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DOMENICO  SAVIO

 

Santo, memoria liturgica al 6 Maggio

 

Domenico Savio nacque a Riva di Chieri il. 2 Aprile 1842 da Carlo Savio e Brigida Agagliate, e fu battezzato lo stesso giorno. Domenico frequentò le scuole elementari a Castelnuovo e poi a Mondonio, dove si era trasferita la famiglia. L’8 aprile 1849 giorno di Pasqua, Domenico fece la Prima Comunione, aveva 7 anni. In questa circostanza scrisse alcuni ricordi che conservò poi sempre gelosamente in un libro di devozione e che spesso rileggeva. Domenico scriveva così: “Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore mi darà il permesso, voglio santificare i giorni festivi, i miei amici saranno Gesù e Maria, la morte ma non peccati”. Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita. Il suo maestro di seconda elementare, dice di Domenico: “Egli aveva una struttura fisica alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto al dolce con un non so che di grave e piacevole. Era d’indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa e ovunque. Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino alla fine di quell’anno scolastico e nei quattro mesi dell’anno successivo egli progredì nello studio in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto.” Quando don Cagliero, parroco di Mondonio, andò a Torino per parlare con S. Giovanni Bosco, del suo giovane parrocchiano, egli si espresse così: “Qui nella sua casa può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi.” L’incontro di Domenico con S. Giovanni Bosco ebbe luogo ai Becchi, presso la casa nativa del santo educatore, il 2 ottobre 1854, e il 29 dello stesso mese Domenico entrava nell’oratorio di Valdocco in Torino. in occasione della proclamazione del dogma dell’Immacolata (8 dicembre 1854), S. Giovanni Bosco attesta:“La sera di quel giorno, compiute le sacre funzioni in Chiesa, col consiglio del confessore, Domenico andò avanti all’altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima Comunione, e poi disse: “Maria, vi dono il mio cuore: fate che sia sempre vostro, Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! ma per pietà, fatemi morire piuttosto di commettere un solo peccato”. Nella primavera del 1855 intesa una predica di San Giovanni Bosco sulla santità, non ebbe più pace e andava ripetendo che doveva farsi santo e presto, altrimenti gliene sarebbe mancato il tempo. Da quel tempo fino alla morte fu quindi esemplare in tutto, e si notò in lui una pietà straordinaria, unita ad una serena allegria, a uno zelo ardente per la salvezza dei compagni e anche a doni carismatici straordinari. L’8 giugno 1856, nove mesi prima di morire, fondò la Compagnia dell’Immacolata, di cui scrisse il regolamento, che è testimonianza di un’alta spiritualità in un giovanetto di soli quattordici anni. A dodici anni, già sapeva di dover morire. Restò nell’Oratorio soltanto tre anni. Non reggendo più alla vita di studio e di collegio, fu deciso di rimandarlo presso la famiglia, che si era stabilita a Mondonio. Accolse la notizia, che era una condanna, con la consueta docilità, salutando i compagni con un “arrivederci dove saremo sempre col. Signore.” A casa sua consolò i genitori. Li invitò a celebrare “eternamente le lodi del Signore”. Le ultime sue parole furono per il padre, che vedeva troppo addolorato: “Addio, caro papà. Oh, che bella cosa io vedo mai!” Era il 9 marzo 1857. San Giovanni Bosco ne scrisse subito la vita, che uscì nelle Letture Cattoliche del. gennaio 1859. Alla fine di ottobre del 1914 la salma fu trasportata nella basilica di Maria Ausiliatrice in Torino. Dichiarato venerabile da Pio XI nel 1933, fu beatificato da Pio XII il 5 marzo 1950 e canonizzato il 12 giugno 1954.

 

 

LA BIRICCHINATA DELLA STUFA

L’incontro di don Bosco con Domenico Savio fu provocato da... una grossa e vecchia stufa. Le cose andarono cosi. Domenico frequentava la scuola elementare di Mondonio. Suo insegnante era don Cagliero, un bravo prete che, secondo le usanze del tempo, sapeva far rigare gli scolari anche con la verga e gli schiaffoni. Nelle rigide giornate d’inverno, la scuola era riscaldata e affumicata da una grossa stufa. Ora, un giorno che don Cagliero tardava ad arrivare e fuori nevicava, due monelli dopo aver parlottato e ridacchiato a bassa voce sgusciarono fuori della porta. Pochi minuti dopo rientrarono con due blocchi di neve, e senza che nessuno lo prevedesse li ficcarono nella stufa. Un gran fumo, poi dalla stufa cominciò ad uscire un ruscello di acqua che invase l’aula. Ed ecco arrivare don Cagliero. Vede l’acqua fluire dalla stufa, si avvicina scuro in volto, toglie il coperchio... Si volta inviperito alla classe: Chi è stato? I due colpevoli si guardano esterrefatti: se qualcuno «soffia» il loro nome, saranno certamente espulsi dalla scuola. Come fare? A cenni decidono di scaricare la colpa sopra un altro. Con faccia di bronzo uno di loro si alza, tende il dito accusatore verso Domenico Savio: E stato lui! Anche l’altro conferma con calore: Sì, è stato lui! L’insegnante cade dalle nuvole, il suo volto si fa grave e triste: Domenico! Proprio tu! Non lo avrei mai creduto! Domenico si alza di scatto, ha il volto rosso per la vergogna e la collera, volge gli occhi in giro: come? nessuno lo difende? eppure tutti hanno visto. Nessuno ha il coraggio di testimoniare per lui, perché quei due sono grandi e «menano». Il maestro continua: Meno male che è la tua prima mancanza, altrimenti ti avrei cacciato di scuola! Domenico abbassa la testa, stringe i pugni. Sente gli occhi riempirsi di lacrime. Basterebbe una sola parola, e i veri colpevoli sarebbero smascherati. Ma il maestro ha detto: «Se non fosse la prima mancanza, espulsione». No, non vuole che i suoi compagni siano espulsi. Meglio patire in silenzio. L’insegnante continua la sgridata e lo mette in castigo. Tutta la classe trattiene il respiro. La lezione prosegue ed ha fine. Al termine, però, uno che ha visto i veri colpevoli non ne può più. Non si tratta di fare la spia, si tratta di giustizia bella e buona. Quando tutti se ne sono andati, avvicina don Cagliero e gli spiffera tutto. Il prete cade dalle nuvole una seconda volta: Ma allora perché? Poteva ben parlare, santo cielo, poteva ben dire. Il giorno dopo, dispiaciuto per aver castigato un innocente, avvicina Domenico: Perché non mi hai detto che non eri stato tu? Domenico sorride: Non importa. Ho pensato che quei tali sarebbero stati cacciati di scuola, e non volevo. Io invece speravo di essere perdonato. E poi... ho pensato a Gesù. Anche Lui fu accusato ingiustamente. Don Cagliero tacque. Ma decise che un ragazzo così meritava un premio, un grosso premio. Uno dei desideri più ardenti di Domenico era di poter continuare gli studi. Don Cagliero disse a se stesso: Andrò da don Bosco. Appena ebbe un giorno libero, prese il cappello e scese a Torino. Don Bosco lo vide, gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo. Erano vecchi compagni di seminario, amici per la pelle: Vecchio mio, che piacere rivederti! Cosa sei venuto a fare da queste parti? Sono venuto a vedere come stai tra questi birbanti. E sono venuto a farti un regalo coi fiocchi. Che razza di regalo? Mi hanno detto che insieme ai piccoli barabba, nel tuo Oratorio accetti anche ragazzi in gamba, che diano speranza di diventare sacerdoti. E allora ho pensato di mandarti un ragazzo anch’io. È di Mondonio. Si chiama Domenico Savio. Non ha molta salute, ma quanto a bontà sono pronto a scommettere che non hai mai conosciuto un ragazzo così. Un vero san Luigi. Esagerato! Ad ogni modo per me va bene. Verrò a Castelnuovo con i miei ragazzi in ottobre, per la festa del Rosario. Fammi incontrare questo tuo Domenico e suo padre. Parleremo e vedremo un po’ di che stoffa è.

 

UN GRANDE E UN PICCOLO SANTO

2 ottobre 1854. Nel cortiletto davanti alla casa del fratello di don Bosco avvenne il primo incontro. Don Bosco ne fu così impressionato che lo narrò nei minimi particolari, come se l’avesse registrato. La lingua è quella del 1800, ma la scena è vivace, sembra di vederla. « Era il primo lunedì d’ottobre, di buon mattino, allorché vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. Il suo volto ilare, l’aria ridente ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi. Chi sei, gli dissi, donde vieni? Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato don Cagliero; e veniamo da Mondonio. Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenore di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza, egli con me, io con lui. Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva operato in così tenera età. Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: Ebbene, che gliene pare? mi condurrà a Torino per studiare? Eh, mi pare che ci sia buona stoffa. E a che può servire questa stoffa? A fare un bell’abito da regalare al Signore. Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto, dunque mi prenda con lei e farà un bell’abito per il Signore. Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio. Non tema per questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l’avvenire. Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vuoi fare? Se il Signore mi accorderà tanta grazia, desidero ardentemente di diventare sacerdote. Bene, ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio. Prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche), quest’oggi studia questa pagina, domani tornerai a recitarmela. Ciò detto lo lasciai in libertà d’andarsi a trastullare con gli altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di Otto minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole, recito adesso la pagina. Presi il libro, e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute. Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione e io anticipo la risposta. Sì, ti condurrò a Torino, e fin d’ora sei annoverato tra i miei cari figlioli; comincia anche tu fin d’ora a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà. Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: Spero di regolarmi in modo che non abbia mai a lamentarsi della mia condotta». Ripensando alle parole di don Cagliero, quella sera, don Bosco dovette concludere che non aveva proprio esagerato. Se san Luigi fosse nato tra le colline del Monferrato e fosse stato figlio di contadini, non avrebbe potuto essere diverso da quel ragazzo sorridente, che voleva diventare «un bell’abito da regalare al Signore ».

 

IL PIU’ GRANDE DESIDERIO

Un giorno San Giovanni Bosco dice ai suoi ragazzi: Oggi è il mio onomastico e voglio farvi un regalo. Ciascuno di voi scriva su un foglietto il regalo che desidera da me; metta nome e cognome e me lo consegni. Io farò il possibile per appagarlo. Indovinare la gioia di quei ragazzi, che conoscevano bene don Giovanni e sapevano che, oltre di parola, era anche di cuore. Pensano, scrivono e poi aspettano... Don Bosco legge. Uno domanda un cappello, uno un vestito, uno un libro, un altro un giocattolo, ecc. Finalmente legge un biglietto sul quale è scritto: « Voglio che lei mi aiuti a diventare un vero amico di Gesù!». Firmato: Savio Domenico. San Giovanni Bosco appagò il suo desiderio: aiutò vera­mente Domenico, che diventò santo.

 

UN RAGAZZO DECISO

Un giorno un ragazzo portò all’Oratorio un giornale illustrato con figure poco pulite. Subito gli si radunarono intorno cinque o sei amici. Guardavano, ridacchiavano. Domenico si avvicinò. Vista la faccenda, prese dalle mani del proprietario il giornale e lo stracciò. Il ragazzo si mise a protestare, ma Domenico protestò anche lui, a voce ancora più alta: Belle cose porti dentro l’Oratorio! Don Bosco si rompe la schiena tutto il giorno per fare di noi dei bravi cittadini e dei bravi cristiani, e tu gli porti in casa questa roba! Quelle sono figure che offendono il Signore, e qui dentro non devono entrare!

 

UN PIACERE DAL CARRETTIERE

Un giorno, per le vie di Torino, quando c’erano i carretti trainati da cavalli, «un cavallo si rifiuta di camminare, e il carrettiere si mette a snocciolare una litania di imprecazioni e di bestemmie. Domenico Savio gli si avvicina. Gentilmente si toglie il berretto e, col suo inimitabile sorriso: Signore, vuol farmi un favore? Con piacere, ragazzo mio!  risponde l’altro, vinto dal modo cortese di chiedere. Mi saprebbe indicare la strada per andare all’Oratorio di Don Bosco? — chiede quel furbacchione, che conosceva a memoria la strada. L’Oratorio? L’Oratorio di Don Bosco? Proprio no! Mi dispiace, ma non so proprio dove sia. Allora, vorrebbe farmi un altro piacere?  Ma certo, ragazzino! Che cosa? Domenico si alza sulla punta dei piedi per giungere all’orecchio del robusto carrettiere e mormora con gentilezza: — Vorrebbe farmi il piacere di non bestemmiare più? Quell’omone diventa rosso. Poi stringe la mano del ragazzo: — Hai ragione, ragazzo mio! E una brutta abitudine... Ma ti prometto che mi sforzerò di vincerla.

 

VENDETTA E PERDONO

«Un giorno viene a sapere che due ragazzi hanno avuto una furiosa discussione e sono arrivati a offendere le loro rispettive famiglie; impossibile perdonare tali parole, dal momento che intaccavano il loro onore! Perciò i due decidono di regolare la cosa a colpi di pietra su un prato incolto. Domenico sente parlare della sfida. Li supplica di dimenticare, di perdonare. Fatica sprecata. Si è deciso di battersi: ci si batterà! Almeno — supplica Domenico — accettatemi come testimone. Per nulla al mondo! Ci denunceresti. E arriverebbe qualcuno per impedire di batterci e noi vogliamo batterci! — rispondono quelli con ira feroce. Io dirò niente a nessuno — insiste il ragazzo. No! Tu vuoi impedircelo. Io non impedirò niente! — afferma il piccolo. Vi chiederò soltanto una cosa prima dello scontro.

— Lo prometti? — Lo prometto! Nel giorno e nell’ora stabiliti per il duello i due ragazzi arrivano sul terreno. Il piccolo Domenico è già lì. Guardandosi con odio, i due prendono le munizioni: cinque grosse pietre. Si mettono in posizione. Ma ecco che Domenico si avvicina a uno dei due. Tu ti batterai, d’accordo. Prima però mi hai promesso di concedermi una cosa! Ecco... E subito si inginocchia fra i due avversari. Prende un piccolo crocifisso di legno che portava al collo e lo solleva in alto: Ecco: voglio che la prima pietra sia lanciata contro di me. E lanciandola tu gridi: Gesù innocente è morto per i miei peccati, perdonando i suoi carnefici. E io, peccatore, voglio offenderlo vendicandomi. Dai! lira il sasso! L’interpellato è sconvolto. Non può fare una simile vigliaccheria. Ma tu sogni! Io non ho niente contro di te! Non voglio farti del male! Anzi, se qualcuno ti offende, sono pronto a difenderti. Stesse parole rivolte all’altro avversario: stesso risultato. Bene — esclama allora Domenico —. Voi sareste pronti a battervi per difendermi e non siete capaci di perdonare un insulto per salvare la vostra anima che è costata il sangue di Gesù? Uno dei due ragazzi, che più in avanti in età ricordava il fatto disse: “In quel momento mi sentii commosso e pieno di vergogna per aver costretto un amico così buono, come era Savio, a usare misure estreme per impedire il nostro stupido scontro. Volendo dimostrargli quanto aveva saputo convincermi, perdonai di cuore a colui che mi aveva offeso e pregai Domenico di indicarmi un sacerdote per confessarmi. Quell’episodio mi fece diventare suo amico e mi riconciliò con Dio, che certamente era stato molto offeso dal mio odio e dal mio desiderio di vendetta”

 

UN RAGAZZO CHE PARLA CON DIO

Dicembre. Le strade di Torino sono già spruzzate di neve. E notte ormai, per le vie si accendono i fanali a petrolio. Don Bosco, come ogni sera, è curvo al suo tavolo di lavoro davanti ad un mucchio di lettere che attendono risposta e che l’impegneranno fin oltre mezzanotte. Ma ecco un discreto bussare alla porta: “Avanti. Chi è?” “Sono io” — dice un ragazzino pallido facendosi avanti. “Oh, Domenico, hai bisogno di qualcosa?” “Presto, venga con me, c è un’opera di bene da fare”. “Adesso, di notte? Dove vuoi portarmi?” “Faccia presto, don Bosco, faccia presto.” Don Bosco esita. Ma guardando Domenico Savio, quel ragazzo che non ha ancora compiuto 14 anni, vede che il suo volto, di solito sereno è molto serio. Anche le parole sono decise come un comando. Don Bosco si alza, prende il cappello e lo segue. Domenico scende precipitosamente le scale, esce dal cortile, infila deciso una via, poi volta in una seconda, in una terza. Non parla né si ferma. In quel dedalo di vie e viuzze buie scantona sicuro come se fosse guidato da un radar. Lungo la strada, le porte si succedono alle porte. Domenico si ferma davanti a una di esse. Non ha letto il numero, nemmeno si è guardato intorno per orientarsi. Sale deciso la scala. Don Bosco lo segue: primo piano, secondo, terzo. Domenico si ferma, suona il campanello. Prima che qualcuno venga ad aprire si volta a don Bosco e dice: “E’ qua che deve entrare.”  Senza aggiungere altro scende e torna a casa. La porta si apre. Si affaccia una donna scarmigliata. Vede il prete e alza le braccia al cielo: “E’ il Signore che lo manda. Presto, presto, altrimenti non fa più in tempo. Mio marito ha avuto la disgrazia di abbandonare la fede tanti anni fa. Adesso sta morendo e domanda per pietà di potersi confessare.” Don Bosco si reca al letto dell’ammalato, e trova un pover’uomo spaventato e sull’orlo della disperazione. Lo confessa, gli dà l’assoluzione riconciliandolo con Dio. Pochi minuti e quell’uomo muore. Passa qualche giorno. Don Bosco è ancora molto impressionato di ciò che è accaduto. Come ha potuto Domenico Savio sapere di quel malato? Lo avvicina in un momento in cui nessuno li ascolta: “Domenico, quella sera che sei venuto nel mio ufficio a chiamarmi, chi ti aveva parlato di quel malato? Come hai fatto a saperlo?” Allora succede una cosa che don Bosco non si aspettava. Domenico lo guarda con aria mesta e si mette a piangere. Don Bosco non osa fargli altre domande, ma capisce che nel suo Oratorio c’è un ragazzo che parla con Dio.

 

E’ SCOPPIATO IL COLERA

Passando una sera per via Cottolengo, Domenico Savio fissa la facciata di una casa, e come se una voce lo chiamasse, infila le scale e sale velocemente. Senza esitare bussa ad una porta. Si affaccia il padrone di casa. Scusi — dice Domenico — qui ci deve essere una persona colpita dal colera che ha bisogno di assistenza. Il pover’uomo sbarra gli occhi: No no, qui non c’è nessuno! Ci mancherebbe altro. Ma ne siete sicuro? Sicurissimo, diavolo! Eppure si sbaglia. Permette che dia un’occhiata? Il padrone cade dalle nuvole. Lo sa bene che nella sua famiglia, grazie a Dio, stanno tutti bene. Ma quel ragazzo ha un’insistenza che sembra proprio…. Entra, entra. Andiamo pure a vedere. Ma vedrai che ti sbagli. Girano le stanze, la cucina, il magazzino. Nulla. Ma non ha qualche altro stanzino, qualche solaio? Ah! — fa il padrone battendosi una mano sulla fronte — Lo sgabuzzino! Che ci sia la Maria? Salgono in alto, sotto la soffitta, in un misero bugigattolo. Rannicchiata in un angolo, con la faccia contratta nell’agonia, una povera donna sta morendo. Presto, chiami un sacerdote — sussurra Domenico, e si mette svelto a svolgere la sua opera d’infermiere. La Maria! Ma chi ci avrebbe pensato? — continua a ripetere il brav’uomo mentre corre giù per le scale a chiamare il parroco. Quella povera donna, che andava a fare le ore di servizio in alcune famiglie, gli aveva chiesto di poter dormire in quello sgabuzzino. Siccome partiva al mattino presto e tornava alla sera tardi, lui non se ne ricordava quasi più. Viene il parroco e amministra gli ultimi sacramenti alla moribonda. In un angolo, col cappello in mano, il padrone di casa continua a ripetersi: «Povera Maria! ... Ma quel ragazzo, come avrà fatto a saperlo?».

 

CAMILLO, IL PRIMO DELLA COMPAGNIA DELL’IMMACOLATA A PARTIRE PER IL CIELO

Era arrivato da Tortona un ragazzo di 14 anni. Aveva la faccia pallida, come uno che sia stato molto malato. Ora era appoggiato al portico e guardava. Vedeva tanta allegria attorno a sé, giovani che correvano e ridevano. Eppure egli guardava tutto con volto pensoso. Qualcuno, correndo, lo sfiorava, e poi domandava al compagno:  quello chi è? Non so, hanno detto che viene da Tortona, e che è molto in gamba a dipingere e a scolpire. Pare che sia stato mandato a Torino a spese del municipio per continuare gli studi d’arte.  Anche Domenico lo vide, e subito lo avvicinò: — Salve! Non conosci ancora nessuno qui, vero? Già. Non conosco proprio nessuno. Ma mi piace guardare gli altri giocare. Io sono Savio Domenico, e tu come ti chiami? Gavio Camillo. Vengo da Tortona. Mi sembri malinconico. Scommetto che senti un po’ di nostalgia di casa tua. Capita a tutti, ma passerà. La faccenda per me è diversa. Sono stato ammalato. ho fatto una grave malattia di cuore che mi ha portato all’orlo della tomba, e non sono ancora ben guarito. Ma desideri guarire, no? No — rispose serio il ragazzo.  Desidero soltanto fare la volontà di Dio. Domenico lo fissò meravigliato. Provò una grande gioia. Questo Camillo era un ragazzo splendido, sarebbe diventato un magnifico socio della Compagnia dell’Immacolata. Gliene parlò con entusiasmo, gli propose di entrare alla prima adunanza. E interessante quello che mi dici — rispose Camillo. Ma per essere uno di voi che cosa dovrò fare? Te lo dico in due parole. Noi vogliamo farci santi, e facciamo consistere la santità nello stare molto allegri, nel compiere bene i nostri doveri, e nel fare del bene agli altri. Camillo divenne un socio entusiasta della Compagnia dell’Immacolata, e con Domenico strinse un’amicizia profonda. Ma erano passati appena due mesi dal suo arrivo che la salute cominciò rapidamente a declinare. La malattia di cuore che aveva patito a Tortona si ridestò in maniera preoccupante. I medici lo visitarono ma scossero il capo: non c’erano ormai molte speranze. Camillo non scese più dall’infermeria. Domenico saliva durante le ricreazioni a tenergli compagnia. Parlavano insieme del Paradiso. Quando la morte parve vicina, imminente, Domenico domandò di poterlo vegliare. Ma anche la sua salute non era molto buona, e non gli fu concesso. La sera del 30 dicembre don Bosco lo chiamò e gli disse che Camillo si era spento. Domenico salì a vederlo per l’ultima volta. Era disteso sul lettino bianco, pallido come la cera, ma col volto grave e maestoso. Domenico pianse. Mormorò: «Addio Camillo. Sono sicuro che sei in Cielo e che stai preparando un posto anche per me. Io ti sarò sempre amico, e finché il Signore mi lascia in vita, pregherò sempre per te». Fu un lutto grave per la Compagnia dell’Immacolata. Fecero tutti la Comunione per Camillo, per più giorni, e pregarono a lungo.

 

AMORE PER L’EUCARISTIA

Sono le due del pomeriggio. Nell’Oratorio si divulga rapidamente una notizia strana: Domenico Savio è sparito. C’era a colazione? No. È accanto a me a tavola, e non l’ho visto, né a colazione né a pranzo. E a scuola? Nemmeno. Per tutte e tre le ore il suo posto è rimasto vuoto, e l’insegnante non ne sapeva niente. Che sia ammalato? Andiamo a vedere in camera. Il lettino di Domenico è rifatto e ordinato. Di lui nemmeno l’ombra. Sarà nella sala di studio, allora. Ma anche lì nessuno. E allora? Che don Bosco l’abbia mandato qualche giorno in famiglia? In questo caso, avrebbe avvisato l’insegnante. Sai cosa facciamo? Lo diciamo a don Bosco. Se la sbrigherà lui. Don Bosco, avvertito, rimase un attimo soprappensiero. Poi gli balenò un sospetto, sorrise e disse tranquillo: andate pure, so io dov’è. Scese rapidamente le scale, entrò in sacrestia e quindi nel coro dietro l’altare. Domenico era là, in piedi. Con gli occhi sgranati nell’ombra fissava il tabernacolo. Aveva una mano poggiata su un leggio e l’altra raccolta sul petto. Don Bosco lo avvicinò, lo chiamò. Domenico non si mosse. Allora lo prese delicatamente per un braccio e lo scosse. Domenico, calmo, si voltò verso di lui e domandò: Oh, la Messa è già finita? Vedi, disse don Bosco mostrandogli l’orologio, sono già le due del pomeriggio. Domenico si confuse, arrossì di quel grave ritardo, domandò perdono. Adesso va’ a pranzo — tagliò corto don Bosco.Se ti chiedono dove sei stato, rispondi che vieni dal fare una commissione per me.

 

UN SOGNO DI DON BOSCO

San Giovanni Bosco, in uno dei suoi sogni, vide Domenico Savio, ragazzo vivace, suo alunno morto qualche mese prima. Questi era a capo di una schiera di ragazzi e giovani; Indossava una veste bianca ed era cinto di una fascia rossa. Pose nelle mani di don Bosco un mazzo di fiori, vi erano rose, viole, genziane, gigli, semprevive e in mezzo ai fiori alcune spighe di grano. "Che cosa indica codesto mazzo di fiori?" - chiese don Bosco. "Simboleggiano le virtù che più piacciono al Signore." "E quali sono?" "La rosa è il simbolo della carità, la viola dell'umiltà, il girasole dell'ubbidienza, la genziana della penitenza, le spighe della comunione frequente, il giglio della purezza; la sempreverde significa che queste virtù devono durare sempre e perciò simboleggia la perseveranza.

 

ANCORA IN SOGNO A DON BOSCO

S. Giovanni Bosco sognò San Domenico Savio avvolto di gioia celestiale. Che cosa ti ha fatto più felice in punto di morte? — gli chiese. Essere stato devoto della Madonna — rispose il suo giovane discepolo.

 

PREGHIERA A SAN DOMENICO SAVIO

Angelico Domenico Savio, che alla scuola di Don Bosco imparasti a percorrere le vie della santità giovanile, aiutaci ad imitare il tuo amore a Gesù, la tua devozione a Maria, il tuo zelo per le anime; e fa che, proponendo anche noi di voler morire piuttosto che peccare, otteniamo la nostra eterna salvezza. Amen!

 

 

Novena a S. Domenico Savio

 

I -  O S. Domenico Savio che nei fervori eucaristici estasiavi il tuo spirito alle dolcezze della reale presenza del Signore sì da esserne rapito, ottieni anche a noi la tua fede e il tuo amore al SS. Sacramento, affinché possiamo adorarlo con fervore e riceverlo degnamente nella Santa Comunione. Gloria al Padre...

 

II - O S. Domenico Savio che nella tua tenerissima devozione alla Immacolata Madre di Dio le consacrasti per tempo il cuore innocente diffondendone il culto con pietà filiale, fa' che anche noi le siamo figli devoti, per averla Ausiliatrice nei pericoli della vita e nell'ora della nostra morte. Gloria al Padre...

 

III - O S. Domenico Savio che nell'eroico proposito: "La morte, ma non peccati" serbasti illibata l'angelica purezza, ottieni anche a noi la grazia di imitarti nella fuga dai divertimenti cattivi e dalle occasioni di peccato per custodire questa bella virtù. Gloria al Padre...

                                                                       

IV - O S. Domenico Savio che per la gloria di Dio e per il bene delle anime sprezzando ogni rispetto umano impegnasti un ardito apostolato per combattere la bestemmia e l'offesa di Dio, ottieni anche a noi la vittoria sul rispetto umano e lo zelo per la difesa dei diritti di Dio e della Chiesa.  Gloria al Padre...

                                                                                                                      

V -   O San Domenico Savio che apprezzando il valore della mortificazione cristiana temprasti nel bene la tua volontà, aiuta anche noi a dominare le nostre passioni e a sostenere le prove e contrarietà della vita per amore di Dio.  Gloria al Padre...

                                                                                                                        

VI - O S. Domenico Savio che raggiungesti la perfezione della cristiana educazione attraverso una docile obbedienza ai tuoi genitori ed educatori, fa' che anche noi corrispondiamo alla grazia di Dio e viviamo fedeli al magistero della Chiesa Cattolica.  Gloria al Padre...

                                                                                                                        

VII - O S. Domenico Savio che non pagò di farti apostolo tra i compagni sospirasti il ritorno alla vera Chiesa dei fratelli separati ed erranti, ottieni anche a noi lo spirito missionario e rendici apostoli nel nostro ambiente e nel mondo.  Gloria al Padre...

                                                                                                                         

VIII - O S. Domenico Savio che nell'eroico compimento d'ogni tuo dovere fosti modello di operosità instancabile santificata dalla preghiera, concedi anche a noi che nell'osservanza dei nostri doveri ci impegniamo a vivere una vita di esemplare pietà.  Gloria al Padre...

        

IX - O S. Domenico Savio che col fermo proposito: "Voglio farmi santo" alla scuola di Don Bosco raggiungesti ancora giovane lo splendore della santità, ottieni anche a noi la perseveranza nei propositi di bene, per fare dell'anima nostra il tempio vivo dello Spirito Santo e meritare un giorno l'eterna beatitudine in Cielo.

Gloria al Padre...

 

 

PREGHIERA CONCLUSIVA

O Dio, Che in S. Domenico hai dato agli adolescenti un mirabile modello di pietà e di purezza, concedi propizio che per sua intercessione ed esempio possiamo servirti casti nel corpo e puri nel cuore. Per il Signore nostro Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

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