di Chieri. Ma questo voleva dire: denaro. Margherita racimolò tutto ciò che poteva vendendo i prodotti del suo terreno. Con il denaro Giovanni poté comprare alcuni libri mentre i vicini amici contribuirono, per quanto potevano, a permettergli di proseguire negli studi nella Scuola Francescana.  A Chieri, Giovanni fece così rapidi progressi nello studio che impiegò solo pochi mesi per ogni anno di corso.

Dopo un paio di anni di residenza a Chieri, dovette cercare altro alloggio in una fabbrica di dolci dove gli fu data una buia camera in cambio della pulizia bi quotidiana della pasticceria medesima. Aveva spesso fame perché i suoi pasti dipendevano da ciò che la madre poteva portargli ogni sabato ed i vicini potevano offrirgli. Questa gelida povertà soffocò Giovanni durante tutti i suoi studi così che fece personale esperienza di quale fosse la sorte di quegli abbandonati, dei nullatenenti, dei non privilegiati e dei poveri di Dio. Durante i suoi giorni di studente a Chieri, Giovanni organizzò quelli che chiamò “Allegri Compagni”. Conduceva ogni sabato la sua allegra brigata alla Cappella del Santo Sudario a Torino e poi ad ascoltare il sermone sulla dottrina cristiana alla Chiesa dei Gesuiti in città. Poiché in un’occasione gli Allegri Compagni furono più interessati ad un vicino giuoco acrobatico che non alla Cappella in Torino, Giovanni usò subito il suo ingegno e sfidò l’acrobata a correre e saltare con lui, con la scommessa di quaranta lire per corsa. Vinse tutte le corse e l’acrobata perse cento lire. Ma il magnanimo Giovanni lo invitò ad una bevuta nel vicino caffè e lo fece andar via senza pagargli quanto gli doveva alla condizione di non deviare più la gente dai Servizi Domenicali coi suoi giochi acrobatici. Il pronto ingegno e l’umorismo di Giovanni attiravano molti a lui. Ma al tempo stesso causava paura alle menti grette. Nella pasticceria dove era alloggiato, Giovanni soleva indulgere ai suoi giuochi ed ai suoi scherzi che sbalordivano e stupefacevano tanto il cuoco che questi corse dal Canonico della Cattedrale ad accusare Giovanni di avere segreti rapporti col diavolo. Il Canonico lo chiamò e gli disse: “Mio giovane amico, sento dire strane cose di te. Mi si dice che puoi leggere il pensiero altrui, che puoi parlare di cose che avvengono a distanza, che puoi fare bianco il nero e nero il bianco. Chi ti ha insegnato tutto ciò?.”. Giovanni rispose alle domande alla sua solita maniera, cioè scherzando anche col Canonico. Gli disse: “Canonico, mi dia cinque minuti per rispondere alla domande. Che ore sono ora?”

Il Canonico cercò l’orologio in tasca, ma non lo trovò più. Allora Giovanni gli chiese: “Mi dia allora sei centesimi?”. Il Canonico si frugò in tasca e vide che anche il borsellino era scomparso. Il Canonico, arrabbiato per questi diabolici scherzi del ragazzo, gli gridò: “Mascalzone, mi hai preso tu l’orologio ed il borsellino.” Giovanni calmo rispose: “Vede, Canonico, per questo ho bisogno soltanto di una mano agile. E’ abbastanza semplice. Troverà quel che ha perso dietro la lampada, E’ così che io me la intendo col diavolo”. Tutto il tribunale ecclesiastico scoppiò in una risata a questa dimostrazione dell’innocenza del ragazzo.

Finalmente poté entrare in seminario e rimanervi per sei anni. Questo lento periodo di formazione permise al suo spirito di formarsi, acquistando quella cultura che avrebbe messo a profitto più tardi nei suoi numerosi scritti.

Per tre anni fu in intima amicizia con un giovane seminarista di nome Luigi Comollo, modello perfetto di pietà, di candore e di dolcezza; di lui, apparsogli dopo morto, scrisse poi la vita nel 1844.

Il 5 giugno 1841 ricevette nell’episcopio di Torino, per mano del vescovo Fransoni, l’ordinazione sacerdotale.

Per consiglio di S. Giuseppe Cafasso, suo conterraneo e benefattore, entrò al Convitto Ecclesiastico di Torino, per perfezionarsi in teologia morale e prepararsi al ministero, e fu, nella chiesa di San Francesco d’Assisi che l’8 dicembre 1841 diede inizio alla sua opera. Un giorno, mentre si accingeva a dir Messa nella Casa per il Clero, vide che il sacrestano spingeva fuori un povero ragazzo che non poteva servire la Messa. Don Bosco mandò subito a cercare il ragazzo. Dopo la Messa seppe che era un contadinello senza genitori, educazione, denaro e amici. Il suo cuore s’intenerì e capì che la sua strada era quella di radunare ed educare i ragazzi abbandonati, di istruirli in qualche utile e produttivo lavoro manuale e lavoro in genere e professione e farli divenire buoni cattolici e buoni cittadini. Cinque anni di lavoro in un oratorio senza fissa dimora, in mezzo a traversie di ogni genere, circondato da turbe di giovanetti che lo seguivano dovunque, fu la prova del fuoco della sua vocazione.

Finalmente il 12 aprile 1846 trovò stabile dimora in Valdocco. Qui prese in affitto un capannone con un po’ di terreno. Qui Don Bosco iniziò il suo laboratorio per ragazzi disoccupati e senza risorse ed insegnò loro una professione e un utile lavoro rendendoli quanto più possibile autonomi. Un Secondo Oratorio fu aperto nello stesso anno, per la festa dell’immacolata Concezione e fu chiamato Oratorio San Luigi. Nel 1849 un terzo Oratorio sorse in Torino, dedicato agli Angeli Custodi. E così l’opera di Don Bosco si andò espandendo sempre più da Torino ad altre città, dall’Italia all’Europa, dall’ Europa a tutto il mondo. Regali, donazioni, lasciti sotto forma di case, denaro e terreni piovevano d’ogni parte perché ciò che il Santo aveva cominciato era l’opera di Dio e Iddio era interessato a quel provvidenziale lavoro. Margherita, la valorosa madre di Don Bosco, dopo averlo aiutato a costruire dal nulla l’Oratorio, cadde ammalata nel novembre del 1856 ed appena sette giorni dopo morì. Le sue ultime parole a Don Bosco furono: “Non cercare altro che la gloria di Dio; e costruisci sempre per la povertà.”

Nel 1858 compie il primo viaggio a Roma, dove esprime a Pio IX i suoi progetti di fondare una congregazione religiosa per l’educazione della gioventù, il Papa l’incoraggia e corregge lui stesso, di proprio pugno, il primo abbozzo delle Regole. Giovanni, di ritorno a Torino, si mette subito all’opera e il 18 dicembre 1859, getta le basi della Congregazione, scegliendone i soci tra i giovani e i chierici da lui stesso educati nell’oratorio. E lo stile giovanile e dinamico della nascente società che, nella concezione di Giovanni, deve mantenere degli antichi ordini religiosi solamente lo spirito, mentre nelle realizzazioni concrete dovrà adattarsi il più possibile alle esigenze dei nuovi tempi. Ed è questa caratteristica che farà incontrare al santo le maggiori difficoltà, per l’approvazione definitiva della Congregazione da lui fondata.

Appoggiato tuttavia da Pio IX, otterrà l’approvazione della Società il 10 Marzo 1869, mentre quella delle Regole arriverà in porto, non senza intervento soprannaturale, solo il 3 aprile 1874.

Non è però da credere che la modernità di questa società stornasse completamente i sospetti dell’autorità civile sulla nascente congregazione religiosa. L’Oratorio di Valdocco fu soggetto a visite fiscali esose e piene di sospetti, dovute allo spirito anticlericale del governo liberale di allora e solo l’abilità di Giovanni e l’assistenza materna della Vergine riuscirono a salvare la nuova istituzione. Nel frattempo veniva costruita in tre anni la basilica di Maria Ausiliatrice, frutto delle grazie straordinarie della Madonna e della fede del santo. Il Santuario venne consacrato il 9 giugno 1868. Nel 1872, ispirato dall’alto, Giovanni volle innalzare un altro monumento alla Vergine, fondando l’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile. Così nel 1874, alla data dell’approvazione delle Regole, le opere salesiane in Piemonte - Liguria erano salite a dieci. in quello stesso anno si aprì la prima casa salesiana all’estero e precisamente in Francia, a Nizza mare. L’anno seguente si ha la prima partenza dei missionari per la repubblica Argentina, con a capo il futuro card. Cagliero.

Da allora l’espansione acquista un ritmo miracoloso e irresistibile: si ha la fondazione dell’Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni tardive allo stato ecclesiastico; poi nel 1876 la fondazione della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani. Nel 1877 si inizia il Bollettino Salesiano, organo della Pia Unione, che doveva diffondersi ben presto in trecentomila esemplari e in parecchie lingue, in tutte le parti del mondo. Nel 1880 Leone XIII affida a Giovanni, per suggerimento del card. Alimonda, la costruzione del Tempio del S. Cuore in Roma. Benché gravato da debiti, Giovanni accetta la grande impresa e si fa pellegrino e questuante per il S. Cuore, recandosi nel 1883 a Parigi dove riceve accoglienze trionfali. Quel viaggio attraverso la Francia fu un susseguirsi continuo di miracoli e di grazie prodigiose, che lasciarono sbalorditi tutti in maniera davvero eccezionale. L’anno seguente ebbe la consolazione di ottenere la concessione dei privilegi per la sua Congregazione e di vedere il suo primo figlio, il Cagliero, elevato alla dignità vescovile. Nel 1886 si recò in Spagna, dove a Barcellona si rinnovarono i trionfi di Parigi, ed ebbe in dono un terreno sul monte Tibidabo, per erigervi un Tempio al S. Cuore. Questo tempio, dopo un lavoro di settantacinque anni, fu consacrato nella festa di Cristo Re del 1961.

lI 9 aprile ebbe, sempre a Barcellona, l’ultimo sogno sull’avvenire delle missioni salesiane, quindi, tornato a Torino, si preparò all’ultimo viaggio a Roma, che ebbe luogo nel 1887, per l’inaugurazione della basilica del Sacro Cuore. E fu là che, celebrando nella nuova chiesa la Messa all’altare di Maria Ausiliatrice, pianse non meno di quindici volte, perché si riaffacciò alla sua mente il primo sogno, avuto all’età di nove anni e ricordò la voce della Madonna che gli aveva detto: “A suo tempo tutto comprenderai”; ora vedeva le realizzazioni mirabili che la Vergine aveva compiuto per mezzo della sua povera persona. Morì il 31 gennaio 1888.

Non è facile tracciare il profilo spirituale di un santo dalla enorme popolarità e la cui personalità resta tuttora in buona parte da studiare. in lui e certo che il soprannaturale fu di casa con episodi a prima vista sconcertanti che pur tuttavia lo lasciarono sempre umile e indifferente. La sua visione teologica ed ecclesiologica è quella del suo tempo, anche se non vi mancano valide, precorritrici intuizioni. Al centro del suo sistema educativo, come del resto della sua stessa esistenza, Don Bosco pone una forte presenza di Dio capace di “liberare” realmente il ragazzo e di ammaliarlo con il fascino della sua bontà. Anche l’intervento dell’educatore in Don Bosco non è mai lesivo della libertà della persona ma mai senza una rinunzia propositiva di valori. Così all’oratorio di Valdocco maturarono dei santi come Domenico Savio. Qui tutto per Don Bosco doveva parlare di Dio.

Lo stesso gioco nasceva dalla gioia profonda di coscienze giovanili in pace con se stesse perché in pace con Dio. “Qui — dirà Domenico Savio a un suo compagno — facciamo consistere la santità nello stare molto allegri”. Non è la gioia incosciente di chi si trastulla sognando, ma la pace dello spirito di chi è stato educato a compiere il proprio dovere. E’ in questa prospettiva che va vista anche la stessa devozione mariana di Don Bosco: la Madonna per lui è la madre che tutto perdona e copre con il suo manto benevolo.

L’urgenza di portare avanti molteplici attività educative nonché gli stessi cambiamenti culturali del suo secolo spinsero Don Bosco a crearsi una spiritualità essenziale che lo portò a diventare “mistico” in un impegno quotidiano che — a detta del medico curante — gli accorciò la stessa esistenza. in Don Bosco non mancarono condizionamenti storico ambientali ma è certo tuttavia che in questo stile di santità egli fu un vero profeta. Don Bosco, che Pio XI definì come uomo dall’attività ciclopica, ai suoi figli era solito dire: “Non vi raccomando penitenza e disciplina, ma lavoro, lavoro, lavoro”. E per lavoro Don Bosco intese di volta in volta attività manuale, intellettuale, apostolica, sacerdotale, caritativa, dovere di stato. Se c’è un aspetto di Gesù Cristo che Don Bosco predilige è il suo “cominciare a fare” prima di “insegnare”. Le affermazioni che altri santi hanno fatto in lode della preghiera Don Bosco le fece per il lavoro.

La stessa chiara percezione dei problemi del suo tempo lo spingeva più che “a riempire l’aria di lamenti piagnucolosi a lavorare a più non si può dire”. La sua vita è tutta una testimonianza in tal senso. Un suo arguto storico, Alberto Caviglia, scrisse che in Don Bosco sembravano operare in simultaneità, più persone: “L’educatore e il pedagogista, il padre degli orfanelli e l’educatore dei fanciulli abbandonati, il fondatore di congregazioni religiose, il propagatore del culto di Maria Ausiliatrice, l’istitutore di unioni laicali estese per il mondo intero, il suscitatore della carità operativa, il banditore di missioni lontane, lo scrittore popolare di libri morali e apologie religiose, il propugnatore della stampa onesta e cattolica, il creatore di officine cristiane e di collezioni librarie, l’uomo della pietà religiosa e della carità e l’uomo dei negozi umani o di pubblico interesse, tutti insieme ad un tempo operano e avanzano come fossero altrettante persone nate o destinate a quello solo, e si fondano nell’unica persona di un prete senza apparenze, che non scompone mai la serenità del suo aspetto né la composta modestia del suo tratto coi grandi gesti de caritativi, né arricchisce il suo vocabolario con la retorica delle grandi frasi”. Tanta attività aveva tuttavia e sempre come punti di riferimento e di unità due poli. i giovani e il paradiso. i primi per portarli alla pienezza della gloria di Dio, il secondo per essere sorretto nelle tante difficoltà di un lavoro educativo non sempre soddisfacente.

Ci fu chi dubitò che Don Bosco riuscisse a pregare. “Come si può dire eroico — fu osservato da qualcuno al suo processo di beatificazione — uno che è stato così carente nella pratica dell’orazione vocale?”. Eppure chi conobbe Don Bosco ebbe l’impressione di averlo visto sempre in preghiera. E una preghiera con caratteristiche ed originalità proprie: autentica e completa nella sostanza, lineare e semplicissima nelle sue forme, popolare nei suoi contenuti, allegra e festiva nelle sue espressioni; è veramente una preghiera alla portata di tutti, dei fanciulli e degli umili in particolare. Ed è soprattutto — osserva Pietro Brocardo — la preghiera dei fedeli di vita attiva e degli apostoli essendo intrinsecamente ordinata all’azione e vincolata ad essa. Una preghiera, perciò, che non è mai disimpegno e fuga dal mondo, ma fuga col mondo, da trasformare secondo il progetto di Dio e con gli uomini da conquistare a Cristo. Un concetto di Regno, come si vede, quello di Don Bosco, fortemente innervato sulla terra e proiettato costantemente verso l’Assoluto.

In effetti Don Bosco fu un mistico dell’azione, un monaco delle cose: la sua vita trascorse sotto lo sguardo continuo di Dio che lo chiamò ad agire responsabilmente per gli uomini del suo tempo.

 

ANEDDOTI DELLA VITA DI DON BOSCO

 

UN FATTO: PREVEGGENZA,   MIRACOLO E  BUON  UMORE

Il 29 ottobre 1868 cadeva infermo Don Rua per una gravissima peritonite, causata dalle fatiche eccessive. il male, avendolo trovato sommamente debole per l’abituale insufficienza di riposo (egli dormiva soltanto quattr’ore per notte), lo ridusse ben presto agli estremi, sicché, uditosi spacciato dai medici, domandò l’Olio Santo. Quella sera    quando Don Bosco rientrò in casa, i giovani che erano già usciti dal refettorio gli si affollarono attorno per baciargli la mano e gli dissero che Don Rua era malato e in fin di vita! Anche alcuni Superiori avvicinarono il Servo di Dio, pregandolo a salire dall’infermo; e Don Bosco scherzevolmente: “Don Rua non parte senza il mio permesso!”

Dopo aver ascoltato le confessioni, scese in refettorio. Com’ebbe cenato, con la solita tranquillità, salì in camera a deporre le sue carte, e poi scese al primo piano a visitare Don Rua. Dopo essersi intrattenuto alquanto con l’infermo, questi con un fil di voce gli disse: “Oh, don Bosco! Se è l’ultima mia ora, me lo dica pure liberamente, perché sono disposto a tutto”. E don Bosco: “O mio caro don Rua non voglio che tu muoia. Hai da aiutarmi ancora in tante cose!”. E dettagli qualche altra consolante parola, lo benedisse. La mattina seguente, dopo la celebrazione della Messa, risalì dall’ammalato, presso il quale si trovava il Dott. Gribaudo, che gli fece rilevare la gravità del caso, soggiungendo che sperava poco nella guarigione. “Sia grave quanto si vuole, rispose il santo, il mio don Rua deve guarire, perché gli resta ancor tanto da fare!” E: “Fatti coraggio, don Rua – aggiunse sorridendo- Guarda che se anche ti gettassi dalla finestra, ora non moriresti!” Infatti, dal momento che Don Bosco lo aveva benedetto, l’infermo aveva preso a migliorare, e alcuni giorni dopo era fuori di pericolo.

 

FIDUCIA IN DIO

Don Bosco aveva acquistato la tettoia Pinardi, che sarebbe diventata la sede del suo primo oratorio, per trentamila lire. Ovviamente non aveva i soldi per pagarla e avrebbe dovuto trovarli entro quindici giorni, pena la multa di centomila lire. Don Bosco, vedendo sua madre preoccupatissima per il debito le disse. "Se tu avessi trentamila lire, me le daresti?" "Certo" - ripose mamma Margherita. "E pensi che Dio, mio Padre, sarà meno generoso di te?" Otto giorni dopo, infatti, poté pagare la tettoia.

 

BENEDIZIONI

Un giorno don Bosco era in visita dal Cardinal De Angelis; al momento di congedarsi, il cardinale si inginocchiò ai suoi piedi, e gli chiese la benedizione. Don bosco stupito si schernì: "Tocca lei benedire me, che sono solo un povero prete!". Al che il Cardinale accennò con il capo ad una borsa che era sul tavolo: "Se mi benedice, gliela regalo per la sua chiesa, altrimenti no." Don Bosco rimase un attimo perplesso, poi si arrese: "Lei, senz'altro, non ha bisogno della mia benedizione, ma io ho molto bisogno della sua borsa, quindi sarà meglio che la benedica".

 

ALLEGRIA AD OLTRANZA

Nella biografia di san Giovanni Bosco si legge che era sempre contento, sereno, allegro. Anzi, più fastidi aveva, più la sua gioia era piena. I suoi ragazzi, quando lo vedevano particolarmente allegro, se lo sentivano cantare o fischiare, dicevano: «Don Bosco oggi deve essere pieno di fastidi, deve avere dei guai seri, se è così felice».

 

LA SOCIETA’ DELL’ALLEGRIA

Adolescente a Chieri, Don Bosco fonda l’originalissima «Società dell’allegria», un club di amici che si impegnano a vivere nella gioia. La Società dell’allegria ha un regolamento composto di due soli articoli, chiari come il sole.

Primo: «Ogni membro della società dell’allegria deve evitare ogni discorso e ogni azione che disdica a un buon cristiano».

Secondo: «Esattezza nell’adempimento dei doveri scolastici e dei doveri religiosi».

Più tardi, tatto prete, chiederà spesso a qualche ragazzo:

— Vuoi essere amico di Don Bosco?

— Oh, sì.

— Allora devi essere a + b – c . Sai che cosa significa a + b — c

— No.

Te lo dico io. Devi essere a, cioè allegro; più b, cioè buono; meno c, cioè meno cattivo.

 

LE BESTEMMIE DI UN COCCHIERE

Don Bosco racconta che, andando in carrozza da Ivrea a Torino, sentì il cocchiere che, sferzando i cavalli, pronunciava una o due bestemmie. Chiese ed ottenne di salire con lui a cassetta. Gli chiese un solo favore: non di farlo arrivare presto, ma di non bestemmiare più. Il cocchiere accondiscese. E per premio? Nulla!

Ah, no — fece don Bosco — vi darò venti soldi; ma a ogni bestemmia che vi sfuggisse, toglierò quattro soldi... Accettate? Accettato! — disse sicuro il brav’uomo. Dopo un po’, sferza; ma.. tira anche un moccolo.

— Amico mio, sono sedici soldi. Dopo un quarto d’ora un’altra bestemmia... — Siamo a dodici soldi, eh?!

— Ma guarda un po’; mai avrei creduto di essere così bestione: ma ora ci sto più attento. Invece, altre due insieme. — Sono restati quattro soldi. Giudizio... Ma dovreste dolervi di più per il danno dell’anima.

  Capisco: a Torino verrò a confessarmi da voi. Dove vi troverò?

Giunti a Torino il buon prete gli dette ugualmente venti soldi, per la buona volontà mostrata.

Il cocchiere tardò tre settimane all’appuntamento della confessione; si scusò dicendo che gli era sfuggita ancora una bestemmia, ma si era messo spontaneamente per un giorno a pane e acqua: e ne aveva avuto abbastanza.

 

UN TERNO AL LOTTO

Un giorno si presentò a san Giovanni Bosco un tale, che cercava numeri, per vincere un terno secco al lotto.

Il  santo gli rispose:

Siete veramente fortunato! Ho sognato proprio questa notte i tre numeri, che fanno al caso vostro. 

Sono: 7, 10 e 21

L’uomo esclamò: Grazie, don Bosco! Me lo diceva mia moglie che voi siete proprio un santo!  

Stava per andarsene, quando il santo gli chiese:

E su quale ruota, buon uomo, li giocherete?

Vedrò, forse quella di Torino.

No, caro mio, — lo interruppe il santo, — questi numeri bisogna giocarli sulla ruota del Paradiso. 

Il 7 rappresenta i Sacramenti, che dovete ricevere; il 10, i Comandamenti, che dovete osservare; e il 21,

i Precetti dell’amore per Dio e per il prossimo, che dovete praticare! Giocate bene questi numeri. 

L’esito è sicuro, la vincita enorme!

 

SCIMMIE CON IL CAPPELLO

Per educare i suoi ragazzi all’originalità della propria persona, don Bosco raccontava:

«Un venditore ambulante, attraversando una foresta dell’India, rideva vedendo le mille smorfie delle numerose scimmie. Stanco, depose il sacco pieno di berretti di cotone, ne prese uno, se lo mise in testa e si sdraiò per terra, addormentandosi. Quando si svegliò, trovò il sacco vuoto e, appollaiate intorno, molte scimmie con i suoi berretti in testa. Come fare per riaverli? Rincorrere le scimmie? Impresa disperata. Attirarle con qualche frutto? Fatica inutile. Minacciarle? Sarebbero tutte fuggite. Dopo un po’ d’inutili sforzi, il povero mercante s’arrabbiò da morire e con violenza scagliò il suo berretto per terra. Ma qui sta la meraviglia: le scimmie scimmiottano tutte quel gesto e gettano a terra i berretti. Solo allora il venditore ambulante può ripartire con il sacco ancor pieno.

Concludo: nella vita sii te stesso, non scimmiottare i comportamenti sciocchi degli altri!

 

DIAVOLO DI UNA GALLINA

Giovanni aveva sette od Otto anni, quando, trovandosi per alcuni giorni nella casa materna di Capriglio, sentì dire che da parecchio tempo sul solaio della casa si udivano strani rumori che la gente attribuiva al diavolo. C’era chi ci credeva e chi no; ma una sera si sente appunto nel solaio un rumore come un tonfo sordo e lento che va da un capo all’altro del solaio. È uno spavento generale; ma il piccolo Giovanni non ha paura, e presa una candela, si avvia al terribile solaio seguito da qualcuno dei più coraggiosi. Fruga in ogni angolo buio. Niente. A un tratto si trova innanzi a un cesto che cammina lentamente verso di loro. I compagni se la danno a gambe. E il piccolo Giovanni va invece incontro al cesto peripatetico e sollevandolo vi scopre sotto una grossa gallina. Allora si spiega tutto: la gallina stava beccando, quando il cesto le era caduto sopra, e la povera bestia si muoveva per liberarsi dalla prigionia

 

DESIDERI ESAUDITI

Un giorno S. Giovanni Bosco dice ai suoi ragazzi: — Oggi è il mio onomastico e voglio farvi un regalo. Ciascuno di voi scriva su un foglietto il regalo che desidera da me; metta nome e cognome e me lo consegni. Io farò il possibile per appagarlo. Indovinate la gioia di quei ragazzi, che conoscevano bene don Giovanni e sapevano che, oltre di parola, era anche di cuore. Pensano, scrivono e poi aspettano... Don Bosco legge. Uno domanda un cappello, uno un vestito, uno un libro, un altro un giocattolo, ecc. Finalmente legge un biglietto sui quale c’è scritto: «Voglio che lei mi aiuti a diventare un vero amico di Gesù!». Firmato: Savio Domenico.

S. Giovanni Bosco appagò il suo desiderio: aiutò veramente Domenico, che diventò santo.

 

RISCHIARE LA FACCIA

Don Bosco entrò un giorno in una barbieria di Torino per farsi radere la barba. Vi trovò un ragazzetto che faceva l’apprendista.

Come ti chiami? — gli chiese subito Don Bosco.

Mi chiamo Carlo Gastini.

Hai ancora i genitori?

Ho soltanto la mamma.

Quanti anni hai?

Undici.

Hai già fatto la prima comunione? Non ancora.

Vai al catechismo?

Quando posso, vado sempre.

Bravo, bravo. Adesso tu mi devi fare la barba.

Per carità — interloquì il padrone, — non si arrischi, reverendo. Questo ragazzo è da poco tempo che impara. È appena capace di radere la barba ai cani.

Non importa — rispose calmo Don Bosco; — se il ragazzo non comincia a provare non imparerà mai.

Mi scusi, reverendo: la prova, se occorre, gliela faccio fare sulla barba di un altro, non su quella di un prete.

Questa è curiosa! Ma la mia barba è forse più preziosa? Niente paura, signor barbiere. (Qui Don Bosco rivelò il suo nome e poi giocando scherzosamente sul cognome aggiunse): La mia barba è barba d’ bosch (bosch in piemontese significa « legno »). Mi basta che non mi tagli il naso.

Il ragazzetto apprendista ci si provò. Don Bosco subì imperturbabile il collaudo. «Non c’è male — disse alla fine, non c’è male. Un po’ per volta diventerai un famoso barbiere ». Scherzò ancora con Gastini, poi gli lanciò l’invito di venire all’Oratorio la domenica seguente; il ragazzo glielo promise.

Pagò il padrone e uscì. Lungo la strada ogni poco Don Bosco si lisciava la faccia che gli doleva e gli bruciava.

Ma era contento di aver conquistato un ragazzo. Carlo tenne la parola; la domenica seguente eccolo puntuale all’Oratorio. Don Bosco lo elogiò, lo fece giocare con gli altri ragazzi. Terminate le funzioni religiose, gli disse una delle sue celebri paroline all’orecchio; poi lo condusse in sacrestia, lo preparò convenientemente e ne ascoltò la confessione. Fu tanta la commozione di Carlo che a un certo punto scoppiò a piangere. Anche a Don Bosco vennero sugli occhi le lacrime. Da quel giorno l’Oratorio divenne per Carlo Gastini la sua seconda casa.

 

SAPER CONQUISTARE

Un giorno, a Roma, Don Bosco si trovò la strada sbarrata da un gruppo di ragazzacci che volevano divertirsi alle spalle di un prete. Non sapevano che quel prete era Don Bosco. Avevano fatto una barriera come per chiuderlo in trappola e ridacchiavano beffardi. Don Bosco tranquillo avanzò sino a loro; poi ebbe un gesto improvviso di cortesia: si tolse il cappello e chiese: « Mi potete permettere di passare? ». Lo disse con estrema gentilezza e sorrise. Quei ragazzacci di colpo zittirono; rimasero affascinati dal suo volto mite e sorridente. « S’immagini, reverendo, passi pure ». Avevano capito che Don Bosco li amava. Diceva Pascal: « Il primo effetto dell’amore è di ispirare un gran rispetto ».

 

VENIRE INCONTRO AI BISOGNI

Una sera un centinaio di ragazzi erano intenti a divertirsi e a giocare in un prato di Torino. Don Bosco, giovanissimo prete, aveva da poco avviato il suo nuovo oratorio. All’improvviso presso la siepe di cinta si presenta un ragazzo di 15 anni. Pareva che desiderasse varcare il debole riparo della siepe e unirsi agli altri ragazzi. Non osava farlo e si era fermato lì a guardarli con una faccia triste e scura. Don Bosco lo vide, gli si avvicinò e gli rivolse varie domande: il ragazzo non rispose. Don Bosco dubitò seriamente che fosse muto e già pensava di parlargli con l’alfabeto dei muti. Tentò ancora un’ultima prova: gli pose carezzevolmente una mano sul capo e gli chiese: Che cosa hai, mio caro? Dimmi: ti senti male? Il ragazzo con un fil di voce gli rispose per la prima volta.

Ho fame. Don Bosco mandò a prendere subito del pane e qualcos’altro. Quando il ragazzo si fu sfamato, Don Bosco tornò a interrogarlo. Venne a sapere che era un ragazzo immigrato, che faceva il sellaio, che era stato licenziato dal padrone perché aveva fatto una scenata. La notte innanzi aveva dormito sulla gradinata della metropolitana, la grande chiesa di Torino. Da parecchie ore si sentiva violentemente tentato a rubare per sfamarsi. Stava per compiere una qualche azione delittuosa che l’avrebbe condotto difilato in carcere, quando aveva incontrato Don Bosco. Non aveva bisogno soltanto di pane materiale, ma anche di tanta comprensione. E Don Bosco l’aveva capito e salvato.

 

CONQUISTE

Una sera dell’autunno 1860, Don Bosco entrò nel caffè della Consolata e prese posto in una stanza appartata per leggere con tutto comodo e sbrigare la voluminosa corrispondenza che aveva portato con sé. In quel caffè c’era un ragazzo, svelto e disinvolto, a servire i clienti. Si chiamava Cotella Giampaolo; aveva 13 anni, era nativo di Cavour in provincia di Torino e pochi mesi prima era scappato di casa scocciatissimo dei continui rimproveri dei suoi genitori. Il  padrone del bar lo chiamo: Va’ a portare una tazza di caffè a un prete che è nella stanza qui vicina. Io portare il caffè a un prete? — interloquì il ragazzo che dei preti aveva sentito sempre sparlare.

Il padrone troncò netto: « Va’ ». Andò con aria beffarda: Che vuole da me, lei prete? — chiese villanamente a Don Bosco. Don Bosco lo guardò fisso, poi con dolcezza gli rispose: Desidero da te, bravo ragazzo, una tazza di caffè, ma con un patto. Quale? Che me lo porti tu stesso. Subito il ragazzo fu soggiogato da quello sguardo. Gli portò il caffè e non riuscì più a staccarsi da Don Bosco, che con bontà cominciò a interrogarlo sul suo paese, sulla sua età e sul perché fosse scappato di casa. Vuoi venire con me? — concluse Don Bosco. — Dove? — All’Oratorio. Questo luogo non fa per te. — E quando sarò là? — Se ti piace, potrai studiare. Ma lei mi vorrà bene?

Oh, pensa. Là si gioca, si sta allegri, ci si diverte... —Bene, vengo. Domani? —Stasera stessa.

E quella sera, nebbiosa, umidiccia, se lo portò a Valdocco. Il ragazzo gli rimase affezionato per sempre..

 

IL MIGLIOR CASTIGO E’ L’AMORE

Luigi Lasagna era un ragazzo di 12 anni, irrequieto come una goccia di mercurio. Nei primi giorni in cui si trovò a vivere con Don Bosco nell’Oratorio di Torino dette del filo da torcere ai superiori perché era indomabile come un puledro; impossibile tenerlo quieto. Era vissuto fino allora allo stato brado e quindi gli ripugnava ogni costrizione disciplinare. Don Bosco lo seguiva con occhio attento e con pazienza estrema.

Un giorno, presa da nostalgia, Luigi aspettò che calassero le prime ombre della sera e poi scappò da Torino. Camminò tutta la notte e ritornò al paese, a Montemagno. I genitori immediatamente lo ricondussero a Torino. Don Bosco lo riaccolse  sorridendo; non disse una parola della sua fuga, gli fece coraggio, gli regalò un dolce.

Su quel viso imbronciato di fanciullo balenò un sorriso, il primo sorriso. Fu così che Don Bosco riuscì a domarlo; aveva intravisto in quel ragazzo delle rare doti: svelto, generoso, di una forza di volontà straordinaria, di un cuore affettuosissimo, di ingegno e di memoria spettacolosa. E un giorno dell’autunno del 1862, Don Bosco che si trovava in un crocchio di ragazzi, tra i quali c’era Luigi, girò il dito indice attorno e senza fermarsi disse queste precise parole: « Uno di voi sarà vescovo ». La profezia andò azzeccata. Luigi Lasagna, quel puledrino indomabile e irrequieto, divenne effettivamente vescovo.

 

LA CORTESIA CATTURA I CUOR

«Con la cortesia si conquistano i cuori», soleva dire Don Bosco. E aggiungeva: «La cortesia è il fiore della carità cristiana». Per documentare queste sue espressioni, una sera raccontò ai ragazzi un suo incontro con un certo cavalier Provera a San Salvatore nel Monferrato. Don Bosco stava attraversando quel paese accompagnato da parecchi signori, fra cui il parroco; parlavano della popolazione tanto buona e tanto piena di venerazione per Don Bosco. A un tratto dissero: « Uno solo è ostile a Don Bosco: è il più ricco del paese, un uomo che da anni non mette piede in chiesa: il cavalier Provera». Hanno appena terminato quelle parole, che il cavaliere viene avanti per la stessa strada. Uno che stava vicino a Don Bosco ammiccò: « Quello è il mangiapreti ».

Don Bosco aspettò che il cavaliere gli venisse vicino, poi lo abbordò togliendosi cortesemente il cappello. Il cavaliere contraccambiò il saluto e, un po’ stupito, un po’ scocciato, si fermò. Don Bosco allora allungò la mano per stringere quella del cavaliere. Il cavaliere ricambiò. Don Bosco approfittò dell’occasione per fare breccia:

— Mi dicono che lei è il cavalier Provera — iniziò con amabilità incantevole Esattamente — Lei allora porta uno dei cognomi più onorati e stimati a Torino, perché mi ricorda un santo sacerdote che proveniva dai Provera di Mirabello — Anche mio nonno veniva dai Provera di Mirabello — rispose il cavaliere, lusingato. Affascinato da tanta cortesia, così squisita e sincera, il cavaliere invitò Don Bosco a casa sua per offrirgli un rinfresco. Don Bosco accettò al volo, benché avesse altri impegni urgenti; e intrattenne il cavaliere con una conversazione scoppiettante di aneddoti. Stava per congedarsi quando gli fece questa dichiarazione: Senta, cavaliere: io intendo mettermi sotto la sua protezione. Lei è di una gentilezza meravigliosa a mio riguardo. Le confido una cosa: sono venuto a San Salvatore per vedere se mi era possibile trovare una casa per aprirvi un collegio; avrei bisogno del suo appoggio — Dice davvero? — interloquì il cavaliere entusiasta. — Ne sano lietissimo. Anzi le faccio subito un’offerta. Visiti questa mia casa. Se può servirle, gliela regalo. Don Bosco si era conquistato un amico. « Vedete? commentava ai ragazzi. — La cortesia cattura tutti i cuori ».

 

L’IMPORTANZA DEL PROPRIO NOME

Il signor Natale Menzio, un arzillo ex allievo di Pinerolo ultranovantenne, il 30 gennaio 1961 raccontava:

«Ho parlato a tu per tu con Don Bosco soltanto due volte. Ma è stato meraviglioso. Un mattino del mese di maggio, mentre salivo le scale per portarmi al secondo piano, incontrai Don Bosco. Era la prima volta che mi trovavo di fronte a lui. Mi fissò negli occhi, chiese il mio nome e poi mi salutò con tanto affetto. Alcuni mesi dopo andò a Roma. Quando ritornò, a Valdocco fu una gran festa. Don Bosco fu costretto a salire al secondo piano e dal balcone salutò tutti lanciando manciate di caramelle. Io quel giorno ero in infermeria ammalato. Lo rividi il giorno dopo. Appena entrato nell’ampio stanzone dell’infermeria, mi riconobbe subito: “Tu, Menzio, in infermeria?” mi disse. Poi mi salutò con tanta cordialità. L’indomani ero già guarito, ma avevo nel cuore un grosso interrogativo. Don Bosco mi aveva visto solo una volta e mi aveva riconosciuto. A Valdocco eravamo più di 600 e in quei mesi il Santo aveva incontrato nei suoi viaggi migliaia e migliaia di ragazzi. Quel mattino aspettai Don Bosco al fondo delle scale. Dovevo sapere ad ogni costo. Mi avvicinai al Santo, mentre scendeva per la Messa, accompagnato da Don Rua. “Don Bosco, come ha fatto ieri a riconoscermi?“. Il Santo sorrise. Poi mettendomi la mano sul capo, soggiunse: “I miei figli li conosco dappertutto” ».

 

CORAGGIO E SINCERITA’

Giovannino Bosco è un fanciullo con l’argento vivo addosso. Un giorno è solo, in casa; la mamma è fuori. Gli viene il ghiribizzo di afferrare qualche cosa di molto alto sull’armadio; ma non ci arriva. Come fare? Ingegnoso, avvicina una sedia, ci monta sopra e si arrampica. Allunga il braccio. Col gomito urta l’orciolo dell’olio e lo fa cadere. Patatrac: cocci e olio sparso. Che dirà la mamma? Meglio nascondere tutto. Salta giù dalla sedia e dà mano alla scopa per far sparire tutte le tracce. Impossibile: la macchia d’olio si allarga. E allora? Nella sua coscienza esplode un dilemma: dire o non dire? Essere sincero con se stesso e poi con la mamma o no? Giovannino decide: prende un coltello, esce, attraversa l’aia, e, giunto alla siepe di cinta, adocchia un ramo. Lo taglia netto. Poi si accoccola in un canto e col coltello lo rimonda dalle foglie e l’adorna con incisioni.

La mamma rientra. Giovannino le corre incontra Ciao, mamma. Hai fatto buon viaggio? — Sì, Giovannino. E tu hai fatto il bravo? — Oh, mamma, guarda — e le porge il ramo liscio e flessibile come una frusta — Cosa hai combinato? — domanda la mamma. E Giovannino subito con schiettezza e sincerità Ho rotto il vaso dell’olio. To' la verga perché tu non vada a cercarla. Giovannino tiene la testa china. Come si fa a punire un fanciullo così sincero? Mamma Margherita lo perdona.

 

PREGHIERA

Sul principio del 1858 Don Bosco deve estinguere un grosso debito, ma non ha un centesimo in tasca. Il creditore aspetta già da tempo e per il 20 del mese vuole assolutamente essere pagato. In quelle strettezze, Don Bosco chiama alcuni ragazzi — Quest’oggi ho bisogno di una grazia particolare — dice loro; — io andrò in città e durante tutto il tempo che vi rimarrò, qualcuno di voi sia sempre in chiesa a pregare. I ragazzi glielo promettono. Don Bosco esce. Giunto presso la chiesa dei Preti della Missione, in via Arcivescovado, gli si avvicina uno sconosciuto e garbatamente gli presenta una busta con dentro parecchi biglietti da mille lire, una somma altissima per quel tempo. Meravigliato del dono, Don Bosco esita nell’accettarla — A che titolo mi offre questa somma? — Prenda e se ne giovi per i suoi ragazzi — insiste lo sconosciuto. E si allontana senza palesare il donatore. Sempre così: quando aveva bisogno di qualche cosa, Don Bosco era solito ricorrere alla preghiera. Otteneva tutto. Diceva ai suoi ragazzi: « Chi prega è come colui che va dal re ».

 

TEPPISTELLI

Una sera di aprile del 1847, Don Bosco tornava a tarda notte dalla visita a un malato. Presso i quartieri di via Dora Grossa, ora via Garibaldi, all’angolo di corso Valdocco, in Torino, incrociò una banda di giovani nottambuli. Quei giovani videro un prete che veniva avanti e cominciarono a lanciargli frizzi poco gentili I preti sono tutti avari.

— Spocchiosi e intolleranti — Facciamone una prova con quello lì. Don Bosco rallentò il passo come per evitare quell’incontro; ma accortosi che non ne aveva più il tempo, tirò avanti coraggiosamente. Scoccò un saluto, che quei giovanotti non si aspettavano — Buona sera, cari amici, come state? — Poco bene, reverendo — rispose un capoccione; abbiamo sete e non abbiamo soldi. Ci paghi lei un litro, una pinta — Sì. sì, ci paghi una pinta, reverendo — gridarono tutti a voce alta; — una pinta, una pinta, altrimenti non la lasciamo più andare. E subito lo accerchiarono, impedendogli di fare un passo D’accordo — rispose imperturbabile Don Bosco — ben volentieri. Anzi, dal momento che siete in molti, vi pagherò due litri, due pinte. Ma voglio bere anch’io con voi — Si figuri, reverendo. Oh, che buon prete è lei! Se tutti fossero così! — Andiamo allora all’Albergo delle Alpi, qui vicino.

Se li trascinò dietro. Entrato in albergo, fece portare due bottiglie; quando li vide un po’ allegri e più mansueti di prima, uscì in queste parole — Ora dovete farmi un piacere — Dica, dica, Don Bosco, non solo un piacere, ma due, tre gliene faremo. D’ora innanzi vogliamo essere suoi amici — Se volete essere miei amici, dovete farmi il piacere di non bestemmiare più il nome di Dio e di Gesù Cristo, come alcuni hanno fatto questa sera — Ha ragione — interloquì uno dei giovani più moccolosi — ha ragione, Don Bosco. Che vuole? La bestemmia ci scappa senza che ce ne accorgiamo; d’ora in poi non sarà più così. Ce ne emenderemo mordendoci la lingua. Tutti promisero.

— Ora usciamo — concluse Don Bosco — e voi, da bravi ragazzi, tornate a casa — Ma io non ho casa — disse uno — E nemmeno io — aggiunse un altro. E altri ancora. Don Bosco intuì i pericoli di quei ragazzi vagabondi e offrì subito un rimedio: «Venite allora con me ». E se li portò a casa, con sé, a Valdocco, dove lo attendeva in ansia Mamma Margherita.

 

VENDICARSI PREGANDO

Una domenica Giuseppe Brosio, un giovanotto molto affezionato a Don Bosco, notò che il Santo non era in cortile. Strano! Si mise subito a cercarlo in ogni angolo della casa. Cerca e ricerca, finalmente lo trovò in una camera. Don Bosco era triste, molto triste, sembrava che stesse per piangere — Che le succede, Don Bosco? — gli chiese premuroso. Don Bosco taceva, chiuso nel suo dolore. Il giovane insistette perché gli facesse conoscere il motivo di tanta sofferenza — Uno dei nostri ragazzi — disse infine Don Bosco — mi ha oltraggiato e svillaneggiato. Per quel che mi riguarda, non mi importa; ma il peggio è che lui si trova su una brutta strada e chissà che fine farà.

Brosio si sentì toccato sul vivo. Con una vampa di collera mostrò i pugni e assicurò a Don Bosco che ci avrebbe pensato lui a vendicarlo. Don Bosco lo guardò fissamente — Tu vuoi vendicare Don Bosco, non è vero? Hai ragione; ma a un patto: la vendetta la faremo insieme. Sei contento? — D’accordo — gli rispose Brosio — Allora vieni con me — lo invitò Don Bosco. E lo condusse in chiesa a pregare per quel ragazzo insolente che lo aveva offeso. «Credo che Don Bosco abbia pregato anche per me —    ricordava più tardi Brosio — perché in un momento mi sentii un altro, letteralmente cambiato. Lo sdegno contro quel mio compagno si era mutato in perdono ».

 

GRATITUDINE

Il 24 giugno 1877, festa di san Giovanni Battista, l’Oratorio di Valdocco appariva tutto mobilitato per festeggiare l’onomastico di Don Bosco. A pranzo con Don Bosco sedevano un vescovo argentino e un canonico. Al momento del brindisi irruppe nella sala un menestrello in costume medievale e cantò versi in onore di Don Bosco e del vescovo. Gli applausi scrosciarono. Mentre il menestrello si chinava di 80 gradi in tutte le direzioni, il canonico gli si avvicinò e gli porse una lira. Il menestrello ringraziò, prese la moneta e saltellando la portò a Don Bosco.

Ma era per te — osservò il canonico. — Eccotene un’altra. Tienila. Il menestrello l’afferrò e saltellando la portò di nuovo a Don Bosco. Perché non l’hai tenuta per te? — domandò incuriosito il canonico. — Noi siamo tutti di Don Bosco — ribatté candidamente il menestrello. — Gli dobbiamo riconoscenza. Quel menestrello si chiamava Carlo Gastini. Ancora ragazzo, rimasto solo al mondo, era stato raccolto da Don Bosco e portato all’Oratorio, dove era cresciuto allegro e felice. Don Bosco l’aveva avvolto di tanto amore, e il ragazzo aveva sentito sbocciare in sé spontaneamente la riconoscenza. Gastini, fatto adulto, ricordava che Don Bosco era solito ripetere questa frase come un ritornello:”Gli ingrati noi li compiangiamo perché sono infelici”.

 

SAPER CONQUISTARE

Un giorno Don Bosco, nelle vicinanze dell’Oratorio a Valdocco, in Torino, incrociò un giovanotto conosciuto da tutti come il capoccione di una banda malfamata. Gli sorrise e gli rivolse un saluto. Il giovanotto trasecolò nel vedere che Don Bosco s’interessava a lui con tanta bontà ed entusiasmo. Contraccambiò il saluto — Buon giorno — gli rispose con un piccolo cenno del capo. Don Bosco mostrò un grado ancora maggiore di interessamento e gli disse — Sono molto contento di averti incontrato: devi farmi un piacere Se posso, ben volentieri — Certo che lo puoi: vuoi venire a pranzo con me? Io a pranzo con Don Bosco? Sì, tu: perché no? Oggi sono proprio solo.

— Ma lei si sbaglia: mi scambia con un altro — No, no... non sei tu di nome Giorgio? — Sissignore — Dunque vieni.

— Ma lei si disturba per me — Non fare complimenti. È cosa decisa; vieni — Ma io non ho il coraggio di venire così come sono, con questi abiti sudici e le mani sporche — Non fa nulla, non importa — Ma forse, a casa, c’è mia mamma che mi aspetta — La manderemo ad avvertire. Il giovanotto di fronte a quella pressione così dolce di Don Bosco fu costretto a cedere; pranzò con Don Bosco. Ne uscì entusiasta: Don Bosco gli aveva trasmesso il suo fuoco spirituale, l’aveva contagiato di bontà. Cambiò vita e. diventò un bravo ragazzo.

 

IMPORTANZA DEL GIOCO

“Figli miei — era solito ripetere Don Bosco, mutuando una caratteristica espressione di san Filippo Neri, — giocate, saltate, divertitevi quanto volete, purché non facciate peccati”. Don Bosco per molti anni in cortile fu l’anima del gioco. Giocava con i suoi ragazzi. Un cronista segnò sul suo taccuino la seguente scena: « Era il 1868. Don Bosco aveva la bellezza di 53 anni. Lui che in gioventù era stato un atleta, ormai scendeva verso la senescenza, logora nel corpo, benché giovanile nell’anima. Eppure anche a quell’età accettò una sfida alla corsa con i suoi ragazzi. Lo fece per dare una vampata di entusiasmo al gioco. Non sarebbe dovuto mettersi in lizza perché aveva un tormentoso gonfiare alle gambe. Ciò nonostante si allineò sulla barra della partenza. Al via, scattò. I ragazzi urlavano di gioia. Don Bosco pareva ringiovanito. Con poche falcate seminò dietro di sé centinaia di giovani ». Aggiunge il cronista: « Eppure molti di quei giovani erano di una sveltezza eccezionale ». Don Bosco capiva l’importanza educativa del gioco: il gioco diventa per i ragazzi una sorgente di gioia e di pace.

 

BUONE ABITUDINI

L’anno 1861 Don Bosco predicò gli esercizi spirituali ai giovani seminaristi di Bergamo. « Tra quei giovani c’ero anch’io — raccontò più tardi il padre Scaini, gesuita. — Mi ricordo che in una delle prediche Don Bosco disse pressappoco così: “In una certa occasione potei domandare alla Madonna la grazia di avere con me in Paradiso molte migliaia di ragazzi (mi sembra che dicesse anche il numero delle migliaia, ma non me lo ricordo); la Madonna accettò e me lo promise. Se anche voi desiderate di appartenere a quel numero, sono felice di iscrivervi, a questa condizione però: dovete prendere la buona abitudine di recitare ogni giorno, per tutto il tempo della vostra vita, un’Ave Maria”. Non so degli altri miei compagni, ma io da quel giorno presi subito l’abitudine di dire quell’Ave Maria. Passarono gli anni. Un giorno, trovatomi a Torino, andai a visitare Don Bosco e gli chiesi: "Se mi permette, vorrei domandarle chiarimenti sopra una cosa che mi sta molto a cuore. Si ricorda quando venne nel seminario di Bergamo a predicare gli Esercizi a noi ragazzi?". "Sì, mi ricordo". “Si ricorda che ci parlò di una grazia domandata alla Madonna e condizionata da un’abitudine?” e gli citai le sue parole. “Sì, mi ricordo”. “Bene: io quell’abitudine l’ho presa e l’ho sempre mantenuta; la reciterò sempre quell’Ave Maria. Ma lei ci ha parlato di migliaia di ragazzi; io ormai sono fuori da questa categoria e quindi temo di non appartenere più al numero fortunato". Don Bosco mi guardò, sorrise e poi con grande sicurezza mi rispose: “Continui quella buona abitudine, continui a recitare quell’Ave Maria e ci troveremo insieme in Paradiso” ».

 

IN TUTTI C’E’ DEL BUONO

Un mattino Don Bosco transita solo soletto per un terreno di periferia della Torino di cent’anni fa. All’improvviso balzano dinanzi a lui quattro loschi figuri. In maniera brusca gli sbarrano la strada — Reverendo, c’è una questione tra noi. Vogliamo avere lei come giudice. Che grinte! Don Bosco si guarda bene dal chiedere loro che specie di litigio li metta in conflitto. Assume un atteggiamento sereno e tranquillo Ascoltate: per meglio intendervi, miei buoni amici, andiamo a bere un caffè in piazza San Carlo. Pagherò io. I quattro giovanotti accettano. Ed eccoli in città. Lungo la strada hanno chiacchierato con Don Bosco. A un tratto il Santo dice Guardate, ecco una chiesa. Perché non entriamo? Un’Ave Maria non farà male a nessuno — Ma lei ci farà dire tutto un Rosario! Dove andiamo a finire? Ma no, un’Ave Maria, non di più. Dopo, pagherò io il caffè. I quattro tipacci, soggiogati, di malavoglia, seguono mugugnando lo strano prete. Recitano un’Ave Maria. Poi al caffè. Don Bosco attizza la conversazione. In pochi minuti ha visto il fondo di quelle povere anime E se andassimo tutti e cinque insieme a rosicchiare qualcosa in casa di mia madre? — propone Don Bosco — Essa si intende bene di cucina... Ci cascano: prima un caffè, poi un pranzetto. Sembra quasi un sogno... Eccoli a Valdocco. Don Bosco li ha già conquistati. E allora lancia la sua rete e dice Se la morte, amici miei, vi cogliesse all’improvviso, in che stato vi presentereste a Dio? I quattro restano sconvolti, senza parola. Il colpo ha toccato direttamente il cuore; è lì che mirava Don Bosco. Cinque minuti dopo, li confessa, tranne uno. Ma tutti ritorneranno ancora a trovarlo.

 

BASTANO OCCHI E CUORE PER VEDERE LE NECESSITA’ DEGLI ALTRI

Erano i primi di giugno del 1847. Il tramonto coloriva la città di Torino, capitale del regno sardo-piemontese. Don Bosco stava rientrando nella sua povera abitazione di Valdocco, dopo aver svolto l’apostolato sacerdotale nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Giunto sullo stradale San Massimo, notò un povero ragazzo, un adolescente: con la testa appoggiata a un olmo della strada, piangeva. Gli si accostò — Che hai, ragazzo mio? — gli chiese. — Perché piangi? Il ragazzo ebbe una crisi acuta di singhiozzi; poi a stento rispose — Sono abbandonato da tutti. Mio padre è morto prima che io potessi conoscerlo. La mamma, che mi voleva tanto bene, è morta ieri e oggi l’hanno seppellita. Il pianto divenne irrefrenabile. Don Bosco lasciò che si sfogasse, poi gli posò la mano sulla spalla — Dove hai dormito questa notte? — A casa. Ma oggi il padrone ha portato via i pochi mobili che c’erano. La mamma non aveva pagato l’affitto. Appena uscita la bara, hanno chiuso la camera. Non ho più nessuno...

— E adesso, che cosa vorresti fare e dove vorresti andare? — Non so, non so... — Vuoi venire con me? Io farò di tutto per aiutarti. — Oh, sì che ci vengo. Ma lei mi accetta? — Certo. Voglio che noi due siamo sempre amici. Gli prese la mano nella mano, lo confortò, lo rasserenò. Così lo condusse a casa, dove l’attendeva Mamma Margherita. Mamma — le disse Don Bosco appena entrato, — ho con me un secondo ragazzo. Dio ce lo manda; abbine cura e preparagli un letto. Il giorno dopo, Don Bosco si occupò di trovargli un posto adatto di lavoro. Il ragazzo era intelligente, sveglio, abbastanza istruito. Don Bosco gli cercò un’occupazione tagliata per lui. Si informò dell’ambiente di lavoro. « Ti piacerebbe fare il commesso di negozio?». «Senz’altro». Si trovò bene. Il ragazzo fece carriera e si conquistò una posizione onorata.

 

AVER FIDUCIA

Era un ragazzaccio, straccione e arrogante. Don Bosco lo incontrò a Torino nell’attuale via Garibaldi; lo salutò e lo fermò — Chi sei tu? — gli chiese gentilmente — Chi sono io? — gli rispose il ragazzo alzando le spalle. — E lei che cosa vuole da me? Chi è lei? — Lo vedi bene, — replicò Don Bosco, — sono un prete che vuol tanto bene ai giovani e li raduna la domenica in un bel posto vicino al fiume Dora, e do loro tante cose belle: li faccio divertire e loro mi amano. io sono Don Bosco — Io sono... — e qui il ragazzo cominciò a sgelarsi, — sono orfano, senza padre e senza madre; cerco un lavoro — Ti voglio aiutare... Come ti chiami? Il ragazzo subito gli disse il proprio nome e cognome. — Bene, ascolta: domenica ti aspetto tra i miei ragazzi. Vieni, ti divertirai, poi ti cercherò un lavoro... ti farò stare allegro. D’accordo? L’adolescente fissò per qualche istante il prete; poi bruscamente scattò — Non è vero. Don Bosco allora sfilò di tasca un biglietto di denaro e glielo pose in mano dicendogli — Si che è vero; vieni e vedrai. Il ragazzo strinse commosso i soldi e poi Don Bosco, sì, ci verrò. Se domenica dovessi mancare, mi consideri pure un mascalzone bugiardo.

 

GRANDI DECISIONI

Giovannino Cagliero aveva tredici anni quando per la prima volta incontrò Don Bosco a Castelnuovo di Asti. Era il primo di novembre del 1851, festa di tutti i Santi. Don Bosco contava allora 36 anni Mi pare che tu abbia qualcosa da confidarmi —gli scoccò con un sorriso Don Bosco, quando si accorse che quel ragazzo gli ruotava attorno indeciso — Veramente, sì, — rispose il ragazzo — Hai qualche desiderio? — Vorrei venire con lei a Torino.., e stare sempre con lei. Bastò lo sguardo di Don Bosco per rendere inflessibile la decisione di Giovannino. Alla mamma del ragazzo, la sera di quel giorno Don Bosco azzardò È vero che volete vendermi vostro figlio?

Venderlo, no. Piuttosto glielo regalo. La sera del 2 novembre, giorno dei Morti, Giovannino Cagliero entrava definitivamente nell’Oratorio di Valdocco a Torino. Don Bosco lo presentò alla sua buona mamma Margherita:

Ecco, mamma, un ragazzetto di Castelnuovo: ha ferma volontà di farsi buono e di studiare. (Con quelle parole Don Bosco rafforzava indirettamente la decisione del ragazzo, che non si lasciò più smuovere) — Oh, si — interloquì la mamma, — tu non fai altro che cercare ragazzi, mentre sai che manchiamo di pasti e di locali. Ma via, mamma, qualche cantuccio lo troverai — ribatté Don Bosco — Sì, lo metteremo nella tua stanza. Non è poi necessario. Questo ragazzo, come vedi, non è grande; lo metteremo a dormire nel canestro dei grissini e con una corda lo attaccheremo a una trave, alla maniera di una gabbia per canarini. Il ragazzo non si staccò più da Don Bosco. Si fece prete e salesiano, fu missionario prestigioso nella Terra del Fuoco, poi vescovo e cardinale.

 

COME RICEVERE LE CRITICHE

Don Bosco era appena rientrato in sacrestia, al termine della celebrazione di una Messa. Finito tutto, fece con la mano un cenno al ragazzo che gliel’aveva servita e, chinandosi) dolcemente lo avvertì di uno sbaglio da lui fatto. Il ragazzo che era vivacissimo e schietto reagì subito rimbeccando — Anche lei ha fatta uno sbaglio — Quale? — domandò Don Bosco, sempre tranquillo. Il ragazzo l’annunciò vivacemente. Per inavvertenza Don Bosco aveva benedetto l’acqua da mettersi nel calice all’offertorio, azione che non si doveva fare perché la Messa era dei defunti. Don Bosco sorrise e rispose — E’ vero. Che casa vuoi? Siamo due “schiappini”, due “bracchi”. Bastò questo perché il sorriso ricomparisse sul volto del ragazzo.

 

FAMILIARITA’

Don Bosco fin da fanciullo carezzò un grande sogno: diventare prete. “A Castelnuovo — scrisse più tardi nelle sue memorie — io da ragazzo vedevo parecchi buoni preti che lavoravano nel sacro ministero, ma non potevo contrarre con loro alcuna familiarità” Se ne sfogava spesso con la mamma — Se io fossi prete, non farei così. Mi avvicinerei ai ragazzi, li riunirei, li amerei e mi farei amare — Che ci possiamo fare, Giovanni? — gli ribatteva la mamma. — Pensa che i preti di Castelnuovo hanno tante altre cose da fare. Vorresti che perdessero tempo anche con i ragazzi? — E Gesù lo perdeva forse con i fanciulli che si raccoglievano attorno a lui? Se un giorno sarò prete, i ragazzi non mi vedranno mai passare così, accanto a loro, ma sarò sempre il primo a rivolgergli la parola.

Nell’agosto del 1831, Giovanni ebbe un sogno che gli riaccese tutti i suoi ideali. Raccontò: “Vidi venire una grande Signora che pascolava un gregge numeroso. Mi chiamò per nome e mi disse: «Vedi questo gregge, Giovannino? Io te lo affido». «Ma come farò, Signora, ad allevare tante pecore e tanti agnelli? Non ho un pascolo dove possa condurli”. “Non temere, Giovanni. Io ti aiuterò”. Detto questo, scomparve.

 

GUARDARSI INTORNO E PREGARE

Un giorno dell’estate 1828 (Giovannino Bosco aveva appena 13 anni) l’anziano contadino Giuseppe Maglia tornava a casa sudatissimo, con la zappa sulle spalle. Al campanile scoccavano le dodici; l’uomo, con le ossa rotte, si sdraiò a terra sull’erba per riposare. Nemmeno gli venne in mente di dire l’Angelus alla Madonna, come era abitudine, a quei tempi. A un tratta vide in cima a una scala il ragazzetto Giavannino Bosco volgere una sguardo circolare a tutta la campagna che pareva crogiolarsi al sole, ascoltare per un po’ le cicale che frinivano ininterrottamente; poi piombare in ginocchio e, lentamente, con l’anima piena di stupore recitare a voce alta l’Angelus. Il vecchio contadino gli lanciò un frizzo: « Guarda là: noi che siamo i padroni dobbiamo logorarci la vita dal mattino alla sera e faticare fino a non paterne più: tu invece, tutto beato, ti guardi attorno e poi, tranquillo, ti metti a pregare ». Giovannino Bosco finì imperterrito la sua preghiera, scese la scala e, rivolto al vecchio: “Senta, — gli disse, — lei è testimonio che io non mi sono risparmiato sul lavoro. Mia madre mi ha sempre insegnato che qualche volta bisogna guardarsi attorno, cercare di vedere Dio nella natura e ringraziarlo mettendosi a pregare. Se si prega, da due grani che noi seminiamo nasceranno quattro spighe; se non si prega, seminando quattro grani si raccoglieranno due sole spighe. Che cosa le costava fermarsi un istante, deporre la zappa e dire una preghiera? L’uomo non dimenticò più quella lezione di un ragazzo di tredici anni.

 

GRAZIE

Don Bosco afferma che Michele Magone (uno dei tre giovani modello di cui il Santo scrisse la vita) era sensibilissimo a ogni favore che riceveva. E racconta, tra gli altri, questa episodio. Michele, dopo un anno trascorso all’Oratorio con Don Bosco, preferì non recarsi a passare le vacanze al paese perché — diceva — a casa troverei i pericoli di prima. Don Bosco volle premiare tanta virtù e condurlo con pochi altri al Colle natio per fargli “godere un po’ di campagna”. « Per la strada — scrive Don Bosco — fummo sorpresi dalla pioggia e giungemmo a Chieri tutti inzuppati nell’acqua. Ci recammo dal cav. Marco Gonella, il quale con bontà suole accogliere i nostri giovani che sono di andata o di ritorno da Castelnuavo d’Asti. Egli ci somministrò quanto occorreva per gli abiti; di poi ci apprestò una colazione che se da una parte era da signore, dall’altra trovò un appetito corrispondente.

Dopo qualche ora di riposo ripigliammo il cammino. Percorso un tratto di strada, Magone rimase indietro dalla comitiva. Uno dei compagni, pensando che fosse per stanchezza, gli si avvicinava, quando si accorse che bisbigliava sotto voce Sei stanco, gli disse, caro Magone, non è vero? Le tue gambe sentono il peso di questo viaggio? Oh no: stanco niente affatto; andrei ancora sino a Milano — Che cosa dicevi ora che andavi parlando sotto voce? — Recitavo il Rosario di Maria Santissima per quel signore che ci ha accolti tanto bene; io non posso ricompensarlo altrimenti, e perciò prego il Signore e la Madonna affinché moltiplichino le benedizioni sopra di quella casa, e le donino cento volte tanto di quello che ha dato a noi. « È difficile dire — commenta don Lemoyne nelle Memorie Biografiche di Don Bosco — quanto Magone fosse grato per ogni favore ricevuto. Non rare volte stringeva affettuosamente la mano a Don Bosco e, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, diceva: «Io non so come esprimere la mia riconoscenza per la grande carità, che mi ha usato con l’accettarmi nell’Oratorio. Cercherò di ricompensarlo con la buona condotta e pregando il Signore che benedica Lei e le sue fatiche» ».

 

BISOGNO D’AMORE

Un giorno era venuto a trovare Don Bosco un signore distinto, un certo Giacomo Cerutti — racconta don Francesia nel suo libro Don Bosco amico delle anime — nell’accomiatarsi, gli baciò con affetto la mano. Fu allora che Don Bosco confidò al suo don Francesia la storia di quel signore. Don Bosco cominciò a parlare così: « Quel signore si è sempre mostrato affezionato all’Oratorio; per me aveva un affetto tutto straordinario. Rimasto orfano di mamma fin da fanciullo, col babbo impegnato nel lavoro, trovò qui all’Oratorio pane e conforto. Cominciò a venire all’Oratorio di San Francesco d’Assisi e mi seguì poi a Valdocco. Ogni festa me lo vedevo comparire davanti e vi si fermava, dimenticandosi della casa, del babbo, del mangiare e di ogni altra cosa. Era il primo a venire e l’ultimo ad allontanarsi. Non parlava molto, ma ascoltava e rifletteva. Ogni domenica si accostava alla Comunione. La sua felicità era fermarsi con noi, ascoltare qualche mia parola e poi prendere parte a qualche gioco. Un giorno me lo vidi davanti; più tardi mi disse di avermi anche salutato e che io non avevo risposto al suo saluto. Bastò questo per fargli girare la testa. Mi venne ancora vicino, ma già col cuore turbato. Dopo due o tre giri per il cortile, se ne andò. Un compagno, impressionato del suo turbamento, gli corse dietro: — Cerutti, dove vai?

— A te che importa? M’importa, sì, perché è ora che tu rientri all’Oratorio — All’Oratorio? È inutile che io ci vada, perché Don Bosco... — e scoppiò a piangere — Ma che c’è? Don Bosco ti ha forse sgridato? Il ragazzo rivelò che per disperazione andava a gettarsi nel fiume Po e soggiunse — Che cosa farei al mondo senza l’appoggio e la benevolenza di Don Bosco? Il compagno prese per mano Cerutti, lo ricondusse all’Oratorio e lo presentò a Don Bosco. Io — continuò Don Bosco — gli andai incontro e gli dissi — O caro Cerutti, stavo domandandomi come mai stamane non ti avevo ancora visto — Davvero? Devi sapere che tu sei la pupilla dei miei occhi. Bastò questo complimento così spontaneo per rasserenarlo e farlo splendere di gioia. Quella sera — aggiunse ancora Don Bosco — venni a sapere tutta l’avventura dal compagno di Cerutti, che l’aveva salvato dal commettere un grosso sproposito; e dovetti persuadermi che certi ragazzi hanno bisogno di molta sorveglianza e di molto interessamento.

 

NON RIMANDARE

Era l’autunno del 1852. Si presentò a Don Bosco un ragazzo di nome Gianni, accompagnato da suo padre. Vestiva molto elegantemente, bastoncino e catenella, capelli lucidissimi, castani, impomatati: un dandy, cioè un hippie a rovescio. Quel ragazzo era orfano di mamma, l’anno precedente era stato messo in un collegio di tendenze notoriamente laiciste; i compagni cattivi e le letture boccaccesche lo avevano avvelenato e rovinato. In ricordo però della sua mamma morta, il ragazzo sedicenne aveva accettato di iscriversi alle scuole di Don Bosco. Eccolo davanti a Don Bosco: adolescente un po’ scettico, un po’ beffardo, un po’ scocciato. Il padre, dopo di aver sottoscritto le condizioni di accettazione, lo lasciò solo a discorrere con Don Bosco. E Don Bosco con un intuito infallibile gli parlò subito di sport e di musica, due argomenti che facevano presa sul cuore del ragazzo. Quando padre e figlio si ritrovarono soli, il babbo gli chiese — Che te ne pare? Ti piace questo luogo? Che ne dici del Direttore? Il luogo mi piace molto — annuì il ragazzo, — il Direttore mi è simpatico, ma c’è una cosa che non riesco a digerire — E cioè? — Il fatto che sia un prete; questa mi fa ribrezzo — Ma tu non devi badare alla sua qualità di prete; guarda piuttosto alle sue dati umane, non ti pare? — Ma lo sai che stare con un prete vuol dire pregare, andarsi a confessare, fare la comunione? Da quelle poche parole che mi ha detto sull’argomento, ho capito che conosce tutti i fatti miei. Be!, Ho promesso e manterrò la parola. Per adesso ci vengo.., poi, vedremo.

Alcuni giorni dopo, entrava all’Oratorio come interno. I compagni, il gioco, la musica, le recite teatrali lo suggestionarono. Tornò alle pratiche di pietà. Gli restava però viva la ripugnanza a confessarsi. E rimandava da un giorno all’altro. Erano già passati due mesi. Una sera Don Bosco lo chiamò nel suo studiolo:

  Mio cara Gianni, — iniziò a dirgli — che cosa ti ricorda il giorno di domani? Il ragazzo ebbe un brivido di commozione — È l’anniversario della morte di mia mamma — Vorresti fare una casa che piacerebbe tanto alla tua mamma e farebbe tanto bene a te? — Qualunque cosa... Sono disposto a tutto — Fa’ allora domani la comunione in suffragio della tua indimenticabile mamma — La comunione la farei volentieri, ma prima bisogna confessarsi... Se lei mi assicura che questo piacerebbe a mia madre, va bene: domani mi confesserò. O anche subito, se lei vuole.

— Subito, subito. Don Bosco lo persuase a non rimandare la decisione e lo confessò dopo averlo

convenientemente preparato. Il giorno dopo, Gianni si accostò alla mensa eucaristica e pregò a lungo per la mamma morta. Da quel giorno la sua vita fu radicalmente cambiata: rovesciata come un guanto. Don Bosco aveva fatto scattare una molla: il non rimandare a domani.

 

PREGHIAMO CON LA LITURGIA DELLA FESTA DEL SANTO

O Dio, che in San Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

A SAN GIOVANNI BOSCO PER OTTENERE UNA GRAZIA

Bisognoso di particolare aiuto a te ricorro con grande fiducia, o glorioso Don Bosco. Mi occorrono grazie spirituali per fuggire sempre il peccato e perseverare nel bene fino alla morte. Ma mi occorrono anche grazie temporali e specialmente...

(si espone la grazia che maggiormente si desidera).

Tu che fosti così devoto di Gesù Sacramentato e di Maria Ausiliatrice e così compassionevole delle umane sventure, ottienici da Gesù e dalla sua Celeste Madre la grazia che ti domando e una grande conformità al volere di Dio.

 

PREGHIERA DI DON BOSCO

Signore, dammi pur croci e spine e persecuzioni di ogni genere, purché possa salvare anime e tra le altre la mia.

Signore, dammi delle anime e prenditi tutto il resto. Solo quando saprò che il demonio cesserà dall’insidiare le anime, io cesserò dal cercare nuovi mezzi per salvarle dai suoi inganni e dalle sue insidie. O Signore, voglio farti un sacrificio totale della mia vita, voglio lavorare fino all’ultimo respiro per la tua gloria, sopportando con pazienza le avversità e le contrarietà nel bene operare. Aiutami tu a impiegare, finché posso, tutte le mie forze per la salute delle anime.

 

ALCUNE SCHEGGE DAGLI SCRITTI DI DON BOSCO

 

SANTI

I santi non sono forse miracoli viventi per la pratica eroica e costante di virtù che sono infinitamente al di sopra delle povere umane forze?      

 

ALLEGRIA

Il demonio ha paura della gente allegra.      

 

EDUCAZIONE

L'educazione è cosa di cuore. Chi sa di essere amato, ama. Chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Quando l'amore illanguidisce le cose non vanno più bene.

 

CROCE

Chi non vuol patire con Gesù in terra, non potrà godere con Gesù Cristo in cielo.

 

DOLORE

Le spine che ci pungono nel tempo, saranno fiori per l'eternità.   

 

FIDUCIA

Fa’ quello che puoi e Dio farà il resto; Egli non ti lascerà negli imbrogli, se lavori per Lui.     

 

IRA

La salvaguardia più sicura contro l'ira è il tardare a sfogarla.        

 

PACE

Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, non ha pace con gli altri.      

 

PASSIONI

Le piccole passioni sono come altrettanti semi, che se non si estirpano cresceranno grossi e diverranno come tempesta e burrasca nel vostro cuore.       

 

PAZIENZA

Quella che santifica non è la sofferenza, ma la pazienza   

 

RISPETTO UMANO

Che cos'è il rispetto umano? Un mostro di cartapesta che non morde!

 

RUMORE

Meglio un po' di rumore che un silenzio rabbioso e sospetto.  

 

SANTITA’

Non è la scienza a farci santi, ma la virtù.

 

SAPERE

Non vi insuperbite mai di ciò che sapete. Quanto più uno sa, tanto più uno riconosce di essere ignorante. 

 

SCIENZA

Non si acquista mai una scienza, sfiorando nello stesso tempo molti libri. Interrogato San Tommaso d'Aquino come avesse fatto per riuscire così dotto, rispose: col leggere un sol libro.        

 

TEMPO

Un sol minuto di tempo è un prezioso tesoro, vale quanto Dio stesso.        

 

VOCAZIONE

Quando un figlio abbandona i genitori per obbedire alla vocazione, Gesù Cristo prende il suo posto nella famiglia.    

 

ABITUDINI

Le abitudini prese in gioventù per lo più durano tutta la vita.

 

ALLEGRIA

Siamo sempre allegri e passerà presto il tempo.      

 

GRAZIA DI DIO

Se volete che la vostra vita sia allegra e tranquilla, dovete procurare di starvene in grazia di Dio.  

 

ALLEGRIA

Il signore ama che quello che si fa per Lui, si faccia con allegria.     

 

AMARE

Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto.

 

AMICIZIA

Fa che tutti quelli con cui tu parli diventino tuoi amici.          

 

COMPAGNI

Un compagno cattivo è un assassino dell'anima.

 

AMICIZIA

Non tenete per amici chi vi soverchi di lodi. 

 

ANIMA

Hai una sola anima: salvata questa, tutto è salvato: perduta, tutto è perduto per sempre.    

 

ANIMA

Prima carità è quella usata all'anima propria.     

 

ANIMA

Chi lavora per salvare anime, salva anche la propria.     

 

ANSIA

Niente ti turbi: chi ha Dio ha tutto.        

 

BAMBINI

La prima felicità di un bambino è sapersi amato.      

 

BENE

Quando una cosa volge al bene delle anime, è certo che viene da Dio e non può venire dal demonio.

 

BENE

Non ho mai veduto che alcuno in punto di morte si lamentasse di aver fatto troppo bene.        

 

BENE

Quando le cose vanno bene, non bisogna cambiare con il pretesto di migliorarle

 

BONTA’

L'essere buoni non consiste nel non commettere mancanza alcuna: l'essere buoni consiste in ciò: nell'avere la volontà di emendarsi.        

 

CASTITA’

Mezzi positivi per mantenere la castità: preghiera, fuga dell'ozio, frequenza dei sacramenti, vigilanza nelle piccole cose.        

 

CHIESA

Qualunque fatica è poca, quando si tratta della Chiesa e del Papa.  

 

COERENZA

Operate oggi in modo che non abbiate ad arrossire domani.    

 

CONCRETEZZA

Camminate con i piedi per terra e con il cuore abitate in cielo.

 

CORAGGIO

Il coraggio dei tristi non è fatto che dell'altrui paura. Siate coraggiosi e li vedrete abbassare le ali.             

 

CORPO

Il corpo deve aiutare l'anima a fare il bene, e deve servirla. L'anima è la signora del corpo. 

 

DEBOLEZZA

La forza dei cattivi, che pure sono una minoranza, è dovuta quasi solo alla debolezza dei buoni, che pure sono la maggioranza.    

 

DESERTO

Solo attraverso il deserto si giunge alla terra promessa.

 

DIFETTI

Sopporta volentieri i difetti altrui, se vuoi che gli altri sopportino i tuoi.

 

DIO

Sii con Dio come l'uccello che sente tremare il ramo, e continua a cantare perché sa di avere le ali.    

 

DOMANI

Non mandate a domani il bene che potete fare oggi, perché forse domani non avrete più tempo.

 

DOVERE

Amate i vostri doveri se desiderate adempierli bene.        

 

EDUCAZIONE

Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore. 

 

EDUCAZIONE

In educazione nulla di solido ci sarà mai, finché il giovane non abbia abbandonato il cuore alla confidenza.       

 

EDUCAZIONE

In ogni giovane, anche il più disgraziato, c'è un punto accessibile al bene; e dovere primo dell'educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore, per trarne profitto.     

 

EDUCAZIONE

Chi ha vergogna di esortare alla pietà è indegno di essere maestro.   

 

EDUCAZIONE

Solo la religione è capace di compiere la grande opera di una vera educazione.     

 

EDUCAZIONE

I giovani non solo siano amati, ma essi stessi si conoscano di essere amati.        

 

EUCARISTIA

La base della vita felice di un ragazzo è la comunione Eucaristica.     

 

EUCARISTIA

Tutti hanno bisogno della Comunione: i buoni per mantenersi buoni e i cattivi per farsi buoni.

 

EUCARISTIA

Dicono alcuni che per comunicarsi spesso bisogna essere santi. Non è vero. Questo è un inganno! La Comunione è per chi vuole farsi santo, non è per i santi; i rimedi si danno ai malati, come il cibo si dà ai deboli.   

 

FIDUCIA

Se Dio vuole la nostra opera, ci darà i mezzi per attuarla: chi lavora per un fine, ha diritto ai mezzi, e noi siamo certi che questi verranno.  

 

FRATERNITA’

L'amore fraterno, per essere come si richiede, deve essere tale, che il bene di uno sia il bene di tutti, ed il male di uno sia il male di tutti.  

 

GIOIA

La gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l'amore.    

 

GIOVANI

Io non voglio altro dai giovani, se non che facciano i buoni e siano sempre allegri.

 

LAVORO

Chi vuol lavorare con frutto deve tenere la carità nel cuore e praticare la pazienza con le opere.       

 

LAVORO

Lavoriamo di cuore: Iddio saprà pagarci da buon padrone. L'eternità sarà abbastanza lunga per riposarci.  

MORALE

Non c'è alcun vantaggio materiale che compensi un solo danno morale.     

 

MORALE

A Dio non piacciono le cose fatte per forza.        

 

MORMORAZIONE

Le mormorazioni raffreddano il cuore. 

 

PASTORALE

Nel lavorare per le anime vale tanto un'oncia di pietà, quanto cento miriagrammi di scienza.             

 

PASTORALE

Sono operai che lavorano nella vigna del Signore tutti coloro che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime.       

 

PAZIENZA

Assuefatevi a saper frenare voi stessi: è questo il modo di avere molti amici e nessun nemico.    

 

PECCATO

Le malattie dell'anima domandano di essere trattate almeno come quelle del corpo.       

PREMIO

Il miglior consiglio è di fare il bene quando possiamo e poi non aspettarci la mercede del mondo, ma da Dio solo.

 

PRUDENZA

Siate prudenti: ma non dimentichiamo che la nostra prudenza deve consistere nel mettere sempre in salvo la fede, la coscienza, l'anima nostra.      

 

RIMPIANTI

Che cosa vale rimpiangere tanti mali? E' meglio che ci adoperiamo con tutte le forze ad alleviarli.    

 

RISPETTO UMANO

Curate solo quello che di voi potrà dire il Signore, non quello che di voi, in bene o in male, diranno gli uomini.      

 

SACRIFICIO

Non tutti possono digiunare, intraprendere lunghi viaggi, per la gloria di Dio, non tutti possono fare ricche elemosine; ma tutti possono amare Dio: basta volerlo.      

 

SOFFERENZA

Soffrite volentieri qualche cosa per Dio, che tanto sofferse per voi.     

 

VOCAZIONE

Ho fatto esperienza dei giovani: un terzo di loro porta in germe la vocazione sacerdotale o religiosa.   

 

NATALE

Pensate al grande mistero che si sta compiendo: un Dio che si fa uomo! Bisogna che la mia anima sia qualcosa di grande, se i cieli e la terra si commuovono e un Dio viene a farsi bambino proprio per me.  

 

AFFARI

Se vogliamo far prosperare i nostri affari materiali, procuriamo anzitutto di far prosperare gli affari di Dio.  

 

 

 

LA PAROLA DI DIO CHE CI E’ PROPOSTA NELLA FESTA DEL SANTO

 

1^ Lettura Fil 4, 4-9

Dalla lettera di San Paolo ai Filippesi

Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi! Parola di Dio

 

Salmo 33 “Buono è il Signore, Dio della gioia”

 

Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. R

 

Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome.

Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. R

 

Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti.

Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce. R

 

L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva.

Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia. R

 

Temete il Signore, suoi santi, nulla manca a coloro che lo temono.

I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla. R

 

Vangelo Mt 18, 1-5

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”. Parola del Signore

Torna a Scelta Profili Santi